"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Raimon Panikkar, uno dei
più grandi pensatori viventi, a un convegno in Italia.
Francesco Comina
La grande epopea della
scienza occidentale – oggi intrecciata indissolubilmente con l’applicazione
tecnologica – sta per naufragare. La ragione non riesce più a decodificarne il
messaggio vitale. La lettura matematica del mondo si è dimostrata una farsa
ideologica al servizio del potere e agli scienziati che credono al significato
salvifico delle loro ricerche non resta altro da fare che trasformarsi in
narratori di novelle, ricercatori di miti, registi di uno spettacolo grandioso
e tragico al tempo stesso: spiegare all’umanità ferma sul baratro che separa
la vita dalla distruzione totale cosa ha spinto Prometeo a rubare il fuoco
agli dei per portarlo sulla terra. Perché l’ha fatto? È il risultato amaro e
al tempo stesso illuminante che è emerso da un convegno promosso dalla rivista
“L’altrapagina” di Città di Castello. Nella piccola cittadina umbra si sono
confrontati, intorno al tema “Pensare la scienza”, alcuni fra i più grandi
scienziati italiani (il professore emerito di fisica teorica Marcello Cini; il
filosofo della scienza Giulio Giorello; lo storico della fisica ed esperto in
cibernetica Antonino Drago; il genetista e scrittore di novelle Giuseppe
Sermonti e il matematico-politico Gianni Mattioli) e il massimo filosofo e
teologo oggi vivente: Raimon Panikkar, l’anima che vive a cavallo dei due
mondi d’oriente e d’occidente.
Oltre i dogmatismi
Ma pure nel tentativo fatto da Giorello di difendere l’autonomia di ricerca
della scienza (“Non si possono mettere legacci al volare scientifico perché
non servirebbe a nulla e non avrebbe alcun senso”) o la bellezza delle formule
matematiche (“sono come gli spartiti di Beethoven”), è apparso chiaramente
come gli uomini di scienza oggi più aperti all’autocritica sulle derive del
percorso scientifico (succube dei rapporti di forza con l’estasi tecnocratica
oggi imperante e sottomesso in troppi casi alle lusinghe del capitale) non
riescano più a reggere alla forza del pensiero libero dalle fondamenta
logico-formali di un Panikkar. Non possono reggere perché non hanno gli
strumenti culturali per farlo. E lo hanno dimostrato chiaramente nei loro visi
incantati e sbalorditi, a volte travolti dalla musica di Panikkar (fra le
varie lauree ha anche quella in chimica), che rimetteva in gioco tutto il
modello teorico di stampo ellenico su cui si regge la scienza occidentale
moderna e si faceva interprete della grande rivoluzione nonviolenta del
prossimo millennio: “Disarmare la ragione armata”, infarcita di dogmatismi, di
concetti, di numeri, che non si relazionano minimamente alla vita dei 4/5
degli individui che vivono umili, semplici, alieni dal filtro razionale eppure
aperti ai ritmi naturali del mondo.
Un discorso che Panikkar porta avanti dagli anni ’50 e che ha incontrato le
attenzioni di filosofi e amici come Heidegger, Habermas, Jonas, Popper,
Kerenyi, Levinas, Ricoer, Bultmann, Dussel, scienziati come Niels Bohr e
innumerevoli altri in India (dove ha vissuto per vent’anni ed è considerato un
grande maestro) e in America (dove è professore emerito di filosofia della
religione all’università di Santa Barbara in California). Perché non è
possibile costruire un nuovo modello di civiltà – come chiedeva a squarciagola
Mattioli segnando il limite oramai più volte oltrepassato dalle caravelle del
dissesto ambientale – pensando ancora che la vita sia sottoposta alla logica
del “modello”: “Dobbiamo cominciare a uscire da questi vortici formali – gli
ha risposto Panikkar – e pensare in forme nuove, non dialettiche, non
bipolari, non sottoposte al principio di non contraddizione, ma aperti alla
struttura indiana della ‘non dualità’, dell’advaita. Perché non esiste nel
rapporto fra le cose della natura una relazione duale, che ci permette di
rompere e di creare una frattura sperimentale nella realtà, ma sempre e
ovunque vi è una rappresentazione complessa e armoniosa delle cose, basata su
una infinità di gradazioni che non si possono leggere secondo il principio di
non contraddizione”.
Meglio il principio cristiano della trinità, che scientificamente ci porta
alla visione, che Panikkar chiama con il neologismo “cosmo-teandrica”. È il
rapporto continuo e ininterrotto fra l’individuo, la materia e il cosmo
infinito. Non esiste un elemento senza il filo che lo collega agli altri due.
E quando si interviene arbitrariamente all’interno di uno di questi elementi,
si compromette il tutto. “Per questo motivo – ha spiegato Panikkar – la
sindrome scientifica di manipolare un elemento senza tenere in considerazione
il legame con il tutto è diventato un qualcosa di diabolico. Compromette la
vita, la rende frammentata, inerte, incapace di relazionarsi con le altre
dimensioni costitutive del reale. E dunque la uccide”.
Scienza e potere
Così come la velocità diventata una “autostrada della morte”, che provoca non
solo il saccheggio dell’energia cosmica disponibile, ma anche uno spaesamento
psicologico perché i tempi della natura non si rapportano più ai tempi della
vita individuale. E dunque Panikkar interviene proponendo il concetto di “tempiternità”,
ossia un valore unico del tempo, perché ogni attimo dell’esistere è unico,
irripetibile e infinito.
Sulla “lussuria del potere” in campo scientifico si sono soffermati, nei loro
interventi, sia Marcello Cini che Giuseppe Sermonti, il quale ha chiesto a
gran voce che “la scienza torni ad essere povera perché una scienza ricca è
una scienza bloccata” (“le conquiste più importanti – ha aggiunto – sono nate
sempre poveramente, mai con i soldi”). Ma nessuno, meglio di Panikkar è
riuscito a relativizzare il concetto di “infallibilità della scienza”: “Non
abbiate paura, cari scienziati, di essere dei vinti – ha detto – perché solo
nella sconfitta si dimostra il vero trionfo della ricerca scientifica”. Una
frase che ha trovato ampi consensi in Sermonti, Drago e Mattioli, meno in
Giorello per il quale la ricerca scientifica ha come suo sbocco la riuscita
delle sue analisi e quindi la vittoria.
Di qui l’invito del filosofo indiano a “emanciparci dalla scienza” per trovare
se stessi e per recuperare la tradizione sapienziale degli antichi,
superbamente rappresentata dalle parole di Platone: “Esse tu”, sii te
stesso. Perché non esiste un universalismo culturale, come la scienza
occidentale crede di rappresentarsi al mondo. Ogni forma di pensiero,
anche quella scientifica, vive secondo le forme del pluralismo, della
differenza, della inconciliabilità (di genere, di diritto, di natura, di
cultura). “Anche se – ha ammesso in conclusione – io sono profondamente
preoccupato che le culture particolari che rappresentano i mondi culturali
dell’Oriente vengano spazzati via dalla frenesia tecnocratica dell’Occidente.
Questo è il grande male della scienza: aver ceduto al potere della tecnologia,
alle sue leggi e non essersi fermati sulla soglia creativa: la technè. Quando
la technè diventa una operazione di riproducibilità in serie, allora le
culture rischiano l’assimilazione all’uno, che noi oggi chiamiamo
globalizzazione”.
Ecco perché la scienza va ripensata a partire dagli stessi scienziati. Onde
evitare di rassegnarsi a scrivere novelle oggi gli uomini che fanno scienza
sono invitati, come a Città di Castello, a mettere in discussione i
presupposti filosofici e antropologici dell’impresa tecnico-scientifica per
relativizzarne i risultati e non farla diventare la visione onnicomprensiva
della realtà perché sarebbe il disastro della civiltà. Panikkar è l’apripista,
ma finora pochi lo stanno seguendo.
L’ AUTORE E LE OPERE
Raimon (Raimundo) Panikkar è nato a
Barcellona nel 1918 da madre spagnola e padre indiano; laureato in chimica,
filosofia e teologia, ha insegnato in molte università europee, asiatiche e
americane. È uno dei principali esperti di studi interculturali.
Tra le sue numerose opere segnaliamo:
Il dialogo intrarreligioso,
Cittadella, Assisi 1988
Trinità ed esperienza religiosa dell’uomo, Cittadella, Assisi 1989
La torre di Babele, ECP, S. Domenico di Fiesole (FI) 1990
La sfida di scoprirsi monaco, Cittadella, Assisi 1991
Ecosofia: la nuova saggezza, Cittadella, Assisi 1993
Saggezza stile di vita, ECP, S. Domenico di Fiesole (FI) 1993
La pienezza dell’uomo. Una cristofania, Jaca Book, Milano 1999
I Veda Mantramañjar?. Milano, Rizzoli 2001
L’incontro indispensabile: dialogo delle religioni, Jaca Book, Milano 2001
Pace e interculturalità Jaca Book, Milano 2002
Pace e disarmo culturale, Rizzoli 2003
Interessanti anche gli atti del
seminario animato da Panikkar su Pace e disarmo culturale, L’altrapagina,
Città di Castello (PG) 1987 (con interventi
tra gli altri di Ernesto Balducci, Fabrizio Battistelli, Luigi Cortesi,
Antonino Drago, Achille Rossi).