La psicologia transpersonale (Riccardo Venturini)

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La psicologia transpersonale (Riccardo Venturini)


La psicologia transpersonale si è affermata negli ultimi decenni nel panorama della psicologia come un campo indipendente di studi e applicazioni, detto della "quarta forza", poiché intende includere ed espandere le "forze" della psicoanalisi, del behaviorismo e della psicologia umanistica. Essa è — secondo una definizione data dall’Institute of Transpersonal Psychology — "un’area di ricerca, formazione e applicazione basata sulle esperienze di temporanea trascendenza della usuale identificazione con le nostre limitate individualità biologiche, storiche, culturali e personali e, ai più profondi livelli, di riconoscersi/essere "qualcosa" di una più vasta intelligenza e compassione che comprende l’intero universo". Il termine transpersonale si vuole far risalire a Jung, il quale ha usato la parola überpersönlich a proposito dell’inconscio sovrapersonale o collettivo. Maslow ha spiegato che il termine fu preferito a quelli di "transumanistico" o "transumano", per indicare qualcosa oltre l’individuo, guardando allo sviluppo della personalità individuale in qualcosa di più inclusivo e più grande di lui (ma, andrebbe sottolineato, non di collettivo). Centrale, in tale orientamento, è il concetto di auto-realizzazione. Secondo la psicologia umanistica, l’auto-realizzazione comprende l’armoniosa e non conflittuale soddisfazione di bisogni, unita all’espressione e attualizzazione delle proprie potenzialità; in altre parole, essa corrisponde al vissuto del compimento del proprio personale destino, dell’accettazione di sé e della soddisfazione di aver trovato un significato e una mèta per la propria esistenza. La psicologia transpersonale, rivolgendo il suo interesse alle esperienze in cui l’identità personale è estesa al di là dei confini individuali per comprendere aspetti più ampi dell’umanità, della vita e del cosmo (v. Walsh e Vaughan, 1993), afferma una diversa visione della coscienza e include nell’auto-realizzazione la soddisfazione di quei bisogni specificamente umani che, come sottolineava Fromm, riguardano il bisogno di senso, di orientamento, di devozione. Se il personale ordinario, nella sua limitazione, tende a essere costrittivo e separato, il transpersonale sottolinea la nostra fondamentale unità con la vita e con gli altri, tutti essendo parte di quella Realtà ultima di cui viviamo e per cui viviamo. Dal punto di vista transpersonale, dice ancora la definizione dell’ITP, "la nostra ordinaria, "normale" individualità biologica, storica, culturale e personale è vista sì come qualcosa di importante, ma come una manifestazione o espressione in qualche modo parziale (e spesso patologicamente distorta) di questo più grande "qualcosa" che è la nostra più profonda origine e destinazione. […] Poiché ordinariamente ci si identifica col personale, che tende a separarci, piuttosto che col transpersonale, che esperienzialmente ci conduce alla nostra fondamentale unità e identità con gli altri e con la vita tutta, la conoscenza intelligente del e/o il contatto col transpersonale può essere di grande valore per risolvere i problemi di un mondo diviso al suo interno".
    Sfaldatosi (anche se non del tutto crollato) il muro culturale del positivismo riduzionistico da sempre avverso alle concezioni olistiche ed emergenzialistiche, è divenuto oggi più agevole operare per la creazione di un ponte tra la psicologia scientifica e gli insegnamenti delle psicologie spirituali incorporate negli insegnamenti di grandi tradizioni sapienziali come il vedanta, il buddhismo e il cristianesimo.
    Riandare a queste dottrine di vita per trovare risposta alle domande riguardanti l’auto-realizzazione e i mezzi per attuarla da parte dell’uomo d’oggi è uno dei grandi compiti che la psicologia transpersonale si è assunto. Walsh e Vaughan sostengono addirittura che, quando gli storici si volgeranno indietro a guardare alla psicologia del XX sec. potranno concludere che alcuni dei più importanti passi avanti non sono consistiti in nuove scoperte, ma nel riconoscimento di principî e di tesi delle antiche tradizioni sapienziali.
    Perché la visione della realtà di una tradizione possa essere efficacemente comunicata-a e resa fruibile-da una diversa cultura o tradizione è necessaria l’opera di quelli che Jung ha chiamato mediatori gnostici, persone che avendo cioè incorporato una tradizione di saggezza possono comunicarla parlando della propria esperienza ma usando i concetti e la lingua delle persone con cui desiderano comunicare. La psicologia traspersonale ritengo possa oggi venire riconosciuta come una sorta di mediatore gnostico collettivo, capace di "offrire una strada con cui la saggezza eterna può fare nuovamente il suo ingresso per infondere e magari trasformare la cultura occidentale" (Walsh, 1992). D’altro lato, questo mediatore gnostico sembra poter offrire nuovi modi di considerare la psicologia dell’esperienza religiosa e potersi configurare come un nuovo "veicolo" che l’umanesimo critico-scientifico è in grado di offrire alle tradizioni spirituali per confrontarsi con la riemersione del sacro nella nostra età post-secolarizzata.
    Se in questi ultimi anni è stata, come dicevo, in gran parte superata l’ostilità della psicologia riduzionistica, lo scenario appare attualmente modificato in un’altra, quasi opposta direzione, ponendo alla psicologia transpersonale nuovi e non meno impegnativi compiti. Ciò richiede di innalzare ulteriormente il livello di consapevolezza e di controllo poiché lo spirito di falsificazione e di impostura che caratterizza gran parte della cultura del nostro tempo penetra anche nei settori in cui sono in gioco la salute, la crescita interiore, il ben-essere. Il dilagare di rozzezza e cinismo ci fa assistere alla mercificazione e alla svendita di concetti come quelli di "crescita umana", "auto-realizzazione", "qui ed ora", etc. fino a farli diventare logori e abusati.
    Un compito importante della psicologia transpersonale diviene dunque quello di una visione comparativa e critica, non certo nei termini della psicologia riduzionistica ma all’interno della stessa prospettiva spirituale, per operare una verifica di congruenza degli itinerari proposti con la cultura, il linguaggio, i simboli, la visione del mondo e i costrutti personali dei soggetti (prevenendo quindi il raccogliere o produrre disadattamenti, mode, fauti esotismi) e una verifica di legittimità ovvero di genuinità delle dottrine di vita, al fine di accertare quanto esse risultino autenticate dalla vita dei fondatori, dalla certezza della trasmissione e dall’esempio vivente dei praticanti (identificando, al contrario, improvvisazioni, raggiri, produzione di "merce spirituale"). Un ulteriore ambito di valutazione delle tecnologie del sé è rappresentato poi dall’esame della loro efficacia, cioè (contro i venditori di illusioni) della effettiva capacità delle pedagogie spirituali di soddisfare i bisogni specifici dei praticanti, attualizzandone le possibilità auto-realizzative senza generare conflittualità, dipendenze, disarmonie. Se un itinerario, che si propone come itinerario di autosviluppo, dovesse non consentire una armoniosa soddisfazione del complesso dei bisogni (non escludendo certo la possibilità di sublimazione e di "disimpegno"!), ma al contrario produrre un aumento di conflittualità motivazionale, venire in contrasto col processo di crescita individuale, creare situazioni di dominio dei "maestri" e di dipendenza degli allievi (se non addirittura rapporti sado-masochistici), fallirebbe certo nel suo obiettivo di una radicale trasformazione che porti l’individuo a rompere la corteccia del suo egocentrismo. Un intervento critico e vigilante da parte della psicologia transpersonale, che più d’ogni altra è impegnata sul tema dello sviluppo auto-realizzativo, sembra quindi porsi come un compito da non disattendere.
    Vorrei sottolineare, infine, per tutti coloro che sono particolarmente interessati agli aspetti della formazione, che la realizzazione di un progetto formativo transpersonale richiede un impegno tutto particolare, poiché sono sono necessari, come dice Walsh, "un lavoro interiore e un lavoro contemplativo per poter realizzare, incorporare e diventare la visione transpersonale, accessibile mediante la contemplazione. Ciò significa levigare intelletto, emozioni, motivazione in modo da agire nel mondo con compassione e altruismo" (Walsh, 1993b, p. 19). Queste parole esprimono molto efficacemente le peculiarità del progetto transpersonale, che per attuarsi richiede un lavoro che sia insieme di formazione e di testimonianza, un compito non diverso da quello che le discipline spirituali hanno indicato ai praticanti, in maniera tale che il cambiamento e il perfezionamento personale comportino il "riversare nell’amore i frutti della contemplazione" (Meister Eckhart). Le parole "divenire visione" mi ricordano che di S. Francesco si disse che era divenuto preghiera; come "agire nel mondo con compassione e altruismo", rievocano le qualità del maestro del Dharma, che secondo il Sutra del Loto, "dimora nella pazienza, è gentile e affabile, mai violento né interiormente turbato, nei confronti dei fenomeni ne osserva la vera entità senza discriminazioni, nei confronti di tutti gli esseri viventi pensa a loro con grande compassione".
    Gli itinerari a cui la psicologia transpersonale si riferisce sono itinerari di consapevolezza e di fede, una fede che, secondo le parole di W. James, ci chiede di "portare in campo l’infinito", una fede non legata a credenze e opinioni, ma che — secondo le parole del Buddha — consente di affermare: "colui che tende verso l’Indicibile e ne ha pervasa la mente, e non ha il pensiero legato agli attaccamenti, questo vien detto "al di là del torrente"" (Dhp., 218). Chi percorre un sentiero di trasformazione spirituale desidera giungere all’altra riva e forse al di là anche dell’altra riva. La nostra aspirazione è quella di dare un qualche contributo perché ci siano nel mondo sentieri sempre meno tortuosi sui quali consapevolezza e compassione possano più speditamente procedere.

 

Da: http://www.in-psicoterapia.com/ventur.htm

 

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