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Ansia e panico secondo l'approccio
analitico-reichiano (Genovino Ferri)
ANSIA E PANICO SECONDO L’APPROCCIO ANALITICO-REICHIANO
di Genovino Ferri (Presidente della Scuola Italiana di Analisi Reichiana)
In un’ottica analitica reichiana la paura è un indicatore dell’intelligenza del
vivente, per molti versi accostabile alla sensibilità dolorifica.
In una visione filogenetico-evoluzionistica la sua distinzione dall’ansia non è
così netta: nella scala della storia del vivente precede l’ansia intesa, negli
organismi cognitivamente più complessi, come capacità di prevedere il pericolo
nel tempo e nello spazio.
La paura quando “oltre soglia” è un potente e bruttissimo nemico della libertà,
da non sottovalutare, essa va rispettata ma circondata con tutti i mezzi a
disposizione che abbiamo.
Allora sentirla e leggerla “mettere gli occhi” su di essa, ovvero conoscerla e
saperne di più.
In una lettura descrittiva e orizzontale i momenti costitutivi del fenomeno
globale paura possono essere così rappresentati:
• se qualcosa di minaccioso piomba improvvisamente su di un soggetto, che vive
la sua esperienza di essere nel mondo secondo la modalità dell’accoglimento e
della protezione, la paura è spavento e ciò che fa spavento è di solito qualcosa
di noto e familiare;
• se invece ciò che è minaccioso ha il carattere dell’estraneità più completa la
paura è orrore;
• quando ciò che è minaccioso si presenta come orribile e nello stesso tempo ha
il carattere della subitaneità, la paura è terrore;
• quando il terrore si intensifica al massimo si verifica il panico,
caratterizzato dall’impulso cieco alla fuga precipitosa dal mondo in cui si è.
Ma conoscerne e saperne di paura è anche verticalità e allora “mettere gli occhi
nelle parole” e leggerle nella loro profondità. Le parole sono scrigni di
intelligenza filogenetica accostabili ai geni, portano la freccia del tempo
stratificato neghentropicamente “dall’espressione corporea all’espressione
verbale”.
Nei diversi lessemi questo sentimento viene espresso in tre modi diversi: dolore
e preoccupazione o correre-saltare-agitarsi-tremare o sperimentare e rischiare.
• In termini di radici originarie abbiamo il pavére (essere spaventati), un
verbo che indica uno stato di abbattimento causato da uno shock, oppure il pavor
che è un sostantivo deverbativo con suffisso in -or, tipico del genere animato
che designa la forza che agisce, non uno stato. Il senso principale di pavor è
“sono colpito” che indica anche una minacciosità futura.
• Altro vocabolo per indicare paura è timor, il verbo originario è tĭměo, che
significa condensare, pigiare, coagularsi, bloccarsi, un movimento che esprime
un irrigidimento, un pietrificarsi, una paralisi.
• Esiste il terror, derivato da terrēo, tremare, vibrare, far tremare.
• Poi c’è orrore, da horrēre, divenire irto, drizzarsi, irrigidirsi, sensazione
fisica che fa accapponare la pelle e drizzare i capelli.
• Ancora c’è il verbo greco fòbos, spaventare, far fuggire.
• E ancora ansia, anxia femminile di anxius, affannoso ed inquieto che procede
da timore e da desiderio.
• Angoscia angustia da àngere, stringere, soffocare. Una sensazione dolorosa di
stringimento all’epigastrio accompagnata da gran difficoltà di respiro e da
profonda tristezza.
• Panico panikòs, da Pan Pane, divinità boschereccia dalle corna e dai piedi di
capro che con il suono della sua zampogna incuteva improvviso e pazzo spavento.
“Quanto linguaggio del corpo!”
Per rinforzare questa esclamazione è opportuna una descrizione della paura di
Charles Darwin (1837):
«la paura è spesso preceduta da stupore [...]. gli occhi e la bocca si
spalancano, le sopracciglia si alzano [...]. Il cuore batte a colpi precipitosi
e violenti [...] la pelle impallidisce come all’inizio di una sincope [...]. Nei
casi di intenso spavento si produce una traspirazione sorprendente; questo
fenomeno è tanto più rilevante perchè in quel momento la superficie cutanea è
fredda, da cui il termine popolare di “sudori freddi”, [...] inoltre i peli si
drizzano e dei brividi percorrono i muscoli superficiali. Nello stesso tempo in
cui la circolazione si altera, la respirazione precipita. Le ghiandole salivari
funzionano in modo imperfetto: la bocca diventa asciutta e si apre e chiude
spesso. Ho anche notato che in situazioni di leggera paura vi è la tendenza a
sbadigliare. Uno dei sintomi più caratteristici è il tremito che scuote tutti i
muscoli del corpo e che sovente appare dapprima sulle labbra. Questo tremore e
la secchezza della bocca alterano la voce che diventa rauca e indistinta e può
anche sparire del tutto».
In una lettura clinica ed orizzontale la paura è poco considerata, sarebbe
infatti solo “una risposta ad una minaccia o pericolo esterno coscientemente
riconosciuti ”.
«Davanti a cosa abbiamo paura?» si interroga Martin Heidegger (1919).
Ciò che fa paura è sempre qualcosa che si incontra nel mondo e possiede il
carattere della minacciosità.
Conoscerla clinicamente è quindi conoscerla nelle sue declinazioni interne.
Il DSM IV-TR, un manuale di criteri diagnostici “molto molto” opinabile, ma
certamente un riferimento conosciuto da tutti gli operatori, ha il merito di
aver introdotto la possibilità di una piattaforma comune nel mondo “psi” da cui
muoversi, confrontarsi ed andare oltre.
I disturbi d’ansia in alcune essenzialità.
Su ansia e panico, come analisti reichiani, notiamo che nel DSM IV-TR si
schiaccia il tempo interno, non si distingue fra ansia e angoscia, c’è un abuso
del vocabolo panico in quanto estensibile anche ad una crisi d’ansia e
soprattutto la “nevrosi” non è più contemplata.
Un attacco di panico secondo il DSM IV-TR è un periodo di paura o disagio
intensi, durante il quale quattro o più dei seguenti sintomi si sono sviluppati
improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:
palpitazione, cardiopalma, o tachicardia
sudorazione
tremori fini o a grandi scosse
dispnea o sensazione di soffocamento
sensazione di asfissia
dolore o fastidio al petto
nausea o disturbi addominali
sensazione di sbandamento, instabilità, di testa leggera o di svenimento
derealizzazione, (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere
distaccati da se stessi)
paura di perdere il controllo o di impazzire
paura di morire
parestesie (sensazione di torpore o di formicolio)
brividi o vampate di calore
Se l’attacco di panico è ricorrente si configura il disturbo di panico con o
senza agorafobia.
Agorafobia: ansia relativa al trovarsi in luoghi o situazioni dai quali sarebbe
difficile (o imbarazzante) allontanarsi o nei quali potrebbe non essere
disponibile aiuto nel caso di attacco di panico inaspettato. I timori
agorafobici riguardano tipicamente situazioni caratteristiche che includono
essere fuori casa da soli, essere in mezzo alla folla o in coda, essere su un
ponte e il viaggiare in autobus, treno o automobile. Le situazioni vengono
evitate o viene richiesta la presenza di un compagno.
Fobia specifica: una paura marcata e persistente, eccessiva ed irragionevole,
provocata dalla presenza o dall’attesa di un oggetto o situazione specifici.
L’esposizione allo stimolo fobico crea una risposta ansiosa immediata (può
prendere forma di attacco di panico situazionale) la persona riconosce che la
paura è eccessiva e irragionevole e che interferisce in modo significativo con
il funzionamento lavorativo, con le altre attività e relazioni sociali.
Si distinguono fobie specifiche di tipo animale se la paura viene causata da
animali ed oggetti, di tipo naturale se causate da temporali, altezze, acqua,
neve, di tipo sangue-infezioni-ferite se la paura viene provocata dalla vista
del sangue o dal ricevere un iniezione o da altre procedure mediche invasive e
di tipo situazionale se la paura viene provocata da ponti, tunnel, ascensori,
guidare, volare o luoghi chiusi.
Fobia sociale: una paura marcata e persistente di situazioni sociali o
prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o a
possibile giudizio degli altri, l’individuo teme di agire in modo umiliante o
imbarazzante. L’individuo riconosce che la paura è eccessiva e irragionevole e
che interferisce in modo significativo con il funzionamento lavorativo e le
altre attività e relazioni sociali.
Qualche dato particolare epidemiologico-evoluzionistico.
Ci aiuta ad inforcare gli occhiali della freccia del tempo neghentropica
“filogenetica”.
Nella popolazione generale gli attacchi di panico si verificano fino al 30-35%,
anche se solo nel 5-7% dei casi la frequenza e l’intensità dell’attacco consente
di configurare la presenza del disturbo da attacchi di panico. Nella stragrande
maggioranza dei casi, almeno nel 90% il primo attacco accade fuori per strada,
sui mezzi di trasporto o in locali pubblici. Meno frequente a scuola o a lavoro.
Molte persone cercano aiuto facendosi accompagnare al pronto soccorso o
facendosi visitare da un medico entro 24 ore.
Lievemente superiore nelle donne rispetto agli uomini il Disturbo da Attacco di
Panico presenta una comorbiltà più frequente con l’alcolismo. È quasi certo che
tutti i casi di sindrome alcolica che guariscono con antidepressivi sono
originariamente attacchi di panico.
Anche le fobie sociali sono in comorbilità con l’alcolismo nel 20−30% dei casi.
Le fobie sono i disturbi con la più alta prevalenza nella popolazione generale e
le fobie specifiche rappresentano la sindrome psichiatrica più frequente nelle
donne e la seconda negli uomini.
Dal punto di vista della genetica della popolazione, gli esseri umani attuali
sono da considerarsi dei cacciatori-raccoglitori dell’Età della Pietra. La
nostra costituzione genetica è praticamente la stessa dei nostri antenati del
tardo Paleolitico di 30.000 anni fa, ma il nostro ambiente di vita è diverso da
allora.
Il ritardo del genoma umano nell’adattarsi alle nuove condizioni ambientali è
comprensibile considerando che tali novità ambientali sono recentissime: tutte
successive alla nascita dell’agricoltura, circa 10.000 anni fa e moltissime
conseguenti alla rivoluzione industriale degli ultimi 200 anni. Queste
differenze spiegano l’apparente irrazionalità di alcune reazioni fobiche e la
prevalenza di certe fobie su altre.
Nel 1897 Stanley Hall (1881) scriveva «in 1701 persone ho potuto descrivere 6456
differenti paure [...] sembra che i più temuti siano i temporali, quindi i
rettili e subito dopo il buio e gli sconosciuti, mentre il fuoco, la morte, gli
animali domestici, la malattia, gli animali selvatici, l’acqua, i fantasmi, gli
insetti, i topi, i ladri, le bufere e la solitudine riflettono livelli
decrescenti di paura [...]»
I moderni studi epidemiologici confermano questo classico resoconto. In un
campione di 8098 persone di età compresa fra i 15 e 54 anni è emerso che il
49,5% aveva o aveva avuto nel corso della vita almeno una paura eccessiva ed
irrazionale. Gli stimoli fobici più comuni sono risultati essere: gli animali
(22,5%) da ascrivere in larga misura ai serpenti, l’altezza il (20,4%) ed il
sangue (13,9%). È evidente che i meccanismi che controllano la paura sono
“tarati” per rispondere ai pericoli che erano frequenti e letali nell’ambiente
in cui l’uomo ha vissuto gran parte della sua storia biologica. Infatti,
nonostante nell’ambiente attuale di vita gli incidenti mortali causati dai morsi
di un serpente siano incredibilmente più rari di quelli causati dalle
automobili, la fobia nei confronti dei rettili è molto diffusa, mentre quella
per le automobili è praticamente inesistente.
Altre fobie come quella dei temporali, dei ragni, dell’altezza, dei luoghi
chiusi e del sangue sono molto diffuse, ma non quelle per le armi da fuoco o per
i pesticidi. In modo simile i bambini hanno paura del buio e dei rumori
improvvisi, ma non delle prese elettriche e dei detersivi. Nonostante una
massiccia propaganda è difficile inculcare la paura per il fumo di sigaretta o
per la dieta ricca di grassi, e la maggior parte delle persone è più intimorita
da una banale sutura chirurgica che da una radiografia pur sapendo dei rischi
connessi all’esposizione a radiazioni ionizzanti.
Da questi dati si evidenzia che i meccanismi che controllano la paura ignorano
situazioni evolutivamente nuove.
Da considerare poi che i pericoli ambientali che mettono a repentaglio la
sopravvivenza e quelli che compromettono i rapporti affettivi rappresentano due
minacce ben distinte in termini di adattamento biologico.
Infatti la funzione della paura fobica è l’evitamento o la fuga da situazioni
che minacciano l’integrità fisica o la sopravvivenza, mentre la funzione
adattiva della paura da separazione è quella di preservare il legame con la
figura di attaccamento e di favorire la protezione da parte di conspecifici con
i quali siano già stati stabiliti legami affettivi.
La distinzione fra paura di separazione e paura fobica è comunemente accettata
nella clinica e le due condizioni sono trattate con classi farmacologiche
distinte. Donald Klein (1960) nei primi anni 60 dimostrò come l’imipramina
(Tofranil), fosse efficace nella terapia dell’agorafobia e degli attacchi di
panico e al contrario le benzodiazepine fossero efficaci nel ridurre la reazione
di paura ad oggetti fobici.
“Quanto è vera questa distinzione anche in chiave analitica reichiana!”
Ci conduce dritti alla Paura della Castrazione, intesa come minaccia vitale per
il Sé ed alla Paura della Separazione, intesa come possibilità di perdita
dell’oggetto per il Sé.
Con esse entriamo nella lettura dell’Albero delle Paure (Figura 1) a partire dal
suo tronco “la freccia del tempo neghentropica ed ontogenetica”.
Il quando, il come e il dove ontogenetici
Figura 1.
A) Illustrazione dell’Albero delle Paure nella sua parte sinistra.
Il carattere è un insieme di tratti ed altro, una combinazione peculiare ed
unica nella sua diversità per i suoi contenuti e per il suo contenente e in
Analisi Reichiana le costellazioni prototipiche di tratto si estendono fino alla
fase intrauterina, perchè una prospettiva in termini di freccia del tempo
neghentropica non può che essere quella dell’intera esistenza dell’uomo, dal
concepimento in poi.
Le fasi evolutive individuate da Freud (1899) sono state approfondite ed estese
considerando anche la vita intrauterina prenatale. Possiamo identificare così:
la fase autogena, che trova i suoi confini nella fecondazione e
nell’annidamento, la fase trofo-ombelicale, che si colloca tra l’annidamento ed
il parto-nascita, la fase oro-labiale, che si colloca tra il parto e lo
svezzamento, la fase muscolare, che dallo svezzamento arriva fino al periodo
edipico, la prima fase genito oculare (GO1), dal periodo edipico sino alla
pubertà, la seconda fase genito oculare (GO2), dalla pubertà alla maturità.
Distinguiamo sei tratti caratterologici fondamentali (intrauterino, orale,
coatto, fallico, isterico e genitale) e numerose derivazioni “sottotipiche” in
funzione del segno inciso, della fase evolutiva in cui è avvenuto, del come si
sono realizzati i passaggi di fase, della specifica relazione oggettuale con
l’altro da Sé in quel tempo di fase, degli imprintings fissati precedentemente.
Gli imprintings ed i segni incisi si fissano in un luogo privilegiato che è “il
corpo” ed i livelli corporei reichiani sono i luoghi del corpo che portano
queste fissazioni. Essi rappresentano il primo ricevente della relazione
oggettuale con l’altro da Sé, le aree di risonanza dei vissuti emozionali del lì
ed allora, le interfacce periferiche delle fasi evolutive attraversate, puntuali
nella loro dominanza in successione nel tempo. In una lettura complessa ci
appaiono e ci raccontano tridimensionalmente la nostra storia stratificata ed
“incisa” nel nostro corpo in una scansione non solo psichica dei fenomeni ma
anche fisica nella loro espressività.
Wilhelm Reich (1933) distinse sette livelli corporei nella persona e li definì
come «l’insieme di quegli organi e di quei gruppi di muscoli che sono in
contatto funzionale tra loro, che sono capaci di indursi reciprocamente a
compiere un moto espressivo-emozionale». Distinse così elementarmente il 1°
livello, segmento oculare: fronte, occhi con le ghiandole lacrimali, zigomi,
naso, orecchie; il 2° livello, segmento orale: labbra, mento, gola, nuca
superiore occipitale; il 3° livello, segmento cervicale: muscoli bassi del
collo, sternocleidomastoideo; il 4° livello, segmento toracico: muscoli
intercostali, grandi pettorali, braccia, mani; il 5° livello, segmento
diaframmatico: diaframma, epigastrio, parte inferiore dello sterno, stomaco,
plesso solare, pancreas, fegato; il 6° livello, segmento addominale in cui è la
prima grande bocca (area ombelicale), ovvero la zona di risonanza della seconda
delle due fasi della vita intrauterina; il 7° livello, segmento pelvico: bacino,
gambe.
Oggi, mettendoli in successione nel loro divenire sulla freccia del tempo
neghentropico, proponiamo una sequenza che parte dal 6°, va al 2°, al 4°, al 3°,
al 5°, al 7° e al 1°. “Livello corporeo”, quindi, con dominanza funzionale,
puntuale e corrispondente alla fase evolutiva prevalente della storia della
persona.
Inserendo la freccia del tempo neghentropico, la storia e il concetto di livello
corporeo quale espressione periferica di fase, possiamo stabilire una
correlazione chiara tra fase evolutiva, relazione oggettuale, livello corporeo,
tratto caratterologico e possibili disturbi psicopatologici.
Nel nostro codice i sintomi, le sindromi, gli stati di crisi hanno una grande
rilevanza perchè si collocano in un tempo analitico ed esprimono un senso
storico, oltre che rappresentare l’espressione di un assetto di carattere
incapace di sostenibilità energetico-relazionale nel qui ed ora. È una lettura
che fa pensare ad un’altra affermazione di W.Reich (1933) «la differenza fra le
nevrosi del carattere e le nevrosi sintomatiche sta nel fatto che in
quest’ultime il carattere nevrotico produce anche sintomi».
B) Illustrazione dell’Albero delle Paure nella sua parte destra.
In Analisi Reichiana, coerentemente con quanto affermato, si ritiene che il
tratto fobico abbia una valenza intrauterina e in combinazione-coprevalenza con
altri tratti di fasi evolutive successive ed extrauterine rappresenti il terreno
per possibili espressività “soprasoglia”, chiare nella peculiarità
sintomatologico-sindromica.
E allora l’Arousal della finestra GO2 è una vigilanza ancora non patologica, una
“reazione di risveglio” che ancora intercetta neghentropia.
L’Ansia in GO1 è un fenomeno cinetico e motorio, qualitativo ed orizzontale, di
un campo energetico agitato e significativamente in superficie, che esprime una
rilevanza dell’atteggiamento cinetico-motorio rispetto al viscerale di quella
persona.
Le Fobie di animali e di oggetti sono spalmate fra le finestre GO1 e l’alta fase
muscolare, mentre la fobia sociale è espressa dalla finestra della bassa fase
muscolare in cui il salto dalla relazione del 2 a quelle del 3-4-5 è stato
storicamente difficoltoso. Le fobie situazionali sono le agorafobie 1ª e 2ª
distinte per maggiore o minore gravità se su “spazi” post-partum o
post-svezzamento e la claustrofobia (la paura del rimaner chiuso, dell’essere
circondato e rimanere dentro) che certamente precede sulla freccia del tempo le
agorafobie ed il cui frattale è da ricondurre al tempo intrauterino.
L’Angoscia nella sua espressività prettamente premuscolare è un movimento
d’energia da aumento o perdita, fermato da contrazione mal riuscita che esita in
campo retratto e direzione centripeta. Nell’angoscia è interessata la
visceralità, la zona della prima grande separazione, della fase
trofo-ombelicale, dell’Edipo, dei transfert profondi.
Il Panico, che distinguiamo in primario e secondario-reattivo, comunque da
separazione e/o da castrazione, è collocato nell’intrauterino profondo in cui è
presente una dominanza rettiliana anche se solo nell’acuzie e per breve
intervallo.
Il trattamento Analitico-Terapeutico Reichiano.
Noi tutti abbiamo tre schemi relazionali possibili di fronte alla paura: il
primo è la paralisi-pietrificazone, l’altro è l’evitamento-fuga, la terza
possibilità è la posizione di attacco-coraggio.
I lessemi del coraggio possono significare forte, robusto, esser pieno, muoversi
con forza e vigore, ma c’è anche un’etimologia che si radica nel conoscere e nel
comprendere: “il mettere gli occhi”.
E ancora un’altra in cui c’è l’osare, il dirigersi verso e per ultimo un lessema
che si radica nel cuore: c’è tanto materiale per una proposta terapeutica.
Noi abbiamo 5 strumenti per provare a sconfiggere la paura.
Il primo è proprio la Posizione di Attacco-Coraggio, è un come di fronte alla
paura atto ad aumentare il nostro campo di energia, a modificare la nostra
posizione nella relazione con l’oggetto paura o con gli oggetti che ci fanno
paura (realizzabile con l’attivazione dei livelli corporei capaci di
affrontarla: occhi collo e torace).
Il secondo è fare Analisi del Carattere: l’analista risveglia l’interesse del
paziente verso i tratti del suo carattere, per essere in grado di esplorarne
l’origine ed analizzarne il significato e mostra al paziente il legame tra i
tratti del suo carattere e i sintomi. In pratica all’inizio questo modo di
procedere non è diverso dall’analisi di un sintomo.
Ciò che aggiunge l’Analisi del Carattere è l’isolamento del tratto caratteriale
tramite il confronto continuo del paziente con esso, finché egli non giunge a
vederlo obiettivamente e a trasformarlo in un sintomo egodistonico dal quale
desidera liberarsi.
Per fare un esempio: quando arriva una persona con una dimensione di paura, che
possiamo chiamare nucleo fobico o tratto fobico, possiamo disegnarle una figura,
in cui “a” (Figura 2) rappresenta la nostra personalità globale e “b” (Figura 2)
il nucleo fobico normalmente presente in una percentuale del 5-10% della nostra
personalità. Se capita un evento di vita significativo, uno stress particolare o
se sono capitati nella storia delle relazioni oggettuali di quella persona,
questo nucleo o tratto si amplifica e va ad essere dominante (Figura 3): se
permane per tempi significativi influenza tutto il suo stile ed informa il modo
di relazionarsi. In realtà quel piccolo nucleo è diventato “tratto” e guadagna
tutta una serie di posizioni quantitative all’interno della personalità
diventando tratto dominante con “uno stile fobico evitante”.
Figura 2 Figura 3
Che cos’è un nucleo fobico? In chiave sistemico-neghentropica è un buco nero
entropico, richiedente e assorbente, che attrae i livelli superiori stratificati
fagocitandoli in una forte contrazione, in cui si ferma il tempo interno ed il
movimento vitale.
Il terzo mezzo terapeutico è la Vegetoterapia Carattero-Analitica e in special
modo gli acting affettivi, assertivi e affermativi. La Vegetoterapia
Carattero-Analitica è una metodologia corporea iniziata da W.Reich, approfondita
e sistematizzata da Ola Raknes e da Federico Navarro (1974). Induce fenomeni
neurovegetativi ed emozioni che costituiscono messaggi-espressioni propri del
linguaggio del corpo, assolutamente necessari per una lettura degli aspetti
personologici.
La verbalizzazione delle sensazioni, delle emozioni e delle associazioni libere
prodotte, il coglierne le dinamiche essenziali sistemiche e relazionali
rappresentano il momento successivo della metodologia. Il linguaggio del corpo è
il messaggio più significativo al quale si fa riferimento in Analisi Reichiana,
ma è chiaro che esso si accompagna a tutti gli altri dati del “come” espressivo
del paziente nel setting: dai sogni ai lapsus, dai simboli alle metafore, dalla
vita fantasmatica alle fantasie liberatorie.
Nella prassi la funzione della Vegetoterapia Carattero-Analitica è quella di
indagare il corpo nei suoi significanti psichici ed energetici tramite una serie
di esercizi denominati “acting” agiti sui 7 livelli.
Essi sono progressivi e specifici e ripercorrono l’esperienza dello sviluppo
psicoaffettivo e della maturazione emozionale del paziente, riproponendo
movimenti ontogenetici di fasi evolutive.
Nello specifico del nostro tema, un conto è pensare di dire un “no” agli oggetti
della paura, altra cosa è esprimerlo verbalmente. Un conto è pensare di mostrare
i denti agli oggetti della paura, altra cosa è esprimerlo etologicamente,
scoprendoli realmente.
“È l’Acting che modifica la mia Posizione Relazionale con l’Oggetto, mi dota di
un nuovo segno inciso e aumenta il mio ventaglio di schemi relazionali
possibili, oltre a cambiare il mio stato di energie”. La Vegetoterapia ci mette
in contatto con delle risorse incredibili perchè è un passare all’atto, è
permettere un’azione (“ovviamente sto parlando di Vegetoterapia di stadio”)
mirata allo specifico ramo dell’albero della paura e al tipo di paura se da
castrazione o da separazione.
Tutta questa progettualità va inserita all’interno di un’Analisi del Carattere
della Relazione: il quarto mezzo. L’Analisi del Carattere della Relazione
definisce il Contenente Relazionale, un assetto altamente specifico della
relazione analitico-terapeutica e considera l’architettura della relazione il
referente privilegiato. Architettura “che contiene” qualsiasi atto terapeutico,
dall’ascolto alla elaborazione transferale di un tratto, dall’interpretazione di
un sogno, di un gesto, di una fantasia liberatoria alla proposta di un acting di
Vegetoterapia Carattero-Analitica, ma anche la semplice prescrizione di uno
psicofarmaco. Il contenente relazionale lo definiamo come l’appropriata
“Posizione” e l’appropriato “Come” dell’analista-terapeuta, necessari per lo
stabilirsi di un controtransfert di tratto-livello corporeo, funzionale al
disturbo e/o allo specifico assetto di tratto-livello corporeo dell’analizzato.
(“Esiste oltre ad un linguaggio verbale ed un linguaggio corporeo un
linguaggio-meta: il linguaggio dei tratti!”). Collocarsi sulla posizione
controtrotrasferale di tratto caratteriale e di livello corporeo corrispondente,
utile alla paura di quel ramo, alla paura da separazione o alla paura di
castrazione di quel ramo, è portare il torace, il collo, gli occhi e tutto
l’armamentario che l’analista ha di fronte alla paura, nella relazione
analitico-terapeutica e “controtrasferirli al paziente e alla relazione stessa”.
Quinto mezzo: gli psicofarmaci, anche questi mirati alla dimensione paura da
separazione o paura di castrazione, perchè si utilizzano gli antidepressivi per
la prima e gli ansiolitici per la seconda. Ci sono delle zone in cui non abbiamo
possibilità di arrivare con una posizione analitica, nonostante una posizione di
attacco-coraggio, un’Analisi del Carattere, la Vegetoterapia Carattero-Analitica
e una posizione controtrasferale corretta.
Allora per “un progetto libertà” e per limitare la sofferenza clinica, ci
assumiamo la responsabilità di utilizzare anche gli psicofarmaci, sostanze
capaci di andare a silenziare quelle zone troppo rumorose rettilo-limbiche che
impediscono la dominanza di un Io più adulto capace di orientarsi verso la
libertà.
Sappiamo che essi possono far risalire una persona meccanicamente, senza
attraversamento emozionale e presenza egoica, sul torace-collo e occhi. Ma anche
questo è spostare la dominanza di una persona su un altro tratto di carattere
distante dal tratto fobico, su fasi e livelli corporei più evoluti. Psicofarmaci
quindi come alleati provvisori in un progetto funzionale, che prevede la
condivisione della persona in chiara alleanza con il progetto e la relazione
terapeutica quale fondamento centrale di qualsiasi atto di cura.
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