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Intervista ad Alexander Lowen. Il punto di
vista di un saggio ultranovantenne (Alessandra Callegari)
Questo è il testo integrale di una mia intervista ad Alexander Lowen, che ho
incontrato a casa sua, a New Canaan nel Connecticut - circa un’ora di treno da
New York - il 31 luglio 2002. Una parte dell’intervista è stata pubblicata sul
settimanaleSoprattutto il 6 settembre 2002; un’altra parte sul mensile Lifegate
del dicembre 2003.
Alexander Lowen: il ‘padre’ della bioenergetica parla dell’America, del
terrorismo, dell’Occidente e di cosa bisogna fare per ‘cambiare’ davvero
di Alessandra Callegari
Ha 92 anni - li compirà il prossimo 23 dicembre - ma ne dimostra tranquillamente
una ventina di meno Alexander Lowen, padre dell’analisi bioenergetica, uno dei
più grandi psicoterapeuti viventi, allievo di quel Wilhelm Reich che fin dagli
anni Trenta ha rivoluzionato la psicanalisi e per primo ha dato importanza al
linguaggio del corpo oltre a quello verbale. Lowen mi riceve in modo molto
informale, accogliendomi in bermuda, camicia a maniche corte e sandaletti nel
giardino della sua villa a New Canaan, Connecticut, dove circolano gatti, anatre
e qualche gallina. Occhi blu come il cielo e straordinariamente penetranti, il
fisico asciutto e scattante di chi ha messo sempre in pratica le proprie teorie
sul rapporto tra psiche e corpo, sorriso di chi sa - e non lo ha soltanto
scritto - cos’è la vera gioia. In casa, biblioteche a perdita d’occhio.Ci
accomodiamo nel suo studio, dove riceve i pazienti (ne ha ancora): c’è un divano
letto, oltre a un paio di poltroncine, un cavalletto bioenergetico, uno
specchio.
Dottor Lowen, sono passati 44 anni dalla pubblicazione del suo primo libro,Il
linguaggio del corpo. Che cosa è cambiato, da allora? A cosa serve oggi la
bioenergetica.? O meglio, qual è il maggior problema con cui si trova a dover
fare i conti la gente oggi e per il quale può essere utile ricorrere alla
bioenergetica?
La bioenergetica serve oggi quanto allora. Quello che posso dire è che la gente,
in America e non solo, oggi – forse ancora più di prima - non è in contatto con
se stessa nel profondo, e quindi non è in grado di vedere davvero quello che le
succede intorno, nel proprio paese, negli altri, nell’universo. Una cosa simile
la si coglie per esempio per quanto concerne il problema dell’aids: la gente non
si prende cura di sé a livello dei propri comportamenti sessuali, e tanto meno
degli altri. E non si cura nemmeno delle possibili conseguenze distruttive. Per
questo penso che le cose andranno sempre peggio, soprattutto in certe parti del
mondo. Finché la gente non diventa più consapevole (nel caso dell’aids, per
esempio, finché non si assume la responsabilità di sapere dov’è, come sta, anche
sottoponendosi al test hiv), non c’è modo di cambiare davvero le cose. Del
resto, il vero problema è appunto che la gente non vuole ‘sapere’. Non se ne
cura.
Vien da chiedersi perché la gente è così autodistruttiva...
È perché la sua vita è vuota. Non c’è gioia in essa. Il problema sta in una
sessualità che è troppo ‘fare’ e troppo poco ‘sentire’. Proprio quello della
sessualità è uno dei campi in cui si esprime oggi maggiormente la differenza di
mentalità tra le varie culture e visioni del mondo, Per l’islam è un abominio
l’immoralità dimostrata dall’occidente (e gli americani ne sono l’esempio
principe) nei loro costumi. È una violazione non solo del Corano, ma della
stessa Bibbia. Basti pensare ai comandamenti, al “non desiderare la donna
d’altri”. Quando gli islamici vedono le donne occidentali vestite in un certo
modo, è normale che lo trovino immorale. Di fatto, manca negli uomini un vero
senso morale; non c’è né in sé, né verso gli altri. Per questo, penso che una
vera trasformazione è difficile, perché manca il senso della dignità, della
moralità, del rispetto. Quello che conta, è solo fare denaro. E questo vale per
tutto l’occidente. Lo si vede anche nei rapporti con l’ambiente. L’uomo sta
distruggendo il proprio habitat senza possibilità di ritorno: oceani, aria,
terra. Lo distrugge pezzo per pezzo, e non è una questione che si possa
risolvere con movimenti o associazioni, perché è qualcosa di molto più profondo,
ha a che fare con qualcosa di sbagliato negli uomini .
Che cosa?
È sbagliato il fatto che la mente controlli tutto, anche i sentimenti e le
emozioni. Con la mente, gli uomini pensano: “posso fare questo e quello”, ma non
ne hanno un vero feeling, non lo sentono. La gente non è sana. E anche quando fa
qualcosa per sé, per esempio attività fisica, ginnastica in palestra, sport
ecc., non lo fa per stare bene, ma solo o prevalentemente per essere più forte,
più bella. Per l’immagine. Insomma, non sente. Il sentire non ha a che fare con
l’intelligenza, né con la forza. Ecco perché la bioenergetica può insegnare a
diventare più vivi, più vitali E a sentirlo.
Il problema, dunque, si pone soprattutto in Occidente, e qualcuno comincia a
capirlo. Lanew age è una sorta di risposta a questo bisogno di cambiare?
Dobbiamo stare attenti con la new age, perché comprende anche cose pericolose.
Come il lasciarsi andare all’uso di droghe, ecc.. Quanto ai movimenti di
carattere più spirituale, e che hanno a che fare con la meditazione, non credo
siano davvero efficaci se non vanno al cuore del problema, che è quello di
lavorare sul corpo. Altrimenti è solo una questione di testa, di mente.
Continuano a masturbarsi il cervello, per così dire, sia pure in forme diverse.
In realtà, viviamo in una società dove tutto è troppo. C’è troppo rumore, troppo
movimento, troppo stimolo. La gente impazzisce per questo, non la ha possibilità
di fermarsi a sentire, e crede che la vita sia così, che non ci sia rimedio. New
York è un po’ il simbolo di tutto questo… per questo sono venuto via, qui nel
Connecticut.
A proposito di New York, è passato un anno dall’11 settembre. Cos’è cambiato
negli americani?
Bisogna intendersi sulla parola ‘cambiare’: se ci riferiamo a una vera
trasformazione, che coinvolge tutto l’essere umano, mente e corpo, direi che non
è cambiato granché.
Eppure è stato uno choc, un vero trauma…
Come avrebbero dovuto cambiare? Diventare più consapevoli? Prendersi davvero
cura di sé, o degli altri, o del mondo? Direi proprio di no. Per quanto
traumatico sia stato quell’evento - un’esperienza di orrore e terrore -, il vero
cambiamento richiede ben altro, un lavoro lungo, non una singola esperienza.
Certo, molti hanno perso persone care, la casa, il denaro. Si può dire che
alcuni hanno emozioni diverse, qualcuno è pieno di paura, o di rabbia, qualcuno
è depresso. Ma non si tratta di una profonda trasformazione psichica che induca
a nuovi comportamenti o stili di vita. Per cambiare davvero la gente deve avere
una profonda comprensione della propria vita - rendendosi conto che non è piena
né felice, che non sta bene - e deve lavorare su di sé, mettersi in gioco
veramente.
Che differenza c’è tra orrore e terrore?
Ne ho scritto molto tempo fa, fin dagli anni Settanta. Nonostante siano usati
come sinonimi, i due termini si riferiscono a esperienze diverse. Terrore
implica un’intensa paura, che può riferirsi anche a pericoli immaginari e
futuri. L’orrore implica un senso di choc di fronte a un evento raccapricciante.
Ma mentre il terrore è legato alla reazione emotiva della paura per un pericolo
diretto verso se stessi, nell’orrore tale pericolo è diretto verso altri. Nel
caso dell’11 settembre, c’è chi ha provato l’uno e chi l’altro, ma soprattutto
l’orrore. E l’orrore stordisce la mente: non è in grado di capire la logica o il
significato dell’evento, non trova un senso, è incredibile, non è possibile che
accada. All’epoca, trent’anni fa, sottolineavo come l’esperienza di orrore
vissuta da un bambino piccolo, una sorta di incubo, possa determinare una
scissione nella personalità e indurvi una qualità irreale, tipica del carattere
schizoide. E sottolineavo come questo tipo di esperienza sia più diffuso di
quanto non si pensi, tenuto conto che l’orrore, nell’infanzia, risiede già
nell’assenza di contatto umano tra i membri della famiglia. Ma questo ci
porterebbe lontano…
Torniamo a New York…
Sì. Vede, io sostengo che l’orrore - al di là di quell’evento tragico che è
stato l’11 settembre - è molto più quotidiano. Ed è questo che la gente non
capisce. L’orrore è direttamente proporzionale alla mancanza di sentimento umano
nelle relazioni interpersonali, ed è un aspetto ben più importante della
violenza dilagante cui in genere ci si riferisce. New York è emblematica. Io
sono di New York, vi sono nato e cresciuto. Ma ai miei tempi la città non aveva
il carattere impersonale che ha oggi. I grattacieli di cemento e di vetro
possiedono una qualità irreale e il ritmo frenetico, l’attività incessante, i
rumori, il traffico, la sporcizia sono un incubo, qualcosa da cui ci si dissocia
per non vedere continuamente che è reale, perché è troppo. E tutto l’orrore che
ci circonda entra nelle nostre case, con radio e tv, oggi anche internet. E non
lo vediamo nemmeno più come tale, perché se lo vedessimo impazziremmo. E ancor
più grave è la perdita di valori umani. Il valore che conta, a New York, è il
denaro. Per questo è un simbolo.
E le Torri…
Erano il simbolo del simbolo. Ricorda un altro esempio di torre crollata? È
nella Bibbia. Ed è incredibile quanto la gente non ci pensi. Perché Dio ha fatto
crollare la torre di Babele punendo gli uomini? Per la loro presunzione, il loro
orgoglio. Be’, gli uomini non sono cambiati. Vogliono essere come Dio. Ed ecco
che le loro torri crollano, questa volta per mano dei terroristi.
I terroristi come Dio?
In un certo senso sì: ognuno ha il proprio orgoglio… Il punto è che c’è una
fetta di mondo - per esempio, appunto, quello islamico - che pensa che gli
americani sono interessati solo al denaro e al sesso. E li odiano per questo. E
lo vogliono distruggere, nella misura in cui gli americani si ostinano a vendere
questo loro modo di vita, a diffonderlo con ogni mezzo, a imporlo al mondo. Gli
americani non lo capiscono. Non voglio dire ovviamente che questa sia una buona
ragione per far crollare i nostri grattacieli, ma è pur vero che la gente non
vuol vedere le cose sotto questo aspetto. E invece io ritengo che quello che è
successo si ripeterà, in forme forse diverse, ma sempre tragiche.
Che cosa si può fare, dunque?
Certo non continuare a portare la guerra ovunque - né in Afghanistan né in Irak.
Una politica militarista è destinata a condurre l’America verso altre
ripercussioni, verso altro odio e altra violenza. Bush, subito dopo l’11
settembre, è stato visto come il ‘padre della patria’, ma se si ostinerà a voler
fare il generale più che il presidente, non potrà che perdere consensi, a
livello interno e internazionale. E l’America con lui, purtroppo.
Ma gli americani capiscono questo odio?
Sì e no. Hanno difficoltà a capire mentalità profondamente diverse dalle loro. E
soprattutto, quello che manca è un profondo senso morale, verso di sé e verso
gli altri. Che non c’entra con l’orgoglio ferito, o con il nazionalismo. Intendo
il senso della dignità, del rispetto di sé e altrui. Il vero problema dell’uomo
è la sua tendenza all’autodistruzione, sia a livello personale sia a livello
planetario. E questo vale non solo per l’America, ovviamente, ma per tutto
l’Occidente.
Cosa pensa dei no global?
La questione morale non si risolve con i movimenti o le associazioni. Si tratta
di qualcosa che non va dentro di noi. Gli uomini pensano di risolvere tutto con
la mente invece di ‘sentire’. Ma il sentire non ha a che fare con l’intelligenza
o con la forza. Chi non è più in grado di sentire è malato. Solo lavorando su di
sé, sul proprio corpo - grazie al quale l’uomo ‘sente’ - può curarsi e aspirare,
come è sacrosanto, a una vita sana, libera, felice. Ed essere in grado di amare
veramente. Vede, con mia moglie, per esempio, ho vissuto felicemente per 60
anni. È morta da poco, ed è stata una compagna meravigliosa. Ma per amare
bisogna essere consapevoli e responsabili di sé.
Lei prima parlava di New York. Ci è sempre vissuto?
Sono nato a New York nel 1910 e ci sono vissuto sempre, fino a quando nel ’47
sono andato in Svizzera per studiare medicina…
Perché proprio in Svizzera?
Da un lato, perché ero troppo vecchio, a 36 anni, per iscrivermi a medicina in
America (allora la legge non lo consentiva). Poi anche perché, essendo un
allievo di Reich, ero ritenuto ‘pericoloso’, come lui. Lui veniva visto come una
specie di ‘diavolo’. Eppure basta leggere i suoi libri per rendersi conto che
non lo era. Quanto a me, sono andato a Ginevra perché parlavo francese. E ho
studiato medicina perché volevo capire di più cos’era la malattia.
Come ha incontrato Reich?
Nel 1940, a 30 anni, con alcuni amici ho fatto un lungo viaggio in giro per gli
Usa: ricordo che in quel periodo sentivo che c’era qualcosa che non andava in
me, ero depresso, sentivo un gran vuoto. Sapevo di avere dei problemi a livello
sessuale. Quanto ai miei genitori, tra loro erano opposti: mia madre era un tipo
molto poco sensuale, era austera, controllata, spesso arrabbiata. Si vergognava
della propria sessualità. E io avevo preso dai lei. Mio padre era invece uno che
amava la vita, molto sensuale. Insomma volevo andare a fondo del mio problema, e
nel settembre del 1940, alla fine di quel viaggio estivo, mi capitò di leggere
un programma di corsi della New School for Social Researches di NY. C’era un
corso dal titolo “l’unità e l’antitesi tra corpo e mente”: lo teneva un certo
professor Reich, che era appena arrivato negli Stati Uniti dall’Europa. Quando
lo ascoltai parlare capii che sapeva di cosa stava parlando. E che andava a un
livello più profondo di quanto avessi mai sentito. Mi apparve molto brillante,
dotato di una capacità di comprensione rara. Così mi iscrissi al suo corso.
All’inizio ero scettico, ma quando cominciai la mia terapia con lui la mia vita
cominciò a cambiare. Per questo decisi di laurearmi in medicina e di lavorare
come ‘doctor’, come terapeuta: non solo come psicologo, che lavora a livello di
psiche, ma come uno che lavora sul corpo e sulla psiche.
E poi? Com’è finito il suo rapporto con lui?
Ho lavorato con Reich per 4-5 anni e il nostro è stato un rapporto vario. Alla
fine della sua vita Reich ha avuto un sacco di problemi, e forse è andato un po’
fuori di testa. Aveva dei conflitti interiori di cui non era mai riuscito a
venire a capo. Reich aveva, direi, un problema di tipo narcisistico, e non era
riuscito a risolverlo, ma non glielo si poteva dire. Era un uomo molto
brillante, indubbiamente, ma anche lui era troppo ‘nella testa’. Del resto, è
una cosa che ci riguarda un po’ tutti, non essere connessi con la realtà, coi
feeling. Reich era molto vulnerabile a causa del proprio background, dei propri
problemi familiari. Tornato dalla Svizzera dopo la laurea sono andato a trovarlo
a casa sua a Orgonon, a Rangeley nel Maine. Fu un incontro strano e l’ultima
volta che lo vidi. Mia moglie era con me, ma lui mi chiese di non farla venire
da lui. Lei era molto attraente, e lui preferì non incontrarla. Può sembrare
strano, ma aveva problemi con le donne, era facilmente soggiogato dalla propria
sensualità. E poi Reich aveva intorno a sé un sacco di gente, spesso ‘piccina’,
che lo circondava per interesse, ma non era capace di stargli dietro. Uno si è
persino suicidato. Molti ‘deboli’ erano attratti da lui, che era o appariva così
forte, ma ne erano poi dipendenti. E lui non riusciva a vedere di sé che finiva
col diventare una sorta di tiranno, per via del suo grande ego. Era in un certo
senso prigioniero del proprio ego. Per questo me ne sono allontanato.
Oltretutto, quando sono tornato dalla Svizzera e ho dovuto dare un esame per
ottenere la licenza e poter praticare come medico ho avuto parecchi problemi.
Essere legati a Reich era sempre un problema! Ma amo molto quello che ha fatto e
teorizzato, è stato davvero un grande. Ricordo che mi disse: “Lowen, devi
lavorare con l’energia della gente. I problemi sono sempre a livello
energetico”. Penso di averlo fatto, e di essere andato oltre.
Chi sono oggi i veri discepoli di Reich in America?
Io! (ride) In realtà, c’è un College of Orgonomy. E fanno quello che chiamano
‘terapia orgonica’. Usano la macchina orgonica di Reich, però non si sa bene
cosa facciano. Purtroppo, il movimento reichiano è finito. Il problema con i
reichiani è che lavorano partendo da una grande, brillante idea, ma non sanno
come portarla avanti.
In che senso?
I neoreichiani lavorano sul corpo, ma… O meglio, si ostinano a lavorare sul
corpo partendo da categorie fisse, cominciano dagli occhi anziché dal grounding,
hanno paura della realtà, della realtà del corpo, che ha feeling, mentre la
mente non ha feeling. Quando il corpo sente, può anche essere molto doloroso, ma
non per questo non deve sentire. In realtà il lavoro dei neoreichiani oggi non
rappresenta il vero sviluppo delle teorie di Reich, mentre la bioenergetica lo
è: non a caso, il termine è una combinazione di bio, vita, ed energia. Ha a che
fare con l’energia vitale. Io lavoro con l’energia: se guardo un corpo, la vedo.
Si alza, mi mostra un poster alla parete che rappresenta un albero e un corpo
umano a confronto.
Vedi? Ci sono tre aree differenti nel corpo, e se si fa un confronto con un
albero, lo si vede bene: la testa, il corpo, le gambe, corrispondono a chioma,
tronco, radici: il che conferma che la natura è sempre la stessa, anche se si
manifesta in modo diversi.
In che cosa dunque la bioenergetica si differenzia da altri approcci?
Non si può cambiare con la mente, si cambia con il corpo. Va cambiata l’energia
del corpo. Da dove il corpo ricava energia? Dal respiro e dal cibo. Ecco
l’importanza di respirare correttamente e nutrirsi correttamente. Senza respiro
non c’è energia, senza energia il corpo si contrae, non è pienamente vivo, ed
ecco perché poi si ha bisogno di compensare con diversi meccanismi, o si cerca
di essere più forti, più veloci, più belli… Ma l’unico modo in cui gli uomini
possono imparare è attraverso il sentire, attraverso l’esperienza personale,
fisica, concreta. Leggere un libro non basta, non serve a cambiare. Persino la
bioenergetica, che pure ho coltivato per tanti anni: da sola non basta, se non
si va a fondo, se non si va con l’energia nei propri piedi, e nel cuore. Guarda,
ti faccio vedere come si fa a mandare energia nei propri piedi.
Lowen si alza, si mette in piedi davanti a me, in posizione bioenergetica di
base, con le ginocchia flesse, e guardandomi bene negli occhi carica il peso con
forza nelle gambe, fino ai piedi, ma sempre mantenendo una posizione rilassata e
tranquilla.
Vedi i miei occhi? Sono più vivi, più brillanti. Faccio esercizi tutti i giorni,
soprattutto di grounding. E lavoro molto con i piedi. Sono fondamentali. Fare
grounding senza i piedi non basta. Bisogna premere così, non basta respirare
andando su e giù con le ginocchia. Bisogna lavorare sui piedi, sentire il
contatto con la terra. Spingere forte e respirare, ed emettere un suono, un
‘aaaaaaah’ prolungato. Se non si va con l’energia nei piedi, si va ‘fuori’ con
la testa. Bastano 15 minuti ogni mattina. E’ incredibile come gli occidentali
non stiano nei loro piedi: stanno ‘in’ piedi, ma non ‘nei’ piedi. Per muoversi
usano le gambe, ma non i piedi. Mi ci è voluta una vita per capire questo: ho
cominciato a studiare il grounding 50 anni fa, e oggi ho una nuova comprensione
di tutto questo.
E con i pazienti come lavora?
Quando un paziente viene da me, gli parlo delle sue emozioni. Del fatto che
respira male, che non dà energia al proprio corpo, che non ha grounding. E
cominciamo a lavorare su questo. Anche il pianto è importante. Se si va a fondo
con questo lavoro, si possono verificare dei cambiamenti. Ma non si può lavorare
sul corpo partendo dalla testa, non funziona.
Ci vuole molto tempo?
Sì, è chiaro. Naturalmente poi dipende da persona a persona. Di certo,
un’esperienza non basta, ma la gente a volte si spaventa. Non tutti sono
disposti ad andare avanti. Bisogna andare per gradi, e cominciare dalla base,
dai piedi, dalle fondamenta, come quando si costruisce un edificio. Non dagli
occhi, come fanno i neoreichiani.
È importante lavorare tenendo conto dei diversi caratteri?
No, non importa poi tanto. Ho cominciato a lavorare con i caratteri, 50 anni fa,
e ne ho scritto molto. Ma il rischio è di fossilizzarsi sui caratteri anziché
considerare la persona, il singolo individuo per quello che è. Del resto,
nessuno è un carattere puro. E nella mia esperienza, mi sono reso conto che c’è
il rischio di schematizzare troppo. E poi ogni persona cambia, via via che
l’energia cambia.
Ma il carattere si può usare come cornice...
No, non serve. Quando hai davanti una persona, c’è già quella, non c’è bisogno
di darle una ‘cornice’. Se guardo te, ti vedo, e posso dirti come sei.
Sentiamo...
Bene, allora ti dico. Innanzitutto, sei una bella persona, hai una buona
energia. Hai degli occhi espressivi. Ma hai problemi con il corpo. Spogliati, se
vuoi, così posso vedere bene. È così che lavoro.
Mi spoglio e rimango in mutande davanti a Lowen.
Di base, la tua energia è buona, ma incasinata. La parte inferiore del corpo non
è abbastanza caricata. Devi dare più energia al tuo corpo. E poi c’è paura nei
tuoi occhi. Ma il problema più grosso è qui, nel sedere. Troppo teso, vedi
quanta tensione c’è qui. L’unico modo per far qualcosa è lavorare sui piedi,
soprattutto sui piedi e sul respiro. Ti faccio vedere al cavalletto
Mi mette sul cavalletto: braccia indietro, aperte; gambe con le ginocchia
flesse.
Vedi, il petto è troppo gonfio, quando respiri l’energia non va fino al bacino e
alla pelvi. E quando respiri prova a emettere un suono, aaaaah. Bisogna
respirare molto, tre quattro volte, e poi fare un suono così, un aaaaaah
prolungato, a bocca aperta, a gola aperta, e alla fine il suono dovrebbe
trasformarsi in un colpo di tosse, che diventa addirittura un singhiozzo, e il
pianto arriva. E va sempre bene. Senti le vibrazioni? Stai con queste
vibrazioni. Vedi? Più che cercare di capire con la testa, è meglio sentire con
il corpo.
Faccio come dice: il suono cresce, arriva anche la tosse, sempre più forte, e la
voce diventa singhiozzo, e il corpo si scuote sempre più forte.
Le vibrazioni sono un processo terapeutico, di guarigione. Quando il corpo
vibra, è presente. Bene, bene. Il corpo è molto più caldo adesso. Questo
esercizio si può fare sempre, tutti i giorni, a casa propria, e se si abita in
un appartamento, si può mettere la radio al alto volume… È stupefacente quanto
velocemente funzioni, e si può farlo tutti i giorni.
Mi rimetto a sedere, sentendo molto caldo, vibrazioni in tutto il corpo e un
senso benefico di energia e vitalità. Mi sento molto bene, dico.
Si vede. Fallo sempre, ricordati, a casa tua. È importante. E capirai da te
quello che succede. Vedi, il tuo corpo appare strano perché la tua personalità è
divisa fra una bambina piccola e una donna molto smart. La bambina è soft, è
molto sensibile, ma anche molto impaurita. Ma il corpo è tuo amico, può essere
spaventato ma è tuo amico. Devi avere sui 45 anni, più o meno, vero?
Ne ho 48, ma di solito nessuno lo capisce, pensano tutti che io sia molto più
giovane…
Vedi, sono bravo a leggere i corpi (ride di nuovo). E comunque è vero, sei molto
più giovane, è quella parte giovane di te, quella bambina che è in te.
Tornando al carattere, che ne pensa del carattere simbiotico di cui parla
Steven Johnson?
Mah, come dicevo prima, io credo che lavorare solo sui caratteri oggi non abbia
senso, è troppo intellettualistico. Oggi ci sono troppi che teorizzano un sacco,
e poi non sono capaci di cambiare se stessi. Per quanto mi riguarda, se vedo un
cambiamento nel loro corpo, allora mi fido di loro. Altrimenti no.
Ha discepoli, allievi? C’è gente che continua e approfondisce l’approccio con la
bioenergetica?
Penso di sì. Ma non ne conosco molti, e in genere, ripeto, non mi fido di chi
non lavora innanzitutto su di sé. Devi vedere il cambiamento prima di tutto in
loro, nei terapeuti, altrimenti non vale. Ti stupirò con quello che sto per
dirti: secondo me c’è un solo tipo di lavoro analitico corretto. E non è quello
di dire che carattere uno è, ma di guardare attentamente il corpo e gli occhi
della persona che si ha di fronte, e capire che persona è. Come quando ti dico
che sei una persona che ha paura…
Lo so...
Bene, e devi riuscire a vederlo, perché se non lo vedi, non puoi fare terapia,
non serve. Anche se è duro accettare la propria paura. Ma senza questa
consapevolezza non si può cambiare o stare meglio. E se un terapista non vede
subito come sei, non capisce i tuoi occhi, non vede cosa succede… Insomma,
bisogna insegnare alla gente a guardare negli occhi ed essere in grado di vedere
la paura, la tristezza, la rabbia. A guardare il corpo, e imparare da esso.
Ma la paura è qualcosa che non va mai via?
No, tutto può cambiare, tutto è in processo, è in trasformazione. Nulla è per
sempre. Il problema è che quello che sperimentiamo da bambini è più difficile da
cambiare, perché si struttura nel corpo. Ecco perché la cosa più importante da
fare è lavorare sul corpo, per dargli più energia. Gli esercizi servono a
questo. Così si può capire davvero: in inglese, non a caso, il termine
under-stand, capire, comprendere, si riferisce allo ‘stare in piedi’. Non è
significativo?
Come ha sviluppato i suoi esercizi?
Prima di lavorare con Reich, ero allenatore atletico e usavo fare esercizi ogni
mattina. In un certo senso ero abituato a lavorare sul corpo, anche se con
finalità diverse. Poi, naturalmente, ho capito la valenza diversa e ben più
profonda della bioenergetica rispetto alla mera preparazione atletica. Nel mio
libro sugli esercizi lo dico chiaramente.
Ci sono esercizi che vanno meglio per certi caratteri?
In realtà non proprio. Nel senso che tutti hanno gli stessi problemi: tutti
hanno dei tratti orali, o masochisti, chi più chi meno. Come dicevo,
concentrarsi sul carattere non è il giusto approccio. Bisogna guardare il corpo,
e vedere dove ci sono i blocchi energetici. Parlare sempre di carattere fa
correre il rischio di perdersi nella mente.
Ma nei suoi libri ha parlato molto di carattere...
Sì, all’inizio! Ma anche quando ho fatto terapia con Reich, tra il 1940 e il
‘43-44, Reich ha lavorato con me sempre sul corpo, non abbiamo fatto ‘analisi’
in senso classico. Ed è stato ok. Non abbiamo lavorato sul mio carattere, che è
narcisistico, né lui ha lavorato sul suo narcisismo! Se si lavora sul corpo, si
hanno risultati migliori. Se dovessi scrivere un libro ora, non insisterei sul
carattere, ma sulle dinamiche energetiche del corpo, sul respiro, sulla
vibrazione, sul grounding. Questo non significa che non si debba dire ai propri
pazienti quali problemi caratteriali hanno. Ma non saranno in grado di cambiarli
per il solo fatto di sapere che li hanno. Chi vuole teorizzare troppo, lo fa
perché ha paura di stare nel corpo e preferisce stare nella testa. Visto invece
che ci sono buone tecniche corporee, come quella che ti ho mostrato prima,
meglio non parlare troppo…
Da:
http://www.counseling-bioenergetica.it/letture/articoli-interviste-conferenze/intervista-ad-alexander-lowen.html
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