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Jacques Lacan è
nato il 13 aprile del 1901 ed è morto ad ottanta anni nel 1981. Come
è diventato lo psicoanalista francese più noto e più influente nel
mondo? (1)
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Lacan amava
sottolineare la continuità del suo pensiero con quello di Freud. Ma
al tempo stesso sappiamo che ha introdotto moltissime novità nel
pensiero psicoanalitico. Possiamo in maniera concisa riassumere
queste novità? (2)
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Però alcuni pensano
che al tempo stesso Lacan abbia spiritualizzato in qualche modo la
teoria freudiana, la quale insisteva, piuttosto, sulla forza delle
pulsioni, sugli affetti, sulla libido ecc...(3)
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Ma che cosa intende
Lacan per “reale”? (4)
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Lei ha paragonato
l’inconscio di Lacan a quello di Jung, considerando l’aspetto
collettivo ed esteriore all’individuo di questi due inconsci. Qual è
però la differenza tra i due? (5)
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E cosa vuol dire
Lacan, quando insiste sulla natura squisitamente etica
dell’inconscio freudiano? (6)
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Più si procede
nella descrizione del pensiero di Lacan, più ci accorgiamo che il
“ritorno a Freud” è una sorta di eufemismo. Già abbiamo visto nel
pensiero filosofico questa differenza tra il positivista Freud e
l’idealista Lacan. Ma anche sul piano dello stile, si può ricordare
che Freud ebbe, credo, un unico premio in vita sua e fu un premio
letterario, il premio Goethe per la letteratura, per la sua
scrittura chiara ed perspicua. Invece la scrittura di Lacan era
barocca e astrusa. Allora come la mettiamo con questo “ritorno a
Freud”? (7)
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Per concludere, in
uno degli Scritti di Lacan, vi sono delle pagine dedicate al
concetto della verità: c’è la verità che parla. Ecco, è strano
ritrovare questo concetto di verità all’interno di una discussione
psicoanalitica. Che cos’era la verità per Lacan? (8)
1 - Jacques Lacan è nato il 13 aprile del 1901 ed
è morto ad ottanta anni nel 1981. Come è diventato lo psicoanalista
francese più noto e più influente nel mondo?
Sergio Benvenuto - Jacques Lacan ha compiuto una
specie di miracolo. La Francia era uno dei paesi che aveva resistito più
a lungo all’influenza del pensiero freudiano, a differenza di altri,
come l’Inghilterra, la Germania o gli Stati Uniti. Lacan invece è
riuscito, grazie al suo fascino, all’influsso del suo pensiero, a
rendere dominante la psicoanalisi nella cultura francese, almeno dagli
anni Sessanta con una grande operazione di traduzione, nel senso che ha
adattato i concetti fondamentali del pensiero di Freud alla sensibilità,
allo stile e anche alle mode del pensiero francese di cui egli stesso –
persona estremamente colta - era profondamente imbevuto.
La sua storia in breve: Lacan, che veniva da una famiglia cattolica
molto tradizionale, e aveva compiuto studi di medicina, frequentando
nello stesso tempo corsi di filosofia alla Sorbona, acquistò una precoce
celebrità quando con la sua tesi di dottorato, nel 1932, pubblicò le
poesie di una sua paziente paranoica, diventata poi famosa, che chiamò
Aimée. Queste poesie e il commento che lui ne fece interessarono molto i
surrealisti, che le pubblicarono nella rivista di Paul Eluard, per cui
Lacan divenne, in un certo senso, “lo psicoanalista surrealista”.
Effettivamente lo stile, la sensibilità, anche certi aspetti ideologici
del surrealismo hanno avuto un certo influsso sul giovane Lacan.
Un’altra influenza fondamentale nella formazione di questo
psicoanalista-filosofo, se possiamo definirlo così, viene
dall’insegnamento di Alexandre Kojève, che tra il 1933 e il 1939 tenne
alcuni seminari, rimasti celebri, sul pensiero di Hegel all’École
pratique des Hautes Études. A questi seminari non ha partecipato
soltanto Lacan, ma il fior fiore della gioventù intellettuale francese
dell’epoca: basti ricordare Lévi-Strauss, Raymond Aron, Georges Bataille,
Merleau-Ponty, Sartre personaggi che rappresenteranno la grande cultura
francese nei decenni successivi. Questi seminari, durati solamente pochi
anni, hanno avuto tuttavia un grande impatto, perché hanno introdotto
Hegel nel pensiero francese, anche se attraverso la peculiare
interpretazione che Kojève ne dava - interpretazione considerata in un
primo tempo esistenzialista. Ma in effetti l’influsso di Kojève arriverà
fino allo strutturalismo e al post-strutturalismo, di cui Lacan a torto
o a ragione è considerato un rappresentante.
Quindi, le due grandi fonti, oltre Freud chiaramente, della formazione
del giovane Lacan sono il surrealismo francese con il suo stile e la sua
ansia di rivolta linguistica e politica, e l’approccio a Hegel mediato
dall’insegnamento di Kojève e dell’epistemologo Alexandre Koyré, il
quale appunto aveva invitato Kojève a tenere i suoi seminari su Hegel.
Lacan può essere considerato uno dei padri fondatori della psicoanalisi
in Francia, che, come ho detto, ha incontrato in un primo momento forti
ostilità e resistenze dovute al fondo cartesiano e spiritualista della
cultura farncese. Eppure Lacan emerge sulla scena soltanto negli anni
Sessanta, quando - nel 1966 - vengono pubblicati i sui Ecrits (Scritti),
raccolti e curati da Jacques-Alain Miller - pubblicazione che ha
rappresentato veramente un grande avvenimento nella vita intellettuale
di quegli anni. Da quel momento Lacan diventò, con l’antropologo
Lévi-Strauss, il critico letterario Roland Barthes e lo storico Michel
Foucault, uno dei maîtres à penser della cultura francese. Al celebre
Seminario, che tenne dal 1953 fino alla morte (nel 1981), frequentato
all’inizio solo da poche persone, assisteva ormai il tout Paris:
migliaia di giovani, intellettuali, signore accorrevano ad ascoltarlo.
Per quanto riguarda i suoi rapporti con la psicoanalisi ufficiale, Lacan
entra ben presto in rotta di collisione con la direzione
dell’Internazionale Psicoanalitica che in quel periodo, come del resto
anche oggi, era dominata dagli analisti di lingua inglese, soprattutto
americani. Il conflitto nel 1963 sfocia in pratica nella sua espulsione,
nel senso che egli non è più autorizzato a insegnare psicoanalisi ai
suoi allievi. Fonda allora una scuola sua che chiama École Freudienne de
Paris, Scuola Freudiana di Parigi, che però egli stesso dopo circa
vent’anni scioglierà, un anno prima della morte, nel 1980. Dirà allora
che il tentativo di fondare una scuola per la formazione degli analisti,
era stato per lui un fallimento. Nel 1981 Lacan muore di cancro.
Oggi la scuola lacaniana, è una delle più influenti scuole di
psicoanalisi del mondo, anche se in modo non omogeneo. L’influenza del
pensiero di Lacan è viva nei paesi di lingua latina, e alcuni dicono che
è viva soprattutto nei paesi cattolici: oltre che nei paesi francofoni,
ha avuto infatti un grande seguito nei paesi dell’America Latina di
lingua spagnola e portoghese. Si insinua così, maliziosamente, che il
suo influsso presso le culture cattoliche non sia casuale: ci sarebbe
una segreta ispirazione cattolica nel suo pensiero (a differenza della
predominanza ebraica nella psicoanalisi delle aree tedesca e
anglosassone). Ma oggi il suo influsso è crescente anche nei paesi di
lingua inglese – un’influenza in verità più tra gli studiosi dei campus
che tra gli analisti praticanti. L’influsso del lacanismo nei paesi
anglofoni è difficile da valutare perché in realtà il pensiero di Lacan
è profondamente legato alla storia della cultura francese negli anni che
vanno dai Trenta ai Settanta; perciò la sua traducibilità in culture
diverse da quella francese è talvolta difficile. Da notare poi che gli
Scritti di Lacan – più che Il Seminario - sono particolarmente ardui.
Tradotti in italiano da Giacomo Contri, malgrado lo sforzo del
traduttore, restano molto difficili, soprattutto per chi non abbia
familiarità con il pensiero di Freud.
2 - Lacan amava sottolineare la continuità del suo
pensiero con quello di Freud. Ma al tempo stesso sappiamo che ha
introdotto moltissime novità nel pensiero psicoanalitico. Possiamo in
maniera concisa riassumere queste novità?
Benvenuto - Forse Lacan non sarebbe stato d’accordo
con questa domanda, perché lui ha lanciato la parola d’ordine del
“ritorno a Freud”. Egli si voleva, in un certo senso, il vero interprete
di Freud contro le deviazioni nella teoria e nella pratica analitiche.
Questo suo “ritorno a Freud” era in polemica con le tendenze prevalenti
negli Stati Uniti, a New York in modo particolare, ad opera della
cosiddetta Ego-psychology, psicologia dell’Io. Lacan ha cominciato così
la sua battaglia contro la corrente dominante nella psicoanalisi
internazionale, rivendicando un “ritorno a Freud”, anche se a un Freud
letto ovviamente secondo la sua particolare ottica. Perciò ha sempre
tenuto a dare il nome di freudiane alle scuole da lui create. Questo
“ritorno a Freud” è contestato da alcuni, i quali pensano giustamente
che Lacan abbia innovato rispetto a Freud. In cosa consiste questa sua
innovazione? Io direi che il suo contributo ha un valore soprattutto
filosofico, nel senso che il pensiero di Freud si presta ad un equivoco.
Freud veniva dalla cultura del positivismo ottocentesco, del positivismo
austriaco, che pensava di fondare la psicologia, come generalmente le
scienze umane, sul modello della fisica e delle scienze della natura.
Alla fine dell’Ottocento le cosiddette scienze umane - non solamente la
psicologia, ma anche la sociologia, l’economia ecc. – presumevano di
poter applicare il modello della fisica newtoniana allo studio
dell’uomo. Freud, educato ad una mentalità positivistica, pensava che la
psicoanalisi fosse essenzialmente psicologia, che il suo metodo clinico
fosse un metodo scientifico. Lacan introduce invece questa idea
importante: che la psicoanalisi è certamente una scienza, ma di tipo
completamente diverso, in quanto è una pratica e una teoria che si fonda
sul linguaggio. Certo anche per Freud il linguaggio è di estrema
importanza, ma Lacan introduce l'idea nuova, rispetto a Freud, secondo
la quale «l'inconscio è strutturato come linguaggio»: si tratta di una
teoria che Freud non ha mai espresso, ma che in un certo senso è il
programma di Lacan ed è diventata ormai lo slogan di ogni lacaniano. Che
l’inconscio sia strutturato come un linguaggio può sembrare strano, dato
che quando pensiamo all’inconscio freudiano pensiamo piuttosto a
qualcosa di affettivo. Di fatto la frase di Lacan è ispirata dalla
linguistica strutturale, che proprio in quegli anni emergeva nei paesi
latini. Lacan è molto interessato agli studi linguistici e si è rifatto
al pensiero di Ferdinand de Saussure, il linguista svizzero considerato
il fondatore della linguistica strutturale all’inizio del Novecento. Per
comprendere appieno il contributo di Lacan bisogna però andare oltre il
riferimento puro e semplice alla linguistica della sua epoca. Uno degli
aspetti più originali del suo pensiero, infatti, è di aver messo in luce
un fenomeno evidente quanto fondamentale, e cioè che la psicanalisi è un
metodo di cura che opera attraverso il linguaggio. Non opera cioè con
farmaci, non opera sul corpo. L’analista non tocca il suo paziente, non
usa sostanze chimiche: l’analisi è semplicemente conversazione, è
parola. E in un certo senso Lacan ha sfruttato quest’uovo di Colombo da
lui scoperto dicendo: se l’analista cura semplicemente attraverso la
parola, attraverso il linguaggio, questo significa che l’inconscio è
esso stesso fondamentalmente linguaggio.
Ora questa idea era presente già in qualche modo in Freud. Quando Freud
ne L’interpretazione dei sogni avanza la sua teoria del sogno,
indubbiamente egli fa della linguistica: interpretare significa mettere
in forma verbale delle immagini oniriche. Però Lacan accentua alcuni
aspetti che altri freudiani non accentuavano. Porto un esempio: Freud a
un certo punto cita un sogno dell’imperatore Alessandro Magno, quando
assediava la città di Tiro in Fenicia. Alessandro Magno sognò un satiro
che danzava su uno scudo. Ovviamente, come si faceva all’epoca,
interrogò l’interprete dei sogni - anche nel mondo antico c’erano degli
interpreti di sogni, che non erano analisti, ma erano comunque delle
persone pagate per svolgere questa funzione. L’interprete dei sogni
rispose che il satiro significava in realtà sa Tyros che in greco
significa “Tiro è tua”. Il senso di questo sogno era Tiro è tua, cioè
hai già vinto la battaglia, cosa che in realtà avvenne: dopo poco tempo
Alessandro conquistò Tiro. Consideriamo una certa tendenza
post-freudiana - per esempio quella della scuola di Jung. Ebbene, un
analista junghiano di fronte ad un sogno del genere fatto dal paziente
Alessandro Magno direbbe subito: “bisogna capire cosa significa il
satiro nella cultura greca, i rapporti di questa figura con altre figure
arcaiche, che cosa significa l’immagine del satiro rispetto al sesso,
cosa significa in genere lo scudo, ecc.”. Per uno junghiano insomma
occorre ritrovare i significati archetipici. Invece Freud dice che
l’interpretazione giusta era proprio quella dell’antico interprete
fenicio, era cioè semplicemente un gioco di parole, un rebus. Lacan
mette in grande evidenza che l’interpretazione è qualcosa che avviene
sempre al livello del linguaggio. In altre parole, non bisogna essere
molto profondi quando si interpreta, anzi bisogna restare sempre un po’
in superficie. Questo è l’altro lato, direi, filosofico della novità di
Lacan rispetto a Freud: l’eliminazione di un equivoco che nel freudismo
sicuramente c’è: l’idea che la psicoanalisi avrebbe arricchito il mondo
interiore, la vita interna, l’inconscio, come qualcosa che è dentro
l’uomo, nel suo profondo. Lacan, analista avvertito filosoficamente,
interpreta l’inconscio freudiano nel senso che l’inconscio è soprattutto
fuori dell’anima. Mi si permetta una citazione di Sartre, non a
proposito di Lacan, ma di Husserl: Sartre disse che l’importanza di
Husserl è che ci aveva liberato della vita interiore. Si può dire la
stessa cosa di Lacan, che ha contribuito a liberarci della vita
interiore: l’inconscio non è qualcosa che sta dentro il corpo. Oggi
immaginiamo miticamente il corpo come una cassa, e dentro questa cassa
c’è l’anima e quindi poi le pulsioni, gli istinti, i desideri ecc...
L’inconscio per Lacan invece è qualcosa che si trova fuori dell’essere
umano, e questo fuori per Lacan è sostanzialmente quello che lui chiama
l’Altro con la A maiuscola, e che per lui è il linguaggio. Il linguaggio
è l’Altro, e l’Altro è anche linguaggio, per una ragione estremamente
semplice: che quando noi nasciamo, certamente nasciamo dentro il corpo
di nostra madre, ma il linguaggio che ci viene insegnato ci viene sempre
dall’esterno. Il linguaggio ci viene da nostra madre, da nostro padre,
dagli adulti che sono attorno a noi; quindi l’inconscio ci viene, da un
punto di vista lacaniano, sempre dall’esterno.
Alcuni, sensibili a questa idea che l’inconscio non è dentro, ma fuori
di noi, tendono a dare un’interpretazione interpersonale dell’inconscio.
Vi sono alcune scuole che tendono a ridurre l’inconscio a una dinamica
interpersonale: l’inconscio è il mio rapporto con l’altro, con l’altra
persona. Non è questo il senso che Lacan dà a questa esteriorità
fondamentale dell’inconscio. Lacan non pensa che la base dell’inconscio,
del nostro rapporto con gli altri, sia l’interpersonalità. Lui pensa
l’inconscio in un senso molto più vicino a quello di Hegel: che
l’inconscio ci viene da una alterità assoluta che è quella del
linguaggio Qual è il punto di partenza della reinterpetrazione di Freud
da parte di Lacan? Abbiamo detto che Lacan pensa di essere fedele al
senso stesso di Freud. Mi si consenta di fare un esempio. Il bambino
appena nato piange. E quale operazione gli adulti - la madre in primo
luogo - fanno con questo bimbo che frigna? Dicono “tu piangi perché hai
fame”, oppure “piangi perché hai freddo”. La madre interpreta il perché
di questo pianto usando parole. Ed ora, nell’istante in cui la madre
parla come l’Altro, con la A maiuscola, compie due operazioni
simultanee, ma che per Lacan sono profondamente connesse: da una parte
insegna il linguaggio al bambino - in questo caso la lingua italiana -
ma nello stesso tempo interpreta il desiderio del bambino, traducendolo
in parole italiane. Ora, non sapremo mai perché il bambino frignava, ma
la madre, l’Altro, dà quello che Lacan chiama un significante. L’adulto
dice per esempio: “hai fame”, “vuoi latte”, cioè fissa il desiderio in
una rappresentazione. Questa rappresentazione viene chiamata da Lacan –
che prende il termine dalla linguistica strutturale - “significante”.
Questo farà sì che in realtà il bambino potrà percepire il proprio
desiderio profondo – quello che causava il suo pianto - soltanto
attraverso il linguaggio della madre, in una alienazione fondamentale -
e “alienazione” è un termine hegeliano. Egli può sapere qualcosa del
proprio desiderio perché un altro gli ha detto che cosa lui desidera. Ma
che cosa veramente volesse resterà sempre un mistero; e questo mistero
di ciò che l’uomo desidera o di ciò di cui gode prima che la madre
parli, cioè prima di ogni linguaggio, è quello che Lacan chiama il
manque, la mancanza. Questa mancanza, che è già presente, ma non
esplicitata in Freud è pensata da Lacan come strutturante l’inconscio.
3 – Però alcuni pensano che al tempo stesso Lacan
abbia spiritualizzato in qualche modo la teoria freudiana, la quale
insisteva, piuttosto, sulla forza delle pulsioni, sugli affetti, sulla
libido ecc...
Benvenuto - Sì, effettivamente questa è una critica
che si fa continuamente, non solo a Lacan, ma ad altre scuole
psicoanalitiche francesi. Si dice che sono cartesiane perché accentuano
molto l’aspetto del linguaggio, della scrittura, del logos, della
logica. L’ultimo Lacan è molto interessato alla matematica e alla
logica. In realtà, non è vero che Lacan non dia importanza alle emozioni
e agli affetti - quando egli parla del sesso come di qualcosa connesso a
significanti ovviamente non trascura il fatto che il sesso sia qualcosa
che si vive in modo emotivo, personale.
Vorrei raccontare un aneddoto, una specie di leggenda. Siccome Lacan ha
esercitato per molti anni a Parigi ed era un analista assai noto,
moltissime persone sono passate per il suo studio. Sono fiorite allora
tutta una serie di leggende, di racconti più o meno veri, ma c’è ne uno
che mi ha particolarmente colpito. Lacan aveva una pratica abbastanza
originale, nel senso che lui non pensava – come gli analisti ortodossi –
che le sedute dovessero essere di quarantacinque, cinquanta minuti, non
pensava che dovessero avere una durata standard. Lacan pensava che il
tempo di una seduta dovesse variare, a seconda di come l’inconscio esce
o non esce: una seduta poteva durare cinque minuti o due ore, non ci
poteva essere nessuna regola. È l’analista che decide a che punto
tagliare, come mettere la punteggiatura. Così, di fatto, i suoi pazienti
venivano un po’ alla rinfusa, senza un orario preciso. Lui li faceva
entrare ed uscire senza una regola rigida. Allora molti di questi
pazienti si incontravano nel bar sotto casa sua in rue de l’Université.
Dunque due pazienti si incontrano, e uno dei due è uscito appunto fresco
fresco da una seduta. È molto triste perché è una seduta andata male.
Chiunque ha fatto analisi sa che ci sono sedute che vanno male, da cui
si esce tristi, depressi. L’altro, anche lui paziente di Lacan, gli
chiede perché, e il primo si lamenta di non essere riuscito a dire
quello che veramente voleva dire. Il secondo gli dice: “Perché non torni
da Lacan e non gli dici quello che dovevi dirgli?”. Questa cosa con
Lacan era possibile, perché appunto applicava una regola flessibile. Il
primo allora dice: “Ottima idea, torno su e chiedo un’altra seduta”. Il
secondo resta al bar - si sa che a Parigi si passano lunghe ore nei bar
a pensare, a leggere e a scrivere. Dopo un po’ il primo torna e questa
volta appare tutto contento, giulivo; si vede che la seduta è andata
bene. Il secondo gli chiede: “Allora che è successo?” E lui risponde:
“Appena sono entrato, gli ho subito detto: ‘Je me sens vraiment foutu’,
‘Mi sento veramente fottuto’ e Lacan mi ha risposto: ‘Lei non si sente,
lei è fottuto!’ e così subito mi sono sentito meglio”. Questo è un
aneddoto che non so nemmeno poi se sia vero, però mette a fuoco qualcosa
di importante nello stile di Lacan; cioè Lacan è profondamente estraneo
all’idea che la psicoanalisi si occupi dei sentimenti, degli affetti,
del sentirsi fottuto, o felice ecc... Lui pensa che la materia prima e
ultima dell’analisi sia il reale, inteso come quello che si è, non il
modo di sentirsi. Stranamente proprio Lacan, che insiste sul fatto che
l’inconscio è strutturato come linguaggio ed è quindi esso stesso
linguaggio, non lo dice per dire che tutto si può interpretare in
qualsiasi modo: al contrario, alla base non ci sono i sentimenti e gli
affetti, ma il reale. Certamente i sentimenti e gli affetti sono
importanti, ma come un epifenomeno di qualcosa che avviene a livello del
reale.
4 - Ma che cosa intende Lacan per “reale”?
Benvenuto: Un altro dei cavalli di battaglia di Lacan
- e in questo egli innova rispetto a Freud - è la sua distinzione di tre
registri, come lui li chiama: l’immaginario, il reale e il simbolico. Il
linguaggio comune ci dice abbastanza bene cosa è il reale e cosa è
l’immaginario: il reale è quello della realtà esterna a noi,
l’immaginario è quello che avviene nel nostro pensiero. Si suppone che
Freud abbia costruito una teoria dell’immaginario e non del reale. Lacan
introduce un terzo elemento, o registro, il simbolico, che è equivalente
al linguaggio. Ora, lui pensa che la specificità dell’inconscio è
proprio l’introduzione di questo registro del simbolico, dei simboli,
dei significanti del linguaggio. Senonché l’introduzione di questo
simbolico, come terzo registro, modifica l’essenza anche degli altri
due, cioè del reale e dell’immaginario, che pur crediamo di conoscere
talmente bene attraverso il linguaggio comune. In realtà l’analista che
ci fa accedere al simbolico è anche il guru che ci fa accedere al reale.
Il reale per Lacan è il reale della nostra mancanza, del fatto che noi
non siamo. Prima ho portato l’esempio del bambino che piange e che ad un
certo punto apprende verbalmente dalla madre che piange perché ha fame;
in questo modo egli fissa simbolicamente il suo desiderio nel
significante “aver fame”. Ma anche questo è un tradimento della vera
ragione per cui piangeva, che sarà per sempre il suo reale
irraggiungibile, pur essendo la causa del suo piangere. Ogni essere
umano che piange, e proprio perché piange va dall’analista, cerca sempre
questo reale, la causa reale del suo dolore. E ovviamente le emozioni,
cioè la sofferenza, l’angoscia, la depressione, ecc. sono l’effetto di
questo reale. Per Lacan dunque le emozioni sono importanti, ma sono
effetti, non cause. Mentre una tendenza freudiana dice che le cause
dell’inconscio sono gli affetti, Lacan dice che gli affetti sono
effetti, ma le cause sono da ricercare nell’alienazione che il bambino
subisce nell’istante in cui gli si insegna il linguaggio.
5 - Lei ha paragonato l’inconscio di Lacan a
quello di Jung, considerando l’aspetto collettivo ed esteriore
all’individuo di questi due inconsci. Qual è però la differenza tra i
due?
Benvenuto - Per certi versi si potrebbe dire persino
che Lacan è l’opposto di Jung. Possiamo considerare Jung e Lacan tutti e
due come allievi di Freud, anche se Jung, come sappiamo, ha litigato e
rotto con Freud, mentre Lacan viene dopo Freud (Freud e Lacan non si
sono mai incontrati nella loro vita). Ma in realtà questi due allievi
sono molto diversi. Per Jung l’inconscio freudiano viene messo in
relazione con alcuni significati fondamentali che Jung considera dei
significati extrapersonali, extrasoggettivi. A proposito dell’esempio
che ho fatto prima del sogno del satiro, uno junghiano direbbe che il
satiro deve essere interpretato non come una fantasia mia personale, ma
come qualcosa che io ho ereditato attraverso una trasmissione inconscia:
si eredita un archetipo così come si eredita un gene. Jung tende a
mettere in rilievo tutto ciò che è invariante ed invariabile:
l’inconscio collettivo è un inconscio che ereditiamo, è un inconscio di
significati per cui il satiro della tradizione greca ha a che fare con
altre figure, per esempio della cultura indiana, ecc. Invece Lacan mette
in rilievo non il significato più o meno universale, ma quello che lui
chiama il significante, che è sempre particolare. Abbiamo detto che
riprende i suoi concetti dalla linguistica strutturale di Saussure: la
linguistica strutturale si basa su una teoria del segno linguistico in
generale, per cui esiste un doppio versante del segno: da una parte il
significante, dall’altra il significato. Il suono tavolo è il
significante, mentre il tavolo indicato come tale nella lingua italiana
è il suo significato. In realtà Lacan ha messo l’accento sul
significante, in opposizione a Jung che invece lo mette sul significato.
Secondo Lacan, in effetti, l’inconscio è un insieme di significanti, i
quali però non sono tutti sullo stesso piano. Ci sono alcuni
significanti che hanno un valore privilegiato, e qui Lacan riprende
qualcosa che è completamente assente in Jung e anche nei post-freudiani:
Lacan dà un grande rilievo alla teoria sessuale di Freud. Questo sembra
strano perché ormai tutti sanno dai manuali che Freud è celeberrimo
nella nostra cultura perché ha detto che l’inconscio umano ha a che fare
soprattutto con gli impulsi e i desideri sessuali. Questo è talmente
vero che gli analisti dopo Freud hanno cercato di attutire questo
primato della sessualità in Freud, dando sempre più ai concetti sessuali
di Freud un senso e una connotazione metaforica: dicono che è sì
sessualità, ma sessualità nel senso dell’emozione, dell’affettività.
Così quello che conta sempre di più nei freudiani ufficiali è il
rapporto affettivo con la madre, il fatto che la madre sia più o meno
buona, e conta sempre meno il rapporto sessuale e in genere qualsiasi
cosa che abbia a che fare con i genitali. Certamente il concetto di
sessualità in Freud è molto ambiguo, e sappiamo che lui rompe con Jung
proprio sulla questione della sessualità, almeno ufficialmente questa è
stata la ragione. Lacan è uno dei pochi post-freudiani che dà invece
alla dottrina sessuale di Freud tutto il suo rilievo, nel senso però che
la sessualità ha il suo linguaggio. Lacan pensa che, poiché l’inconscio
è fondamentalmente linguaggio, esiste allora un inconscio perché noi
siamo degli esseri parlanti. Per il solo fatto che parliamo abbiamo un
inconscio, che è un effetto del linguaggio; per questa ragione non
possiamo parlare di un inconscio degli animali, ad esempio. Esistono
però alcuni significanti fondamentali come ad esempio il Nome del Padre
e il fallo in modo particolare. Poi nel suo pensiero più tardo Lacan
arriva a formulare delle specie di slogans, potremmo dire, che
assomigliano un po’ a certi slogans o certe frasi a effetto dei guru
orientali. Sapete che nel pensiero orientale – ad esempio nella pratica
zen - è abituale lanciare delle specie di frasi enigmatiche. Una delle
frasi enigmatiche del tardo Lacan era: «non c’è rapporto sessuale...».
Cosa diavolo voleva dire con questo? Se ne possono dare diverse
interpretazioni. Egli voleva dire sicuramente, riprendendo certi
concetti di Freud, che la differenza sessuale non è inscritta nel nostro
inconscio, perché nell’inconscio c’è solamente il fallo. Con questo
Freud non voleva dire che l’inconscio è maschile, voleva dire che
nell’inconscio abbiamo a che fare soltanto con il fallo, e che quindi
gli atti sessuali, i rapporti tra i sessi reali, non hanno
un’inscrizione inconscia, ma sono qualcosa che si produce in modo
artefatto. Potremmo dire che gli atti sessuali sono bricolage. Siccome
non ci sono due sessi psichici, ma i rapporti sessuali comunque, grazie
a Dio, avvengono, c’è qualcosa di artificioso, di surrealista, potremmo
dire, nei rapporti tra i sessi. Si sa che i surrealisti facevano dei
bricolage, dei montaggi. È un concetto abbastanza importante in Lacan:
il fatto che la sessualità non corrisponda ad una differenza sessuale
istituita. Per tornare alla sua differenza con Jung: Jung pensa che la
differenza tra maschio e femmina abbia una base inconscia, che egli
chiama animus e anima. L’animus è la parte maschile, diciamo così,
l’anima è la parte femminile dell’anima. Maschile e femminile hanno cioè
per lui un’inscrizione inconscia. Lacan, molto più freudiano, pensa che
esista una sola sessualità, articolata attorno al fallo e ai suoi
scambi, e che quindi ogni essere umano, maschio o femmina, si deve
“arrangiare”, come si direbbe a Napoli, attorno a questi significanti.
In questo senso credo che la reinterpetrazione lacaniana della teoria
sessuale di Freud sia molto originale.
6 - E cosa vuol dire Lacan, quando insiste sulla
natura squisitamente etica dell’inconscio freudiano?
Benvenuto - Uno dei migliori seminari di Lacan si chiama L’etica della
psicoanalisi. Come ho detto prima, effettivamente Lacan è doppio: c’è un
Lacan che parla, un Lacan insegnante che tiene dei seminari durati per
oltre venti anni; e c’è un Lacan che scrive. Ho detto che il Lacan che
scrive è un Lacan estremamente difficile da capire, perché usa un
linguaggio barocco, mentre il Lacan che insegna, come si vede dalle
trascrizioni dei suoi seminari, curate da Jacques-Alain Miller, è molto
più chiaro. Si capisce veramente fino a che punto Lacan abbia insegnato
la psicoanalisi freudiana ad un’intera generazione di analisti francesi.
E uno dei seminari più interessanti filosoficamente, è proprio questo
seminario sull’etica. In realtà egli torna continuamente sull’etica, nel
senso che effettivamente pensa che la psicoanalisi sia una scienza di
tipo particolare, che non ha niente a che vedere, quindi, con la
psicologia intesa come applicazione del modello della fisica alla
scienza dell’anima. Il suo interesse filosofico è essenzialmente in
questo: che in realtà l’analista non è uno scienziato dell’anima, ma è
una persona che rappresenta una istanza etica per il soggetto. Che cosa
vuole dire con questo?
Abbiamo detto che una delle novità di Lacan è l’idea che la psicoanalisi
abbia a che fare con il linguaggio. Ma questo che cosa implica? Quando
Lacan dice che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, egli dice
che lo strumento con cui l’analista e il suo paziente lavorano, cioè il
linguaggio, la parola, non sono un mero strumento per conoscere qualcosa
di esterno al linguaggio, ma l’inconscio stesso è linguaggio. Cioè, lo
strumento con cui analizzo l’inconscio fa parte della stessa sostanza
dell’inconscio. Mutatis mutandis, l’analista non ha una conoscenza
puramente oggettiva dell’inconscio. Il fatto che l’analizzante o
paziente parli dei suoi problemi, delle sue mancanze, delle sue
impossibilità e impotenze non è un puro oggetto dell’analisi: l’analisi
stessa fa parte di questo processo. Ora questa è una differenza
fondamentale rispetto alle scienze della natura, il cui modello è
fondamentalmente la fisica. Sappiamo che la fisica, da Galileo e Newton
in poi, ha avuto quel grande sviluppo che sappiamo proprio perché in
realtà ha sviluppato degli strumenti che sono assolutamente diversi dal
proprio oggetto. Il fisico usa il linguaggio della matematica e i suoi
oggetti sono in realtà oggetti fisici: calore, masse elettriche,
costellazioni, ecc. Ora questo per Lacan, da buon hegeliano, non può
avvenire nel caso della psicoanalisi, in quanto ha a che fare con
l’ethos nel senso greco, cioè con il carattere e il costume delle
persone, perché questo ethos non è il suo oggetto, ma la stessa
psicoanalisi è etica; e soltanto nella misura in cui la psicoanalisi è
etica che essa può influire sull’ethos, cioè sul costume e sul carattere
delle persone. Così come il fatto che la psicoanalisi è linguaggio fa sì
che essa possa influire sull’inconscio e sul suo stesso linguaggio.
Potremmo dire, al limite, che in psicoanalisi c’è un isomorfismo tra il
linguaggio e il suo oggetto: il soggetto e l’oggetto dell’analisi hanno
la stessa forma. È qui il motivo del profondo contrasto epistemologico
della psicoanalisi con le scienze fisiche. Ciò non toglie che il Lacan
più tardo pensi che la matematica sia estremamente utile, oltre che alla
fisica, anche alla psicoanalisi. Lacan si è occupato molto di logica e
di matematica ed ha sviluppato una sua teoria matematica abbastanza
particolare. Pensando che la scienza dell’inconscio avesse bisogno di
strumenti soprattutto geometrici, ha scelto soprattutto una branca delle
matematiche che si chiama topologia. La topologia studia soprattutto i
rapporti fra spazi, la struttura interna degli spazi. Se consideriamo
l’inconscio come uno spazio - che non possiamo certo definire mentale,
ma uno spazio circoscritto dal linguaggio - lo possiamo allora
descrivere in modo geometrico. Lacan pensa che sia possibile
matematizzare l’inconscio, e collegare tra loro matematicamente i
registri del reale, dell’immaginario e del simbolico.
Uno dei concetti fondamentali di Lacan è comunque questo: che,
contrariamente a quello che si pensa, l’analista è un agente etico,
perché in qualche modo inizia il paziente - cioè il soggetto - ad
accettare il proprio desiderio o, come dice Lacan, ad essere fedele al
proprio desiderio. Questa è un’interpretazione abbastanza originale che
Lacan dà di Freud. Freud pensava che i sintomi psicopatologici fossero
causati dalla rimozione, dovuta al fatto che il soggetto non vuole
saperne del desiderio inconscio, cioè della propria vera soggettività.
La guarigione o comunque una certa forma di rasserenamento, di
superamento della nevrosi, può essere conseguita quando il soggetto
realizza che attraverso la rimozione ha tradito il proprio desiderio, è
stato cioè infedele alla propria soggettività. Per Lacan l’azione etica
dell’analisi consiste non nel costringere, reprimere o frenare il
desiderio, ma nel far sì che il soggetto possa finalmente accettarlo. E
questo è anche uno degli obiettivi polemici di Lacan. Prima ho detto che
Lacan si è affermato con la parola d’ordine del “ritorno a Freud”; ho
anche detto che questo “ritorno a Freud” era in funzione un po’ polemica
al trend, come si direbbe oggi, allora prevalente nel mondo americano,
newyorkese, della Ego-psychology. Questa psicologia dell’Io ha dato
un’interpretazione di Freud, secondo cui la funzione etica dell’analista
sarebbe quella di rafforzare l’Io. L’Io è in qualche modo il nostro io
cosciente, razionale, ed ha a che fare con due nemici: con le proprie
pulsioni interne, e con il mondo esterno che gli chiede delle
prestazioni sempre più forti e difficili. Quindi l’analista deve
rafforzare l’Io per far fronte alla doppia minaccia delle pulsioni e del
mondo esterno. Sostanzialmente la funzione etica dell’analisi è dunque
una funzione di adattamento dell’Io alla realtà sociale esterna. Ora è
con questa protesta etica contro l’idea che l’analisi e l’analista siano
dei rappresentanti della società esterna e dell’adattamento che Lacan si
afferma fin dai suoi primi atti pubblici. Egli riafferma un’etica
secondo cui l’analista in realtà deve ricordare al soggetto che egli non
può fare a meno invece del proprio inconscio, che egli deve rassegnarsi
al proprio inconscio, al desiderio come lo chiama lui. Il desiderio -
désir è una traduzione francese che Lacan fa del termine freudiano di
libido - denota un desiderio fondamentalmente sessuale, ma non solo; la
libido o desiderio è la stoffa, la materia prima del nostro inconscio.
La fedeltà al desiderio è dunque la sola via di superamento del sintomo,
dunque non si tratta di un adattamento a imperativi sociali. Questa è la
specificità dell’etica di Lacan che noi, a nostra volta, possiamo
mettere in rapporto con la sua formazione culturale. Essa, come ho detto
prima, risale agli anni Trenta, subisce l’influsso di una
interpretazione “modernista” del pensiero di Hegel, avvenuto attraverso
l’insegnamento di Kojève, ed è sensibile alla protesta surrealista. Il
surrealismo era un movimento soprattutto artistico, ma anche politico ed
ideologico che si richiamava alla psicoanalisi di Freud, e che tendeva a
rivendicare una spontaneità fondamentale dell’inconscio. Non si poteva
agire artisticamente, non si poteva fondare una società nuova,
reprimendo o indirizzando l’inconscio sulle vie utili alla
sopravvivenza, ma bisognava invece “dare la parola” all’inconscio. Credo
che questa formazione del giovane Lacan abbia improntato tutta la sua
etica della psicoanalisi, la sua concezione dell’analista non come
rappresentante della razionalità scientifica, o di una saggezza
tradizionale, ma come qualcuno che lascia parlare l’inconscio, perché il
soggetto accetti il desiderio e si rassegni ai costi che esso impone.
7 - Più si procede nella descrizione del pensiero
di Lacan, più ci accorgiamo che il “ritorno a Freud” è una sorta di
eufemismo. Già abbiamo visto nel pensiero filosofico questa differenza
tra il positivista Freud e l’idealista Lacan. Ma anche sul piano dello
stile, si può ricordare che Freud ebbe, credo, un unico premio in vita
sua e fu un premio letterario, il premio Goethe per la letteratura, per
la sua scrittura chiara ed perspicua. Invece la scrittura di Lacan era
barocca e astrusa. Allora come la mettiamo con questo “ritorno a
Freud”?
Benvenuto - Si potrebbe rispondere in modo clinico,
si potrebbe eliminare il problema dicendo che Lacan aveva dei problemi
di scrittura, delle difficoltà personali, e per questo i suoi scritti
risultano difficili. Non ci sarebbe niente di male: abbiamo una
tradizione intellettuale illustre, da Socrate fino a molti moderni, di
pensatori, scienziati, filosofi che avevano delle grandi difficoltà a
scrivere, a cominciare da uno dei maestri di Lacan, Ferdinand de
Saussure, il fondatore della linguistica strutturale: egli non ha
scritto praticamente niente. Quello che sappiamo del pensiero di
Saussure lo sappiamo attraverso gli appunti dei suoi allievi. Un altro
maestro di Lacan, Kojève, ha lasciato una grande impronta nella cultura,
ma i suoi libri su Hegel sono in realtà trascrizioni degli appunti presi
da altri. Possiamo dire che gran parte del pensiero di Lacan è un
pensiero insegnato, raccolto da Jacques-Alain Miller, il quale, fra
l’altro, era anche suo genero. Quindi possiamo dire che, come per
Socrate, Saussure, Kojève e altri, anche quello di Lacan è soprattutto
un pensiero che si è trasmesso attraverso l’insegnamento.
Però sarebbe un modo troppo facile di eliminare il problema, anche
perché in realtà non possiamo affatto dire che Lacan fosse un cattivo
scrittore. Tutt’altro. Sono convinto che alcune pagine degli Ecrits,
degli Scritti, resteranno nelle letteratura francese di questo secolo.
Alcune pagine sono particolarmente brillanti, quindi possiamo dire che
era anche un brillante scrittore, come del resto lo era Freud. Anche in
questo caso c’è un certo influsso del surrealismo e di Georges Bataille.
Ma soprattutto credo che la scelta stilistica di Lacan dipenda proprio
dalla sua etica, che ha a che fare con quello che si è detto or ora.
Lacan non crede cioè in una scissione fra il linguaggio e l’oggetto, non
crede che si possa parlare dell’inconscio con un linguaggio razionale o
puramente razionalizzatore. Egli cerca una scrittura che sia adatta ad
esprimere l’inconscio, che non lo rappresenti e lo congeli dall’esterno.
Questa è una critica che si può fare persino ai surrealisti i quali,
quando scrivono le poesie surrealiste, si lasciano andare al loro
inconscio, però quando teorizzano sul surrealismo usano la sintassi
normale e, al limite, un linguaggio accademico. In un certo senso Lacan
è voluto andare oltre gli stessi surrealisti, ha voluto creare un
linguaggio teorico che fosse adatto al suo tipo di oggetto, e questo non
è qualcosa che ci debba stupire. Effettivamente quando Galileo
incominciò a descrivere il mondo fisico, compreso il mondo delle stelle
o della massa e dell’accelerazione con linguaggio matematico, risultò, a
quell’epoca, assolutamente incomprensibile. Infatti, prima di Galileo,
la tradizione aristotelica distingueva, scindeva in modo netto il mondo
fisico e il mondo della matematica. Fino a Galileo, per la tradizione
occidentale la matematica si occupava delle cose immutabili, dei
concetti puri, dei numeri, mentre il mondo fisico sublunare era
costituito dal mondo delle cose che mutano continuamente. L’impresa
scandalosa di Galileo fu di scommettere sul fatto che il linguaggio
delle cose eterne, la matematica era adatta a descrivere il mondo fisico
dove tutte le cose mutano. Lacan cerca di fare adesso, tenendo conto
degli ambiti diversi, un po’ la stessa cosa: egli scommette sul
barocchismo per descrivere scientificamente l’inconscio. Negli ultimi
anni egli ha lavorato molto sulla scrittura di James Joyce, di cui si è
occupato anche come caso clinico, in quando James Joyce certamente aveva
un inconscio abbastanza particolare, psicotico potremmo dire. Ma era
anche un grande scrittore, e Lacan era convinto che Joyce fosse
riuscito, attraverso la propria scrittura, a descrivere il mondo
attraverso uno strumento freudiano, potremmo dire una scrittura del
lapsus, sfruttando al massimo giochi di parole, allusioni, ecc. Il fatto
di usare un linguaggio gongorista, normalmente ambiguo, per Lacan era un
modo per parlare veramente dell’inconscio, non per aggirarlo, ma per far
parlare l’inconscio nella teoria. Se l’inconscio procede per
associazioni, per metomimie e metafore, le due figure retoriche
fondamentali che, secondo gli strutturalisti, regolano il flusso del
linguaggio, allora – pensava - bisognava scrivere anche sull’inconscio
in questo modo. Altrimenti si tradisce l’inconscio: parlare
dell’inconscio con il linguaggio delle scienze positive era per lui una
forma della rimozione. Quindi, dietro l’apparente confusione della sua
scrittura, c’è l’esigenza etica di trovare un tipo di scrittura adatta
al proprio oggetto.
8 - Per concludere, in uno degli Scritti di Lacan,
vi sono delle pagine dedicate al concetto della verità: c’è la verità
che parla. Ecco, è strano ritrovare questo concetto di verità
all’interno di una discussione psicoanalitica. Che cos’era la verità per
Lacan?
Benvenuto - Lacan si è occupato spesso della verità,
egli ha scritto anche un saggio che si chiama La scienza e la verità.
Ovviamente Lacan cerca di ridefinire il concetto di verità in senso
freudiano. Lacan è convinto che Freud non sia semplicemente uno
specialista degli affetti come molti post-freudiani pensano che sia.
Lacan in un certo senso ha idealizzato Freud: egli pensa che Freud abbia
creato una vera spaccatura nel pensiero occidentale, e che le altre
scienze debbano avere a che fare con la psicoanalisi. Questo è molto
importante perché, negli ultimi anni soprattutto, anche in Italia si
diffuso un dibattito molto vivace, in cui ci si chiede se la
psicoanalisi, quella freudiana in particolare, sia una scienza o no.
Possiamo dire che Lacan si è occupato di questa questione della
scientificità e quindi della verità scientifica della psicoanalisi, però
ribaltando dialetticamente la questione. Egli ha detto: «Cosa potrebbero
essere le scienze, tutte le scienze, fisica compresa, se tenessero conto
del contributo di Freud?». Il problema non è tanto di verificare fino a
che punto il pensiero di Freud sia scientifico, cioè se si adatti al
modello della fisica - che rappresenta ancora oggi per noi l’ideale
della scienza - ma che cosa potrebbe essere la stessa fisica se
incorporasse le verità di Freud. Il concetto di verità di cui Lacan si
occupa non è la verità della lunga tradizione metafisica che nasce da
Platone e Aristotele, e che tende a vedere la verità come adequatio rei
et intellectus, adeguazione o adeguatezza del pensiero alla cosa. Quando
parla di verità, Lacan parla sostanzialmente della verità del desiderio
o del godimento. Noi continuamente nella nostra vita facciamo delle
scelte d’oggetto. Per esempio quando ci innamoriamo, abbiamo
l’impressione che la donna di cui ci innamoriamo - o l’uomo per una
donna - sia l’oggetto che andavamo cercando da sempre, sin da quando
eravamo bambini. E a un certo punto ci possiamo rendere conto, anche
grazie all’aiuto del nostro analista, che in realtà questo oggetto non
era il vero oggetto. Qui Lacan parla di verità, in un senso non meno
concreto di quello della scienza. Noi abbiamo spesso la sensazione che
la nostra scelta d’oggetto non sia autentica, che il suo oggetto non sia
il vero oggetto. Lacan si interessa della verità soprattutto nel senso
della autenticità e non tanto dell’adeguazione di una rappresentazione
alla cosa reale. Che cosa intendiamo quando ci rendiamo conto, per
esempio, che la donna che amavamo non era il nostro vero oggetto, ma era
uno schermo del nostro vero oggetto, perché la psicoanalisi dietro
l’oggetto falso ci indica un oggetto più vero, la vera donna, il nostro
vero oggetto? Lo stesso Freud ci insegna che i nostri primi oggetti sono
oggetti infantili, ma, proprio in quanto oggetti infantili, sono oggetti
che non ritroveremo mai. Compiere un’autentica scelta d’oggetto non
significa tornare all’oggetto originario - che sarebbe in un certo senso
la madre o il seno materno - perché la madre ormai è vecchia o morta, o
semplicemente perché abbiamo superato il complesso edipico. Quindi in
realtà la funzione etica dell’analista non è quella di indicarci il vero
oggetto originario, ma di mostrarci che esistono oggetti-maschera,
oggetti che la tradizione analitica chiama narcisistici, e oggetti più
veri.
Che cos’è l’oggetto narcisistico? Lacan ha dato alla teoria del
narcisismo un contributo importante, accettato universalmente anche
dagli analisti non lacaniani, proponendo quella che lui ha chiamato la
fase dello specchio. Lacan mette in evidenza il fatto che il bambino a
pochi mesi, sei, sette, otto mesi, passa per una fase in cui si innamora
della propria immagine allo specchio. Il bambino scopre lo specchio,
cioè si rende conto che il bambino che vede nello specchio non è un
altro bambino, ma è lui stesso, e incomincia a flirtare un po’ come un
innamorato, comincia a corteggiare questa immagine di cui è estremamente
contento. Per Lacan questo è molto importante perché è alla base di
quello che poi lui chiamerà il registro immaginario: l’idea che il
nostro rapporto con gli altri passa attraverso l’immagine speculare, che
il nostro primo “altro” è la nostra stessa immagine. Ma il fatto che noi
percepiamo tutti gli altri per differenza o identità rispetto a questa
immagine con cui noi da bambini abbiamo fatto l’amore, non significa che
essa sia il vero oggetto del desiderio inconscio. Ora, non possiamo dire
che questo è il vero oggetto, perché è un oggetto che nella realtà non
ritroveremo mai; ma capire che è un punto vuoto ci permette di sfuggire
all’illusione del narcisismo. Che cosa si intende per illusione del
narcisismo? È l’idea che si crede di amare l’altro, ma in realtà si ama
soltanto la propria immagine. Ecco, questo è un altro punto fondamentale
dell’etica della psicoanalisi che Lacan mette in rilievo. Ci sono degli
esseri umani che confondono radicalmente gli altri con sé stessi, che li
amano come la propria immagine: questi nella psicologia clinica si
chiamano paranoici, pazienti di cui Lacan si è occupato a lungo,
soprattutto quando era giovane. I paranoici sono persone che entrano in
un rapporto di rivalità e di amore con gli altri solamente nella misura
in cui gli altri sono loro immagini. L’etica dell’analisi ci mette in
rapporto con questo oggetto che non potrà mai essere trovato, ma al
quale, proprio perché non può essere trovato, occorre che restiamo
fedeli. |