CATANIA - L'ascensore è il
più lento che sia mai stato costruito: per fare due piani di scale, ci
mette un minuto e quindici secondi: tra la salita e la discesa, volendo,
ci sarebbe il tempo per ascoltare un'intera canzone. Ma questo è meglio
non dirlo, a Franco Battiato, perché la sua passione per la lentezza non
arriva al punto da fargli amare quell'ascensore: quando gliel'hanno
consegnato, ha chiamato il tecnico della ditta e lo ha sfidato: lei prende
l'ascensore, io faccio le scale e mi fermo tre secondi su ogni gradino,
scommettiamo che arrivo prima io? Purtroppo per lui, ha vinto la
scommessa: a piedi si fa prima.
Per quanto non ci sia nulla di volontario - anzi - quella cabina che
sembra voler fermare il tempo è una splendida camera di compensazione per
chi passa dall'impaziente frenetismo di via Etnea - la drittissima strada
che taglia in due come una spada il centro di Catania - alla quiete
assoluta di casa Battiato. Una pace quasi irreale, protetta dai cristalli
antirumore delle finestre e osservata con diligente scrupolo da Said, il
devotissimo factotum che ha imparato a camminare senza farsi sentire.
Perché il magnifico paradosso nel quale ci si ritrova immersi varcando la
soglia è che questa è la casa di un musicista che ama il silenzio.
Non è un mistero: chi lo conosce, chi ama la sua musica, ricorda a memoria
una strofa rivelatrice: "Quanta pace trova l'anima dentro/ scorre lento il
tempo di altre leggi/ di un'altra dimensione/ e scendo dentro un Oceano di
Silenzio".
Se non ci fosse lui, seduto sul divano, se alle pareti non ci fossero i
suoi quadri che luccicano d'oro zecchino, se in fondo alla sala non ci
fosse quel pianoforte a coda, non si direbbe neanche che qui abiti uno dei
più celebri autori della canzone italiana: dischi, per dire, non se ne
vede neanche uno.
Tutto lo spazio l'hanno preso i libri, migliaia di
volumi perfettamente ordinati negli scaffali stracolmi che circondano le
stanze fino a sfiorare le volte affrescate, muti custodi delle sue ore
silenti. "C'è una canzone - confida Battiato - in cui ho scritto la mia
idea del silenzio. E' di qualche anno fa, si chiama Haiku, come le
brevissime poesie giapponesi". Certo, Haiku (Café de la Paix): "Seduto
sotto un albero a meditare/ mi vedevo immobile danzare con il tempo/ come
un filo d'erba/ che si inchina alla brezza di maggio/ o alle sue
intemperie". Lui sorride, guardandosi intorno: "Ecco, qualche volta in
questa stanza trovo esattamente quel silenzio...".
Non tutti i silenzi sono uguali, si capisce. "Nessun suono silenzioso può
farti sentire il silenzio, se i tuoi pensieri sono rumorosi: ma quando
riesci a raggiungere il vero silenzio, quello interiore, allora potresti
trovare silenzioso, anche se è molto difficile, persino un bar pieno di
gente". Una volta non la pensava così, Battiato. Quando sperimentava la
musica elettronica, quando spingeva il sintetizzatore ai limiti
dell'udibile, quando i suoi concerti riempivano gli stadi, di silenzio ce
n'era poco. "E' vero, allora facevo una musica con un suono distruttivo,
esagerato, suicida. Ma c'è un'età in cui si entra come in un buco nero, e
si è prigionieri di un ego istintuale, senza la consapevolezza di vivere.
Un giorno, dopo uno di questi concerti che finivano con gesti di
distruzione, di rabbia, di violenza, io capii che non volevo continuare su
quella strada. Sono momenti che ti cambiano. Arrivi dentro un imbuto e hai
bisogno di qualcosa che ti risolva la vita. Cerchi un'uscita terapeutica,
senti il bisogno di cancellare il negativo".
Fu così che Battiato cominciò a cercare il silenzio, compiendo quello che
sarebbe stato il primo passo di una lunga ricerca interiore, tra
misticismo e spiritualità. "Non conoscendo la tecnica della meditazione,
mi buttavo per terra e chiudevo gli occhi, come un selvaggio". Obbediva
ancora a un istinto, ma stavolta l'istinto lo spingeva ad allontanarsi
dagli istinti. Era l'inizio dello studio di sé. Quasi per caso, si imbattè
nello yoga, lesse di Sri Aurobindo, si appassionò a Paramahansa Yogananda,
scoprì l'arte della meditazione. "Cominciai la risalita". Prego? "Sì, la
risalita: l'eliminazione di quei difetti che ti impediscono di vedere come
sei. Lavorare per raggiungere quella chiarezza mentale che ti fa capire
quanto puoi essere miserabile".
Ognuno ha la sua strada per la "risalita". La sua lo portò verso il
sufismo, che per i mistici islamici è "la via del cuore che conduce alla
Presenza Divina". Lo accompagnò alla "legge dell'ottava" di Gurdjieff,
secondo la quale la scala musicale è una perfetta metafora della
distribuzione dell'energia nell'universo (una scoperta così folgorante da
indurlo a chiamare L'Ottava la sua piccola casa editrice che stampa le
opere dei mistici orientali). Lo spinse fino in Turchia, a incontrare i
Dervische Tourneurs ("che girano sulle spine dorsali/ o al suono di
cavigliere del Katakali") e a salire sul monte Athos, il monte sacro, in
cerca dei monasteri di clausura. "In quello di Simonos Petra ascoltai una
liturgia cantata che mi fece capire cosa significa pregare, un canto che
si elevava a silenzio". ("Perché la pace che ho sentito in certi
monasteri/ o la vibrante intesa di tutti i sensi in festa/ sono solo
l'ombra della luce").
Il silenzio, ancora il silenzio come chiave della conoscenza. Il silenzio,
quello che scompare quando comincia la musica. Battiato mi ferma: "No, non
sempre. Non è detto che le due cose non possano convivere nella stessa
stanza. Bisogna distinguere. La musica può essere una trasformazione
intellettuale dell'idea del divino, come la nostra grande musica sacra:
ascoltando alcuni brani io non posso non avvertire la presenza di un
ordine superiore, chiamiamolo così, di un'intelligenza pura "che per
l'universo intero si squaderna", come diceva Empedocle. Tutto questo può
anche essere molto rumoroso. Poi però ci sono anche delle musiche che
tendono alla purezza del suono, capaci di comporre il silenzio attorno a
chi lo cerca, musiche molto allineate al mondo che si esplora con la
meditazione, una dimensione nella quale i pensieri si allontanano
lasciando una sensazione del pensiero".
E lei, dove lo trova il silenzio? "In questa stanza, per esempio. O nella
mia casa di Milo, dove la natura ancora aiuta... Da maggio a settembre lì
c'è l'orgia del silenzio: adesso è pure franata la strada che passava
davanti a casa mia, non si sente più neanche una macchina". Già, la casa
di Milo, il buen retiro sulle pendici dell'Etna dove Battiato s'è
rifugiato dopo aver abbandonato Milano. Un'antica casa in pietra lavica
che lui ha restaurato meticolosamente, recuperando il vecchio palmento -
la sala della pigiatura, del mosto e delle botti - facendone il suo studio
di registrazione privato. In quella casa sull'Etna, dove Battiato passa
metà dell'anno, e dove con un po' di fantasia si potrebbero ritrovare le
atmosfere di Mal d'Africa ("Dopo pranzo si andava a riposare/ cullati
dalle zanzariere e dai rumori di cucina/ dalle finestre un po' socchiuse/
spiragli contro il soffitto/ e qualche cosa di astratto si impossessava di
me") lui ha voluto costruire anche una cappella.
E' cattolico, dunque? "Non esattamente. Ho una mia idea della spiritualità
e della religione. Ho imparato che la verità si può trovare dovunque.
Comunque, del buddismo mi piace la moderna concezione dell'esistenza. Del
sufismo, il loro essere così estremi nella ricerca di Dio, la bontà e la
sincerità a tutti i costi. Dell'induismo la meditazione, e la teoria della
reincarnazione". Crede davvero nella reincarnazione? "Assolutamente sì".
Lei una volta ha suonato per il Papa, ha tenuto un concerto nella sala
Nervi. "Sì, sono felice di averlo fatto". Ma c'è qualcosa, del
cattolicesimo, che non le piace? "Una volta ho avuto una discussione molto
accesa con un vescovo sulla transustanziazione, ovvero sul dogma secondo
il quale con la comunione il corpo di Cristo entra dentro di noi. Ma se ci
entra, poi come fa a uscirne? A me, gli ho detto, sembra una blasfemia.
Non l'ha presa bene".
Battiato fa meditazione due volte al giorno, per tre quarti d'ora. Apre la
finestra della sua camera da letto ("Perché è importante sentire il
contatto dell'aria fresca sul corpo"), cerca di ignorare il ronzio di un
condizionatore assai poco silenzioso di un negozio e si immerge nei suoi
pensieri. ("Emanciparmi dall'incubo delle passioni/ cercare l'Uno al di
sopra del Bene e del Male/ essere un'immagine divina/ di questa realtà").
Qualche volta mette anche un po' di musica. Una musica silenziosa, si
capisce. Ma c'è, tra le sue cento canzoni, qualcuna capace di non violare
la quiete? "Direi che Haiku è la più vicina, sonoramente, al mondo della
meditazione. "L'ombra della luce" è una preghiera cantata. "E ti vengo a
cercare" è il racconto di un possibile percorso mistico".
Già, quella è forse la canzone-chiave, per capire la "risalita" di
Battiato: "E ti vengo a cercare/ anche solo per vederti o parlare/ perché
ho bisogno della tua presenza/ per capire meglio la mia essenza". Quando
uscì, qualcuno la lesse come una canzone d'amore, vi scorse l'ombra di una
donna ("perché mi piace ciò che pensi e che dici/ perché in te vedo le mie
radici"). Lui sorride, ripensandoci. "No, non c'era nessuna donna. Cercavo
di volare più alto".
S'è fatto tardi, qualcosa mi dice che è arrivata l'ora della seconda
meditazione. Un pesante portone si chiude alle mie spalle, sigillando il
silenzio del musicista. L'ascensore è immobile, o forse si sta muovendo
con la sua angosciante lentezza galattica: in ogni caso, non fa il minimo
rumore.
(3 aprile 2005)