1. Il tawhiîd nel Corano e nella tradizione del Profeta
Per comprendere il senso del tawhîd
sufi occorre rifersi al testo coranico, essendo questo, come abbiamo
visto, la prima fonte dell’esperienza sufi. Qui mi limito ad alcuni
cenni generali. Le formule del tawhîd ritornano con insistenza (circa 82
volte) nel testo coranico e sotto le forme piu’ diverse.[2] Il testo
fondamentale per il tawhîd islamico e’ senz’altro il capitolo coranico
chiamato ‘Sura dell’ikhlâs ‘, cioe’ la sura della ‘fede pura’ (C 112).
Essa e’ la piu’ semplice ed anche la piu’ completa espressione
dell’assoluto monoteismo islamico, e luogo preferito nella recitazione
del testo coranico. Essa recita:
"Di’: Egli e’ il Dio (Allâh) - l’Uno (ahad)
-
il Dio (Allâh) il
Permanente-Immutabile (samad) -
Egli non e’ stato generato - ne’ e’
stato generato - nulla e’ simile a Lui".
E’ interessante notare come il termine
samad, che noi traduciamo come il ‘Permanente-Immutabile’, corrisponde
in realta’, secondo una lettura intertestuale assai convincente, al
termine ‘roccia’ nella Bibbia, in espressioni come ‘Yahweh e’ la roccia
di Israele’, cioe’ la base solida e permanente sostegno del suo popolo.
[3]
Un altro testo importante e’ quello tratto
dalla ‘Sura al-shûrâ’ (42, 11); esso recita :
"Nulla e’ simile a Lui; ed Egli e’
Colui che sente e vede”.
(laysa ka-mithli-hi shay'un; wa-huwa
al-samî’u l-basîr)
Il peso di tali formule nel contesto
coranico deve essere compreso alla luce del suo assoluto teocentrismo.
Lo studioso giapponese, Toshihiko Izutsu, che ha dedicato ampi studi
all’analisi semantica del testo coranico afferma in modo categorico:
"... dal punto di vista semantico Allâh e’
la parola-focale al grado piu’ alto nel vocabolario del Corano; essa
presiede sopra tutti i campi semantici e, conseguentemente, sopra tutt
il sistema [linguistico coranico”. [4]
La ripetizione continua di queste formule
coraniche hanno il piu’ profondo impatto sulle menti e sui cuori dei
credenti, e permeano i loro sentimenti con la piu’ profonda e forte fede
di assoluto monoteismo. L. Massignon nel suo studio sull’origine del
vocabolario sufi, Essai sur les origines du lexique technique de la
mystique musulmane' (Paris, 1922), ha giustamente messo in rilievo
l’importanza della tecnica dell’instinbât come mezzo di formazione del
vocabolario sufi.[5] Il termine instinbât (letteralmente ‘trarre l’acqua
da un pozzo profondo’) significa cercare il senso profondo di un testo.
Questo avviene normalmente mediante la ripetizione, anzi la manducazione
continua del testo che porta ad una immersione totale nel suo senso
profondo. Questa pratica sufi ha un evidente parallelo nella lectio
continua praticata negli ambienti del monachesimo orientale. Occorre
aggiungere anche che questa tecnica raggiunge il suo effetto piu’
efficace e profondo proprio nelle formule del tawhîd. Mediante la loro
incessante ripetizione l’interno del sufi (anima, mente e cuore) e’ come
invaso dalla presenza divina fino a perdere la coscienza personale di
se’, immergendosi e perdendosi sempre piu’ in Lui. Questa pratica della
ripetizione di formule religiose si chiama anche nella terminologia sufi
‘ricordo’ (dhikr) di Dio. Anche tale pratica ha molti parallelismi in
altre religioni.
Dopo il Corano, anche il hadîth, la
seconda fonte della fede islamica, riporta molte affermazioni sul tawhîd
che ripetono in generale il contenuto delle formule coraniche, pure con
qualche sviluppo semantico. [6]
2. Il tawhiîd nella storia del sufismo
Non si puo’ sviluppare qui in modo
dettagliato tale tema che e’ vasto quanto la storia del sufismo.
Ricordiamo solo alcuni testi di alcuni sufi famosi, che illustrano in
breve lo sviluppo del tawhîd nella storia del sufismo e i nuovi sensi
che e’ venuto acquistando coll’approfondirsi ed ampiarsi dell’esperienza
sufi. Con alcuni brevi commenti si mette in luce il punto originale dei
vari testi.
2-1.
Râbi’a al-’Adawiyya (m.185/801): Dio e’ il solo Amato.[7]
Amare
Dio solo.
Diceva
Râbi’a:
“O
mio Dio! Tutto il bene che hai decretato per me in questo mondo donalo
ai tuoi nemici. Tutto quello che hai preparato per me in Paradiso donalo
ai tuoi amici. Io invece non cerco che Te solo”.
E
diceva pure : “O mio Dio! Se Ti ho adorato per paura dell’Inferno,
bruciami nel suo fuoco. Se Ti ho adorato per speranza del Paradiso,
privami di esso. Ma se non Ti ho adorato che per Te solo, non privarmi
della contemplazione del Tuo volto”.
L’amore perfetto.
Ti amo di due amori: uno di passione
e uno di cui Tu solo sei degno.
L’amore di passione consiste
nell’occuparmi con il ricordo di Te
(escludendo) ogni altra cosa.
L’amore di cui Tu solo sei degno è
che tu tolga i veli sicchè io Ti veda.
Non a me va la lode in questo (amore) o in
quello,
ma a Te la lode e in questo e in
quello.
[Notiamo in questi semplici testi l’amore assoluto di Râbi’a per Dio
solo , con l’esclusione di ogni altro interesse. Râbi’a segna il
passaggio dalla tappa della rinuncia assoluta a quella dell’amore
assoluto per Dio].
2-2.
Dhû l-Nûn al-Misrî (m. 245/859): il vero gnostico [8]
Dio si
puo’ conoscere solo mediante Dio
Ho
conosciuto il mio Signore
per mezzo del mio Signore,
senza
il mio Signore,
mai avrei conosciuto il mio Signore. (25)
O Dio,
davanti alla gente ti invoco: O mio Signore!
Ma
nella solitudine ti chiamo: O mio Amato (habîb)!
Le
creature proclamano il tawhîd
O mio
Dio,
non ho mai inteso il grido di un animale, né il fruscio delle fronde
degli alberi
né il
mormorio dell’acqua né il soave canto degli uccelli,
né
percepito il dolce invito dell’ombra, o il sibilo del vento,
o il
fragore del tuono,
senza constatare che essi testimoniano della tua Unicità,
che
nulla al mondo è uguale a Te, che Tu domini e non sei dominato,
che Tu sai tutto e niente ignori, che Tu sei misericordioso e non
opprimi
con i
tuoi rimproveri, che Tu sei giusto e non commetti ingiustizia,
che Tu sei veritiero e non menti mai.
[Dhû l-Nûn al-Misrî introduce il tema
della vera conoscenza di Dio (ma’rifa-gnosi). Solo Dio puo’ farsi
conoscere direttamente dal sufi che acquista cosi’ una conoscenza
speciale di Dio e diventa un ‘conoscitore di Dio’, uno gnostico (‘ârif).
Lo gnostico allora ha una percezione nuova delle cose. Egli sente le
loro voci segrete che proclamano l’unita’ trascendente del loro
Creatore].
2-3.
Abû Yazîd al-Bistâmî (m. 261/874): l’ebbrezza dell’identita’ [9]
L’ascensione spirituale (mi’râj)
Si
ricorda che Abû Yazîd raccontò:
“Una
volta Dio mi elevò e mi pose davanti a Sé e mi disse: “Abû Yazîd, le mie
creature amerebbero vederti!”.
Risposi: “Ornami della Tua Unità, rivestimi della Tua Identità, elevami
alla Tua Unicità, cosicchè, quando le Tue creature mi vedranno, diranno:
“Abbiamo visto Te”. E Tu sarai quello (che vedono) ed io non sarò più
là”.
Si
ricorda ancora che Abû Yazîd raccontò:
“Quando mi fece arrivare alla testimonianza dell'Unita' (tawhîd) mi
separai da me stesso e corsi verso il mio Signore. E lo invocai in mio
soccorso e dissi: “O mio Signore, Ti invoco come colui cui null’altro
resta”.
Quando
conobbe la sincerità della mia preghiera e il mio disperare di me
stesso, la prima risposta che Egli mi diede fu di farmi dimenticare me
stesso completamente e di farmi dimenticare le creature e i regni
(celesti)”.
Poi
Abû Yazîd continuò:
“Così
fui liberato da ogni preoccupazione e fui sollevato da ogni altro
pensiero. E continuai ad attraversare regno dopo regno. Arrivando ad
essi dicevo: “Levatevi di mezzo, affinchè io passi!”. E io li toglievo
di mezzo per passare, ogni qualvolta li trovavo sulla mia corsa.
Poi
Dio mi fece avvicinare a Se stesso, più vicino dello spirito al corpo e
mi disse:
“O Abû
Yazîd, essi tutti sono mie creature: ma tu no!”
Allora
esclamai: “Quindi io sono Te, Tu sei me, io sono Te”.
b. La
vera identita’ sufi
Disse
Abû Yazîd:
“Io
non sono Io, Io sono Io perchè Io sono Lui;
Io
sono Lui, Io sono Lui: Io sono Lui, Lui”.
[Al-Bistâmî e’ il primo sufi che esprime lo stato di annullamento in Dio
(fanâ’). Mediante un’ascensione spirituale tremenda, il sufi si spoglia
completamente delle sue qualita’ personali, e ridotto a nulla assoluto
puo’ essere rivestito delle qualita’ divine. Allora scopre la sua
realta’ e identita’ vera: Io sono Te, Tu sei me!]
2-4.
Abû l-Qâsim al-Junayd (m. 298/910): il maestro del tawhîd [10]
La
vera professione del tawhîd
Il primo aspetto esoterico (sufi) della
professione dell' Unita' (tawhîd) e' affermare l'unita' (di Dio) negando
tutto cio' che e' stato ricordato (cioe' associare a Dio altri esseri
pari a Lui); mettendo in pratica il suo comando sia esteriormente che
interiormente; rigettando ogni speranza o paura che non sia Lui; e tutto
questo come risultato della profonda coscienza della presenza di Dio a
lui, e della presenza della chiamata di Dio a lui e della sua risposta a
Lui;
Il secondo aspetto esoterico (sufi) della
professione dell' Unita' (tawhîd) invece e' essere come un'ombra davanti
a Lui senza che vi sia un terzo fra i due, di modo che su di lui si
attuino i Suoi decreti, secondo le disposizioni della Sua onnipotenza,
poiche' egli (il sufi) e' sommerso nei mari del Suo tawhîd,
completamente annullato a se stesso e alla chiamata di Dio a lui e al
suo rispondere a Lui.
Siccome egli ha raggiunto le realta' della
Sua Unita'nella realizzazione della Sua prossimita', egli ha perso il
proprio percepire ed il proprio movimento, poiche' Dio compie in lui
cio' che vuole da lui. Questo significa che lo stato finale del servo e'
tornato allo stato iniziale: cioe' egli e' ora come era allora quando
era prima di esistere.
E la prova di questo e' la parola di Dio ,
l'Altissimo e l'Eccelso:
"E quando il tuo Signore prese i
discendenti dei figli di Adamo, dai loro lombi, e li fece testimoniare
su se stessi:'Non sono Io il vostro Signore?' Quelli risposero:'Si',
certamente!". (C 7, 172).
Chi esisteva allora? E come esisteva prima
di esistere? Chi poteva rispondere se non spiriti puri, semplici, santi
in accordo con la Sua efficace onnipotenza e la Sua perfetta volonta'?
Ora la sua esistenza e' come era allora prima che fosse.
Questo e' il supremo grado di
realizzazione della professione dell' Unita' dell' Uno (tawhîd ), in cui
chi lo compie perde se stesso.
[Al-Junayd, detto ‘il maestro dei
sufi’, e’ il primo a dare una spiegazione teorica all’esperienza del
tawhîd sufi, sempre piu’ comune fra i sufi del suo tempo. In tale stato
il sufi e’ completamente invaso dall’azione di Dio, completamente
annullato a se stesso tanto da non essere che un’ombra inconsistente nel
mare dell’azione divina. Allora il sufi esperimenta la sua esistenza
reale che e’ quella che aveva in Dio, prima della creazione].
2-5.
Al-Hallâj (m. 309/922): il martire del tawhîd [11]
Vieni in me per elevare il grazie a Te
stesso.
Arrivato al monte ‘Arafat, culmine del
pellegrinaggio, al-Hallâj esclamo':
O Guida dei perplessi, accresci la mia
perplessita' (in Te) (hayra )!
Se sono infedele, rendimi ancora piu'
infedele!
O mio Dio, glorioso Sovrano! Io Ti
riconosco puro, esente
da tutto cio' che i Tuoi adoratori
fanno per avvicinarsi a Te;
e da tutto cio' che dicono coloro che
professano la Tua unita', affermando che Tu sei Uno.
Tu sei al di la' di ogni immagine di
coloro che dicono: "Gloria a Te!",
e della proclamazione di coloro che
dicono: "Non c'e' Dio se non Allâh",
e dei concetti di coloro che ragionano du
di Te;
Tu sei al di la' di cio' che dicono i
Tuoi amici e i Tuoi nemici.
Tu sai che sono impotente ad offrirti
l'azione di grazie che sia degna di Te:
Vieni Tu dunque in me, perche' sia Tu
ad innalzare il grazie a Te:
questo e' il vero ringraziamento, non
altro!
Il Tuo radioso Mistero!
Quanto e' sublime Colui la cui umanita' ha
rivelato
il Mistero radioso della sua
divinita'che tutto penetra.
Quindi si e' manifestato alle sue creature
nella forma di uno che mangia e beve
(= umano);
Tanto che esse Lo hanno potuto
intravvedere
come in un lampo, in un battere di
occhi.
Il vero tawhîd
Fammi uno con Te, o mio Unico, nella vera
attestazione della Tua Unita':
a cio'nessun sentiero umano puo'
condurre!
Io sono un Reale testimone, ma solo il
Reale e' Reale testimone del Reale,
rivestendosi di Se stesso: fra noi
ormai piu' non c'e' separazione!
Ecco che il tutto si illumina di raggi
splendenti,
scintillanti nel baleno del fulmine.
Io sono Colui che amo
Io sono Colui che amo, e Colui che amo e'
me;
Siamo due spiriti che abitano un solo
corpo.
Se tu mi vedi, vedi Lui:
se tu vedi Lui, vedi Noi.
Tutte le religioni sono Uno
Ho riflettuto sulle religioni, cercando di
comprenderle;
ho trovato che sono rami diversi di un
solo tronco.
Non chiedere a nessuno di abbracciare una
certa religione,
lo allontaneresti cosi' dal suo
Principio.
Lui, il Principio, e' alla sua ricerca,
in Lui si rendono chiari tutti i
simboli e sensi;
Egli allora comprendera'.
[Al-Hallâj ha espresso la sua scoperta
del tawhîd sufi in modo appassionato ed esaltato fino al martirio.
Questa trasformazione profonda, operata dalla presenza di Dio che
rapisce il sufi da se stesso, e’ per lui la vera religione. Amore ed
unione sono mirabilmente coniugati nella sua esperienza. Alla fine egli
puo’ esclamare : Io sono Colui che amo. Questa e’ la vera vita, quella
eterna che supera la morte]
2-6.
Abû l-Qâsim al-Qushayrî (376/986-465/1074): il maestro delle tappe
spirituali
Al-Qushayrî e’ uno dei piu’ imporanti
trattatisti sufi. Scrisse un famoso Trattato sulla scienza del sufismo (Al-risâla
fî ‘ilm al-tasawwuf). Dal capitolo ‘La professione dell'unita' di Dio (tawhîd)’,
riportiamo alcuni detti sul tawhîd sufi. [12] La numerazione dei detti
e’ quella del testo tradotto.
La
professione dell'unita' di Dio (tawhîd)
5. La professione dell'unita' di Dio (tawhîd)
e' di tre specie:
a - (Il primo) e' la professione
dell'unita' di Dio nei confronti di Dio stesso: esso consiste nella
realta' che (Dio) sa (‘ilm) di essere Uno e rende noto che egli e'
Uno .
b - Il secondo e' la professione
dell'unita' di Dio nei confronti del creato: esso consiste nel fatto
che (Dio) dichiara che un suo servitore e' uno che professa l'unita'
di Dio (muwahhid) e che Egli stesso crea l'atto della professione
dell' unita' di Dio del suo servitore.
c - Il terzo e' la professione
dell'unita' di Dio delle creature nei confronti di Dio: esso
consiste nel fatto che il servitore sa (‘ilm) che Dio e' uno,
dichiara e professa che Dio e' uno (wâhid).
6. Interrogato a proposito della
professione dell'unita' di Dio, Dhû l-Nûn al-Misrî rispose:
"E' che tu sappia che l’onnipotenza divina
nelle cose e' senza mescolanza (non ha soci), che la sua azione nel
produrre le cose si effettua senza intermediari, che il suo fare e' la
causa (‘illa) di ogni cosa senza essere esso stesso causato; e infine
(che tu sappia) che Dio e' totalmente differente da tutto quanto tu puoi
immaginare nel tuo spirito".
8. Interrogato a proposito della
professione dell'unita' di Dio, al-Junayd rispose:
"Essa consiste nell'affermazione della
singolarita' assoluta (ifrâd) dell'unita' (di Dio) con la vera
comprensione e realizzazione (tahqîq) del suo 'essere uno' (wahdâniyya)
nella perfezione della sua unicita' assoluta (ahadiyya) e cioe' che Egli
e' l’Uno (al-wâhid) ‘che non genera ne' e' generato’ (C 112 , 3).
Il tawhîd significa negare assolutamente
che esistano degli oppositori (addâd) a Dio, o dei suoi pari (andâd) o
simili (ashbâh), evitando nel discorso ogni genere di similitudini
(tashbîh), modalita', immagini e paragoni (con le creature): ‘Nulla e'
simile a Lui, ed Egli e' colui che tutto ode e tutto vede’ (C 42, 11).
9. Al-Junayd ha pure detto:
"Quanto piu' le menti dei pensatori si
inoltrano nella professione dell'unita' di Dio, tanto piu' esse si
inoltrano nella perplessita' e nello smarrimento (hayra)".
17. Interrogato a proposito dell’essenza
(dhât) di Dio, Sahl b. ‘Abd Allâh rispose:
"L’essenza di Dio e' descritta mediante le
scienze, senza pero' essere circoscritta dalla comprensione (umana) o
essere vista da occhi (umani) in questa dimora terrena. Essa e'
percepita esistente a livello delle realta' credute (haqâ’iq) per fede,
senza essere limitata ne' circoscritta ne' fatta abitare (in un luogo)
(hulûl). Gli occhi Lo (Dio) contempleranno nella vita futura
manifestamente nella sua sovranita' ed onnipotenza.
Egli ha velato alle sue creature la
visione della profondita' della sua essenza (dhât), pero' mediante i
segni li ha orientati verso di esso. Quindi i cuori (qulûb) lo conoscono
(ma’rifa), ma le menti (‘uqûl) non lo possono raggiungere: i credenti
guardano verso di Lui con i loro occhi senza circoscriverlo ne' arrivar
alla fine (del suo mistero)".
18. Al-Junayd ha detto:
"La piu' sublime espressione sulla
professione dell’unita' di Dio e’ quella pronunciata da Abû Bakr
al-Íiddîq:"Lode a Colui che non ha dato alle sue creature altre vie per
conoscerlo se non la loro incapacita' di conoscerlo".
E il maestro Abû l-Qâsim (al-Qushayrî) ha
detto:
"Al-Íiddîq non ha voluto dire che Dio non
e' conosciuto. Infatti per i dotti in religione (muhaqqiqûn, i teologi)
l’incapacita' e' incapacita’ per qualcosa che e’ presente (esistente),
non per qualcosa che e’ assente (non esistente). Allo stesso modo che il
paralitico e' incapace di sedersi, e questo fatto non e' ne' una cosa
acquisita ne' una cosa prodotta in lui, dato che la capacita' di sedersi
e’ presente in lui (per natura). Allo stesso modo colui che conosce e'
incapace di conoscere Dio, sebbene la facolta' conoscitiva sia presente
in lui essendo una facolta' necessaria (della sua natura).
Secondo l’opinione di questo gruppo di
sufi la conoscenza di Dio (ma’rifa) e' in definitiva una cosa che deriva
necessariamente (dalla natura umana).
La conoscenza acquisita, invece, anche se
si tratta della conoscenza dei dotti, sta all’inizio (della conoscenza
di Dio). Ma al-Siddîq l’ha considerata un nulla in paragone alla
conoscenza necessaria (proveniente dalla natura), come una lampada di
fronte al sorgere del sole e al diffondersi dei suoi raggi sopra di
essa".
19. Al-Junayd ha detto:
"La professione dell’unita' di Dio che e'
esclusiva dei sufi e' isolare in modo assoluto (ifrâd) l'eterno (qadîm)
dal temporale (hadath), allontanarsi dai luoghi familiari, separarsi
dalle cose amate, negare tutto cio' che si conosce e che non si conosce;
sicche' Dio occupi il posto di tutto".
21. Al-Junayd ha detto:
"La scienza dell’unita' di Dio (‘ilm
al-tawhîd) e' diversa dalla sua esperienza (wujûd), e la sua esperienza
e' diversa dalla sua scienza".
28. E' stato detto:"La professione
dell’unita' di Dio significa fare cadere gli "-î" (pronome suffisso
della prima persona), in modo che tu non dica piu': a me, attraverso di
me, da me, per me".
33. Abû Sa’îd al-Kharrâz ha detto:
"La prima stazione di chi ha trovato la
scienza (‘ilm) della professione dell’unita' di Dio e ne ha raggiunto la
realta' (tahaqqaqa) e' che il ricordo degli esseri sparisca (fanâ’) dal
suo cuore ed egli rimanga solo con Dio (infirâd)".
35. Ibn ‘Atâ' ha detto:
"Il segno della realizzazione (haqîqa)
della professione dell’unita' di Dio (tawhîd) e' il dimenticare (nisyân)
la professione stessa: questo significa che colui che la compie e' uno
solo".
[In questi detti sul tawhîd il nome
del al-Junayd, riconosciuto come ‘il dottore del tawhîd’ predomina
chiaramente. In questi detti prevale l’idea che una vera conoscenza di
Dio, e quindi una sua contemplazione diretta e’ impossibile. Conoscere
Dio significa in realta’ conoscere di non conoscerlo. Una simile
teologia negativa e’ certamente prevalente in Islam, come pure in altre
teologie orientali, vedi ad esempio Dionigi l’Aeropagita. La ragione di
questo va ricercata nel fatto che solo Dio conosce il mistero della sua
Unita’; i pensieri e le immaginazioni degli esseri umani non potranno
mai avvicinarsi ad esso. Per questo, conclude Ibn ‘Atâ’, il vero tawhîd
e’ la dimenticanza di esso, perche’ chi lo compie in realta’ e’ uno
solo, cioe’ Dio, essendo l’essere umano ormai completamente annientato
in Lui. Questo pensiero introduce la problematica radicale del tawhîd
islamico, ben illustrata anche dal sufi che segue].
5. ‘Abd Allâh al-Harawî al-Ansârî (m.481/1089): il sufi delle cento
dimore.
Al-Ansârî, sufi del Khorâsân, hanbalita, cioe’ della piu’ stretta
ortodossia islamica, descrive nel suo libro Le dimore dei viandanti (i
sufi) cento tappe del cammino sufi, che si concludono col tawhîd, che e’
da lui espresso nei termini seguenti.[13]
“Nessuno ha proclamato che l’Uno e’ Uno:
chiunque lo abbia fatto e’ un negatore di Dio.
Chi
parla della Sua Unita’ come di una qualita’,
dice delle parole inconsistenti che Lui, l’Uno, rende vane.
Che
l’Uno proclami se stesso Uno, questa e’ la professione dell'Unita'
(tawhîdu-hu iyyâ-hu tawhîdu-hu);
chiunque voglia attribuire a Lui la qualifica di uno, qualifica se
stesso di empieta’”.
[Al-Ansârî esprime chiaramente in questo testo la problematica profonda
del tawhîd islamico in generale e di quello sufi in particolare,
problematica ormai chiara dal tempo di al-Junayd e al-Hallâj: chi puo’
proclamare il vero tawhîd? La risposta e’ categorica: solo Dio puo’
proclamare il suo tawhîd. E allora che parte ha l’uomo? La risposta e’
il silenzio].
2-6.
Muhammad b. ‘Abd al-Jabbâr al-Niffarî (meta’ del IV/X sec. ): il sufi
della visione massima. [14]
‘Abd
al-Jabbâr al-Niffarî, sufi solitario dell’Iraq del quarto secolo
islamico, ha espresso una delle piu’ singolari esperienze del sufismo.
In esso si percepisce l’esperienza dell’incontro bruciante con il ‘Tu’
divino che trascende tutto, perfino le sue manifestazioni, poiche’ Egli
mai si identifica con esse né mai è da esse condizionato. C’e’ in questo
sufi una forte esigenza di incontrare Dio a tu per tu, a faccia a
faccia, di contemplarlo al di la’ di tutti i veli cosmici, psicologici e
religiosi. La rivelazione di Dio in forma di lettere rimane pur sempre
per questo sufi singolare un velo alla pura contemplazione della sua
realta’ in se stessa. E’ la visione diretta di Dio che egli cerca, al di
la’ di ogni intermediario, anche della divina rivelazione stessa. Siamo
qui senza dubbio in presenza di una delle piu’ alte espressioni della
spiritualita’ islamica.
Riportiamo un brano tratto dal suo Il libro delle stazioni (Kitâb
al-mawâqif ), diviso in 77 stazioni o stasi interiori.
“E mi
disse: Io ti guardo ed amo che tu guardi a Me. Ogni atto di manifestare
[di creare le cose] ti vela a Me: la tua anima è un velo, la tua scienza
è un velo, la tua gnosi è un velo, i tuoi nomi sono un velo, la Mia
auto-rivelazione a te è un velo. Espelli quindi dal tuo cuore ogni cosa,
e espelli la scienza di ogni cosa, e il ricordo di ogni cosa. E tutte le
volte che Io manifesto al tuo cuore qualcosa che si manifesta [nella
creazione], rigettala all’inizio del suo manifestarsi: svuota il tuo
cuore per Me, affinché tu possa guardare a Me senza fare prevalere nulla
su di Me” (Mawâqif 15, 14)”. [15]
2-7.
Abû Hâmid al-Ghazâlî (450/1058-505/1111): il teologo sufi.
Al-Ghazâlî rappresenta il sommo dello
sforzo di riconciliazione tra esperienza sufi e dottrina ortodossa
sunnita. Per tale motivo fu chiamato ‘la Prova dell’Islam’ (hujjat
al-islâm). Egli ha riassunto tutta la sua visione nella sua summa dal
titolo significativo: ‘La rivivificazione delle scienze religiose’ (Ihyâ
‘ulûm al-dîn).[16] Da questo libro prendiamo un brano che illustra la
fede monoteista come base della stazione della confidenza in Dio. In
tale contesto al-Ghazâlî specifica pure il senso della fede monoteista.
Egli parla di quattro gradi di monoteismo che vanno dalla pura
professione verbale fino alla visione dell’Unicita’ assoluta di Dio, che
e’ al di la’ di ogni misura razionale.
La realta’ del
monoteismo (tawhîd) che e’ il fondamento della confidenza in Dio.
Il monoteismo dunque e’ il fondamento
[della confidenza in Dio]; e il discorso su tale argomento sarebbe
lungo, esso fa parte della scienza della rivelazione [mistica] (mukâshafa).
Si noti che alcune delle scienze delle rivelazioni [mistiche] dipendono
dalle opere (a’mâl) per mezzo degli stati interiori (ahwâl) e solo per
mezzo di questi la scienza della pratica religiosa (mu’âmala) e’
completa.[17] Quindi noi esporremo qui solo quel tanto che e’ connesso
con la pratica religiosa. Altrimenti... il monoteismo e’ un mare immenso
senza sponde!
Diciamo quindi: il monoteismo ha quattro
gradi, cioe’ esso si divide in nocciolo e nocciolo del nocciolo, e in
guscio e guscio del guscio. Per farci meglio capire da chi ha una mente
debole prendiamo come esempio una noce: essa ha una mallo formato da due
scorze, e un gheriglio che contiene dell’olio, che e’ la sua essenza
(lett. il nocciolo del nocciolo).
Il primo grado di monoteismo e’ quando uno
pronuncia con la bocca (lett. lingua): “Non c’e’ dio se non il Dio”,
mentre il suo cuore resta distratto da tale affermazione o la nega.
Questo e’ il monoteismo degli ipocriti.
Il secondo grado si ha quando il suo cuore
crede al senso di quello che dice, come fanno tutti i musulmani. Questa
e’ la professione di fede dei comuni credenti.
Il terzo grado si ha quando uno vede [l’unicita’
di Dio] nella rivelazione [mistica] (kashf) per mezzo della luce del
Vero (haqq): questa e’ la stazione di coloro che sono vicini [a Dio] (muqarrabûn).
[Questo succede] in quanto quel tale vede molte cose pero’ le vede,
malgrado la loro pluralita’, come emananti dall’Unico, Onnipotente (qahhâr).
Il quarto grado si ha quando l’uomo non
vede nell’esistenza che Uno solo. Questa e’ la visione (mushâhada) di
coloro che sono giunti al massimo grado di veracita’ [nella fede] (siddîqûn).
I sufi chiamano questo grado l’annientamento (fanâ’) nell’affermazione
dell’unicita’ divina (tawhîd). [Il sufi] infatti, dato che non vede che
Uno solo, nemmeno vede il suo io. E siccome non vede il suo io, essendo
completamente immerso nell’affermazione dell’Unico, la sua persona e’
annientata (fanâ’) a se stessa nella sua affermazione dell’unicita’
divina, nel senso che e’ annientata in lui la visione di se stesso e del
creato.
Il primo e’ monoteista soltanto con la
bocca; una professione del genere preserva il suo autore in questo mondo
dalla spada e dalle punte delle lancie.[18]
Il secondo e’ monoteista nel senso che
crede nel suo cuore al senso delle parole pronunciate, e il suo cuore
non rinnega cio’ di cui e’ convinto (lett. legato). Questa (convinzione)
e’ infatti come un nodo sul suo cuore senza alcuna apertura e
dilatazione. Essa pero’ salva colui che la abbraccia dal castigo
nell’Altra Vita, se egli muore in essa e i suoi peccati non hanno
allentato il suo nodo [della fede].[19] Tale nodo infatti e’ soggetto ad
espedienti intesi ad allentarlo o a scioglierlo; [questi] sono chiamati
innovazioni [arbitrarie] (bida’).[20] ........
Il terzo e’ monoteista nel senso che non
vede che un solo Agente (fâ’il), in quanto il Vero (haqq) gli si rivela
com’e’ in se stesso: egli [il sufi] non vede che un solo Agente reale.
E’ la Verita’ (haqîqa) che gli si e’ rivelata com’e’ in se stessa, senza
imporre al suo cuore di credere [lett. legarsi] a cio’ che e’ inteso col
termine Verita’.....
Il quarto e’ monoteista nel senso che
nella sua visione solo l’Unico e’ presente. Egli quindi vede il tutto
non come molteplice, ma come uno. Questo e’ il massimo (che si puo’
raggiungere) nel monoteismo.......
Se mi chiedi: “Com’e’ si puo’ spiegare che
[il sufi] non veda che un solo essere esistente, dato che egli pure vede
il cielo, la terra e tutti gli altri corpi percepiti dai sensi, e questi
sono molti. Come puo’ essere che il molti siano uno?”
Sappi che questa e’ il sommo delle scienze
delle rivelazioni [mistiche] e che non e’ lecito scrivere in un libro i
segreti di tale scienza. Gli gnostici (‘ârifûna) hanno dichiarato che
divulgare il segreto della Signoria (divina) (rubûbiyya) e’ un’empieta’.[21]
Inoltre tutto cio’ non ha nulla a che fare con la scienza della pratica
religiosa. Si’, purtuttavia si puo’ far menzione di qualcosa che possa
incrinare la foga del tua negazione. Il fatto e’ che una cosa puo’
essere molteplice da un determinato punto di vista o considerazione ed
essere nello stesso tempo una da un altro punto di vista o
considerazione. L’uomo, ad esempio, e’ molteplice se prendi in
considerazione il suo spirito, il suo corpo, le sue membra e le sue
vene, le sue ossa e le sue interiora, e nello stesso tempo uno da un
altro punto di vista o considerazione. Noi diciamo che l’uomo e’ uno:
egli infatti dal punto di vista dell’essenza umana e’ uno. Quanti,
allorche’ vedono una persona umana, non passa loro per la mente il
pensiero della molteplicita’ delle sue interiora, delle sue vene, dei
suoi arti, e tutte le particolarita’ del suo spirito, del suo corpo e
delle sue membra. La differenza fra i due sta nel fatto che quel tale e’
come immerso ed assorbito (mentalmente) nell’altra persona, egli e’
totalmente immerso nell’uno indiviso (che gli sta davanti). In un certo
senso e’ come se questi fosse nell’essenza dell’unione (‘ayn al-jam’)
(della persona), mentre quello che ancora prende in cosiderazione la
molteplicita’ e’ in uno stato di divisione (tafriqa).[22]
Allo stesso modo, si danno per tutto cio’
che esiste come creatore e creatura molti punti di vista e
considerazioni: da un punto di vista il tutto e’ uno, da un altro punto
di vista e’ molteplice, e il grado di molteplicita’ in esso puo’ essere
piu’ o meno grande. Esempio di cio’ e’ l’uomo, e, anche se esso non
corrisponde perfettamente allo scopo, tuttavia serve a mostrare come il
molteplice puo’ da un certo punto di vista diventare uno.
[Segue un lungo discorso allegorico in cui
al-Ghazâlî descrive un viandante alla ricerca della causa ultima dei
fatti visibili. Di causa in causa, chiedendo ad ognuno degli esseri che
incontra la causa del suo agire, egli sale attraverso tre mondi: dal
mondo della percezione sensibile, detto mulk (Regno) al mondo invisibile
della potenza, della volonta’ e della scienza divine, detto jabarût
(Potenza), al mondo della Penna e della Destra divine che eseguiscono
gli ordini della Potenza divina, detto malakût (Reame).[23] Egli giunge
quindi alla Presenza divina (hadra), nascosta da impenetrabili veli ed
e’ li’ che egli viene intepellato direttamente da essa, senza pero’
vederla[24]]
Allora (udendo tali parole) egli (il
viandante) fu sul punto di deviare (dal giusto cammino) e lasciare che
la sua lingua avesse l’ardire di interrogare, ma fu reso saldo dalla
salda parola (Cor. 14, 27), e da dietro il velo delle cortine della
Presenza divina (hadra) fu interpellato da una Voce che grido’: “(A Dio)
non viene chiesto conto di cio’ che fa, mentre a loro verra’ chiesto
conto” (Cor. 21, 23). Egli fu sopraffatto dal timore della Presenza
divina (hadra), e cadde a terra svenuto come colpito da una folgore
(Cor. 7, 143), tremante di paura nella sua impotenza. Quando rinvenne,
esclamo’: “Gloria a Te! Quanto sei maestoso! Ecco, torno a Te pentito e
a Te mi affido! Credo che Tu sei il Re (malik), il Possente, l’Unico
(wâhid), il Dominatore! Altri non temo che Te, non ho speranza in altri
che Te, ne’ cerco rifugio dal tuo castigo che nel tuo perdono, e dalla
tua collera nel tuo compiacimento. Altro non mi resta che chiederti,
implorandoti e supplicandoti al tuo cospetto: ‘Aprimi il petto affinche’
Ti conosca! Sciogli il nodo della mia lingua affinche’ proclami le tue
lodi” (cf. Cor. 20, 25.27).
Allora la Voce da dietro il velo mi
interpello’ di nuovo dicendo: “Guardati dalla tua brama di lodarmi e
(dal voler) superare il Signore dei profeti! Piuttosto fa riferimento a
lui, e cio’ che ti ha dato prendilo, da cio’ che ti ha proibito
astieniti (Cor. 59, 7), e cio’ che ti ha detto dillo. Infatti su questa
Presenza non ha detto niente di piu’ che: “Gloria a Te! Io non posso
enumerare le tue lodi, Tu sei come Tu ti sei lodato”.[25]
Allora egli disse: “Mio Dio, se la lingua
non puo’ avere l’ardire di lodarti, potra’ il cuore avere il desiderio
di conoscerti?”. Ma quella Voce mi interpello’ di nuovo dicendo:
“Guardati dall’oltrepassare i credenti veraci, ma fa riferimento al piu’
verace dei credenti e imitalo.[26] Infatti i compagni del Signore dei
profeti sono come le stelle: chiunque di loro imitiate, sarete ben
guidati.[27] Non lo hai sentito dire: ‘L’incapacita’ di giungere a
comprendere [Dio] e’ la [sua] vera comprensione?’[28] Ti basti quindi
avere della nostra Presenza la conoscenza che tu sei escluso da essa,
impotente a contemplare la nostra bellezza e maesta’”.[29]
A questo punto il viandante (sâlik) torno’
indietro e prese scusarsi per le sue domande e i suoi rimproveri, e
disse alla Destra, alla Penna, alla Scienza, alla Volonta’, alla Potenza
e a tutti gli altri: “Accettate le mie scuse! Ero uno straniero, da poco
tempo entrato in queste regioni, e ‘chiunque entra (un paese nuovo) e’
disorientato’.[30] Se vi ho disapprovato fu solo per mia deficenza ed
ignoranza. Ora ho compreso la validita’ delle vostre scuse e mi e’
apparso chiaro che Colui che solo possiede il Regno (mulk) ed il Reame (malakût),
la Maesta’ e la Potenza e’ l’Unico (wâhid), il Dominatore. Voi non siete
che esseri soggetti al suo Dominio e Potenza, sempre in balia della sua
presa. Egli e’ il Primo (awwal) e l’Ultimo (âkhir), il Manifesto (zâhir)
e il Nascosto (bâtin) (Cor. 57, 3)”.
Quando pero’ parlo’ di tali cose nel mondo
visibile (shahâda), tali affermazioni furono considerate inverosimili e
gli fu detto: “Com’e’ possibile che Egli sia il Primo e l’Ultimo, dato
che sono due qualita’ contradittorie? Come puo’ essere il Manifesto e il
Nascosto? Giacche’ il primo non e’ ultimo, e il manifesto non e’
nascosto”. Egli replico’: “Egli e’ il il Primo in rapporto agli esseri
esistenti, dato che tutto il tutto e’ uscito da Lui secondo un ordine
stabilito, una cosa dopo l’altra. Egli e’ l’Ultimo in rapporto agli
esseri che vanno verso di Lui, questi infatti non cessano di ascendere
di stazione in stazione finche’ terminano a quella Presenza: questo e’
il termine del loro viaggio (safar). Egli quindi e’ l’Ultimo in rapporto
alla visione (mushâhada) e il Primo in fatto di esistenza (wujûd). Egli
e’ nascosto per coloro che sono attaccati al mondo visibile e cercano di
compenderlo mediante i cinque sensi; Egli e’ manifesto per coloro che lo
cercano con [la luce] della lampada che si e’ accesa nel loro cuore
mediante la percezione interiore (basîra) che penetra nel mondo del
Reame”.
Questo e’ il monoteismo dei viandanti sul
cammino del monoteismo in rapporto all’agire, cioe’ quando viene loro
rivelato che l’Agente (fâ’il) e’ unico.
8-2.
Muhyî al-Dîn Ibn ‘Arabî (560-638/1165-1240): l’oceano delle
manifestazioni divine.[31]
Con ‘il Massimo Maestro Sufi’, Muhyî
al-Dîn Ibn ‘Arabî, il sufismo entra in una dimensione piu’ complessa.
Egli ha saputo produrre una vera e propria filosofia sufi, intesa come
visione generale dell’essere sulla base dell’esperienza sufi.
Tale visione e’ stata definita con termini
di wahdat al-wujûd, espressione che indica una “visione unitaria, al
limite monista, dell’essere”. Tutto e’ Uno e l’Uno e’ Tutto. Questa
formula neoplatonica bene esprime la visione di Ibn ‘Arabî, aggiungendo
pero’ che questa non e’ una pura lettura razionale della realta’ (come
nei filosofi), ma che essa e’ ispirata ed illuminata dalla rivelazione
religiosa dell’Islam, cioe’ dal Corano e dalla Tradizione della
comunita’ dei credenti. Gli scritti (numerosissimi, oltre 400) di Ibn
‘Arabî infatti sono un continuo commento e una continua spiegazione dei
testi fondanti della fede islamica.
Uno grande studioso egiziano di Ibn
‘Arabî, Abû ‘Alâ ‘Afîfî, cosi’ riassume tale visione unitaria:
"La realta’ dell’essere e’ una nella sua
sostanza ed essenza, plurale nei suoi attributi e nomi. Non c’e’
pluralita’ se non rispetto alle considerazioni, relazioni e
specificazioni di essa... Se lo (l’essere ) consideri secondo la sua
essenza lo chiami Verita’-Realta’ creatrice (haqq), se lo consideri
secondo i suoi attributi e nomi, cioe’ secondo il suo apparire
nell’essenze possibili, lo chiami creatura o mondo (khalq)”.[32]
Paragonando il pensiero di Ibn ‘Arabî con
quello delle religioni orientali come l’Induismo, il Taoismo, il
Buddismo, ecc., lo studioso giapponese Toshihiko Izutsu notava che Ibn
‘Arabî con la sua filosofia sufi e’ andato ben oltre alla comprensione
normale della fede islamica. Cosciente o no, egli si e’ unito alla vasta
corrente di pensiero monista orientale che puo’ essere considerata: “...
un archetipo di pensiero filosofico che, espresso in maniere differenti,
si trova in tutti i grandi filosofi delle differenti tradizioni
orientali”. [33]
Sulla base di tale visione unitaria
dell’essere Ibn ‘Arabî puo’ rileggere la formula tradizionale di lode a
Dio in termini monistici escalmando:
"Lode a Dio che ha crato tutte le cose,
essendo Lui stesso la loro essenza”.
Percio’ ripete continuamente: [34]
“Non guardare al Reale (haqq), privandolo
del mondo-creatura (khalq);
E non guardare al mondo-creatura
(khalq) senza rivestiro del Reale (haqq).
Giungendo ad espressioni paradossali come:
[35]
"Egli mi loda, e io lo lodo,
Egli mi adora e io lo adoro;
Come puo’ essere indipendente,
quando sono il che Lo aiuto e Lo
sostengo?
Per tal motivo il Reale mi ha fatto
esistere,
affinche’ io lo conosca e lo faccia
esistere.
E nella stessa visione parlando dell’amore
arriva ad affermare:
“Il movimento che è l'esistenza del mondo
fu un movimento di amore... Senza tale amore il mondo non sarebbe venuto
all'esistenza; quindi il movimento dal nulla all'esistenza è il
movimento del Creatore verso di essa (esistenza)... Resta quindi provato
che il movimento fu un movimento di amore, e che quindi non c'è
movimento nell'universo se non in relazione all'amore”. [36]
Per tal motivo egli vede che Dio e’
adorato ed amato in tutte le forme di amore dato che queste sono solo
aspetti particolari di un amore ontologico totale. Per cui quando
diciamo di amare Dio o qualsiasi altra realta’, in realta’ e’ Dio che
ama se stesso in noi ed in ogni altra creatura.
Sulla base di tale visione unitaria
dell’essere Ibn ‘Arabî, insieme a molti altri sufi, giunge ad affermare
che tutte le religioni sono valide, perche’ esse sono in realta’
manifestazioni diverse di una sola religione fondamentale. Questa
visione e’ chiamata comunemente “l’unita’ delle religioni”, assai comune
fra i sufi. Dio si manifesta in infinite manifestazioni. Il vero
peccato, frutto di ignoranza, e’ isolare una di esse e credere che essa
sia l’unica, vera manifestazione di Dio. Il vero gnostico e’ colui che
sa andare al di la’ delle apparenze per arrivare all’unica Essenza
divina.
Ibn ‘Arabî ha espresso tale sua visione in
versi che sono diventati immortali, continuamente ripetuti da coloro che
vedono in essi l’espressione dell’ “unita’ delle religioni”:
“Ora il mio cuore e’ capace di ogni forma:
e’ convento dei monaci e tempio degli
idoli;
il prato delle gazzelle e la Ka’ba del
pellegrino,
le tavole della Torah e il testo del
Corano.
Mia religione e’ l’amore ovunque portino
le sue cavalcature:
l’amore e’ la mia religione e la mia
fede”.[37]
Alla luce di tale esperienza unitaria Ibn
‘Arabî percepisce la voce profonda della Realta’ suprema che lo chiama
all’unione piu’ totale:
Invito all’amore [38]
O mio diletto, ascolta!
Io sono la realta’ del mondo,
il suo centro e la sua circonferenza,
le sue parti ed il suo tutto.
Io sono la volonta’ fissata fra il cielo e
la terra,
non ho creato in te la sua percezione
se non per essere io stesso oggetto della
mia percezione.
Se dunque tu mi percepisci, percepisci te
stesso,
ma non riusciresti a percepirmi
attraverso te stesso.
E’ attraverso il mio occhio
che tu vedi me e vedi te stesso,
non e’ col tuo occhio che puoi percepirmi.
O mio diletto!
Quante volte ti ho chiamato
e tu non mi hai sentito!
Quante volte mi sono mostrato a te
e tu non mi hai visto!
Quante volte mi sono trasformato in
soavi effluvi
e tu non te ne sei accorto!
Quante volte in cibo squisito
e tu non l’hai gustato!
Perche’ non puoi raggiungermi
attraverso gli oggetti che tocchi,
o respirarmi attraverso i profumi?
Perche’ non mi vedi?
Perche’ non mi senti?
Perche’? Perche’? Perche’?
Per te le mie delizie superano
tutte le altre delizie,
e il piacere che ti procuro supera
tutti gli altri piaceri.
Per te sono preferibile
a tutti gli altri beni.
Io sono la bellezza,
io sono la grazia.
O mio diletto, amami!
Ama me solo, amami d’amore!
Nessuno ti e’ piu’ intimo di me!
Gli altri ti amano per se stessi,
ma io ti amo per te stesso:
e tu, tu fuggi lontano da me!
O mio diletto,
tu non puoi trattarmi con equita’;
se tu ti avvicini a me
e’ perche’ io mi sono avvicinato a te.
Io sono piu’ vicino a te di te stesso,
della tua anima, del tuo respiro.
O mio diletto,
andiamo verso l’unione...
andiamo con la mano nella mano.
Entriamo al cospetto della verita’,
che sia lei il nostro giudice
e imprima il suo sigillo sulla nostra
unione per sempre.
[La Realta’ suprema e’ l’essenza di
tutto, l’intimo dell’intimo di tutto, di ogni cosa, ma soprattutto
dell’essere umano che e’ fatto a sua immagine, ed e’ riflesso dei suoi
attributi divini. Il rapporto fra la Realta’ e la sua immagine non puo’
essere che quello dell’amore piu’ reale e piu’ coinvolgente. Solo la
cecita’ di fronte alla Luce del Reale puo’ far credere ad una
separazione e lontananza. Ma il richiamo del Reale risuona dal piu’
intimo dello spirito umano; questo non deve far altro che seguire tale
voce].
Note
[1] La maggior parte dei seguenti testi sufi sono tratti dalla mia
antologia storica di testi sufi tradotti dall’arabo in italiano,
Giuseppe Scattolin, Esperienze mistiche nell'Islam, EMI, Bologna:
vol. I Gli inizi di un cammino (1994); vol. II: Le tappe di un
cammino, (1996); vol. III: al-Niffarî e al-Ghazâlî, (2000).
[2] Vedi il classico dizionario coranico
di Fu'âd ‘Abd al-Bâqî, Al-mu’jam al-mufahras li-alfâz al-qur’ân al-karîm,
Cairo, Dâr al-Hadîth, (1st ed. 1958) 1406/1986, pp. 38-39.745.
[3] Michel Cuipers, “Une lecture
rhétorique et intertextuelle de la Sourate al-Ikhlâs”, in MIDEO, 25-26,
2004, 141-175.
[4] Izutsu Toshihiko, God and Man in the
Koran, Tokyo, Keio Insitute, 1964, p. 75.
[5] Louis Massignon, Essai sur les
origines du lexique technique de la mystique musulmane, Paris, Cerf,
1999 (P. Geuthner, 1922; Vrin, 1954), pp. 45-49, 105-106.
[6] La classica riferenza degli hadith e’
A. J. Wensinck, Concordance et indices de la tradition musulmane, E. J.
Brill, Leiden, 1936-1969, 7 vols.
[7] Esperienze mistiche , I pp. 54-60.
[8] Esperienze mistiche , I pp. 62-69.
[9] Esperienze mistiche , I pp. 78-88.
[10] Esperienze mistiche , I pp. 93-102.
[11] Esperienze mistiche , I pp. 103-132.
[12] Esperienze mistiche, II: pp. 581-588.
[13] ‘Abd AllIah al-Harawî al-Ansârî,
Kitâb manâzil al-sâ'irîn, Cairo, 1962, pp. 138-139.
[14] Esperienze mistiche III, pp. 15-155.
[15] Esperienze mistiche III, pp. 90-91.
[16] Esperienze mistiche III, pp. 157-277.
[17] In questo paragrafo abbiamo lo schema
fondamentale del pensiero di al-Ghazâlî. La scienza (‘ilm) ricevuta
dalla rivelazione (mukâshafa) non diventa effettiva (mu’âmala) se non
viene tradotta negli stati interiori (ahwâl) corrispondenti e nelle
opere (a’mâl). La pratica della scienza religiosa e’ sempre necessaria
affinche’ essa si realizzi, cioe’ diventi operante nel credente e quindi
scienza vera.
[18] Ossia dalla pena capitale riservata
nella legge islamica ai politeisti che non si convertono all’Islam.
[19] Nel testo arabo c’e’ un sottile gioco
di parole dato che il termine che indica l’atto del credere (i’tiqâd) e’
derivato dalla radice che indica fare un nodo (‘uqda): credere e’ quindi
annodare il cuore a qualcosa.
[20] Il termine bid’a/bida’ (innovazione
arbitraria) e’ il termine classico per indicare cio’ che nel
Cristianesimo e’ espresso col termine eresia. Per l’Islam si tratta di
qualcosa di nuovo, di una innovazione (bid’a) non esistente nella
tradizione prima dell’Islam, cioe’ nel Corano e nelle tradizioni
profetiche.
[21] Al-Ghazâlî accenna qui ad un
importante principio sufi: non bisogna divulgare il segreto della
Signoria (divina) (rubûbiyya), cioe’ le conoscenze speciali di cui
alcuni sono favoriti da Dio soprattutto riguardo al mistero della sua
Unita’. Al-Ghazâlî, come pure altri sufi, ne parlano a lungo confermando
e giustificando il principio dell’esoterismo sufi. La condanna del
grande sufi al-Hallâj (m. 309/922) e’ citata spesso come esemplare per
il sufi che contraddice tale regola, (vol. I pp. 103-132).
[22] ‘ayn al-jam’ (l’essenza dell’unione)
e’ uno dei piu’ alti stati sufi. Qui esso e’ descritto da al-Ghazâlî
come lo stato in cui il sufi vede solo l’unita’ senza aver piu’
percezione della molteplicita’, quindi vede solo Dio come esistente
senza piu’ percepire la molteplicita’ degli esseri; tafriqa (divisione)
e’ lo stato opposto, in esso la molteplicita’ e’ sempre presente.
[23] Al-Ghazâlî accenna qui a tre livelli
di realta’ o mondi: uno detto mulk (Regno) o shahâda (il mondo visibile)
e’ il mondo della percezione sensibile, un altro detto malakût (Reame)
e’ il mondo delle realta’ invisibili, spirituali. Fra i due mondi esiste
una corrispondenza per cui ogni oggetto visibile e’ ‘immagine’ (mithâl)
di una realta’ invisibile. Fra i due esiste poi un terzo mondo detto
jabarût (Potenza dominatrice) che non e’ chiaramente definito. Questa
classificazione, pur con modificazioni, e’ comune anche ad altri sufi.
[24] Il termine arabo presenza (hadra) e’
un concetto complesso. Esso e’ usato nel linguaggio normale per indicare
‘la presenza di qualcuno o qualcosa”, in particolare “la presenza del
sovrano in tutta la sua maesta’ ed autorita’”, in tale contesto diviene
sinonimo di ‘maesta’ e potenza’. Nel linguaggio sufi in generale il
termine hadra indica la percezione viva della presenza Dio come il
Signore assoluto di tutto di fronte cui l’essere finito si sente
annientato. Nel linguaggio popolare il termine hadra viene usato per
indicare le sedute sufi, accompagnate spesso da musica e canti, che
hanno lo scopo di suscitare nei presenti la percezione interiore della
Presenza divina fino allo stato di estasi o trance.
[25] Wensinck, Concordance I, 304a.
[26] E’ Abû Bakr (m. 13/634)
soprannominato al-Siddîq (il credente per eccellenza) a causa della sua
fede sincera mostrata in varie occasioni.
[27] Hadith non contenuto nelle raccolte
ufficiali, ma citato in altre fonti. Esso e’ importante per i sufi come
imitazione dei compagni di Mu?ammad.
[28] Detto attribuito da varie fonti a Abû
Bakr e spesso citato dai sufi, vedi sopra, v. nella Risâla di
al-Qushayrî n, 18. Il prendere coscienza della propria impotenza a
conoscere Dio sembra essere per al-Ghazâlî il massimo grado di
conoscenza di Dio.
[29] I termini jamâl (bellezza) e jalâl
(maesta’) indicano per i sufi i due attributi fondamentali di Dio, da
cui tutti gli altri derivano; la loro unione forma la kamâl
(perfezione): essi formano una triade che spesso ricorre nei testi sufi.
[30] Accenno ad un proverbio arabo:
“Chiunque entra per la prima volta in un paese e’ disorientato”.
[31] Per una buona introduzione a Ibn
'Arabî vedi Abû 'Alâ 'Afîfî, The Mystical Philosophy of Muhyid'Dîn
Ibnul-’Arabî, Cambridge, 1936; William C. Chittick ,The Sufi Path of
Knowledge: Ibn al-'Arabi's Metaphysics of Imagination, Albany (New
York), 1989.
[32] Ibn 'Arabî, Fusûs al-hikam, Abû 'Alâ
'Afîfî (ed.), Dâr al-Kitâb al-'Arabî, Beirut: Introduzione pp. 24-25
[33] Izutsu Toshihiko, Unicité de l'existence
et création perpetuelle en mystique islamique, trad. franç., Paris,1980,
p.51
[34] Fusûs ('Afîfî) p.93.
[35] Fusûs ('Afîfî) p.83
[36] Fusûs ('Afîfî), pp. 203-204.
[37] Ibn al-’Arabî, Tarjumân al-ashwâq,
ed. by Reynold A. Nicholson, London, Royal Society, 1911 p. 19;
Annemarie Schimmel, Mystical Dimensions of Islam, Chapel Hill (North
Carolina): The University of North Carolina, 1975, pp. 271-272.
[38] Eva de Vitray-Meyrovitch, Anthologie
du soufisme, Sindbad, Paris, 1978, pp. 46-47. |