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Ballando con Allah Per alcuni sono soltanto un’attrazione turistica. Eredi di un famoso mistico musulmano che predicava l’amore e la tolleranza, i "dervisci danzanti" in realtà rappresentano il volto dialogico e mite dell’Islam. La preghiera coranica inizia, dolce e litanica. Poi cede il passo al canto malinconico del flauto di canna, il ney. Una quindicina di giovani prendono posto al centro della sala circolare. Sono raccolti, concentrati come si conviene agli officianti di una sacra liturgia. Un anziano dai capelli bianchi li accoglie, si inchina e guida i loro passi. È il sey, il maestro, che accompagna il viaggio spirituale verso Dio. La musica diventa corale. Si moltiplicano i flauti, si aggiungono i tamburi e una viola fa da contrappunto alle voci maschili. Saranno una cinquantina i protagonisti di questa cerimonia antica dal fascino indiscusso. È il Sema, la preghiera dei dervisci danzanti, nata dalla mistica dell’Islam, il sufismo, e filtrata attraverso l’ecumenismo ante litteram di Celaddin Rumi, il poeta filosofo chiamato Mevlâna ("la nostra guida"). Contemporaneo di Francesco di Assisi, in qualche modo il saggio vissuto nelle steppe dell’Anatolia ne richiama il messaggio di shalom universale, la regola della carità, l’invito all’accoglienza senza giudizio. Non sarebbe dispiaciuto al "poverello" ritrovarsi fianco a fianco con i "mendicanti", termine persiano da cui proviene la parola dervisci. «Vieni, ritorna, chiunque tu sia, vieni / Non importa se sei un infedele, un idolatra o un adoratore del fuoco / Vieni, anche se hai infranto il tuo giuramento cento volte, vieni lo stesso / La nostra non è la porta della disperazione e del tormento / Vieni». Sono versi tratti dal Mesnevi, l’opera più nota di Rumi, che i suoi seguaci hanno voluto riportare sulle pareti del Mausoleo di Konia, la città dove visse il profeta sufi e che per i turchi rappresenta la seconda meta di pellegrinaggio dopo La Mecca. Pur se trasformato in un museo, oggi l’antico convento dei dervisci resta luogo di preghiera. E sono soprattutto le donne che invocano intercessioni sulla sontuosa tomba del grande saggio, che nelle sue opere presentò il volto più tollerante e aperto dell’Islam, tanto da suscitare i sospetti delle altre correnti teologiche a causa dell’esaltazione della virtù dell’amore rispetto all’obbedienza.
Proprio rifacendosi alle intuizioni del venerato fondatore, Hasan Cikar, il maestro spirituale che oggi ne raccoglie l’eredità, ha voluto che la danza rituale del Sema venisse aperta anche alle donne. Così, dal 1982, anno in cui è stata fondata l’associazione Contemporary lovers of Mevlâna, già una ventina di donne sono state coinvolte nella preghiera pubblica della domenica pomeriggio. La Turchia, che per Costituzione non riconosce nessuna associazione religiosa, preferisce considerare e pubblicizzare la liturgia dei dervisci danzanti come uno spettacolo culturale. Eppure chi viene per assistere al Sema – in dicembre nel museo di Konia, durante la settimana di festeggiamenti in ricordo della morte del saggio, o il resto dell’anno a Istanbul, nel vecchio convento Galata Mevlevi situato poco lontano dalla torre dei Galati (già, proprio quelli di san Paolo) – si ritrova coinvolto in un clima di raccoglimento e di profonda preghiera. Pregano gli spettatori, disposti in circolo, con una mano sul cuore. Pregano i giovani che danzano. E ogni loro gesto, così come l’abito che li ricopre, ha un significato religioso. Le mani, prima di tutto: inizialmente incrociate sulle spalle, a richiamare l’Elif, la lettera iniziale di Allah in caratteri arabi, si distendono quando i dervisci iniziano a danzare, con la mano destra che si gira verso il cielo, per ricevere da Dio, e quella sinistra che guarda la terra, per comunicare agli altri il dono del contatto con l’Altissimo.
Come satelliti intorno al sole, i semazen ruotano intorno a sé stessi in un processo di contemplazione sempre più profonda: nel primo giro si immergono nell’universo, quindi nell’unicità di Dio, per purificarsi da dubbi e affanni. L’unione mistica viene rappresentata dalla caduta del lungo mantello nero che li ricopre, simbolo del sepolcro terreno chiuso dalla pietra tombale, indicata dall’alto cappello di feltro a forma conica. Mentre il maestro, Hasan Cikar, passa fra di loro, i dervisci ruotano sempre più fortemente e le tuniche si gonfiano come corolle di fiori. A ogni giro sollevano un piede e pregano il nome di Allah. La cerimonia termina con una citazione tratta dal Corano, mentre il suono del flauto accompagna l’uscita dal Semahane, la sala della danza. La gente defluisce lentamente, in silenzio. I turisti vanno via mentre la comunità si ritrova in una stanza del museo per un momento di convivialità. Hasan Cikar, smessa la lunga veste nera che lo ricopriva durante la cerimonia e indossato un elegante completo blu, ascolta e saluta. Molti dei presenti gli dedicano sguardi accesi dall’ammirazione. «La nostra filosofia è proiettata sul futuro, ma ha radice in quella di Mevlâna», spiega Cikar. «Il nostro fondatore diceva che tutti i profeti sono uguali: tra Gesù, Maometto, Mosè non c’è alcuna differenza, perché le religioni sono forme diverse di culto che conducono alle stesso Dio. Sono come centinaia di candele che diffondono la stessa luce di amore».
Cikar, vecchio signore, con sei figli e nove nipoti, dice di essere sempre stato un uomo religioso, ma «dopo l’incontro con Mevlâna ho capito cosa realmente fosse la verità». L’intervista scorre su grandi temi, e le domande sui numeri, sui rapporti con lo Stato e con le altri correnti dell’Islam vengono dribblate con sufficienza. Il numero? «Se pensi allo spirito universale di bellezza e alle persone che possono entrarvi in contatto, come puoi dire quanti hanno conosciuto Mevlâna?», afferma, indicando la piccola comunità che lo circonda, composta da numerosi stranieri. L’Islam dei dervisci come si differenzia dalle altre espressioni della fede musulmana? «I profeti che sono venuti al mondo sono tutti Islam. Perché sottolineare le differenze? Cerchiamo l’unità nell’amore». Quanto al rapporto con il Governo turco, che li considera un’associazione culturale e non religiosa, Cikar ribatte che «agli occhi dello Stato siamo prima di tutto gli eredi di Mevlâna, un segno spirituale per il mondo. Perché ridurlo a una categoria limitata come quella religiosa?». Mentre parliamo qualcuno mette fretta. I custodi del museo dove i dervisci si ritrovano la domenica, all’ingresso ci avevano indicato la sala di preghiera come il luogo dove si tiene lo "show". Quindi, da solerti impiegati dello Stato, una volta terminata la manifestazione, invitano a sloggiare: la cura "pastorale" è rimandata a un altro spazio e tempo. È il martedì sera il giorno in cui i seguaci di Cikar si ritrovano per discutere e confrontarsi. «Per circa un’ora e mezza abbiamo una fitta conversazione sulle opere di Mevlâna, ma anche su quelle di altri profeti. Qualcuno legge la Bibbia, qualche altro scritti buddhisti. Poniamo le domande a Cikar e lui ci dà risposta. Se vogliamo possiamo anche telefonargli a casa, durante la settimana», spiega Tuesday Frint, una giovane americana che ha deciso di trasferirsi a Istanbul proprio dopo l’incontro con l’opera del grande mistico sufi. Piercing, lungo cappotto un po’ sdrucito in pelle nera, scarponi militari, la ventiseienne bostoniana rappresenta un po’ la nuova anima dei dervisci rotanti: «Sì, nel nostro gruppo siamo quasi tutti giovani», dice, prendendo le distanze da una possibile lettura in chiave New Age della sua esperienza religiosa. «La filosofia di Mevlâna ha centinaia di anni, e la sua idea centrale è che l’amore è il fulcro di tutto», dichiara.
Tuesday ha studiato arte, fa la pittrice e vive insegnando la lingua inglese. «Ho cominciato a leggere le opere di Rumi in America. Quando sono arrivata a Istanbul e ho visto che nel gruppo di Cikar erano ammesse anche le donne, sono stata sorpresa positivamente. Ho fatto un po’ di viaggi e poi ho deciso di trasferirmi qui». La sua preghiera, dice, «consiste nel ruotare» (non usa mai i l termine "danza"). «A casa leggo i testi, medito. Poi prego, e ruotando raggiungo piano piano una sensazione di pace profonda, di purificazione. La cosa importante è ripetere il nome di Dio, immergersi in Lui». Non teme che la preghiera della domenica sia considerata uno spettacolo per turisti? «La prima volta che sono venuta a Istanbul ero interessata a Mevlâna e sono stata in grado di seguire la cerimonia. Quando ruoto lo faccio anche per i presenti, prego con loro. Se qualcuno lo segue come uno spettacolo... non è un mio problema. Per tutti noi è preghiera», ribadisce. Tuesday risponde con calma, pacificata. Non sta vendendo un prodotto, racconta con semplicità la storia di chi ha cercato, anche filosoficamente, una strada religiosa, soprattutto avvicinandosi all’Estremo Oriente. E poi l’ha trovata nel mistico sufi del 1200: «Dalle sue opere puoi leggere la stessa frase migliaia di volte e ogni volta ti dice qualcosa di diverso», afferma. «Per esempio c’è un detto che mi dà molta pace: "Non soffrire per ciò che non accade, perché ciò che non succede evita che avvenga un disastro". Queste cose cerco di portarle nel mio cuore». È lontano l’Islam dal volto integralista, e questo la giovane derviscia lo sottolinea a chiare lettere. «Qui in Turchia c’è un Islam diverso da quello dell’Iran. Già in America avevo conosciuto molti musulmani non fondamentalisti. In fondo la nostra religione, così come il cristianesimo, è seguita sia da persone molto rigide, sia da altre molto più aperte. In ogni religione c’è chi sbaglia. Mevlâna dice che un giorno tutti i minareti cadranno dalle moschee e tutte le campane dalle chiese, e allora sarà la perfezione dell’unità», dichiara serafica. La ricerca della perfezione, per i giovani dervisci, passa attraverso l’azione individuale: «Ognuno cerca di essere al meglio di sé stesso per poter migliorare anche il mondo», spiega Tuesday. Nessuna azione solidale di gruppo, allora, se non in situazioni eccezionali, quando ci si mobilita per qualche causa umanitaria.
Il volto sereno di Tuesday e anche i suoi piercing sembrano il miglior sponsor alla possibilità di incontro tra la cultura occidentale e quella islamica. La risposta più seria a chi teme la cosiddetta "invasione musulmana". «Da sempre l’Islam mistico ha giocato un ruolo molto importante nel dialogo interreligioso», conferma il professor Emre Öktem, musulmano, docente di Diritto all’Università Galatasaray e tra i partecipanti a un incontro per il dialogo interreligioso tenuto in Vaticano nel dicembre del 1999. «I sufi, e in particolare i dervisci, erano molto rispettati dal popolo, talvolta venerati dopo la morte. Il loro interesse per il dialogo non era di tipo proselitista, ma era considerato un mezzo per assicurare la pace. Erano musulmani, ma amavano i cristiani e gli ebrei», dice il professor Öktem. Proprio Mevlâna aveva molti amici tra preti e vescovi bizantini, e non di rado, tra i dervisci danzanti e i cori ortodossi c’era uno scambio di consigli e strumenti musicali. Incontri alla pari, tra cercatori di Dio. Sulle strade della musica e dell’ascesi. Pratica che per Rumi era legata a una grande regola d’oro: «Mostrati come sei, oppure diventa come vuoi sembrare».
L’antico monastero dei dervisci danzanti di Konia (nella foto), oggi trasformato in un museo, è un luogo sacro molto importante per i musulmani turchi. Ogni anno oltre un milione e mezzo di persone arrivano in pellegrinaggio per pregare sulla tomba del grande pensatore e mistico sufi Celaddin Rumi, chiamato Mevlâna ("la nostra guida"). L’ordine dei dervisci mevlevi, fondato a Konia nel XIII secolo, fiorì in tutto l’Impero Ottomano ed esercitò una forte influenza sulla vita economica, sociale e politica del Paese. Il padre della Repubblica, Atatürk, considerò gli ordini dei dervisci un ostacolo al cammino del popolo turco, e li bandì nel 1925. Molti monasteri, come quello di Mevlâna, furono espropriati e trasformati in musei. A Konia, nel Museo Mevlâna, risalente all’epoca selgiuchide, oltre alla sala "di coloro che si amano", dove sono conservate le tombe dei dervisci più famosi, sono esposti diversi oggetti: articoli di vestiario appartenuti a Mevlâna, strumenti musicali, tappeti, testi miniati, Corani scritti a mano. Nella foto: un antico Corano in miniatura conservato in una scatola d’argento. Sebbene dichiarati fuorilegge, diversi ordini di dervisci sopravvissero nella forma di confraternite religiose: quella dei dervisci danzanti di Konia nel 1957 fu riconosciuta come associazione culturale volta a conservare una tradizione storica. Ciononostante, l’ordine di Mevlevi è ancora profondamente religioso. Ogni anno a Konia, dal 14 al 17 dicembre, si tiene la festa in memoria di Mevlâna. Celaddin Rumi, meglio noto come Mevlâna, riposa nel museo a lui dedicato nella città di Konia. Rumi nacque nel 1207 vicino a Balkh, nell’odierno Afghanistan. Giunse nel 1228 a Konia, dove morì la sera del 17 dicembre 1273. Le sue opere poetiche e religiose, scritte quasi tutte in persiano, sono molto amate e rispettate nel mondo islamico.
Da: http://www.stpauls.it/jesus/0103je/0103je14.htm
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