"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Quando si tratta dell'Islm
in India questo viene in genere definito come Islm
"periferico", rispetto al suo centro di diffusione1, così che
gli studiosi di islamistica solitamente tralasciano questa e altre zone2,
delegandone lo studio agli esperti di settore3. L'India
musulmana, al contrario, è stata parte integrante del mondo islamico e
tale si è sempre considerata, basti pensare che i diversi sultani si
riconoscevano vassalli delle dinastie regnanti in Medio Oriente e
nominavano i califfi al potere nella
ubah
della preghiera del venerdì4.
Senza voler qui tracciare una storia dell'Islm
in India5, tenteremo, tuttavia, di delineare le direttrici
principali secondo cui si svilupparono le diverse confraternite e il
ruolo politico e sociale che ebbero all'interno del sultanato di Delhi
prima e dell'impero Moul
poi. A tale riguardo, inoltre, premettiamo che ci sembra riduttivo voler
collocare tutte le manifestazioni fi
presenti nel subcontinente all'interno dell'Islm
"popolare"6, sia perché, pur essendo presente il culto dei
santi legati7 ad una qualche zona particolare, questa non è
l'unica realtà, sia perché in tal modo, a nostro avviso, si relega ancor
di più lo studio di questo fenomeno nell'ambito del folklore locale,
distaccandolo dalla sua matrice, che è profondamente e sicuramente
musulmana8.
In tal senso ci sembra opportuno da un lato,
inserire lo sviluppo dell'Islm
in India all'interno della cornice del sufismo così come si è sviluppato
a partire dai primi anni dopo la morte del Profeta Muhammad, dall'altro
procedere a un primo screening delle confraternite che hanno operato e
operano nel subcontinente indiano per render conto, se non altro, della
loro varietà e del loro numero.
Il sufismo
Anche se il sufismo è essenzialmente senza
tempo, la sua manifestazione storica ha inizio nel VII secolo della
nostra era con la discesa del Corano. Esso rappresenta la dimensione
interiore ed esoterica dell'Islm,
già presente ai tempi del Profeta Muammad.
In un
adi9
attribuito ad Ab
'Abbs,
infatti, si afferma: "Un giorno, mentre si trovava sul monte 'Araft,
egli [Muammad]
fece allusione al versetto 'Dio è colui che ha creato i sette cieli, e
la terra a somiglianza di essi' [Corano LXV, 12] e si rivolse alla gente
dicendo: O uomini! Se commentassi dinanzi a voi questo versetto come io
l'ho sentito commentato dal Profeta stesso, voi mi lapidereste". Con
quest'allusione a un significato interiore (
tin)
delle cose, non comprensibile da tutti, era aperta la via al sufismo, il
sentiero interiore verso Dio. Se il sufismo rappresenta l'aspetto
interiore di qualcosa, deve però esistere un aspetto esteriore (zhir):
esso è costituito dall'Islm e dalle sue pratiche, dalla
ar'ah
(la Legge), ed è per questo che sufismo e Isla ¯m sono inscindibili. Per
descrivere il posto che il sufismo occupa all'interno dell'Islm
viene spesso usata la metafora della noce: il guscio è la Legge (ar
'ah
), l'aspetto esteriore, il gheriglio è la via ascetica (tarqah
) l'olio che sottilmente pervade tutte le parti del frutto è il simbolo
della sintesi finale: haq
qah,
la verità assoluta. La via verso Dio si inserisce nella cornice dell'Islm,
dunque, e i vari tentativi di separarla da questo o di farla derivare da
spiritualità di origine diversa presenti nella Penisola Arabica al
momento della rivelazione (VIII secolo della nostra era) sono destinati
al fallimento di fronte alla constatazione che i s f10
fanno costantemente riferimento alla rivelazione coranica. L'origine
dell'esoterismo islamico, del resto, risale al periodo immediatamente
successivo alla morte di Muammad
(632 d.n.e.), quando i compagni a lui più vicini iniziarono una vita
itinerante viaggiando nei paesi che l'Islm
via via conquistava e raccogliendo discepoli. In questo periodo il
termine era ancora sconosciuto. Fu verso l'VIII secolo che essi
cominciarono ad essere noti con questo vocabolo11. La sua
origine è incerta e diverse sono le interpretazioni che ne sono state
date12. Secondo alcuni s f
,
però, questo termine è troppo sublime per essere derivato da alcunché.
Esso acquista dunque valore per la sua pregnanza acustica, diventa una
sillaba sacra13. Fonti privilegiate della dottrina, oltre al
Corano, sono per i s f
i quaranta hadit raccolti da An-Nawawi14, oltre ai numerosi
tafsir (commenti coranici) redatti da eminenti s f
appartenenti a singole confraternite.
Accanto alle fonti musulmane il sufismo ha
assimilato concetti precedenti appartenenti a culture diverse. Il
criterio discriminante è stato quello di accogliere nella propria
tradizione quegli aspetti che fossero di supporto al concetto
fondamentale dell'unicità dell'esserci (wadt
al-wujd).
Ogni via spirituale enfatizza un particolare
aspetto della verità; l'Islm,
in generale, da risalto alla conoscenza, portandola alla sua massima
espressione, la conoscenza che illumina. Questa via verso la conoscenza
ultima, che è la verità (haqqah),
viene spesso descritta come comprensibile a tre livelli diversi:
conoscenza, vista e certezza. La distinzione fra questi tre stadi può
essere compresa utilizzando il simbolismo del fuoco: conoscenza
significa conoscere il fuoco avendone sentito parlare; vista è conoscere
il fuoco avendone visto le fiamme. Certezza è conoscere il fuoco
essendone stati consumati. Il primo obiettivo viene raggiunto per mezzo
della dottrina precipua a una certa via spirituale, che costituisce il
contenente del sufismo15. La vista della verità (haqqah)
consiste nel metodo, contenuto nella tarqah16. La certezza è lo stadio finale, la conoscenza che
illumina e che pervade l'involucro (tarqah)
e il contenuto di esso (il metodo). Per meglio esemplificare quanto
detto possiamo ricorrere a un paragone, quello della circonferenza: la
conoscenza è la circonferenza, la vista il raggio, mentre la certezza
costituisce il centro. L'intero complesso, centro-raggio-circonferenza,
è il sufismo. La metafora della circonferenza risulta utile anche per
porre il sufismo in rapporto alle altre rivelazioni: la verità allora è
il centro, i raggi sono le diverse tradizioni e i diversi punti della
circonferenza rappresentano i diversi punti di partenza degli esseri
umani, tutti alla ricerca della stessa verità. L'esoterismo islamico,
infatti, riconosce il principio secondo il quale la rivelazione divina,
trasmessa dai Profeti, assume forme diverse secondo le diverse
attitudini delle comunità umane cui è stata rivelata.
La dottrina permette di attivare un processo
di conoscenza centripeta, dal singolo essere umano (la molteplicità)
all'Uno (il divino), mentre il metodo segue il percorso inverso,
centrifugo (dall'Uno al molteplice).
Dottrina e metodo si basano su due concetti
fondamentali contenuti entrambi nella
ahdah,
la professione di fede musulmana: Non c'è divinita all'infuori di Dio
e Mu
ammad
è l'inviato di Dio. In essa sono racchiuse due idee base del sufismo:
l'unicità dell'esserci e il prototipo universale (al-'insn
al-kmil,
l'essere completo). La dottrina dell'unicità dell'esserci è alla base
della metafisica s
f
. Afferma Sabistari17: "Osserva l'Uno. Dì l'Uno. Conosci
l'Uno". I s f
riconoscono a un tempo l'immanenza e la trascendenza di Dio. Dio è
immanente, ossia fa parte della natura dell'uomo e non sussiste al di
fuori di esso ("In verità noi creammo l'uomo e sappiamo quel che gli
sussurra l'anima dentro e siamo a lui più vicini della sua vena
giugulare", Corano L, 16) e contemporaneamente trascendente, ovvero al
di là dei limiti di ogni conoscenza possibile, sopra ogni cosa, pensiero
o forma nell'universo ("Dio. Non v'è altro dio che Lui, il Vivente, che
di Sé vive: non lo prende mai né sopore né sonno, a Lui appartiene tutto
ciò che è nei cieli e sulla terra. Chi mai potrebbe intercedere presso
di Lui senza il Suo permesso? Egli conosce ciò che è avanti a loro e ciò
che è dietro di loro, mentre essi non abbracciano della Sua scienza se
non ciò che Egli vuole. Spazia il Suo trono sui cieli e sulla terra, né
lo stanca vegliare a custodirli: è l'Eccelso, il Possente", Corano II,
256).
Il mistico comincia la sua ricerca con la
ragione, la cui luce è come quella di una candela. Quando cominciamo un
viaggio nell'oscurità abbiamo bisogno di una candela, che lasciamo però
una volta sorta la luce del sole.
Il sufismo non è una filosofia: esso si basa
sulla natura dell'unica Realtà, quella trascendente. Qualsiasi sistema
filosofico è necessariamente limitato, poiché poggia su concetti
concepibili dalla mente umana, la quale non può comprendere l'infinito:
la forma mentale è anch'essa parte dell'infinito. Il s
f
i realizza uno stato di conoscenza esterno, al di là della legge divina
e cerca l'unione con la verità ultima attraverso la meditazione e
l'invocazione del nome divino (ikr).
Chi perviene alla conoscenza ultima è colui che conosce attraverso Dio,
dopo aver viaggiato verso Dio, in Dio. Scopo della ricerca è mettere da
parte il sé e lasciare che l'Assoluto conosca se stesso attraverso il
Sé. Afferma 'Attr18:
"Il pellegrino, il pellegrinaggio e il modo di compierlo non sono se non
un viaggio dal sé al Sé".
Scopo del sufismo è ricondurre il molteplice
all'Uno con la totalità del proprio essere, nella contemplazione diretta
delle realtà spirituali. Il viaggio comincia mettendo da parte il mondo
materiale nel quale si è stati gettati. Originariamente, infatti, tutte
le cose e gli esseri hanno avuto una pre esistenza nella quale erano
pura essenza prima dell'esistenza materiale quale noi la conosciamo. In
questa pre esistenza erano nel nulla; non un nulla inteso come vuoto, ma
un nulla che contemporaneamente era pienezza totale, perché erano in
unione con Dio. Nella vita materiale, l'essere umano è separato da Dio
da un velo. Quando dalla pre esistenza l'uomo venne scagliato sulla
terra passò attraverso settantamila veli trasparenti dal lato rivolto
verso Dio e opachi da quello rivolto verso la terra. Scopo della
ricerca, dunque, è quello di far cadere questi veli che separano dalla
visione divina19. Per passare dalla molteplicità all'unità,
dall'unità alla molteplicità, si deve innanzitutto morire a se stessi:
non una morte biologica, ma spirituale, dove l'anima personale (nafs),
legata alle passioni, muore e morendo viene trasformata per ritornare al
mondo materiale. Il significato ultimo dell'unicità dell'esserci è
vedere le cose come sono realmente: realizzare che tutto è riflesso
nello specchio del proprio essere.
Per arrivare a conoscere l'unicità
dell'esserci è necessario un metodo spirituale. Esso è derivato dalla
seconda parte della
ah
dah
(Muammad
è l'inviato di Dio). Il Profeta è il modello spirituale per mezzo del
quale l'adepto cerca di concepire la coincidenza degli opposti in sé.
Quale fondatore dell'Islm,
egli si riallaccia alla catena dei Profeti che lo hanno preceduto in
ordine di tempo. Il fondatore di ogni tradizione religiosa è un aspetto
della parola divina, il logos universale (si ricordi la
definizione di F. Schuon sull'unità trascendente delle religioni)20.
Anche se il Profeta è stato l'ultimo profeta del presente ciclo
dell'esistenza, e per questo viene chiamato Sigillo dei Profeti, egli è
stato il primo in essenza, secondo il
ad
t
che afferma: "Ero il logos quando Adamo era tra l'acqua e
l'argilla". Nella sua essenza, l'idea divina dell'ultimo Profeta, Muammad,
precede l'esistenza materiale del primo Profeta Adamo, così come un
pensiero è portato a termine prima di essere attuato. Il Profeta era un
individuo che, nella forma, ha reso manifeste tutte le possibilità
dell'essere umano. Sposandosi e avendo figli ha espresso la sua natura
umana. Ricevendo la rivelazione, da illetterato, è stato il ricettacolo
della natura divina. Muhammad stesso ha affermato, riferendosi a se
stesso sotto questo aspetto: "Io sono Ahmad senza la m
m
(Aad
= Uno), sono 'arab senza la 'ayn (rabb = Signore);
chi ha visto me ha visto la Verità". Egli è il prototipo universale che
unisce l'interiore, l'aspetto eterno della realtà, con l'esteriore,
l'aspetto fenomenico. Il prototipo universale comprende tutte le
individualità e unisce tutti gli opposti nella natura universale e
infinita del Sé. Tutti gli attributi divini sono riuniti e dispiegati in
lui. Il prototipo universale diventa così il mezzo attraverso il quale
Dio dispiega lo splendore della creazione. Questo 'uomo completo',
prototipo universale o logos, simboleggia più aspetti della
manifestazione divina. Egli è increato, è l'aspetto pre esistente
interno alle cose: nel cammino verso la creazione è il primogenito di
Dio, il primo a contenere l'indefinibile (quid). Il logos
è anche luce: quando il caos, l'oscurità abissale, terminò e tese
all'ordine venne a esistere la luce. Egli è anche un agente attivo
nell'opera della creazione, il principio direttivo creativo
dell'universo. Il logos, infine, è il prototipo della forma umana,
l'immagine stessa di Dio.
La possibilità di diventare prototipo
universale è insita in ogni musulmano. Tutti sono potenzialmente uniti
come la luce bianca che, passando attraverso un prisma, si scompone
nella varietà di colori esistenti, in potenza, nella natura stessa della
luce. Ma non tutti sono pronti e la diversità fra gli uomini determina
la capacità o meno di realizzare l'esperienza spirituale. "Sappi che,
per sua essenza, l'anima è predisposta a ricevere il segno delle
investiture divine. Alcune anime hanno ricevuto una predisposizione che
le qualifica per essere investite esclusivamente dell'amicizia, cui
nulla s'aggiunge. Altre hanno beneficiato della predisposizione di cui
s'è detto, predisposizione che si estende a ogni grado dell'investitura
divina, o solo a alcuni gradi21".
Ogni s
f
desidera ardentemente diventare il prototipo universale. Egli attua
questo desiderio per mezzo del metodo, in particolare tramite
l'invocazione del nome divino, processo che deve continuare finché chi
lo pratica non possa essere descritto come segue: "[Dio onnipotente ha
detto: chi mostra ostilità verso un mio prediletto, sappia che io sarò
in guerra contro di lui. Affinché il mio servo si avvicini a me nulla mi
è più gradito di quanto gli ho prescritto.] Con le sue pratiche
supererogatorie egli si avvicina ancor più a me, al punto che io lo amo.
E se io lo amo, io sono il suo orecchio, con il quale sente, la sua
vista, con la quale vede, la sua mano con la quale lavora, il suo piede
con il quale cammina. [Se egli mi chiedesse qualcosa, io gliela darei, e
se egli cercasse la mia protezione, io certamente gliela darei] (adit
qud)".
Le confraternite in India
L'Islm
fece la sua comparsa in India fin dal primo decennio dell'VIII secolo,
con la dinastia degli Omayadi, quando parte del Sind e del Panjab
formavano una provincia dell'impero. Ma fu a partire dal 1206, anno di
costituzione del sultanato di Delhi, che si cercò di fornire ai
territori occupati - questa volta dai turco-afghani - una struttura più
uniforme. Il problema che il sultanato di Delhi si trovò a dover
affrontare fin dall'inizio della conquista non differiva da quello che
le dinastie Omayade e Abbaside22 avevano già affrontato in
Medio Oriente: si trattava di dare coesione culturale e ideologica a un
vasto territorio con una cultura originaria profondamente diversa. Il
tentativo fu, quindi, quello di attenuare le rivalità fra fazioni,
consolidare l'unione tra musulmani e cercare di integrare gli hindu al
potere23. Per far ciò alcuni sovrani, come ad esempio 'Al'
ad-Din al
al
(1269-1316)24, si appoggiarono alle confraternite, poiché i
s
f
avevano una concezione gerarchica della società25.
Il sufismo, pur se giunse in India in modo
massiccio in questo periodo, era noto già nel IX secolo nel
subcontinente e i legami con la spiritualità indiana sono stati più
volte sottolineati per rintracciarne le origini, in particolare
relativamente alle analogie che esso presenta con il sistema
yoga-tantrico26. Del pensiero indiano alcuni s
f
assorbirono anche il concetto di reincarnazione, estraneo all'Islm,
pur se tollerato in relazione all'interpretazione possibilista di alcuni
versetti coranici27. Essi fondarono, innanzitutto, ciascuno
le sue khanqa (ar. hnah),
sedi comprendenti una sala per le riunioni, una per il sam'
(audizione mistica), la cucina (langar), la zona notte, le celle
per il ritiro, alloggi per gli ospiti, nonché, a volte, la tomba del
maestro fondatore dell'Ordine. In tal modo attirarono tra le proprie
file soprattutto gli strati più bassi della società, che vedevano
nell'Isla¯m, che proclama l'uguaglianza di tutti gli esseri umani, un
superamento della suddivisione in caste della società28.
L'Islm
diventava, così, un'ideologia unificante.
Le khanqa ebbero sicuramente un ruolo
importante. Costruite spesso ai margini delle città, esse fungevano,
infatti, da centri di raccolta per pellegrini di diverse religioni e in
diverse zone dell'India contribuirono anche alla diffusione delle lingue
locali29. Per meglio esemplificarne la portata risulta
esemplare la storia di Farid ad-Dn
Mas'd
Kan
akar
(‡ 1265), uno dei primi capi della Citiyyah
(vedi infra) detto Bb
Farid.
Egli si stabilì a Pah-pattan, in Panjab, cercando l'ascesi e
l'estraniamento dalla vita caotica della città. Persone di ogni rango si
rivolgevano a lui per consulti e, con il crescere della sua reputazione,
Bb
Farid
ricevette doni tali da poter costruire un ospizio. Esercitava, in
particolare, la professione di guaritore, rimasta ancor oggi
caratteristica della confraternita30. Alla sua morte la sua
tomba divenne sede di pellegrinaggio e lo è stata per molto tempo.
Gli insegnamenti di s
f
quali Bb
Farid
ben si armonizzavano con la dottrina hindu della bhakti, poiché
identificano in Dio l'oggetto dell'amore dell'asceta31.
Dall'unione di queste due correnti di pensiero nacquero un'espressione
letteraria tipicamente indiana ma di radici musulmane32 e
l'atteggiamento particolarmente favorevole alla diffusione delle
confraternite - un modo di vita distaccato che consente al credente di
adempiere esteriormente ai precetti di codice morale e sociale, pur
mantenendosi interiormente libero e disponibile a progredire
spiritualmente: nel mondo ma non del mondo.
I s
f
,
inoltre, ebbero un ruolo anche "materiale" nella creazione della
comunità musulmana in India a capo di gruppi di guerrieri turchi
migranti costituiti in ribt(sedi
fortificate). L'ordine della Kazaruniyyah, ad esempio, contribuì
all'affermazione dell'Islm
in Kamir.
Questa confraternita venne fondata da Ab
Ishq
Ibrahim bn Sriyn
Kzruni
(963-1033), nativo di Kzruni,
nella provincia di Sir
z. Allievo e continuatore di Ibn Hafif33, conobbe le teorie
di al-Hallg˜
34. Dalla khanqa fondata nella sua città natale ne
diramarono numerose che si estesero fin in India, appunto. L'ordine
restò attivo a lungo nel subcontinente anche dopo la soppressione in
patria, avvenuta nel XVI secolo ad opera della dinastia safavide e si
discosterà dalla funzione originaria di semplice proselitismo e
distribuzione di beni ai poveri per svolgere un ruolo più attivo
politicamente.
Altri Ordini, come la Malamatiyya e la
Qalandariyya, rifiutavano la vita mondana ed erravano per il paese
mendicando; considerati santi, finivano per crearsi un cospicuo seguito
di adepti ed un forte ascendente spirituale. I Malamati - "quelli del
biasimo", secondo Corano V, 54 - nascono in Khorasan. L'ordine venne
fondato da
amdn
al-Qassr35
contro le manifestazioni esteriori della fede e, in un certo senso,
contro i s
f
stessi, secondo il concetto per cui è vanagloria palesare anche la
santità. Facevano voto di povertà ma non accettavano elemosina. I
Qalandar,
emigrati in Anatolia dall'Asia minore e dalla Persia orientale, erano
molto conosciuti nell'impero ottomano ed esercitarono un forte
ascendente spirituale anche in India. Questo movimento (che deve il nome
al termine qalandar, "vagabondo che si attira il biasimo con una
condotta scandalosa e libertina") viene generalmente considerato una
discendenza della Malamatiyya. La sua presenza è attestata a partire
dall'inizio del XIII secolo ad opera di
aml
ad-Dn
as-Sv
e in India se ne ha notizia a partire dal 1230 circa a Delhi, in Panjab,
in Sind e in Bengala. Verrà poi riassorbita dalla Citiyya,
perché, essendo un ordine errante, non ha mai avuto sedi proprie. I
Qalandar,
tuttavia, sono noti ancor oggi; in Pakistan, ad esempio, il genere
musicale qawwali (musica s
f
), riporta spesso testi nei quali si parla dei 'qalandar', dei quali si
dice poco abbiano a che fare con il sufismo originario, che siano
dervisci itineranti e che si riallaccino più ad 'Ali e quindi agli
sciiti che non al sunnismo (si veda, ad esempio, The s
f
Music of Pakistan dei Sabri brothers).
Per quanto riguarda le tarqah,
nel subcontinente ve ne furono tre di un certo rilievo, con una rete di
khanqa diffusa in tutta l'India settentrionale: la
Suhrawardiyyah, la Citiyyah
e la
attriyyah.
La Sattriyyah
venne fondata da 'Abd Allah
attr
(‡ 1485), venuto in India dall'Iran. L'ordine venne diffuso da Budhan
Jawnpr,
suo figlio, che godette dell'appoggio di Sikandar Lod
- esponente della dinastia afghana dei Lodi, con la quale il sultanato
di Delhi ebbe una breve rinascita - e del favore di molti studiosi del
tempo. Attecchì fra i ceti alti legandosi alle élite locali.
Anche la Suhrawardiyyah36 trae la
propria denominazione dal fondatore, 'Ab
al-Qhin
AbNab
al-Suhrward
(‡ 1168), autore del trattato
db
al-muridna.
Lo slancio alla confraternita e la sua diffusione in India, tuttavia, si
devono al nipote, Ab
afs
'Umar al-Suhrawardi (1145-1234). La loro sede principale fu Multn,
dove furono costretti ad emigrare in seguito alle invasioni mongole, ma
ne esistono gruppi in tutto il Sind ed il Panjab. La khanqa di Multn
è ancor oggi meta di visita della tomba di Bh
ad-Din Zakariyy
(1183-1262), inviato colà da Ab
afs.
Agli inizi del XIV secolo la confraternita si estese in Kamir
dove, grazie alla conversione del principe, ottenne finanziamenti per la
costruzione della prima moschea della regione. I Suhraward
ammettono il coinvolgimento dell'uomo nella vita sociale e politica più
di altri ordini; caratteristica della Suhrawardiyya fu, per esempio,
l'appoggio dato a Iletmi37,
mentre un'ulteriore fioritura dell'Ordine si ebbe sotto il regno di
Sikandar Lod38
ad Agra. Questi contribuì in particolare all'introduzione a corte di
poeti s
f
,
quali
amal
e
am',
che continuò a godere di grande apprezzamento anche sotto la dinastia Moul39.
La Citiyya
venne fondata da hawaga Mu'in ad-Dn
Hasan Cit
(1141-1236), nato in Afghanistan. Dopo molti anni di studio e
peregrinazioni egli si stabilì in India, ad Agmir, ove si sposò e fondò
la sua khanqa. L'ordine, improntato ad ampia tolleranza, non violenza e
carità, è attivo ancor oggi. La confraternita conobbe diverse fasi,
proclamando inizialmente l'astensione da ogni contatto con il potere
politico ("Un buon re va a visitare i sufi, ma un buon sufi non visiterà
mai un re"). In questo periodo la confraternita si diffuse in Rajputana,
Uttar Prades´ e Panjab. Nel XIII secolo fu personalità di spicco
aml
Hansaw
(1184-1260), autore di un Diwan nel quale si ritrovano numerose
informazioni e opinioni nei confronti dell'Induismo. È di questo secolo
la diffusione dell'Ordine in ambiente rurale, fatto che caratterizza il
secondo periodo della Citiyya.
Durante il secolo successivo la dinastia regnante che in varia misura
riesce a controllare la maggior parte del subcontinente è quella dei
Tugluq; la vastità del territorio dominato, tuttavia, finisce per
favorire la formazione di stati indipendenti più o meno grandi e la
disgregazione del potere centrale, condizioni che permetteranno poi a
Tamerlano di giungere fino a Delhi (1398). Gli ordini
s
f
continuano a svolgere un ruolo importante nella diffusione dell'Islm;
tra questi la Firdawsiyya40, a carattere regionale, la
Mevleviyya41 e la Kubraviyya42. La Citiyya
fu, tuttavia, l'Ordine che ebbe sempre il maggior rilievo. Muhammad bn
Tugluq emise un decreto con il quale agli Ordini viene imposto di
lasciare la capitale e le grandi città. I su¯fi, dunque, si sparsero in
provincia e crearono legami con le dinastie locali: gli uni daranno la
loro benedizione, gli altri, in cambio, forniranno waqf e regalie alle
confraternite. La Citiyya
si diffonde allora in Deccan, Bengala, Gujarat, coprendo ormai quasi
tutto il territorio indiano. In questo periodo si colloca la figura di B
b
Nr
ad-Dn
(1377-1438), rappresentante del sincretismo operato fra Islm
e Induismo. Egli fu soprannominato rsi ("veggente" in sanscrito) per
l'aderenza del suo credo e della sua regola di vita ai canoni dei sadhu
e dei r
i
hindu. Ebbe numerosi seguaci che diedero vita alla Riiyyah,
ancor oggi presente in Kamir.
Nel secolo successivo la situazione si
modificò rapidamente. Con la dinastia dei Lodi cambiano gli appoggi
politici, che vanno ora a vantaggio di Ordini già presenti, ora ne
sostengono altri di nuova formazione in India (come la Ni'matullaiyya).
Nel '500, inoltre, aumentano le confraternite presenti in India, da un
lato per l'infittirsi dei contatti religiosi e commerciali con il resto
del mondo musulmano, dall'altro perché il sufismo fa molta presa su
alcuni strati sociali hindu, non tanto sulla base dell'adesione a
principi religiosi comuni, quanto perché la popolazione, in armonia con
le proprie inclinazioni di sempre, non riesce a sottrarsi all'ascendente
di un uomo di fede mistica, qualunque essa sia. Se a tutto ciò si
aggiunge la convivenza nel subcontinente di diverse religioni - Induismo,
Islamismo, Cristianesimo ecc. - risulta evidente quanto all'epoca le
condizioni siano favorevoli per una vivace fioritura spirituale. È di
questo periodo, infatti, il regno di Ab
al-Fath
all
ad-Dn
Mahmd
Akbr
(1542-1605). Egli fece costruire la hanat al-'ibadat ("edificio
delle devozioni"), nella quale si ritrovavano i rappresentanti delle
diverse religioni presenti nell'impero, tra cui anche gesuiti, come, ad
esempio, Rodolfo Acquaviva, appartenente alla celebre famiglia
napoletana il cui membro più importante, Claudio (1543-1615), generale
dell'Ordine, riformò la Ratio studiorum. Alla corte di Akbr
venivano naturalmente accolti molti s
f
,
in particolare appartenenti alla Citiyya
e alla Naqbandiyya
(fra l'altro autori di diverse opere sia a carattere
religioso-filosofico sia letterarie); del resto, Akbr
stesso dette inizio a un culto detto din-i ilahi, "religione di Dio",
dove proprio l'imperatore era considerato il maestro su¯fi di un nuovo
ordine religioso. La sua morte segna la fine del periodo di tolleranza
del sistema fondato sulla collaborazione fra hindu e musulmani, finché
con l'ascesa di Auranazeb
(1658), la politica di conciliazione viene rovesciata: con una dura
restaurazione dell'ortodossia questo imperatore limitò la libertà
religiosa degli hindu, distruggendo molti templi43, mentre,
riguardo ai s
f
appoggiò solo quegli Ordini che si inserivano rigidamente
nell'ortodossia (soprattutto la Naqbandiyya)44.
Da allora in poi le confraternite non
scomparvero certo45, ma cessarono di svolgere quello che
sicuramente in India (intesa come subcontinente indiano) era stato il
loro compito storico: mostrare una faccia dell'Isla¯m che, non essendo
quella di una conquista e poi di un dominio basati sulla forza o
addirittura sulla violenza, ma quella dell'amoroso abbandono in Dio e
della fratellanza tra gli uomini, potesse far presa sul cuore di
dominatori e dominati, promuovendone appunto la concordia e la fusione.
1. Questo malinteso deriva, a nostro avviso,
da un lato dal considerare musulmani solo gli Arabi, lasciando tutti gli
altri appartenenti a questa religione in una specie di limbo, in
mancanza appunto di una più precisa e corretta definizione; dall'altro
dal fatto che nella maggior parte dei centri di studio qualificati l'islamistica
finisca per coprire esclusivamente l'area del Vicino e Medio oriente.
Per la confusione tra arabo e musulmano cfr. P. G. Donini, Il
mondo arabo-islamico, Roma, Edizioni Lavoro, 1993.
2. Così è per l'Indonesia, la Cina, gli Stati
Uniti, ecc., che pur oggi rappresentano le zone del pianeta a più alta
densità di musulmani.
3. Cfr. G. E. von Grunebaum, a cura di,
L'Islamismo II. Dalla caduta di Costantinopoli ai nostri giorni,
Feltrinelli, Milano 1972, pag. 227: "Di solito lo studioso della storia
generale dell'islamismo sottovaluta il posto che spetta nel quadro
d'insieme della storia dei popoli islamici al subcontinente
indo-pakistano, considerandolo come una semplice area marginale
dell'Islam [...]".
4. La
utba
è la "predica" che si svolge in moschea il venerdì, giorno della
preghiera collettiva. Storicamente ha sempre rivestito un ruolo
politico: se il sultano al potere non veniva nominato, questo stava a
significare che il paese o il governatore del luogo non ne riconoscevano
l'autorità e che in qualche modo si dichiaravano indipendenti.
5. Per la storia dei musulmani in India si
vedano, ad esempio, T. Lapidus, Storia delle società islamiche,
Einaudi, Torino 1993, vol. II, pagg. 208-239 e G.E. von Grunebaum, op.
cit., pagg. 227-292.
6. Questa tendenza è conseguente al concetto
di Islm
periferico. Si veda a tal proposito E. Fasana, "Il ruolo delle
confraternite nella diffusione dell'Islam periferico" in Studi arabi
e islamici in memoria di Matilde Gagliardi, Is.M.E.O., Roma 1996,
pagg. 75-113; in realtà il sufismo in India seguì sempre due direttrici:
una che possiamo chiamare impropriamente 'ortodossa', rappresentata
dalle confraternite che si rifacevano in ultima istanza all'Islm
ufficiale, l'altra rappresentata dal cosiddetto sufismo 'popolare' - che
tanto piace ad alcuni studiosi - in cui la venerazione di santi, viventi
o defunti, era ed è la forma principale di espressione religiosa. Si
tratta, in questo caso, di un rapporto emotivo con la religione che
ricerca l'identificazione con i poteri miracolosi dei santi. Esso ebbe
successo nel subcontinente poiché tende a eliminare le differenze tra
hindu e musulmani. Non sfuggì, tuttavia, al coinvolgimento con il
potere politico: i pirzada, custodi delle tombe e dei cenotafi
dei santi, alla fine costituirono una piccola nobiltà sensibile alle
esigenze di diversi governanti.
7. Tali santi sono detti marabutti dall'arabo
marb
"legato", perché appunto legati a una certa località dalla barakah,
benedizione.
8. Cfr. a questo proposito S. H. Nasr, Il
Sufismo, Rusconi, Milano 1994.
9. Per tutto il testo i
adi
sono stati desunti, per la stragrande maggioranza, da Buhri
a,
Dr
al-Gil, Beirut, s.d.
10. Utilizziamo questo termine ormai entrato
nell'uso, anche se, in realtà, improprio. Si veda, ad esempio, R.
Guénon, L'esoterismo islamico, Scandiano, Sear Edizioni, 1987,
pag. 22. Secondo Idries Shah il termine 'sufismo' deriva dal latino
sufismus ed è stato introdotto in Occidente nel 1821 da uno studioso
tedesco (non viene precisato quale) a sostituire tasawwuf e nafsaniyyt
al-insniyyah,
precedentemente in uso. Cfr. I. Shah, I sf
Roma, Edizioni Mediterranee, 1990, pag. 57.
11. Sembra che si autodefinissero così alcuni
asceti iracheni. Il primo documento che riporta il termine risale al
776. Cfr. L.V. Arena Il sufismo, Milano, Mondadori, 1996, pag. 14 e J.
Chevalier, Isf,
Milano, Xenia, 1995, pag. 3.
12. Molte sono state le origini proposte per
il termine sf,
alle quali ogni testo sul sufismo dedica un paragrafo (cfr.
Bibliografia). Ne ricordiamo soltanto due tra le più largamente
accettate: da sf
(lana), materiale di cui erano tessute le vesti dei primi sf
o da saf'
(purezza), a indicare la purezza interiore che essi cercavano di
conseguire.
13. A tal proposito, e per il valore della
parola in ambito sacro, si confrontino: R. Guénon, L'esoterismo
islamico, cit., pag. 24; S. H. Nasr, Ideali e realtà dell'Islam,
Milano, Rusconi, 1989, pag. 148; P. Scarnecchia "Il sama¯': l'audizione
mistica nel sufismo" in La farfalla e la fiamma, Torino, Ananke,
1996, pagg. 27-36. In tal senso può essere fatto un parallelo con il
valore della sillaba Om nel buddhismo.
14. Yahy
bn
araf
al-dn
an-Nawaw
nacque nel 1233 a Nawa, nei pressi di Damasco. La raccolta da lui
compilata viene considerata la più popolare antologia di hadit.
Si veda An-Nawawi, Quaranta Hadith, Roma, CESI, 1982.
15. La tarqah,
cioè, è l'involucro dentro il quale il cammino spirituale ha inizio.
16. Il metodo è dunque l'applicazione
quotidiana della conoscenza puramente intellettiva.
17. Mahmd
abistar
nacque presso Tabriz, in Ir¯n.
Autore di diversi trattati sul sufismo (Sulla certezza, Il libro
della gioia, Lo specchio degli iniziati) è noto soprattutto per il
suo Mathnaw:
Gulshan-i ra¯z.
Morì nel 1320 d.n.e.
18. Fard
ad-dn
'Attr
nacque verso il 1140 a Niapur.
È autore di un'importantissima opera, Takirt
al-awliy'
(Memorie di santi) che riporta le parole e le esperienze di numerosi
santi sf.
19. Anche il Profeta, nel mi'rg˜,
il viaggio notturno alle dimore celesti, è separato dal cospetto di Dio
da settantamila veli. Tutti questi veli cadono tranne quello che
rappresenta la gloria di Dio prima che Muhammad senta la parola del suo
Signore. Cfr. Il libro della Scala di Maometto, Milano, SE, 1991,
pagg. 48-49.
20. F. Schuon, Unità trascendente delle
religioni, Roma, Edizioni Mediterranee, 1980.
21. In Ibn 'Arab,
L'alchimia della felicità, Como, Red, 1996, pag. 26.
22. Il problema era quello di dare aderenza a
un impero in via di formazione. Gli Omayadi agirono cercando di
sviluppare gli aspetti del califfato indipendenti dalla religione, gli
Abbasidi, al contrario, puntarono sull'unità dei musulmani
indipendentemente dalla loro origine. Si veda a questo proposito T.
Lapidus, op. cit., vol. I, pagg. 66 e segg.
23. Ciò era già avvenuto con l'assimilazione
delle élite al potere bizantina e persiana.
24. La dinastia dei
alg
successe nel 1290 ai primi sultani di Delhi, noti come "sultani
schiavi"; era di origine afghana turchizzata. 'Al'
ad-Dn
trasformò il sultanato di Delhi in un impero quasi subcontinentale.
25. Si veda a tal proposito G. Mandel,
Storia del sufismo, Rusconi, Milano 1995, pagg. 42-44; T. Lapidus,
op. cit., Vol. II, pagg. 208-239; A. Hourani, Storia dei popoli arabi,
Mondadori, Milano 1992.
26. In particolare, per alcune analogie
significative si veda M. Albanese, "Parola e silenzio nel percorso
conoscitivo indiano", in Quaderni Asiatici 44-46, gennaio-settembre
1998, pagg. 41-52.
27. Si tratta in particolare di Corano
III, 27; XXXVI, 12 e XL, 11.
28. All'Islm
sono totalmente estranei i concetti di casta e discriminazione per
nascita. Anche il concetto di nobiltà, che in occidente conta ancora
sostenitori, risulta talmente estraneo al musulmano che questi ha
difficoltà a comprenderlo. Il sangue blu, in quanto direttamente
collegato alla divinità che si riteneva risiedesse in cielo, è del resto
ben misero se paragonato al concetto tipicamente arabo di muru'ah, la
nobiltà che si acquisisce con le azioni e il comportamento.
29. I sf
saranno sempre legati alle lingue locali, non solo in India; qui, in
particolare, la hindi (sadhukkhari) divenne la loro forma
principale di espressione e fu grazie all'uso letterario che della
lingua fecero le confraternite che si sviluppò il primo nucleo della
urd
quale lingua dei musulmani indiani. Altre lingue coltivate dai sf
furono dakhni, sindhi, panjabi e pashto.
30. La Citiyya
è una delle confraternite che, ancor oggi, in India, ha molto seguito e
si è specializzata nella guarigione. Alcuni suoi membri sono emigrati in
Occidente al preciso scopo di diffonderne il messaggio proprio
attraverso questa attività. Si veda M. Chishti, Il libro della
guarigione s
f
,
Edizioni Il Punto d'incontro, Vicenza 1995.
31. Il riferimento è alla Baghavad git
,
vv. 40-41.
32. Si tratta del
azal
(termine maschile in arabo) che dalla Persia giunse in India, dove
divenne una delle massime espressioni della poesia musulmana. Si veda A.
Consolaro, "Dissonanza e contraddizione nella gazal
in urd
di
alib",
in Quaderni Asiatici 39, settembre-dicembre 1998, pagg. 13-18.
33. Ibn
aff
di
irz
(‡ 982) fu seguace di al-alla
e fondò una scuola indipendente. Autore di diverse opere, oltre a
concorrere alla formazione della Kazaruniyya sembra abbia influenzato
anche la Suhrawardiyya.
34. Per al-alla
si veda per tutti L. Massignon, La passion d'al-Hallaj, martyr
mistique de l'Islam, Gallimard, Parigi 1975.
35.amdn
bn Ahmad bn 'Umar Ab
Slih
al-Qassr
(‡ 884) fu maestro di altri mistici importanti e politicamente impegnato
nel sostenere alcuni regnanti.
36. Per Suhraward
e il suo ordine cfr. L. V. Arena Il sufismo, Mondadori, Milano
1996, pagg. 134-5.
37. Iletmi
o Iltutmi
(1211-1236), sovrano di seconda generazione del sultanato di Delhi,
cercò la conferma della sua legalità per mezzo di un'investitura del
califfo Abbaside al-Mustansir. Riuscì a unificare l'India settentrionale
dall'Indo al golfo del Bengala.
38. I Lod
erano una dinastia di origine afghana che si stabilì poi in India; il
regno di Sikandar Lod
durò dal 1489 al 1517 circa. Egli ampliò le frontiere del sultanato
conquistando il Bihar e sottomettendo diversi principati rajput.
39.
am',
di origine persiana, resta famoso per aver posto in versi la storia di
Giuseppe e Zulayka, che è stata poi riscritta in innumerevoli varianti
in tutte le letterature musulmane.
40. Fondata da Nab
ad-Dn
Firdaws
(‡ 1291) è una derivazione della Kubrawiyya. Fu appoggiata da Muhammad
bn Tugluq (1325-1351).
41. Confraternita di origine turca meglio nota
in Occidente con il nome di "dervisci danzanti".
42. Ordine fondato in Khorasan da Nam
Kubra (1145-1220). Svolse un ruolo importante durante la conquista
mongola.
43. Tra l'altro fu Aurangazeb, e non gli
inglesi, il primo, nel 1664, a proibire la sati.
44. Sono stati descritti solamente gli Ordini
caratteristici del subcontinente indiano.
45. L'appoggio delle confraternite in certi
frangenti politici ha continuato ad avere un suo peso anche in epoche
più vicine. Si veda, per esempio, D. Abenante, "L'India coloniale tra
rivolta e collaborazione: il Mutiny del 1857 a Multan.", in Quaderni
Asiatici 44-46, gennaio-agosto 1998, pagg. 91-102.
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