La
generazione del Logos
da Giovanni a Eckhart
da: IL VOLTO DEL DIO
NASCOSTO
Marco Vannini,
Mondadori Editore, 1999
S. GIOVANNI EVANGELISTA
Facendosi carne, ponendo la sua
tenda nel mondo, il LOgos è venuto dunque in ciò che è propriamente suo (éis
ta ídia). E' vero che "il mondo" assume subito la fisionomia negativa che
abbiamo già incontrato, ovvero di qualcosa che sta nel dominio delle tenebre, ma
quelli che accolgono il Logos hanno la facoltà di "essere generati" (ghenésthai)
figli di Dio: essi infatti non dipendono più dal sangue, dalal volontà della
carne e dalla volontà dell'uomo, ma "sono generati" (eghennéthesan) da
Dio.
E' chiaro che Giovanni vuole insistere su una doppia generazione: quella eterna
del cosmo in Dio per mezzo del Logos e quella che avviene nell'anima del
credente che, appunto, accoglie il Logos stesso nella sua umanità, ovvero
nell'uomo Gesù riconosce Dio - concetto esclusivo e definitivo del quarto
Vangelo.
In quanto è generato da Dio, come figlio di Dio, ovvero come un altro Cristo,
nel credente si genera infatti il Logos (si forma il Cristo, come dice Paolo),
che, dunque, è insieme generante e generato.
E' importante sottolineare questo punto, perché costituisce uno dei tratti
salienti della mistica cristiana: la generazione di Dio in noi, nell'anima
umana.
Non la conoscenza di Dio: come abbiamo già visto, fin dal prologo
Giovanni precisa che "nessuno ha mai visto Dio"; e neppure l'unione con Dio
(formula ambigua, che presuppone sempre una dualità di origine, e che rischia di
annullare la differenza specifica tra uomo e Dio), ma la generazione di Dio
nell'anima.
E' evidente che questo concetto presuppone, o direttamente conduce a una nozione
di Dio come spirito, che è proprio quella esplicitamente sostenuta da Giovanni,
giacché Dio nell'anima non si può generare in altro modo che come Logos,
spirito.
LO STUDIO DI HUGO RAHNER
Dobbiamo a Hugo Rahner un
magistrale studio*
che è opportuno riassumere fin d'ora per avere le coordinate principali di
questa strada maestra della mistica cristiana.
L'erudito gesuita tedesco inizia la sua trattazione dei Padri, tralasciando le
fonti canoniche, quali appunto il quarto Vangelo. Egli mostra comunque come
subito i primi scrittori cristiani abbiano parlato di questa doppia, dialettica
generazione: S.Ippolito Romano scrive infatti: "Il Logos è generato dai santi;
generando incessantemente i santi, il Logos viene a sua volta generato da loro"
(In Danielem).
* Hugo Rahner,
La nascita di Dio. La dottrina dei Padri della Chiesa sulla nascita di Cristo
dal cuore della Chiesa e dei credenti, in: Simboli della Chiesa.
L'Ecclesiologia dei Padri, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994, pp. 15-143.
S. IPPOLITO DI ROMA
La generazione del Logos
avviene nel cuore, che la psicologia antica, e poi anche la teologia cristiana,
considerano centro propulsore della vita dell'uomo.
Ben presto il cuore diventa simbolo dell'intimità, dell'"uomo interiore", e
anche la fonte dei lógoi, dei "pensieri", ma anche dei desideri. La
nascita del pensiero, del lógos (conceptus, come
significativamente lo chiamano i latini, ma anche l'italiano continua a parlare
di "concezione" in senso teoretico) avviene dunque nel cuore, ma è nel cuore
stesso del credente che Cristo abita, secondo le parole di Paolo e del Vangelo.
(v. per es. Ef 3,17).
Del resto i primi scrittori cristiani parlano di una nascita del Logos dal cuore
del Padre: da Ippolito questa idea passa ad Ambrogio, per il quale il Verbo
"balza fuori" dal cuore del Padre, anche nel cuore dei credenti.
Da Ambrogio il pensiero si trasmette ad Agostino e a Gregorio Magno, attraverso
il quale giunge ai commenti medievali al Cantico dei Cantici, influenzando
profondamente tanti testi della mistica medievale.
Ancora Ippolito è il rimo a
parlare della nascita del Logos dal cuore della Chiesa, la quale assume così il
ruolo che una volta è toccato alla Vergine Maria. Essa generò una volta il
Verbo, ma la Chiesa lo genera continuamente. .
Nella storia della trasmissione
del concetto della nascita del Logos nell'anima è importante notare come fin
dall'inizio vi sia una duplice possibilità: sottolineare le generazione nella
singola anima del fedele o piuttosto quella nella Madre Chiesa. Le due
possibilità non sono di per se stesse oppositive, in quanto è chiaro che la fede
ha una dimensione ecclesiale, ovvero si trasmette nella comunità e grazie ad
essa, però l'accentuazione dell'una o dell'altra non è irrilevante.
Nel primo caso infatti, quello preferito dalla cosiddetta mistica speculativa
tedesca, si insiste sul fatto che il LOgos si genera nell'anima in assenza di
ogni mediazione, come il solo verso il solo di plotiniana memoria (e, in questo
senso, esso si è generato anche presso i pagani); mentre nel secondo caso,
prediletto dalla Chiesa d'Oriente, l'elemento comunitario, ecclesiale, e poi
anche liturgico - sacramentale, prende il sopravvento, dando luogo spesso a
forme di esclusivismo e di intolleranza del tutto contrastanti con la dottrina
stessa che viene sostenuta.
Non vi è dubbio poi che diverse siano le Lebensformen, le "forme di
vita", che le due differenti opzioni presuppongono e sostengono.
In Ippolito, comunque, il
rapporto tra Cristo e la Chiesa si estende anche alle anime singole, per cui
quello che vale per la Chiesa si applica anche alla nascita del Logos
nell'anima. Va notato però che questa generazione è da lui legata al Battesimo,
dunque anzitutto ad un fatto sacramentale, anche se la grazia battesimale può
perdurare nella vita morale del fedele.
Anche tale elemento conferma insomma il carattere eminentemente ecclesiale che
il concetto ha in Ippolito.
ORIGENE
Che la nascita del Logos
nell'anima inizi con il Battesimo è ovvio anche per Origene, con il quale il
concetto assume la formulazione classica, che doveva sopravvivere per secoli.
Però in lui il LOgos inabitante nel cuore del credente vuole crescere, diventare
di giorno in giorno più grande.
La mirabile nascita del Logos nell'anima non offre al credente nessun vantaggio
se non si ripete continuamente nel progresso morale.
Origene prepara così in modo chiaro quel passaggio dalla generazione del Logos
nel Battesimo e nella fede alla generazione di Cristo nelle opere buone, che
tanto significato avrà nella mistica posteriore.
Sono proprio di Origene le parole che, con la loro insistenza sul giusto ela
giustizia, tanta eco avranno in Eckhart: "Beato colui che sempre è generato da
Dio. Non una volta sola, dico, il giusto viene generato da Dio, maviene generato
in ogni opera buona, perché in tale opera Dio genera il giusto. (...) In ogni
opera buona, in ogni buon pensiero tu sei sempre generato come figlio di Dio in
Cristo".
METODIO DA FILIPPI
Erede della concezione di
Ippolito e soprattutto di Origene è Metodio da Filippi, che accentua la
dimensione morale della quotidiana rigenerazione del Logos. Metodio è importante
non solo in sé, ma anche perché la sua opera, in cui raccoglie il meglio della
teologia della Chiesa primitiva dell'Asia Minore e l'eredità di Origene, ha
esercitato un influsso determinante su Gregorio di Nissa e Massimo il
Confessore.
S. GREGORIO DI NISSA
S. Gregorio di Nissa è uno dei
maggiori mistici tra i Padri greci. In lui confluisce l'eredità di Metodio e
Origene, da cui dipende, spesso alla lettera.
Con maggiore chiarezza che in passato, però, in Gregorio la dottrina della
nascita di Dio nell'anima passa dal piano sacramentale e morale a quello
propriamente mistico.
Il prender forma, il modellarsi del Cristo nell'anima, è infatti per il Nisseno
una misteriosa comunicazione della bellezza spiritualizzata del Logos.
L'anima è infatti, come diceva un altro cristiano platonico, Clemente
Alessandrino, théia apórroia, "divina emanazione", per cui ha in sé la
bellezza divina, è, in sé, deiforme.
Ma tale bellezza, tale conformità a Dio, viene alla luce solo mediante un
totale distacco dalle cose di quaggiù. Seguendo la mentalità platonica, la
generazione interna del Logos è per Gregorio interamente realizzata, totalmente
data, solo se è perfetta: unicamente allora Cristo è nato nel cuore.
Per questo motivo il tema della verginità ha tanta importanza nella mistica del
Nisseno. Essa non è infatti tanto una condizione fisica dei corpi, quanto l'aphtharsía,
lì"incorruttibilità" che lo Spirito Santo porta con sé, ed è perciò una
condizione dell'anima, non del corpo: "Ciò che avvenne fisicamente
nell'incorrotta Maria, quando la piemezza della divinità rifulse in Cristo
attraverso la Vergine, si compie anche in ogni anima che vive verginalmente
secondo il Logos"
E' qui evidente la
contrapposizione tra generazione fisica e generazione spirituale, dunque tra
verginità fisica e verginità spirituale: come apparirà chiaro in Eckhart,
quest'ultima non è altro che il perfetto distacco, il vuoto assoluto che l'anima
ha fatto di se stessa e in se stessa, rendendosi così disponibile alla vita
divina. "Vivente è infatti il LOgos di Dio, e così vivente è l'anima che lo ha
accolto".
In questo senso ogni cristiano ripete la maternità della Vergine, permanendo
vuoto e libero, perché in lui avvenga la nascita del Logos. Essa si compie
quando "nell'intima vita del cuore si riceve, come in un concepimento materno,
l'incorruttibilità dello spirito. Egli produce sapienza e giustizia, santità e
purezza interiore. Ognuno può cos' diventare madre di colui che è tutto ciò,
come il Signore dice: "Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, è mio
fratello, mia sorella e mia madre" (Mt 12, 50).
S. MASSIMO IL CONFESSORE
Questa dottrina ha esercitato
un influsso determinante sul pensiero di un uomo particolarmente importante sia
nella mistica bizantina sia in quella latina: Massimo il Confessore. La
struttura interna della sua teologia è costituita da una bipartizione
dell'intera storia umana, di cui la prima parte è costituita dalla "discesa" (katábasis)
di Dio verso l'uomo, ovvero la preparazione e il compimento dell'incarnazione
del Logos; la seconda della "risalita" (anábasis) dell'uomo verso Dio,
ovvero la divinizzazione dell'umanità nel Logos.
In questo senso Massimo non pensa soltanto a una incarnazione storica di Cristo
nel tempo, ma anche a una incarnazione permanente, sempre attuale: la redenzione
è per lui l'incessante processo di divinizzazione, ovvero di trasformazione in
spirito dell'anima nata dalla carne.
Bisogna ora sottolineare il
concetto di "divinizzazione". Abituati come siamo in occidente alla prudenza
(ovvero alla piccineria, alla mikropsichia) della dogmatica, sempre
rivolta a distinguere il "soprannaturale" e incline a considerare eretico chi si
esprima con formule discordanti, si può restare sorpresi dall'ardire con cui
questi Padri greci parlano appunto di divinizzazione, di "diventare per grazia
quello che Dio è per natura", anzi, di "identità (tautótes) con Dio per
grazia", "immagine del Logos", o, "se la parola non suonasse difficile alla
moltitudine, più che una copia, quello stesso che fu il Signore". La sorpresa
però, quella stessa che si coglie leggendo Eckhart per la prima volta, non
dipende dal loro ardire, ma semplicemente dal fatto che essi avevano preso sul
serio il concetto di incarnazione, in parallelo alla loro esperienza di virtù,
ovvero di dignità dell'anima umana.
Con un tratto squisitamente
giovanneo, Massimo attribuisce all'amore la potenza trasformante per la quale il
Logos ha assunto forma umana e l'uomo può, in "contraccambio" (antídosis),
elevarsi alla natura divina del Logos.
Si ha così una reiterazione mistica di ciò che è una volta avvenuto storicamente
con la discesa del Logos: spiegando l'oscuro versetto paolino "Sopra di noi è
giunta la fine degli eoni" (1 Cor 10,11) Massimo dice che la realizzazione della
prima parte della storia (primo eone), ovvero l'incarnazione del Logos, continua
in noi che, partecipando all'amore trasformante del Logos, per lamore che si
produce nella virtù "subiamo la divinizzazione" e ci troviamo così nella seconda
parte della storia (secondo eone).
Il processo di continua incarnazione del Logos è iniziato in noi qui sulla
terra, e proseguirà in eterno: "Attraverso le virtù Dio vuole sempre diventare
uomo in quanti ne sono degni. E' perciò beato chi con la sapienza può attuare
nel suo intimo questo diventare uomo da parte di Dio. Realizzando la pienezza
del mistero dell'incarnazione, subisce la nascita diventando Dio per grazia, e
questa generazione non conoscerà limite in eterno".
Nel Commento al Paternoster
Massimo spiega che l'anima umana, distaccata da tutto, sottratta alla schiavitù
del proprio volere, risplende come dimora luminosa dello spirito, giacchè ha
ricevuto in sé, per quanto possibile, la natura divina: "Mediante la grazia
Cristo viene misticamente generato nell'anima, prende corpo attraverso i salvati
e in questo modo rende l'anima che lo genera una vergine madre".
Spiegando poi il passo di Gregorio di Nazianzo in cui l'anima è chiamata
móira theoú, "parte di Dio", Massimo chiarisce che noi siamo parte di Dio
perché l'essenza della nostra anima preesisteva in Dio dall'eternità: perciò
ogni uomo che nasce ha in sé una divina virtù per cui partecipa al Logos
increato, che è fondamento vero di ogni virtù. Ogni virtù è dunque un
perpetuarsi dell'incarnazione del Logos, per cui si spiega il mirabile scambio:
nella deificazione dell'uomo il Logos si incarna e nell'incarnazione del Logos
l'uomo si divinizza.
Infatti il Logos di Dio vuole sempre e in tutti gli uomini attuare il mistero
della sua incarnazione, e all'uomo compete, come alla Vergine, solo accettare la
volontà di Dio: in questo senso i Padri greci usano quella stessa formula
apparentemente passiva ""patire il santo ritorno", "patire di diventar Dio per
grazia") che si ritrova nella mistica medievale tedesca: patir Dio.
GIOVANNI SCOTO ERIUGENA
L'opera di Massimo,che portava
a compimento i principi teorici esistenti in germe in Origene e Gregorio di
Nissa, fu infatti conosciuta in occidente: Giovanni Scoto Eriugena tradusse in
latino i suoi Ambigua, per cui non meraviglia ritrovare nella mistica
medievale, tedesca e non, l'identica dottrina della nascita di Dio nel cuore
dell'uomo.
Bisogna attendere che l'influsso di Scoto Eriugena si diffonda nel medioevo
latino perchè tale dottrina riemerga con decisione. Né Ambrogio né Agostino -
principali autorità della teologia e della spiritualità medievale - la
riprendono infatti nei suoi tratti essenziali.
Il primo, pur dipendendo strettamente da Origene, ha una mentalità in prevalenza
pratica, pastorale, senza tracce di un sistema mistico: in lui è la vita morale
del credente il luogo in cui si realizza la nascita di Dio. Ciò che conta è che
il cristiano, con una vita buona e onesta, conservi in se stesso il Cristo che
dimora in lui. E' perciò la dimensione ascetica, piuttosto che quella mistica,
ad avere importanza per quanto concerne le nascita del Logos nell'anima.
Anche in Agostino la teologia della nascita di Dio nell'anima non ha avuto eco
adeguata.
Ciò può apparire strano, se si pensa al ruolo determinante che in lui ha il tema
dell'interiorità, di Dio che abita nel profondo dell'uomo, per cui ci si
aspetterebbe che la dottrina della nascita del Logos nell'anima trovasse un
ruolo adeguato, quasi a complemento del tema dell'interiorità.
Ciò però non è stato perchè in Agostino prevale il tema della Chiesa come Madre
di Cristo, e in ciò madre verginale e feconda del credente. Senza dubbio ciò
rispecchia l'esperienza e il cammino personale del vescovo di Ippona, nel quale
la dimensione ecclesiale prende il sopravvento su quella personale, interiore,
come avremo modo di spiegare più avanti.
Sappiamo assai poco della vita
di Giovanni Scoto Eriugena, che rimane una figura straordinaria nel panorama
alto-medievale. Cadde in sospetto di eresia per aver difeso il valore della
ragione nelle dispute teologiche, ma l'appoggio del sovrano gli evitò
probabilmente le condanne. Non sappiamo nulla di lui dopo l'870: sono
sconosciuti il luogo e la data della morte.
Oltre ad aver tradotto gli Ambigua di Massimo il Confessore, Giovanni Scoto
utilizza costantemente quest'ultimo, citandolo come "venerabilis magister et
divinus philosophus" nel suo capolavoro, il De divisione naturae.
L'uomo non è una "natura" in sé conclusa, alla quale verrebbe poi aggiunto quale
"fine" ulteriore e supplementare il "soprannaturale", inteso come qualcosa di
estraneo alla vera natura; al contrario, l'uomo è pensato fin dall'inizio a
partire da questo fine, considerando il "soprannaturale" come appartenente in
proprio alla stessa natura umana.
(...) All'interno di questo grandioso sistema un ruolo centrale è giocato dalal
dottrina della nascita del Logos nel cuore dei credenti, che Giovanni Scoto ha
appreso da Massimo e che trasmette così al mondo latino.
Anche per l'Eriugena infatti la deificazione dell'uomo mediante l'incarnazione
del Logos è il pensiero dominante di tutto il sistema. La discesa del Logos, che
incessantemente continua a generarsi nel cuore dei fedeli, è il centro della
storia dei rapporti tra Dio e l'uomo.
Anzi, ancor più neoplatonico, se possibile, di Massimo stesso, Giovanni trascura
sempre di esprimere la volontà per cui il Logos è disceso, liberamente e per
amore, dando così l'impressione che l'incarnazione sia una sorta di necessario
processo cosmogonico.
In realtà l'Eriugena - come farà poi Eckhart - vuole sottolineare che la
creazione del mondo è implicita nella vita stessa di Dio, nella vita trinitaria,
per la quale il Padre, proprio in quanto Padre, incessantemente genera il
Figlio, e, nel Figlio, il mondo e l'uomo: quest'ultimo, dunque, non può fare
altro che tornare a Lui.
ECKHART
La teologia Eriugeniana passa
nella mistica cisterciense e in S.Bernardo di Chiaravalle; in Ugo e Riccardo di
San Vìttore; da essi, e da altri scrittori medievali le cui opere erano spesso
attribuite ad Agostino, giunge così fino ad Eckhart la dottrina giovannea della
duplice nascita del Logos.
Non a caso uno dei testi essenziali dell'Eriugena è la sua Omelia sul Prologo di
Giovanni, che i medievali attribuivano - con un errore quanto mai intelligente -
a Origene.
Da:
http://www.mistici.org/associazione/genverbo_vannini.htm