"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Il conoscere non è una
funzione che prepari l’azione morale, ma è a t t o m o r a l e
(*) che impegna tutto lo spirito:
la capacità di astrarre dall’hic et nunc, di trascurare ciò che è mio
e tuo, per giungere all’universale, implica un atto di libertà
eroica che insieme adduce il volere. La volontà, quindi, è subordinata
all’intelletto e si deve fare consistere la dignità dell’anima nell’eliminazione
inesorabile di quanto di irrazionale e di sentimentale e di impulsivo
pretenderebbe di piantarsi al centro direttivo della vita.
Il processo conoscitivo si conclude in una unità innominabile, fuori dalla quale
deve rimanere il pensiero che discrimina essere da non-essere, i valori delle
spirito e le distinzioni del reale; ma, non ostante la superrazionalità
della meta finale, il conoscere intellettivo esaurisce in sé tutta l’opera
dell’anima.
La conoscenza ripercorre il processo della vita divina e salda il cerchio dell’automanifestazione
dell’Assoluto: si eleva dal sensibile e dal diveniente all’eternità dell’idea,
riconduce all’unità intelligibile la dispersione fenome-nica, si inserisce in un
mondo invisibile che non sa né la morte, né la dolorosa caduta nell’esteriore.
Solo così il mistero cristologico non è più il paradosso che contraddice alla
logica umana, ma è il simbolo storico di un ciclo spirituale che si attua in
ogni anima e in ogni tempo. C o n o s c e n d o s è l ‘ a n i m a c o n o s
c e D i o.
Il f a r s i d e l l ‘ a n i m a per mezzo della conoscenza è lo stesso
operare dell’Assoluto che, per l’anima e nell’anima, ritorna a sé e si rivela
totalmente a se stesso.
Questa posizione è contro ogni tipo di volontarismo radicato sulle emozioni e
sui piacevoli sentimenti religiosi: non conosce compromessi con gli esseri
finiti e le cose create: è la scienza dell’Essere Uno e indistinto e, più che
alle molteplici essenze determinate, guarda all’Essere Assoluto a cui tendono le
essenze quasi per annullare nell’indistinzione tutto ciò che le distingue.
Si compiace anche delle distinzioni, ma solo perché esse conducono la mente alla
distruzione inesorabile di ogni distinzione.
I gradi dell’essere perdono così ogni autonomia per livellarsi nell’univocità
dell’Essere che non ammette in sé né gradi né distinzioni. E’ impossibile
discriminare gli effetti e proporzionarli all’entità della cosa amata: tutto ciò
che è, è in Dio che è l’Essere; tutto si conosce in Dio; tutto deve essere amato
in Dio. Al di sopra delle vicende umane e degli interessi effimeri
l’anima si libra in piena libertà e guarda ad essi senza odio e senza amore,
accettando tutto ciò che è con la medesima serena indifferenza.
Il processo ascensionale dell’anima che tende all’Uno è processo di liberazione
dalla molteplicità immediata che è il primo oggetto che si presenti alla nostra
coscienza e in cui noi ritroviamo il retaggio della nostra creaturalità. La meta del suo processo è la conquista della libertà ovvero,poiché
soltanto l’intelletto è libero, di una vita intellettiva tutta interiore. In quanto Dio è sopra tutte le cose, è l’Essere, non l’essere così e così
determinato, è necessario che l’uomo trascenda tutte le cose.
La realtà esteriore e sensibile è concatenazione di cause e di effetti, e perciò
ogni sua parte rimanda ad un’altra in un rinvio indefinito; l’anima per mezzo
dei sensi e con le sue facoltà inferiori si lega all’esterno, perde la sua
libertà e insieme oblia se stessa.
“Tutto ciò che è creato non è libero” ; anche l’anima come creatura - non
in quanto intelletto - non è libera: le sue azioni esterne sono determinate
da un c e r t o m o t i v o , da un c e r t o a f f e t t o , per una
persona, da una certa avversione per una cosa; più che vere azioni,
sono passioni, perché procedono dall’esternoe la loro causa è fuori
dall’anima stessa. L’azione che deriva dall’anima è libera perché
coessenziale ad essa; quella esteriore, invece, è soggetta al fluttuare delle
circostanze, può essere ostacolata e costretta e col tempo e l’abitudine si
fiacca e vien meno a se stessa.
Perciò a l l a b a s e d e l l a v i t a m o r a l e s t a n n o, quali
condizioni assolute, l ‘ u m i l t à , l a p o v e r t à i n t e r i o r e
, i l d i s t a c c o .
Come il processo conoscitivo è p o s s i b i l e s o l t a n t o p
e r o p e r a d e l l ’ a s t r a z i o n e che esclude ogni
accidentalità ed ogni elemento particolare e contingente per assurgere alla
scienza di ciò che è universale ed eterno, così l’ascesa dello spirito
non è possibile se non purificando il cuore dagli affetti che lo legano ai
singoli beni e, vincolando l’anima all’esterno, le impediscono di congiungersi a
se stessa e di trovare in sé l’Uno.
Astrazione e povertà: esse
non sono due cose diverse ed eterogenee, ma due aspetti di una stessa esigenza
originaria.Ambedue sono avviamenti
alla liberazione dal sensibile, ed ambedue sono già libertà in atto: ambedue
sono mezzi che devono condurre all’unità interiore, ed ambedue sono condiziona
te da un’unità già conquistata : - n o n p o t r e b b e i l p
e n s i e r o d i s c r i m i n a r e
d a l l ‘ a c c i d e n t a l e s e n o n f o s s e g i à l u c
e a s e s t e s s o e a l l a p r o p r i a d i s c r i m i n
a z i o n e e n o n p o s s e d e s s e i n s è i l c r i t e r i o
d e l l a v e r i t à ;
né potrebbe la volontà iniziare la propria purificazione se lo
splendore dell’Unità già non la rischiarasse interiormente rendendo possibile il
primo atto eroico. L’aspetto drammatico di ogni elevazione mistica è
sempre questo: -i mistici di ogni tempo ci descrivono l’ascesa come una
conquista graduale e naturale, al sommo della quale sarebbe permesso all’anima
di godere della propria libertà divina, mentre in realtà essa è possibile solo
a condizione che l’anima avverta già il disgusto della realtà sensibile e senta
in sé la presenza dell’Uno liberatore, sia cioè già libera.
Il mistico non diventa ma nasce tale; e se anche sembra talora che, nel corso
della vita, un determinato avvenimento orienti improvvisamente un’anima verso
una visione mistica delle cose, si tratta pur sempre di un istante sacro che
non ha storia e che non è la conclusione voluta di una preparazione mentale
completamente profana al suo inizio.
Il mistico nasce per generazione come Figlio, c a v o c h e s i a d
i s è e d e l l e c o s e d e l m o n do . Infatti, la povertà è
distacco da tutto ciò che è immagine, da tutto ciò che l’uomo esteriore può
chiamare suo; è l’eliminazione dell’accidentale e del vano ed è perciò
ritrovamento dell’essenziale: la nuda povertà, il non possedere nulla, l’essere
vuoto di tutto, produce nell’uomo una inversione di tendenza che lo riporta sui
propri passi, là da dove era venuto (conversione). E ne consegue che l’anima “tanto
humilior tanto est capacior”; “In humilibus terra coelum est, imum summum est”. L’anima col suo morire alle cose esteriori, coopera
con l’azione divina e riconquista attimo per attimo, il suo essere: l’anima
creata diviene, si fa, e la sua attività morale è inizialmente
un’ascesa, non un possesso: - l’anima del mistico -
adoperando un paragone caro a sant’Agostino, a Plotino, allo pseudo Dionigi, a
san Tommaso d’Acquino - è simile all’artista che trae una figura dal marmo (o
dal legno); egli non immette l’immagine nel legno, ma toglie le schegge che ne
coprono la figura; non dà nulla al marmo, ma ne toglie, ne scava lo spessore, ne
leva il superfluo, finchè risplende quello che sotto rimaneva nascosto.
L’ascensione dell’anima non ha dunque lo scopo di produrre
piani di vita spirituali, di creare abitudini virtuose, di trasformare la natura
umana e di adattarla a norme esterne più o meno razionali.
L’anima è d i v i n a n e l s u o f o n d o e d e v e d i v e n t
a r e c i ò c h e è : e p e r c o n d u r l a a l l a s u a m e t a
s u p r e m a, b a s t a g e t t a r v i a l o s c o g l i o e
s t e r i o r e, b a s t a s c o p r i r e, s v e l a r e, p u r i f i c
a r e. Ogni aggiunta sarebbe superflua: è necessario anzi eliminare ogni
superfluo. L a v i r t ù, p i u t t o s t o c h e u n h a b i t u
s m o r a l i s, è c a t a r s i. Perciò l’anima, che nel suo fondo fa
una cosa sola con Dio, per trovare il suo intrinseco valore ha bisogno di n
o n f a r e più che di fare. Essa deve pure agire; ma le sue opere
esteriori si possono paragonare all’opera negativa del maestro, nella pedagogia
del Rousseau, la quale non contribuisce a creare nel fanciullo attitudini nuove,
ma a svelare l’originaria natura e l’intrinseca dignità del suo spirito.
Le opere esteriori hanno soltanto un valore strumentale: la loro funzione di m
e z z isi esaurisce quando abbiano potuto eliminare qualche cattiva
abitudine; ma poiché l’opera come tale è sempre una dispersione nell’esteriore e
pertanto un allontanarsi dalla divina interiorità, Meister Eckhart arriva a dire
che in tutte le esercitazioni esteriori Iddio si trova tanto quanto lo si
ritrova nel peccato.
Il valore dell’opera esteriore va dunque ricercato i n c i ò c h e n o
n è o p e r a e c h e n o n è e s t e r i o r e ; l’azione
esterna non può essere buona e grande se l’interiore è minimo o manca del tutto.
La stessa preghiera, intesa a chiedere grazie a Dio e a imporre, in certo modo,
i limiti dell’umano desiderio alla volontà divina, deve essere condannata:
s o l a h u m i l i t a s e s t o r a t i o, poiché l’umiltà non
chiede se non il f i a t v o l u n t a s t u a e prepara
perciò un cuore puro e libero.
La spontanea propensione dell’uomo, come determinata creatura, ad uscire da se
stesso per realizzare la divina somiglianza, quando non deriva da riflessione e
da raziocinio, è sempre sembrata un dono extraumano, una grazia divina; e così
tutto l’itinerario dell’io empirico all’Essere Uno, in quanto condizionato a
un’azione dall’Essere stesso, è sempre apparso n o n come un’ascesa
dell’umano al divino, ma come u n m o m e n t o e t e r- n o d e l l
a v i t a s t e s s a d e l l a d i v i n i t à, c h e s i a t
t u a n e l l ‘ a n i m a : “gratia est supra omnem creaturam, supra
opus, supra potentias intellectivas in abdito animae, ubi solus Deus illabitur”….nascosta
nell’anima, dove soltanto Dio può penetrare. L’uomo può r o m p e r e l ’ i o p s i c o l o g i c o
attraverso il processo di spoliazione di quanto di estraneo ed improprio
soffoca l’anima. Questo processo è possibile quando si sia capaci di distacco
e di astrazione, soprattutto nei confronti di se stessi. Così si libera
la propria essenza, il proprio Sé, la “scintilla dell’anima”, l’ “acies
mentis”, l’ “anima nuda”, l’ “apex mentis, il “fiore
dell’intelletto”, il “centro dell’anima”, la “divina scintilla”
, il “fondo dell’anima”, la “natura propria”, la “rocca dello
spirito”, la “domus Dei”. In realtà, malgrado i molti nomi, il
fondo dell’anima è innominabile come la Divinità: come Dio assume i nomi delle
Persone divine in quanto si esplica nell’atto della generazione eterna, così
l’anima assume diversi nomi solo in rapporto alle sue operazioni e facoltà.
La grazia
La grazia non agisce né opera, ma è, come la divinità
stessa; l’opera è soltanto la sua manifestazione. La grazia è ciò che rimane
nel fondo spirituale, una volta eliminata la creaturalità, è l’Uno immobile
nell’intimo dell’anima. La grazia più che un’opera eccezionale di Dio, è lo
stesso essere di Dio nell’anima, è innata l u c e i n t e l l e t t u a l
e che, in quanto superiore alle facoltà psichiche collegate al sensibile,
deve essere detta soprannaturale, ma che in realtà è la stessa natura genuina
dell’anima. Ma poiché l’anima è soltanto potenzialmente intelletto, poiché
la conoscenza superiore non è possesso immediato, ma conquista che richiede da
parte nostra un’opera liberatrice, è naturale che quest’opera sia nostra e
che la grazia che la rende possibile sembri fuori di noi. L a g r a z
i a è l’ e t e r n o e l ‘ i n c r e a t o n e l l ‘ a n i m a
, ma in senso dialettico. E difatti l’anima non è divina, ma si fa divina e
conquista il suo vero essere solo nell’atto con cui si spoglia della
creaturalità e svela ciò che giaceva nascosto nel fondo e c h e p u
r r e n d e v a s i l e n z i o s a -m e n t e p o s s i b i l e l a
s u a o p e r a l i b e r a t r i c e ; e, d’altra parte, Dio non è
grazia operante se non nell’anima e per l’anima, mentre in se stesso non opera,
ma è. L ‘ e f f l u s s o è c o r r i s p o n d e n t e a l l ‘ i
n f l u s s o e d i n v e r s a m e n t e; e il tutto si compie in
Dio,
poiché nulla è fuori di lui, e si compie nell’anima, poiché essa, nella sua
nudità interiore, non esce da sé, m a r i t r o v a i n s
è l a s u a v e r a n a t u r a.
A questo proposito vale la pena di rileggere una pagina di Alessandro Klein,
tratta da Meister Eckhart e la dottrina mistica della giustificazione,
Mursia :
“All’origine della religiosità mistica
predicante la necessità della deificazione dell’uomo si ritrova la percezione di
una sostanziale inconsistenza delle creature.
Al mistico le creature manifestano la loro
nullità; e nella vacuità che rivelano è scoperta la ragione della loro vanità,
del tedio che suscitano, della loro inettitudine a soddisfare l’uomo, a
consolarlo. (…)
La rivelazione della nullità delle creature, da
cui il mistico muove, è al tempo stesso rivelazione di Dio come pienezza
dell’essere.
Vedere il nulla delle creature è vedere
Dio: “Una volta dissi: “Allorchè San Paolo vide nulla, allora vide Dio”. Ora io
modifico questo detto migliorandolo, ed affermo: “Allorchè San Palo vide
il nulla, allora vide Dio”
Nella loro nullità le creature si fanno
trasparenti a Dio: v u o t e d i e s s e r e, lasciano trasparire l’essere che
Dio è (come loro fondamento). Dietro il nulla delle creature si staglia
l’essere di Dio.
Ma d’altro canto è rispetto a Dio che le
creature si manifestano come nulla: “Tutte le creature sono (…) un nulla
rispetto a Dio”.
La pienezza dell’essere divino è lo sfondo in
virtù del quale appare la trasparenza, ossia la nullità delle creature:
”Allorchè (San Paolo) vide Dio, allora vide tutte le cose come un nulla”. Le
creature come nulla e Dio come l’Essere si palesano simultaneamente agli occhi
del mistico, e sono le une la condizione del palesarsi dell’altro. Si tratta
infatti di due momenti o aspetti /complementari/ e perciò inscindibilmente
intrecciati di una stessa rivelazione.
Se da una parte è la nullità delle creature che fa trovare Dio, d’altra parte è
Dio che fa conoscere la nullità delle creature .
In un’inesplicabile reciprocità d’azione le creature distolgono da sé rimandando
a Dio, e Dio chiama a sé distogliendo dalle creature.
E’ così: merita e perviene alla sapienza di Dio chi tutto il resto considera
nulla, ma occorre già possedere la sapienza di Dio per reputare nulla tutto il
resto.
Il tedio del mondo suscita il desiderio di Dio e il desiderio di Dio il tedio
del mondo. Si intrecciano nel mistico, facendolo tale, la scoperta della
nullità delle creature e quindi della menzogna con cui esse si offrono alla
conoscenza dell’uomo comune (o “uomo esteriore”) fingendosi quello che non
sono, e il desiderio di un Dio già sempre saputo (ignoti nulla cupido!)
ma non ancora pienamente posseduto.
Torniamo brevemente sull’atto morale
L’atto morale si compie soltanto nel superamento di un
limite e la vita morale è attività perennemente tesa al superamento della
realtà esteriore. Pertanto, l’atto morale si identifica con la volontà
buona attraverso la quale l’uomo può realizzare la propria nudità
interiore. Innegabilmente, quindi, l a v i r t ù è oggetto di faticosa
conquista che, però, culmina n o n in un complesso di doveri e di costumi e
di abitudini, faticosamente sorretto da norme sociali e da convenzioni storiche,
ma in una assoluta libertà interiore che sa guardare a tutte le vicende umane
senza legami passionali e sa dominare ogni accadimento esteriore con il suo
spirito divino, che nell’Uno ha riconquistato se stessa. Al culmine della dolorosa ascesa si compie il prodigio interiore
dellan a s c i t a e t e r n a :
-nella prima nascita l’uomo è immerso nel temporaneo e ne
molteplice e comincia il suo vivere con la morte. Il suo morire alla morte è il
suo vivere essenziale, il suo nascere all’eterni, Iddio genera allora nell’anima
il Figlio;
- l’identità dell’anima al Figlio rende possibile la conoscenza
della verità universale;
-l’identità del “fondo dell’anima” alla Divinità rende possibile
la unione suprema.
<<<<>>>>>
Ora, se non vogliamo che la innata tensione all’Uno sia
vano ed esasperante desiderio, se non vogliamo che la vita dello spirito manchi
quaggiù al suo scopo e si consumi nella disperata attesa di una unione
ultraterrena, come se un assurdo ostacolo separi quaggiù l’anima dalla Divinità
onnipresente, è necessario postulare la divinità dell’anima stessa.
In noi è la tensione che può precipitarci verso il male e perderci, in noi è la
luce stessa di Dio nella quale Dio si riconosce e si ama e nella quale noi siamo
una sola cosa con lui.
Il mistico sa, come il poeta Holderlin, che soltanto il divino può conoscere il
Divino.
La scintilla di cui parla Eckhart, non è una facoltà, ma la radice di ogni
facoltà, come la Divinità è la scaturigine della divina ipostasi: essa è
l’essenza stessa dell’anima, è l’anima nuda, e come tale non conosce né ama. Se l’anima, in quanto intelletto, è un patire e un ricevere, è cioè il
Figlio del Padre, perché la sua vita è similitudine e relazione nell’intelligere,
essa, come fondo originario è pura essenza, non è più rapporto ma l’Assoluto
stesso. Essa è una e semplice, assolutamente libera e spoglia di ogni forma,
determinazione e proprietà; e se Dio vuole guardare in essa vi deve guardare
solo come Uno, non come Padre, né come Figlio, né come Spirito santo, altrimenti
gli costa i nomi divini e la proprietà delle Persone.
<<<>>>
“Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia
perché saranno saziati” –
“ Beati i poveri in spirito ………”
Chi desidera qualcosa da Dio non è figlio ma servo di
Dio. Il giusto non serve a Dio, ma ama liberamente la giustizia e ciò che fa lo
fa amando il mondo dal punto di vista di Dio stesso, sicchè assimila quanto lo
circonda tramutandolo in opere giuste: instaurata la vita assoluta nell’anima
ed eliminato ogni compromesso con premi e lusinghe di un superiore utilitarismo
trascendentale, realizza l’espressione più coerente e pura: ogni residuo della
mentalità giudaica, fondata su leggi e compensi, è inesorabilmente distrutto ed
il Cristianesimo assurge al suo più alto grado di rivendicazione della dignità e
della libertà umana.
La n a s c i t a e t e r n a non è una scialba anticipazione
dell’al di là, ma la generazione stessa del Verbo, il compimento della vita
divina, l’attuazione integrale del destino dell’anima.
-------------------------
(*) ATTO MORALE.
Parlando di morale, non intendiamo riferirci alla morale storica e
tantomeno a quella civile o convenzionale, relative entrambe, ma alla morale il
cui atto si realizza allorchè l’uomo si ri-lega alla sua realtà interiore.Secondo Meister Eckhart, l’atto morale si compie nel superamento di un
limite. La vita morale, quindi, è attività perennemente tesa al superamento
della realtà esteriore. Pertanto, l’atto morale si identifica con la volontà
buona attraverso la quale l’uomo può realizzare la propria nudità
interiore.