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FILOTEA
PRIMA PARTE
Contiene consigli ed
esercizi necessari per condurre l’anima dal primo desiderio della vita devota
fina alla ferma risoluzione di abbracciarla
Capitolo I
DESCRIZIONE DELLA VERA DEVOZIONE Mia cara Filotea, tu
vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa
virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di
qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine,
irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la
virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono
tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo
correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa.
Arelio dava a tutti i
volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava; ognuno
si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi
si consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il
cuore pieno di rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e
neppure nell’acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel
tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia.
Un altro penserà di essere
devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e
non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua
rifilerà, per il resto della giornata, a domestici e vicini. Qualche altro metterà mano
volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a
cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi
l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche
per la testa; ci vorrà il tribunale. Tutta questa brava gente,
dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente. Ricordi l’episodio degli
sgherri di Saul che cercano Davide? Micol li trae in inganno mettendo nel letto
un fantoccio con gli abiti di Davide, e fa loro credere che Davide è ammalato.
Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione
e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se
vai a guardar bene, scopri che sono soltanto fantocci e fantasmi di devozione. La vera e viva devozione,
Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un
amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto
abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama
carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale
livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci
spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione.
Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e
rasoterra; le aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in
alto. Similmente i peccatori non
riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla terra e per la
terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso
Dio per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le
persone devote volano in Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto. A dirlo in breve, la
devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la
carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e
affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i Comandamenti di
Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la
prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i Comandamenti di
Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la
carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e
prontezza nel compiere gli atti. Siccome la devozione si
trova in grado di carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e
diligenti nell’osservare tutti i Comandamenti di Dio; ma ci spinge inoltre a
fare con prontezza e affetto tutte le buone opere che ci sono possibili, anche
se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate. Come un uomo guarito di
recente da una malattia, cammina quel tanto che gli è necessario, piano piano e
trascinandosi un po’, così il peccatore, guarito dal suo peccato, cammina quel
tanto che Dio gli comanda, trascinandosi adagio adagio fino a che non giunga
alla devozione. Allora, da uomo completamente sano, non soltanto cammina, ma
corre e salta nella via dei Comandamenti di Dio e, inoltre, prende di corsa i
sentieri dei consigli e delle ispirazioni celesti. In conclusione, si può
dire che la carità e la devozione differiscono tra loro come il fuoco dalla
fiamma; la carità è un fuoco spirituale, che quando brucia con una forte fiamma
si chiama devozione: la devozione aggiunge al fuoco della carità solo la fiamma
che rende la carità pronta, attiva e diligente, non soltanto nell’osservanza dei
Comandamenti di Dio, ma anche nell’esercizio dei consigli e delle ispirazioni
del cielo.
Capitolo II
CARATTERISTICHE ED ECCELLENZA DELLA DEVOZIONE Coloro i quali volevano
scoraggiare gli Israeliti dall’entrare nella terra promessa, dicevano che era un
paese che divorava gli abitanti, ossia, che l’aria era talmente pestilenziale
che nessuno vi poteva vivere a lungo; per di più era abitata da mostri che
divoravano gli uomini come locuste: allo stesso modo, mia cara Filotea, la gente
della strada dice tutto il male che può della devozione e dipinge le persone
devote immusonite, tristi e imbronciate, e va blaterando che la devozione rende
malinconici e insopportabili. Ma sull’esempio di Giosuè e di Caleb, che, non
solo sostenevano che la terra promessa era fertile e bella, ma che il suo
possesso sarebbe stato utile e piacevole, lo Spirito Santo, per bocca di tutti i
santi, e Nostro Signore, con la sua Parola, ci danno assicurazione che la vita
devota è dolce, facile e piacevole. La gente vede che i devoti
digiunano, pregano, sopportano le ingiurie, servono gli infermi, assistono i
poveri, fanno veglie, controllano la collera, dominano le passioni, fanno a meno
dei piaceri dei sensi e compiono altre azioni simili a queste, di per sé e per
loro natura aspre e rigorose; ma non sa vedere la devozione interiore e cordiale
che trasforma tutte queste azioni in piacevoli, dolci e facili. Guarda l’ape sul timo: ne
può ricavare soltanto un succo amaro, ma succhiandolo lo trasforma in miele,
perché questa è la sua caratteristica. Mi rivolgo a te, persona
del mondo, e ti dico: le anime devote incontrano molta amarezza nei loro
esercizi di mortificazione , questo è certo, ma praticandoli li trasformano in
dolcezza e soavità. Il fuoco, la fiamma, la
ruota, la spada per i martiri sembravano fiori odorosi, perché erano devoti; e
se la devozione riesce a rendere piacevoli le torture più crudeli e la stessa
morte, cosa non riuscirà a fare per le azioni proprie della virtù? Lo zucchero rende dolci i
frutti un po’ acerbi e toglie il pericolo che facciano male quelli troppo
maturi; la devozione è il vero zucchero spirituale, che toglie l’amarezza alle
mortificazioni e la capacità di nuocere alle consolazioni: toglie la rabbia ai
poveri e la preoccupazione ai ricchi; la desolazione a chi è oppresso e
l’insolenza al favorito dalla sorte; la tristezza a chi è solo e la dissipazione
a chi è in compagnia; ha la funzione di fuoco in inverno e di rugiade in estate,
sa affrontare e soffrire la povertà, trova ugualmente utile l’onore e il
disprezzo, riceve il piacere e il dolore con un cuore quasi sempre uguale, e ci
colma di una meravigliosa soavità. Guarda la scala di
Giacobbe, che è la vera immagine della vita devota: i due montanti, tra i quali
si sale ed ai quali sono fissati gli scalini, rappresentano l’orazione, che
chiede l’amore di Dio e i Sacramenti, che lo conferiscono; gli scalini sono i
diversi livelli della carità, per i quali si sale, di virtù in virtù; o
discendendo in aiuto e sostegno del prossimo, o salendo per la contemplazione
all’unione d’amore con Dio. Ed ora dà uno sguardo a
coloro che si trovano sulla scala: sono uomini con il cuore di Angeli, o Angeli
con il corpo di uomini; non sono giovani, ma lo sembrano, perché sono pieni di
forza e di agilità spirituale; hanno ali per volare e si lanciano in Dio con la
santa orazione; ma hanno anche i piedi per camminare con gli uomini in una santa
e piacevole conversazione; i loro volti sono belli e radiosi, per cui ricevono
tutto con dolcezza e soavità; le gambe, le braccia e la testa sono scoperte,
perché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni hanno il solo scopo di
piacere a Dio. Il resto del corpo è coperto da una tunica fine e leggera, perché
sono realmente inseriti nel mondo e usano le cose di questo mondo, ma in modo
pulito e limpido, prendendo esclusivamente il necessario: così agiscono le
persone devote. Cara Filotea, devi
credermi: la devozione è la dolcezza delle dolcezze e la regina delle virtù,
perché è la perfezione della carità. Se vogliamo paragonare la carità al latte,
la devozione ne è la crema; se la paragoniamo ad una pianta, la devozione ne è
il fiore; se ad una pietra preziosa, la devozione ne è lo splendore; se ad un
unguento prezioso, né è il profumo soave che dà la forza agli uomini e gioia
agli Angeli.
Capitolo III
LA DEVOZIONE SI ADATTA A TUTTE LE VOCAZIONI E
PROFESSIONI Nella creazione Dio
comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo
stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di
devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione. La devozione deve essere
vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal
principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio
della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai
doveri dei singoli. Ti sembrerebbe cosa fatta
bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che
diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei
Cappuccini? Din un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un
Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al
prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione
sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile? Eppure queste stranezze
capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere,
tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e
biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze. Se la devozione è
autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e quando va contro
la vocazione legittima, senza esitazione, è indubbiamente falsa.
Aristotele dice che l’ape
ricava il miele dai fiori senza danneggiarli, e li lascia intatti e freschi come
li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non porta
danno alle vocazioni e alle occupazioni, ma al contrario, le arricchisce e le
rende più belle. Qualunque genere di pietra
preziosa, immersa nel miele diventa più splendente, ognuna secondo il proprio
colore; lo stesso avviene per i cristiani: tutti diventano più cordiali e
simpatici nella propria vocazione se le affiancano la devozione: la cura per la
famiglia diventa serena, più sincero l’amore tra marito e moglie, più fedele il
servizio del principe e tutte le occupazioni più dolci e piacevoli. Pretendere di eliminare la
vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte
del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. E’ vero che
la devozione contemplativa, monastica e religiosa non può essere vissuta in
quelle vocazioni; ma è anche vero che, oltre a queste tre devozioni ce ne sono
tante altre, adatte a portare alla perfezione quelli che vivono fuori dai
monasteri. Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Giobbe, Tobia, Sara, Rebecca e
Giuditta ne sono la prova per l’Antico Testamento; nel Nuovo abbiamo S.
Giuseppe, Lidia, S. Crispino che vissero la perfetta devozione nelle loro
botteghe; S. Anna, S. Marta, S. Monica, Aquila, Priscilla, nel matrimonio;
Cornelio, S. Sebastiano, S. Maurizio nella vita militare; Costantino, Elena, S.
Luigi, il Beato Amedeo, S. Edoardo sul trono. E’ capitato anche che molti
abbiano perso la perfezione nella solitudine, per sé molto utile alla vita
perfetta, mentre l’avevano conservata in mezzo alla moltitudine, che sembra
invece, di natura sua, poco adatta a favorire la perfezione. Lot, dice S.
Gregorio, fu casto in città e peccatore nella solitudine. Poco importa dove ci
troviamo: ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione.
Capitolo IV
NECESSITA’ DI UN DIRETTORE SPIRITUALE PER
ENTRARE E PROGREDIRE NELLA DEVOZIONE Quando il giovane Tobia
ricevette l’ordine di recarsi a Rage, rispose: Non conosco la strada. Il padre
gli disse allora: Va tranquillo e cerca qualcuno che ti faccia da guida. Ti dico la stessa cosa,
Filotea. Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova
qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione
delle raccomandazioni. Qualunque cosa tu cerchi, dice il devoto Avila, troverai
con certezza la volontà di Dio soltanto sul cammino di una umile obbedienza,
tanto raccomandata e messa in pratica dai devoti del tempo antico. La Beata Madre Teresa,
vedendo Caterina di Cordova fare grandi penitenze, ebbe un grande desiderio di
imitarla contro il parere del confessore che glielo proibiva e al quale era
tentata di non obbedire, almeno in questo, Dio allora le disse: Figlia mia, tu
stai camminando su una strada buona e sicura. Vedi le sue penitenze? Eppure io
preferisco la tua obbedienza! Teresa concepì tanto amore per questa virtù che,
oltre all’obbedienza dovuta ai Superiori, votò una particolare obbedienza ad un
uomo straordinario, impegnandosi a seguirne la direzione e la guida; ne ebbe
grandi consolazioni. Prima e dopo di lei, è capitata la stessa cosa a molte
anime elette che, per garantirsi una più perfetta sottomissione a Dio, hanno
posto la loro volontà sotto la direzione dei suoi servi; cosa che S. Caterina da
Siena elogia con sante espressioni nei suoi Dialoghi. La devota principessa S.
Elisabetta obbediva, con estrema esattezza, al dotto Maestro Corrado; ecco un
consiglio dato da S. Luigi sul letto di morte a suo figlio: "Confessati spesso,
scegli un confessore adatto, che sia molto prudente e che possa insegnarti con
sicurezza, a fare il tuo dovere". "L’amico fedele, dice la
S. Scrittura, è una forte protezione; chi lo trova, trova un tesoro". L’amico
fedele è un balsamo di vita e d’immortalità; coloro che temono Dio, lo trovano.
Queste parole divine si riferiscono, in primo luogo, come puoi notare,
all’immortalità, per camminare verso la quale è necessario, prima di tutto,
avere un amico fedele che diriga le nostre azioni con le sue esortazioni e i
suoi consigli; ci eviterà così i tranelli e gli inganni del nemico; sarà per noi
un tesoro di sapienza nelle afflizioni, nelle tristezze e nelle cadute; sarà il
balsamo per alleviare e consolare i nostri cuori nelle malattie spirituali; ci
proteggerà dal male e ci renderà stabili nel bene; e se dovesse colpirci qualche
infermità, impedirà che diventi mortale e ci farà guarire. Ma chi può trovare un
amico di tal sorta? Risponde il Saggio: coloro che temono Dio; ossia gli umili,
che desiderano ardentemente avanzare nella vita spirituale. Giacché ti sta tanto a
cuore camminare con una buona guida, in questo santo viaggio della devozione,
cara Filotea, prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda una secondo il
suo cuore; e poi non dubitare: sii certa che, a costo di mandare un Angelo dal
cielo, come fece per il giovane Tobia, ti manderà una guida capace e fedele. Per te deve rimanere
sempre un Angelo: ossia, quando l’avrai trovato, non fermarti a dargli stima
come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio
soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’uomo, ponendogli nel
cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; tu devi ascoltarlo come un
Angelo venuto dal cielo per condurti là. Parla con lui a cuore aperto, in piena
sincerità e schiettezza; manifestagli con chiarezza il bene e il male senza
infingimenti e dissimulazione: in tal modo il bene sarà apprezzato e reso più
solido e il male corretto e riparato; nelle afflizioni ti sarà di sollievo e di
forza, nelle consolazioni di moderazione e misura. Devi riporre in lui una
fiducia senza limiti, unita a un grande rispetto, ma in modo che il rispetto non
diminuisca la fiducia e la fiducia non tolga il rispetto. Apriti a lui con il
rispetto di una figlia verso il padre e portagli rispetto con la fiducia di un
figlio verso la madre; per dirla in breve: deve essere una amicizia forte e
dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale. A tal fine, scegline uno
tra mille, dice Avila; io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno
di quanto si dica capaci di tale compito. Deve essere ricco di carità, di
scienza e di prudenza: se manca una di queste tre qualità, c’è pericolo. Ti
ripeto, chiedilo a Dio e, una volta che l’hai trovato, benedici la sua divina
Maestà, fermati a quello e non cercarne altri; ma avviati, con semplicità,
umiltà e confidenza; il tuo sarà un viaggio felice.
Capitolo V
SI DEVE COMINCIARE DALLA PURIFICAZIONE
DELL’ANIMA "I fiori sono apparsi nei
campi", dice lo Sposo nel Cantico dei Cantici, "è giunto il tempo di potare e
sfrondare". I fiori del nostro cuore, o Filotea, sono i buoni desideri. Ora,
appena compaiono, bisogna mettere mano alla roncola per sfrondare dalla nostra
coscienza tutte le opere morte e inutili. La ragazza straniera, per sposare un
Israelita, doveva togliersi la veste della prigionia, tagliarsi le unghie e
radersi i capelli: similmente l’anima che vuole andare sposa al Figlio di Dio,
deve spogliarsi del vecchio uomo e rivestirsi del nuovo, lasciando il peccato;
poi tagliare e radere tutti gli impedimenti che distolgono dall’amore di Dio. Essersi purificati dalla
malizia del peccato è l’inizio della salvezza. S. Paolo venne purificato
totalmente in un attimo; lo stesso avvenne a Caterina da Genova, S. Maddalena,
S. Pelagia e qualche altro. Ma questa sorta di purificazione è miracolosa ed
eccezionale in grazia, come la resurrezione dei morti lo è in natura: non
possiamo pretenderla. Ordinariamente la
purificazione, come la guarigione, sia del corpo che dello spirito, avviene
adagio adagio, per gradi, un passo dopo l’altro, a fatica e con il tempo. Sulla
scala di Giacobbe gli Angeli hanno le ali, ma non volano, anzi salgono e
scendono ordinatamente, uno scalino dopo l’altro. L’anima che sale dal peccato
alla devozione viene paragonata all’alba, che, quando spunta, non mette
immediatamente in fuga le tenebre, ma gradatamente. Dice il Saggio che la
guarigione la quale avviene senza fretta è sempre la più sicura; le infermità
del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo o in carrozza, ma se ne
vanno a piedi e al piccolo trotto. Devi essere dunque
coraggiosa e paziente in questa impresa, Filotea. Che pena vedere anime che,
scoprendo di essere afflitte da molte imperfezioni, dopo essersi impegnate per
un po’ nel cammino della devozione, si inquietano, si turbano e si scoraggiano e
rischiano di cedere alla tentazione di lasciare tutto e di tornare indietro.
D’altra parte, uguale pericolo corrono quelle anime che, per la tentazione
contraria, si illudono di essere liberate dalle loro imperfezioni il primo
giorno della purificazione, e si considerano perfette ancor prima di
essere fatte: pretendono di volare senza le ali! Filotea, quelle sono
veramente in grande pericolo di cadere, perché troppo presto hanno voluto
sottrarsi alle mani del medico. Non alzarti prima che ci si veda, dice il
Profeta Davide; e alzati dopo esserti seduto! Egli stesso mette in pratica
quello che dice e, una volta lavato e profumato, chiede di rimettersi all’opera. L’esercizio della
purificazione dell’anima può e deve finire soltanto con la vita: perciò non
agitiamoci per le nostre imperfezioni; quello che si chiede a noi è di
combatterle; se non le vedessimo, non potremmo combatterle e non potremmo
vincerle se non ci imbattessimo in esse. La nostra vittoria non consiste nel non
sentirle, ma nel non acconsentirvi; e non è acconsentire esserne turbati. Anzi,
ogni tanto, ci fa bene una ferita in questa battaglia spirituale, per
fortificare la nostra umiltà; non saremo mai vinti finché non avremo perso la
vita o il coraggio. Le imperfezioni e i
peccati veniali non possono strapparci la vita spirituale, che si perde soltanto
con il peccato mortale; è il coraggio di combattere che non dobbiamo perdere!
Diceva Davide: Liberami, Signore, dalla vigliaccheria e dallo scoraggiamento. In
questa guerra ci troviamo in una condizione di favore, perché, per vincere, ci
basta la volontà di combattere.
Capitolo VI
PRIMA PURIFICAZIONE: DAL PECCATO MORTALE La prima purificazione è
quella dal peccato; il mezzo: il sacramento della penitenza. Cercati il miglior
confessore che puoi; serviti anche di qualche libretto scritto a questo scopo;
leggi con attenzione e nota, punto per punto, dove hai mancato, cominciando da
quando hai avuto l’uso di ragione fino a oggi. Se ti fidi poco della memoria,
metti per iscritto quello che hai trovato. Una volta trovate e messe insieme le
brutture peccaminose della tua coscienza, detestale e respingile con una
contrizione e un dispiacere grande quanto il tuo cuore riesce a concepire,
prendendo in considerazione questi quattro punti: per il peccato tu hai perso la
grazia di Dio, hai perso il diritto al paradiso, hai accettato i tormenti eterni
dell’inferno, hai rinunciato all’eterno amore di Dio. Hai capito, Filotea, che
ti parlo della confessione generale di tutta la vita che, lo so bene anch’io,
fortunatamente, non sempre è necessaria; ma io la considero molto utile in
questo inizio, per cui te la consiglio vivamente. Capita spesso che le
confessioni abituali di coloro che conducono una vita ordinaria di cristiani
comuni, siano piene di difetti: per lo più si prepara poco o per niente, non si
ha la contrizione richiesta, anzi capita addirittura che molte volte ci si vada
a confessare con il segreto proposito di tornare a peccare, visto che non si ha
alcuna intenzione di evitare l’occasione, né di prendere gli opportuni
accorgimenti per correggersi; in tutti questi casi la confessione generale è
necessaria per dare una scossa all’anima. Inoltre la confessione
generale ci porta a conoscere noi stessi, ci provoca a una salutare vergogna del
nostro passato, ci fa ammirare la misericordia di Dio, che ci ha atteso con
tanta pazienza; porta la pace nel cuore, la serenità nello spirito, suscita
buoni propositi, offre l’occasione al nostro padre spirituale di darci consigli
più adatti alla nostra reale situazione e ci apre il cuore alla semplicità
fiduciosa che ci farà essere molto sinceri nelle confessioni che seguiranno. E poiché parliamo di un
rinnovamento generale del cuore e della conversione totale dell’anima a Dio, per
mezzo della vita devota, mi sembra, o Filotea, di avere ragione nel consigliarti
questa confessione generale.
Capitolo VII
SECONDA PURIFICAZIONE: DAGLI AFFETTI AL
PECCATO Tutti gli Israeliti
uscirono materialmente dall’Egitto, ma non tutti ne uscirono con il cuore; ecco
perché, nel deserto, molti di essi rimpiangevano le cipolle e la carne d’Egitto. Allo stesso modo ci sono
dei peccatori che escono materialmente dal peccato, ma non ne abbandonano
l’affetto: ossia, fanno il proposito di non peccare più, ma si privano e si
astengono dai piaceri del peccato con una certa malavoglia e con rimpianto; il
loro cuore rinuncia al peccato e se ne allontana, ma non per questo smette di
volgersi in continuazione da quella parte, come la moglie di Lot verso Sodoma. Si tengono lontani dal
peccato come fanno i malati con i cocomeri quando il medico li ha minacciati di
pericolo di morte se ne dovessero mangiare; ci stanno male a non poterne
mangiare, ne parlano e mercanteggiano la possibilità di superare il divieto,
almeno per assaggiarne, e giudicano fortunati quelli che possono mangiarne. Fanno la stessa cosa quei
penitenti deboli e fiacchi che si astengono un po’ dal peccato, a malincuore;
vorrebbero poter peccare senza andare all’inferno, parlano con rimpianto e
compiacimento del peccato e giudicano fortunati quelli che lo fanno. Un uomo
deciso a vendicarsi, cambierà proposito nella confessione, ma subito dopo lo
travi tra gli amici, felice di poter parlare della sua lite: e dice che, se non
fosse per il timor di Dio, farebbe questo e quest’altro, e aggiunge che, su
questo punto, la legge di Dio, che impone il perdono, è molto dura; volesse Dio
che fosse permesso vendicarsi! Chi non vede che questo
Tizio, anche se legalmente fuori dal peccato, è ancora tutto preso dall’affetto
al peccato e, mentre fisicamente è uscito dall’Egitto, vi abita ancora con il
desiderio, bramandone le carni e le cipolle. Lo stesso si dica di quella donna
che, dopo aver detestato i suoi amori perversi, si compiace di essere civetta e
ricercata. Tale gente è in grande pericolo! Filotea, poiché vuoi dare
inizio alla vita devota, non deve bastarti di abbandonare il peccato, ma devi
sbarazzare il tuo cuore da tutti gli affetti legati al peccato; perché, oltre al
pericolo di ricadere, questi miserabili affetti renderebbero perpetuamente
malato e intorpidito il tuo spirito, a tal punto che non riuscirebbe a compiere
il bene con prontezza, diligenza e di frequente. Mentre proprio in questo
consiste l’essenza della devozione. Le anime uscite dallo
stato di peccato, ma che hanno ancora questi affetti e debolezze, io le
assomiglio alle ragazze che hanno un colore pallido: non sono malate, ma tutto
il loro comportamento è da malati: mangiano senza gusto, dormono senza riposare,
ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare; allo stesso modo tali
anime fanno il bene con una tale stanchezza spirituale, che tolgono ogni grazia
ai loro esercizi di pietà, che poi, oltre tutto, sono pochi di numero e poveri
di risultati.
Capitolo VIII
COME FARE LA SECONDA PURIFICAZIONE La prima ragione che deve
spingerci ad operare questa seconda purificazione, è la coscienza viva e nitida
del male enorme che ci causa il peccato; riusciremo, in tal modo, ad entrare in
una contrizione profonda e travolgente: infatti la contrizione, per piccola che
sia, se è sincera, e soprattutto se congiunta alla forza dei Sacramenti, ci
purifica sufficientemente dal peccato; se poi la contrizione è profonda e
travolgente, ci purifica anche da tutti gli affetti che derivano dal peccato. Un odio e un astio debole
e fiacco ci permette di sopportare, anche se di malanimo, colui che odiamo; se
poi ci è possibile, ne stiamo lontani; ma se il nostro odio è mortale e
violento, non solo fuggiamo e troviamo insopportabile colui che odiamo, ma ci
ripugna e non possiamo soffrire nemmeno la compagnia di coloro che la pensano
come lui, dei suoi amici, dei suoi parenti. Non sopportiamo nemmeno la vista del
suo ritratto e delle cose che gli appartengono. Similmente, se il
penitente odia il peccato solo leggermente, benché sinceramente, è vero che fa
il proposito di non peccare più, ma non è come quando lo odia con una
contrizione forte e vigorosa; in tal caso, non solo detesterà il peccato, ma
anche tutti gli affetti, le conseguenze e i sentieri del peccato. E’ per questo, Filotea,
che dobbiamo rendere la nostra contrizione e il pentimento più profondi
possibile, perché tutto ciò che appartiene al peccato sia travolto. Così fece la
Maddalena che, convertendosi, perse talmente il gusto del peccato e dei piaceri
che non ci pensò più; e Davide, che protestava di odiare non soltanto il
peccato, ma anche le sue vie e i suoi sentieri: questo è il ringiovanimento
dell’anima, che lo stesso Profeta paragona a quello dell’aquila che muta le
penne. Ora per giungere a questa
presa di coscienza ed alla contrizione, devi immergerti con cura nelle
meditazioni che qui di seguito ti propongo; se ti ci impegnerai con serietà, con
l’aiuto della grazia di Dio, strapperai dal tuo cuore il peccato e i principali
affetti al peccato; le ho impostate proprio a questo scopo. Le farai una dopo l’altra,
nell’ordine che te le propongo, una al giorno, di mattino, se ti è possibile;
perché è il tempo più adatto alle operazioni dello spirito; e ci rifletterai
sopra per tutta la giornata. Se poi non hai
dimestichezza con le meditazioni, leggi quello che ne dico nella seconda parte
di questo libretto.
Capitolo IX
Prima Meditazione: LA CREAZIONE Preparazione
Considerazioni
Affetti e propositi
Conclusione
Padre nostro, Ave Maria. Uscendo dall’orazione
raccogli un po’ qua e un po’ là e, scegliendo tra le considerazioni fatte,
confeziona un mazzetto di devozione; così, durante tutto l’arco della giornata,
potrai odorarne il profunmo.
Capitolo X
Seconda meditazione: IL FINE PER IL QUALE
SIAMO CREATI Preparazione
Considerazioni
Affetti e propositi
Conclusione
Capitolo XI
Terza Meditazione: I BENEFICI DI DIO Preparazione
Considerazioni
Affetti e propositi
Conclusioni
Capitolo XII
Quarta Meditazione: IL PECCATO Preparazione
Considerazioni
Affetti e propositi
Conclusione
Capitolo XIII
Quinta Meditazione: LA MORTE Preparazione
Considerazioni
Affetti e risoluzioni
Conclusione Ringrazia Dio dei
propositi che ti ha dato la forza di concepire; offrili alla sua Maestà; pregalo
spesso che ti conceda una morte beata per i meriti di quella del Figlio. Chiedi
l’aiuto della Vergine e dei Santi. Pater, Ave Maria. Componi un mazzetto di
mirra.
Capitolo XIV
Sesta Meditazione: IL GIUDIZIO Preparazione
Considerazioni
Affetti e propositi
Conclusione
Capitolo XV
Settima Meditazione: L’INFERNO Preparazione
Considerazioni
Affetti e propositi
Capitolo XVI
Ottava Meditazione: IL PARADISO Considerazioni
Affetti e propositi
Capitolo XVII
Nona Meditazione: ELEZIONE E SCELTA DEL
PARADISO Preparazione
Considerazioni Immagina di essere in
aperta campagna, sola con il tuo Angelo, come il giovane Tobia sulla via di Rage;
immagina che l’Angelo ti inviti alla contemplazione del Paradiso, spalancato in
alto, davanti a te: tu vi scorgi tutte le cose belle sulle quali abbiamo già
meditato. In basso poi, ti fa vedere
la voragine dell’inferno, anch’essa spalancata davanti a te, con tutti i
tormenti che ti ho descritto quando ti ho guidato alla meditazione dell’inferno. Dopo aver immaginato
questa doppia visione, mettiti in ginocchio davanti al tuo Angelo.
Scelta
Capitolo XVIII
Decima Meditazione: L’ELEZIONE E LA SCELTA
DELLA VITA DEVOTA Preparazione
Considerazioni
Scelta
Capitolo XIX
COME FARE LA CONFESSIONE GENERALE Ecco dunque, cara Filotea,
le meditazioni che fanno al caso nostro. Una volta che le hai profondamente
meditate, in ispirito di umiltà, va coraggiosamente a fare la tua confessione
generale. Ti prego di non angosciarti per alcun motivo. Lo scorpione è velenoso
quando ci punge, ma, ridotto in olio, è un efficace rimedio contro le sue
punture; il peccato è riprovevole quando lo commettiamo, ma una volta
trasformato in confessione e penitenza, è pegno di onore e di salvezza. La
contrizione e la confessione sono così belle e così profumate, che cancellano la
bruttezza e distruggono il lezzo del peccato. Simone il lebbroso diceva che
Maddalena era peccatrice, ma Nostro Signore dice di no e parla soltanto del
profumo che spande e del suo grande amore. Se noi siamo molto umili, o Filotea,
il peccato ci darà un grande dispiacere perché offende Dio. Ma l’accusa del
nostro peccato diverrà dolce e piacevole perché onora Dio: quando diciamo al
medico il male che ci tormenta, proviamo già un certo sollievo. Quando sarai
davanti al padre spirituale, immagina di essere sul Calvario, ai piedi di Gesù
Cristo crocifisso, il cui sangue, grondando da tutte le parti, ti lava dalle
iniquità; infatti anche se non si tratta fisicamente del sangue del Salvatore, è
sempre il merito di quel sangue versato che continua a scorrere abbondantemente
sui penitenti che si trovano attorno al confessionale. Apri bene il cuore per
farne uscire i peccati destinati alla confessione; a misura che usciranno,
entrerà il merito prezioso della Passione di Cristo per riempirlo di
benedizioni. Esponi tutto bene, con semplicità e naturalezza; almeno per questa
volta fa contenta la tua coscienza. Dopo ascolta la correzione
e i consigli del servitore di Dio, e dì nel tuo cuore: Parla, Signore, che il
tuo servo ti ascolta. Sì, Filotea, è Dio che tu ascolti, perché ha detto ai suoi
rappresentanti: Chi ascolta voi, ascolta me. Dopo, prendi in mano la
promessa che ho scritto per te e che trovi nel capitolo seguente; serve di
conclusione al tuo atto di contrizione. Prima devi meditarla. Leggila con
attenzione e con tutta la partecipazione che ti sarà possibile.
Capitolo XX
PROMESSA PER IMPRIMERE NELL’ANIMA IL
PROPOSITO DI SERVIRE DIO, A CONCLUSIONE DEGLI ATTI DI PENITENZA Io sottoscritta, prostrata
davanti a Dio e a tutta la Corte celeste, dopo aver considerato l’immensa
misericordia della divina bontà nei confronti di me, indegna e insignificante
creatura, che Egli ha tratto dal nulla, conservata, nutrita e liberata da tanti
pericoli, e colmata di tanti benefici; ma soprattutto dopo aver consideratola
dolcezza, e la clemenza, superiore a quanto si può pensare, in virtù della quale
tanto benignamente mi ha sopportata nelle mie iniquità, ispirandomi molto spesso
con amore e invitandomi a correggermi; considerando che mi ha atteso tanto
pazientemente perché facessi penitenza fino all’età che oggi ho; e questo,
nonostante le mie ingratitudini, le slealtà e le infedeltà con le quali ho
differito la conversione, disprezzando le sue grazie e per di più sfacciatamente
offendendolo; dopo aver preso in considerazione anche il fatto che nel giorno
del Battesimo sono stata consacrata e donata a Dio, per essere sua figlia; e
che, contrariamente alla promessa fatta allora in mio nome, ho molte volte,
agendo da disgraziata e in modo riprovevole, profanato e violato il mio spirito,
usandolo contro la Maestà divina; essendo ritornata finalmente in me stessa,
prostrata con il cuore e con lo spirito davanti al trono della giustizia divina,
riconosco, ammetto e confesso di meritare di essere accusata e convinta del
crimine di lesa Maestà divina, in quanto colpevole della Morte e Passione di
Gesù Cristo, ucciso dai peccati da me commessi; infatti per loro causa è morto
dopo aver sofferto i tormenti della croce; per questo riconosco di essere degna
di venire condannata alla perdizione eterna. Ma oso rivolgermi al trono
dell’infinita misericordia del medesimo Dio. Detesto con tutto il cuore e con
tutte le forze le iniquità della mia vita passata, domando e impetro umilmente
grazia e perdono e per questo ti chiedo una totale assoluzione dei miei crimini,
in forza della Morte e Passione di quel medesimo Signore e Redentore dell’anima
mia; fidando su quella, quale unica speranza per la mia salvezza, ripeto
nuovamente e rinnovo la promessa di fedeltà fatta in mio nome a Dio, in
occasione del battesimo, e rinuncio al demonio, al mondo e alla carne; detesto
le loro malefiche suggestioni, le vanità e i desideri insani, per tutta la vita
che mi resta e per l’eternità. Voglio convertirmi a Dio
buono e pietoso; desidero, propongo, scelgo e decido irrevocabilmente di
servirlo e amarlo adesso e per l’eternità. A tal fine gli affido, gli dedico e
gli consacro il mio spirito con tutte le sue facoltà, la mia anima con tutte le
sue potenze, il mio cuore con tutti i suoi affetti, il mio corpo con tutti i
suoi sensi; protesto di non voler più in alcun modo, abusare di nessuna parte
del mio essere contro la sua divina volontà e la sua Maestà sovrana; a lei mi
sacrifico e mi immolo in ispirito, per essere per sempre nei suoi confronti, una
creatura leale, obbediente e fedele, senza più volermi ricredere o pentire. Ma, se per suggestione del
nemico o qualche umana infermità. Dovesse capitarmi di venir meno in qualche
cosa a questa mia promessa e a questa consacrazione, fin d’ora protesto e mi
propongo, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, di rialzarmi
immediatamente, appena ne avrò coscienza, di rivolgermi di nuovo alla
misericordia divina senza attendere un solo istante. Questa è la mia volontà,
la mia intenzione e la mia decisione irremovibile, di cui ho piena coscienza e
la confermo senza riserve o eccezioni, davanti a Dio e alla Chiesa trionfante,
alla Chiesa militante mia Madre, che riceve questa mia dichiarazione nella
persona di colui che, come ministro, mi ascolta in questo atto. Ti piaccia, o eterno
Iddio, onnipotente e buono, Padre, Figlio e Spirito Santo, confermare in me
questo proposito e accettare e gradire il dono che ti faccio in questo momento
con tutto il cuore, dal profondo di me stessa. Come mi hai dato ispirazione e
volontà per offrirtelo, dammi anche grazia e forza per non mancare di parola. O
Signore, tu sei il mio Dio, il Dio del mio cuore, il Dio della mia anima, il Dio
del mio Spirito; come tale ti riconosco e ti adoro per tutta l’eternità. Viva
Gesù!
Capitolo XXI
CONCLUSIONE DELLA PRIMA PURIFICAZIONE Fatta la promessa, rimani
molto attenta e apri bene il cuore per ascoltare con tutta l’anima le parole di
assoluzione che il Salvatore della tua anima, assiso sul trono della
misericordia, pronuncerà lassù in Cielo, davanti agli Angeli e ai Santi, nello
stesso istante in cui, in suo nome, il sacerdote ti assolverà quaggiù in terra. La schiera dei Beati
gioisce per la tua felicità e canta il cantico spirituale di una gioia che non
ha confronti; tutti ti accolgono e abbracciano il tuo cuore che ha ritrovato la
grazia e la santità. E’ un ottimo contratto,
Filotea: tu doni ora te stessa alla Maestà di Dio e ottieni in cambio che Egli
si doni a te per l’eternità. Non ti resta più che
prendere la penna e apporre la firma all’atto della tua promessa; dopo di che,
ti recherai all’altare; così anche Dio firmerà e apporrà il suo sigillo a
conferma dell’assoluzione e ti prometterà il paradiso; per mezzo del sacramento
anzi, sarà Lui stesso il sigillo di garanzia sul tuo cuore nuovo. Così la tua
anima sarà libera dal peccato e da tutti gli affetti al peccato. Ma siccome questi affetti
rispuntano facilmente nell’anima, a causa della nostra infermità e della nostra
concupiscenza, che può essere mortificata, ma non eliminata, finché vivremo su
questa terra, io ti darò dei consigli: se li segui ti terrai lontana dal peccato
mortale e dai suoi affetti così mai più il peccato avrà posto nel tuo cuore.
Visto poi che gli stessi consigli sono utili anche per una purificazione più
radicale, prima di darteli, voglio spendere qualche parola per chiarirti che
cosa intendo per purezza totale, che è quella alla quale desidero guidarti.
Capitolo XXII
BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO AL PECCATO
VENIALE A misura che il giorno
cresce, scopriamo meglio nello specchio le macchie e le impurità del nostro
volto; così, a misura che la luce interiore dello Spirito Santo illumina le
nostre coscienze, distinguiamo con maggiore chiarezza i peccati, le tendenze e
le imperfezioni che possono impedirci di raggiungere la vera devozione. La
stessa luce che ci fa notare queste tare e questa zavorra, ci anima al desiderio
di mondarcene e di liberarcene. Scoprirai dunque, cara
Filotea, che oltre al peccato mortale e agli affetti al peccato mortale, di cui
ti sei già liberata con gli esercizi sopra indicati, nell’anima tu conservi
ancora molte tendenze e affetti ai peccati veniali. Non dico che scoprirai dei
peccati veniali, ma degli affetti e delle tendenze ad essi; ora, sono due cose
ben diverse: non saremo mai liberi completamente dai peccati veniali, almeno per
un lungo tempo; ma possiamo benissimo non avere affetto ai peccati veniali.
Infatti è ben diverso dire una frottola una volta o due, in allegria, in cosa di
poca importanza, dal trovare gusto a mentire ed essere incalliti in quel genere
di mancanza. Dico che bisogna liberare
la propria anima da tutti gli affetti ai peccati veniali, ossia non bisogna, in
alcun modo, incoraggiare deliberatamente la volontà a rimanere nel peccato
veniale; sarebbe una debolezza troppo grande conservare consapevolmente nella
nostra coscienza un proposito che dispiace a Dio, quale la volontà di voler fare
cosa a Lui non gradita. Il peccato veniale, per
piccolo che sia, dispiace a Dio, anche se non in misura da volere, per questo,
dannarci o perderci. Se il peccato veniale gli dispiace, la volontà e l’affetto
ad esso, sono un chiaro proposito di voler dispiacere alla Maestà divina. E
com’è possibile che un’anima per bene, non soltanto voglia dispiacere a Dio, ma
sia attaccata al desiderio di dispiacergli? Questi affetti, Filotea,
sono direttamente contrari alla devozione, come gli affetti al peccato mortale
lo sono alla carità: indeboliscono le forze dello spirito, impediscono le
consolazioni divine, aprono la porta alle tentazioni; se è vero che non uccidono
l’anima, la rendono però gravemente inferma. Le mosche morenti, dice il
Saggio, rovinano e corrompono il pregio dell’unguento: con ciò vuol dire che le
mosche le quali non si fermano che pochissimo sull’unguento e ne succhiano solo
passando, rovinano solo quello che prendono e lasciano il resto intatto; ma
quando vi cadono dentro morte, gli tolgono il pregio e nessuno più lo vuole. Allo stesso modo, i
peccati veniali, che capitano in un’anima devota senza soffermarsi per molto
tempo, non le recano un danno molto grave; ma se quei peccati rimangono
nell’anima a causa dell’affetto che c’è in noi per essi, questi le fanno perdere
senz’altro il pregio dell’unguento, ossia la santa devozione. I ragni non uccidono le
api, ma ne contaminano e ne corrompono il miele, e le ostacolano con le loro
ragnatele, di modo che le api non possono più lavorare; questo quando tessono
ragnatele per fermarsi. Così, il peccato veniale non uccide l’anima, ma corrompe
la devozione e intralcia talmente le potenze dell’anima con le cattive abitudini
e tendenze, che essa non riesce più ad attuare la prontezza della carità, nella
quale consiste la devozione; questo avviene quando il peccato veniale alberga
nella nostra coscienza per l’affetto che gli portiamo. Dire qualche bugia, è cosa
da nulla; come pure dire qualche parola fuori posto, superare un po’ i giusti
limiti nell’agire, negli sguardi, negli abiti, nelle battute, negli scherzi, nei
balli, purché, appena presa coscienza di questi ragni spirituali, li respingiamo
e li buttiamo fuori, come fanno le api con i ragni veri. Ma se permettiamo loro di
fermarsi nei nostri cuori, e per di più ci affezioniamo a trattenerli e
moltiplicarli, presto troveremo che il nostro miele è andato perduto e l’alveare
della nostra coscienza contaminato e disfatto. Ma, ripeto ancora una volta, che
senso ha che una anima generosa trovi gusto a dispiacere a Dio, si affezioni ad
essergli sgradita e voglia quello che sa bene che Dio non vuole?
Capitolo XXIII
BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO ALLE COSE
INUTILI E PERICOLOSE I giochi, i balli, i
banchetti, le feste, gli spettacoli, in sé non sono cose cattive, ma
indifferenti, e possono essere vissute in bene o in male. Sono tuttavia sempre
pericolose e ancor più pericoloso è attaccarsi ad esse. Anche se è permesso
giocare, danzare, agghindarsi, assistere a spettacoli onesti, fare banchetti;
esserci attaccati è contrario alla devozione e può nuocere e costituire
pericolo. Il male non è farli, ma affezionarsi. E’ da insensati seminare
nella terra del nostro cuore affetti così vuoti e insulsi: occupano lo spazio
destinato ai buoni sentimenti, e impediscono che la linfa della nostra anima
nutra buone tendenze. Gli antichi Nazirei non
solo si astenevano dal vino e da tutto ciò che poteva ubriacarli, ma anche
dall’uva, sia matura che acerba, non perché l’uva, magari acerba, ubriachi, ma
perché c’era pericolo che mangiando uva acerba venisse la voglia di mangiarne di
matura, e mangiandone poi di matura nascesse il desiderio di assaggiare il mosto
e bere vino. Non dico che non dobbiamo fare uso di queste cose pericolose, ma
insisto che non dobbiamo impegnarvi l’affetto se non vogliamo rovinare la
devozione. I cervi che hanno messo su
troppo grasso, si ritirano in disparte e si nascondono nei cespugli, sapendo
che, se per caso dovessero essere attaccati, il grasso non permetterebbe loro di
correre agilmente: il cuore dell’uomo, quando si carica di affetti inutili,
superflui o pericolosi, non riesce più a correre con prontezza, agilità e
facilità dietro al suo Dio, che è il centro della devozione. Ai bambini piacciono
farfalle e le inseguono; nessuno trova da ridire perché sono bambini. Ma vedere
uomini maturi attaccarsi a simili cose e correre dietro a tali bagatelle,
sarebbe davvero uno spettacolo non solo ridicolo, ma penoso. Lo stesso si deve
dire di quelle cose che ho detto sopra, perché, non soltanto sono inutili, ma
inseguendole rischiamo di diventare degli originali e dei disordinati.
Ecco perché, cara Filotea,
ti dico che bisogna liberarsi da quegli affetti e ti ripeto che, se anche le
relative azioni non sono sempre contrarie alla devozione, di sicuro gli affetti
a tali azioni le recano sempre danno.
Capitolo XXIV
OCCORRE LIBERARSI DALLE CATTIVE INCLINAZIONI Ci sono poi in noi altre
tendenze naturali le quali, visto che non hanno origine dai nostri peccati
personali, e non sono nemmeno veri e propri peccati, né mortali, né veniali, noi
le chiamiamo imperfezioni, e i loro atti difetti o mancanze.
S. Paola, per esempio,
stando al racconto di S. Girolamo, era fortemente portata alla tristezza e ai
rimpianti, tanto che in occasione della morte dei figli e del marito, corse il
pericolo di morire di dolore: quella era un’imperfezione, non un peccato,
giacché era contro il suo gusto e la sua volontà. Alcuni sono per natura
loro di spirito leggero, altri burberi, altri ancora incapaci di ascoltare;
alcuni sono portati ad indignarsi di tutto, altri a montare in collera, altri ad
innamorarsi; se guardiamo bene troviamo pochissima gente che non abbia qualche
imperfezione. Ora, benché siano spontanee e naturali, si riesce, con cura e
attenzione, a correggerle, o almeno a temperarle, e qualche volta addirittura
anche a correggerle e ad eliminarle totalmente: Filotea, io ti dico allora che
devi farlo! Se si è trovato il modo di
trasformare le mandorle amare in mandorle dolci, semplicemente facendo
un’incisione alla base per farne uscire il succo, perché dovrebbe essere
impossibile far uscire da noi le tendenze perverse per diventare migliori? Non c’è temperamento al
mondo che, per buono che sia, non possa essere reso cattivo dalle cattive
abitudini; al contrario, non esiste temperamento così perverso che, con la
grazia di Dio in primo luogo, e poi con lo sforzo e l’impegno, non possa essere
corretto e migliorato. Per questo ora ti darò dei
consigli e ti proporrò esercizi, attraverso i quali, potrai liberare la tua
anima dagli affetti pericolosi, dalle imperfezioni e da tutti gli affetti ai
peccati veniali; in tal modo renderai sempre più forte la tua coscienza contro
il peccato mortale. Dio faccia la grazia di
praticarli bene!
SECONDA PARTE Contiene diversi
consigli per l’elevazione dell’anima a Dio per mezzo dell’Orazione e dei
Sacramenti.
Capitolo I
NECESSITA’ DELL’ORAZIONE
Capitolo II
BREVE METODO DI MEDITAZIONE e, in primo
luogo, LA PRESENZA DI DIO
PRIMO PUNTO DELLA PREPARAZIONE E’ possibile, Filotea, che
tu non sappia come va condotta l’orazione mentale: ai giorni nostri pochi lo
sanno ed è un male. E’ per questo che brevemente e con semplici parole ti
espongo un metodo, in attesa che tu, leggendo libri sull’argomento e soprattutto
con la pratica, ne raggiunga una conoscenza più profonda e completa.
* * Inizio dalla preparazione
che consta di due momenti: primo, mettersi alla presenza di Dio; secondo,
invocarne l’assistenza. Per metterti alla presenza
di Dio ti propongo quattro vie, che, all’inizio, possono esserti utili.
Capitolo III
SECONDO PUNTO DELLA PREPARAZIONE:
L’INVOCAZIONE Ecco come devi fare
l’invocazione: una volta che la tua anima si sente alla presenza di Dio, deve
umiliarsi in profondo sentimento di rispetto, perché sa di essere indegna di
trovarsi di fronte alla sovrana Maestà di Dio; ma poiché sa anche che è la sua
immensa Bontà che vuole così, gli chiede la grazia di servirlo bene e di
adorarlo nella meditazione che si accinge a compiere. Se ti sembra opportuno,
puoi anche servirti di qualche Parola concisa e piena di ardore come le seguenti
di Davide: Non respingermi dalla tua presenza, o Dio, e non privarmi della
grazia del tuo santo Spirito. Risplenda il tuo volto sulla tua serva. Voglio
ammirare le tue meraviglie. Dammi intelletto e capirò la tua Legge e la
osserverò con tutto il cuore. Sono la tua serva, dammi lo Spirito; e altre
simili. Ti sarà utile aggiungere
l’invocazione all’Angelo custode e a tutti i Santi presenti nel mistero sul
quale vuoi meditare. Per esempio, se mediti su quello della morte del Signore,
potrai invocare la madonna, S. Giovanni, la Maddalena, il buon Ladrone perché ti
facciano partecipe dei sentimenti e dei movimenti interiori ricevuti in quel
mistero. Se mediti sulla tua morte potrai invocare il tuo buon Angelo, che sarà
presente in quel momento, affinché ti ispiri pensieri adatti; e così per gli
altri misteri.
Capitolo IV
TERZO PUNTO DELLA PREPARAZIONE: LA
PRESENTAZIONE DEL MISTERO Dopo i due punti indicati
per iniziare e che sono comuni a tutte le meditazioni, ce n’è un terzo che non è
comune a tutte. C’è chi lo chiama ricostruzione del luogo, chi lezione
interiore. In fin dei conti si tratta
soltanto di presentare alla tua immaginazione su cui vuoi meditare,
ricostruendolo nella sua realtà storica. Per esempio, se vuoi
meditare su Nostro Signore in croce, devi immaginare di trovarti sul monte
Calvario e rivedere tutto ciò che avvenne e si disse nel giorno della Passione;
o se preferisci, ed è la stessa cosa, immaginarti che la crocifissione di Nostro
Signore avvenga proprio nel luogo in cui ti trovi, seguendo il racconto degli
Evangelisti. Puoi procedere allo stesso
modo meditando sulla morte, come ti ho detto nella meditazione sulla stessa;
come pure per quella sull’inferno e simili misteri dove ci troviamo di fronte a
cose sensibili e visibili; per gli altri misteri: sulla grandezza di Dio,
l’eccellenza delle virtù, il fine per il quale siamo stati creati, non possiamo
usare questo procedimento basato sull’immaginazione, perché si tratta di realtà
invisibili. Tuttavia possiamo sempre servirci di qualche similitudine o qualche
paragone per aiutarci nella meditazione; ma non sono cose facili. Voglio
parlartene con molta semplicità perché non vorrei che tu ti sentissi obbligata a
impegnarti in invenzioni che ti farebbero soltanto distrarre. Aiutandoci con
l’immaginazione, chiudiamo il nostro spirito nel mistero che vogliamo meditare,
perché non si metta a correre qua e là. Proprio come si chiude un uccellino in
gabbia o si lega lo sparviero alla catenella perché rimanga sul pugno. Qualcuno
ti dirà che è meglio servirsi semplicemente della riflessione di fede e di una
operazione esclusivamente mentale e spirituale, quando vogliamo rappresentarci
questi misteri, o anche tener presente che tutto avviene all’interno del proprio
spirito; ma sono modi troppo sottili per l’inizio, e fino a che Dio non ti
innalzi un po’, ti consiglio, Filotea, di rimanere nella valle che ti vado
indicando.
Capitolo V
SECONDA PARTE DELLA MEDITAZIONE: LE
CONSIDERAZIONI All’operazione
dell’immaginazione segue quella dell’intelletto, che noi chiamiamo meditazione;
non è altro che una riflessione, o anche più di una, per muovere i nostri
affetti verso Dio e le cose divine: in ciò la meditazione differisce dallo
studio e da altri modi di pensare e di riflettere, che non si prefiggono
l’acquisizione della virtù o dell’amor di Dio, ma qualche altro fine come il
diventare dotti, per poi scriverne o dissertarne. Dopo aver dunque rinchiuso
il tuo spirito, come ho detto, nell’ambito del soggetto su cui vuoi meditare, o
con l’immaginazione, se si tratta di un soggetto sensibile, o per semplice
presentazione, se non è sensibile, ti metterai a riflettere sul medesimo,
seguendo la traccia che ti ho indicato con gli esempi concreti di meditazioni
presentate nella prima parte. Se il tuo spirito ci si
trova a suo agio, si sente illuminato e ricava frutto da una delle riflessioni,
fermati e non andare oltre; proprio come le api che non lasciano il fiore
fintanto che vi trovano miele. Ma se in nessuna delle considerazioni ti trovi a
tuo agio, dopo aver provato e insistito per un po’, passa ad un’altra; tutta
l’operazione deve essere sempre molto semplice e procedere senza fretta.
Capitolo VI
TERZA PARTE DELLA MEDITAZIONE: AFFETTI E
PROPOSITI La meditazione arricchisce
la volontà, che è la parte affettiva della nostra anima, di buoni movimenti,
quali l’amore di Dio e del prossimo, il desiderio del Paradiso e della sua
gloria, lo zelo per la salvezza delle anime, l’imitazione della vita di Nostro
Signore, la pietà per gli altri, l’ammirazione, la gioia, il timore di cadere in
disgrazia di Dio, del suo giudizio, dell’inferno, l’odio per il peccato, la
fiducia nella bontà e nella misericordia di Dio, la vergogna per i disordini
della vita passata: il nostro spirito deve esprimersi ed allargarsi il più
possibile in questi affetti. Tuttavia, cara Filotea,
non soffermarti troppo sugli affetti generali, ma mutali subito in propositi
specifici e dettagliati per correggerti e liberarti dai difetti. Per esempio, la
prima Parola che Nostro Signore disse sulla Croce, farà sorgere senz’altro nella
tua anima un affetto che ti spingerà all’imitazione, ossia il desiderio di
perdonare ed amare i tuoi nemici. Io ti dico che questo è poco se non ci
aggiungi un proposito così formulato: Coraggio, allora, d’ora in poi non mi
offenderò più di certe parole cattive del tal vicino o della tal vicina, del mio
domestico o della mia domestica; e nemmeno di quelle ingiurie sprezzanti che mi
sono stae rivolte da quell’altro. Al contrario farò questa o quella cosa gentile
per conquistarlo, e così per gli altri. In tal modo, Filotea, in
poco tempo correggerai le tue colpe, mentre, poggiando soltanto sugli affetti,
ci metteresti molto di più e con un risultato dubbio.
Capitolo VII
LA CONCLUSIONE E IL MAZZETTO SPIRITUALE La meditazione va conclusa
con tre azioni da compiersi con la massima umiltà.
A tutto ciò aggiungo che è
necessario comporre un mazzetto di devozione; ed eccoti cosa voglio dire: chi
passeggia in un bel giardino non ne esce volentieri senza cogliere qualche fiore
da odorare e conservare: similmente il nostro spirito, dopo che si è immerso in
un mistero con la meditazione, deve scegliere uno o due, o anche tre punti, che
lo hanno colpito favorevolmente, e che sono più adatti al proprio progresso
spirituale, per conservarli per il resto della giornata ed ogni tanto aspirarne
il profumo. Questo si deve operare nel posto nel quale si è meditato, rimanendo
fermi o passeggiando in solitudine per qualche tempo.
Capitolo VIII
CONSIGLI MOLTO UTILI SULLA MEDITAZIONE Uscendo dalla meditazione,
Filotea, devi portare con te soprattutto i propositi e le decisioni prese, per
metterle in pratica immediatamente, nella giornata. E’ questo il frutto
irrinunciabile della meditazione; se manca, non soltanto la meditazione è
inutile, ma spesso anche dannosa perché le virtù meditate, ma non praticate,
gonfiano lo spirito di presunzione e finiamo per credere di essere quello che ci
eravamo proposto di essere: noi potremo diventare come ci siamo proposti di
essere soltanto quando i propositi saranno pieni di vita e solidi; non quando
sono fiacchi e inconsistenti e quindi destinati a non venire attuati. Occorre, con ogni mezzo,
fare sforzi per metterli in atto, approfittando di tutte le occasioni sia
piccole che grandi: per esempio, se ho preso la risoluzione di conquistare con
la dolcezza il cuore di coloro che mi offendono, cercherò, nel corso della
giornata, di incontrarli per salutarli amabilmente; e se non mi sarà dato di
incontrarli, perlomeno parlerò bene di loro e pregherò Dio per loro.
Uscendo dall’orazione che
ha impegnato il cuore, devi fare attenzione a non provocargli scosse;
rischieresti di rovesciare il balsamo raccolto con l’orazione. Intendo dire che,
possibilmente, devi rimanere un po’ in silenzio e riportare per gradi il tuo
cuore dall’orazione agli affari, conservando il più a lungo possibile i
sentimenti e gli affetti fioriti in te. Un uomo che ha ricevuto in un bel vaso
di porcellana un liquore di gran pregio da portare a casa, cammina con
attenzione, senza voltarsi di lato, ma guarda solo davanti a sé, per paura di
inciampare in un sasso o mettere un piede in fallo e tiene contemporaneamente
d’occhio il vaso per non rovesciarlo. Tu devi fare la stessa
cosa uscendo dalla meditazione: non distrarti di colpo, ma guarda soltanto
davanti a te: ossia se devi incontrare qualcuno e prestargli attenzione, fallo
pure, adattati alla necessità; ma senza perdere di vista il tuo cuore, perché il
liquore prezioso dell’orazione si perda il meno possibile. Devi abituarti a passare
dall’orazione a qualsiasi attività e occupazione che comporta la tua
professione, anche quando può sembrare molto distante dagli affetti avuti
nell’orazione. Voglio dire che un avvocato deve saper passare dall’orazione alla
difesa della causa; il commerciante agli affari; la donna sposata ai doveri del
suo matrimonio e della casa, con dolcezza e serenità, senza mettersi in
angustia. Infatti essendo entrambi secondo la volontà di Dio, bisogna passare
dall’una agli altri in umiltà e devozione. Qualche volta ti potrà
capitare di sentirti trascinare dalla commozione immediatamente dopo la
preparazione: in tal caso, Filotea, allenta le briglie e non pretendere di
seguire il metodo che ti ho indicato; è vero che ordinariamente le
considerazioni devono precedere gli affetti e i propositi, ma se lo Spirito
Santo ti concede gli affetti prima delle considerazioni, non devi insistere a
voler correre dietro alle considerazioni, visto che hanno il solo scopo di
muovere gli affetti. In breve; in qualunque momento ti si presentano gli
affetti, devi accoglierli e far loro posto, poco importa se prima o dopo le
considerazioni. Ho messo gli affetti dopo
tutte le considerazioni, soltanto per distinguere i vari momenti dell’orazione;
è la regola generale: ma mai devi comprimere gli affetti. Lasciali sgorgare
appena manifestano la presenza. Questo lo dico per tutti
gli affetti, compreso il ringraziamento, l’offerta e la preghiera, che si
possono fare in ogni momento durante le considerazioni; non bisogna frenarli,
proprio come ti ho detto per gli affetti, anche se dopo, a conclusione della
meditazione, debbono essere ripetuti nuovamente. Quanto invece ai
propositi, devi formarli soltanto alla fine della meditazione, dopo gli affetti,
perché, ricordandoci situazioni familiari e dettagliate, rischierebbero di farci
distrarre se li facessimo insieme agli affetti. Tra gli affetti e i
propositi, è bene far ricorso al colloquio, e parlare un po’ con Nostro Signore,
con gli Angeli e con i personaggi del mistero, con i Santi e con se stessi, con
i peccatori ed anche con le creature insensibili, come fa Davide nei Salmi e gli
altri Santi nel corso delle loro meditazioni e orazioni.
Capitolo IX
LE ARIDITA’ CHE CI AFFLIGGONO NELLE
MEDITAZIONI Se ti capita, o Filotea,
di non provare alcuna attrattiva né alcuna consolazione nella meditazione, ti
prego di non agitarti, ma apri la porta alle preghiere vocali: lamentati di te
stessa con Nostro Signore, confessa la tua indegnità, pregalo di aiutarti, bacia
la sua immagine, rivolgigli le parole di Giacobbe: Io non ti lascio, Signore,
finché tu non mi abbia benedetto; o quelle della Cananea: Sì, Signore, io sono
un cane, ma i cani mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei padroni.
Altre volte prendi un libro e leggilo con attenzione fino a che il tuo spirito
si riprenda pienamente; qualche volta sprona il cuore con atti e movimenti di
devozione esteriore: prostrati per terra, metti le mani in croce sul petto,
abbraccia il Crocifisso; questo, si capisce, se ti trovi in luogo appartato. E se, dopo tutto ciò, sei
come prima, per quanto grande sia la tua aridità, non avvilirti, ma rimani con
devoto contegno davanti a Dio. Quanti cortigiani, nel corso dell’anno, fanno
cento volte l’anticamera del principe senza speranza di potergli parlare, ma
soltanto per essere visti da lui e compiere il loro dovere. Così, mia cara
Filotea, noi dobbiamo recarci all’orazione semplicemente per compiere il nostro
dovere e dimostrare la nostra fedeltà. Che se poi piace alla divina Maestà di
rivolgerci la parola e fermarsi con noi con le sue sante ispirazioni e
consolazioni interiori, questo sarà per noi un grande onore e motivo di un
piacere delizioso; ma se non ci fa questa grazia, non rivolgendoci la parola,
come se non ci vedesse e come se non fossimo alla sua presenza, non per questo
dobbiamo andarcene, anzi, al contrario, dobbiamo rimanere lì, davanti alla somma
Bontà, con un contegno devoto e sereno; gradirà molto la nostra pazienza e
noterà la nostra fedeltà e la nostra perseveranza; e quando ritorneremo davanti
a Lui, ci favorirà e si fermerà con noi con le sue consolazioni, facendoci
assaporare tutto il fascino dell’orazione. Ma anche se non dovesse
farlo, accontentiamoci, Filotea; è già un grandissimo onore trovarci presso di
Lui, al suo cospetto.
Capitolo X
ESERCIZIO DEL MATTINO Oltre a questa orazione
mentale strutturata e completa, e altre preghiere vocali da dire durante il
giorno, ci sono altre cinque forme di preghiere brevi e che sono come
prolungamenti e fioriture della grande orazione. La prima è quella del mattino,
che è una preparazione generale alla giornata. Ecco come devi farla:
Ti prego, Filotea, non
trascurarlo mai!
Capitolo XI
L’ESERCIZIO DELLA SERA E L’ESAME DI COSCIENZA Prima del pranzo materiale
hai fatto la meditazione, che è come un pranzo spirituale; allo stesso modo,
prima di cena devi fare una piccola cena devota e spirituale, o almeno uno
spuntino. Trova un po’ di tempo prima di cena, inginocchiati davanti a Dio,
raccogli il tuo spirito vicino a Gesù Cristo crocifisso (che ti rappresenterai
per mezzo di una riflessione semplice, come un’occhiata interiore), ravviva nel
tuo cuore l’ardore della meditazione del mattino, per mezzo di una dozzina di
vivaci aspirazioni, di atti di umiltà, e di slanci pieni d’amore verso il divin
Salvatore della tua anima; se lo preferisci, potrai anche riprendere i punti più
salienti della meditazione del mattino o scuoterti con qualche altro pensiero, a
tuo piacere. Quanto all’esame di
coscienza, che ognuno deve fare prima di coricarsi, tutti sanno come deve essere
fatto.
Questo esercizio non deve
mai essere tralasciato, come del resto quello del mattino; con quello del
mattino spalanchi la tua finestra al sole di giustizia, con quello della sera,
la sbarri alle tenebre dell’inferno.
Capitolo XII
IL RACCOGLIMENTO SPIRITUALE Ora, cara Filotea, ti
auguro tanta buona volontà per seguire di cuore il mio consiglio: in questo
capitolo ti porto a conoscenza di uno dei modi più sicuri per progredire
spiritualmente. Durante il giorno
mantieniti alla presenza di Dio con uno dei quattro mezzi che ti ho indicato
(vedi cap. II); dà uno sguardo all’azione di Dio e alla tua. Scoprirai che Dio
ha sempre gli occhi rivolti verso di te e ti guarda con infinito amore. Tu dirai
allora: O Dio, perché anch’io non ti guardo senza stancarmi, come tu guardi me?
Perché tu pensi tanto a me e io così poco a Te? Dove ci troviamo, anima mia? Il
nostro posto è in Dio; ma dove ci troviamo? Allo stesso modo che gli uccelli
hanno i nidi sugli alberi per potercisi rifugiare quando ne sentono il bisogno,
e i cervi hanno i loro cespugli e i loro rifugi, dove si raccolgono e si mettono
al riparo, godendosi il fresco e l’ombra in estate, così, o Filotea, il nostro
cuore, ogni giorno, deve cercare e trovare un posto per potersi, all’occorrenza,
raccogliere: o sul Calvario, o nelle piaghe di Nostro Signore, o in qualche
luogo vicino. Potrà quivi sostare e ritemprarsi, pur tra le occupazioni
esteriori, e difendersi, se necessario, come in una fortezza, dalle tentazioni. Beata l’anima che in tutta
sincerità potrà dire al Signore: Tu sei il mio rifugio, il mio bastone di
sicurezza, il tetto contro la pioggia, l’ombra che mi difende dal caldo. Ricordati sempre, Filotea,
di raccoglierti spesso nella solitudine del tuo cure, mentre materialmente ti
trovi coinvolta nelle conversazioni e negli affari; quella solitudine mentale
non deve in alcun modo essere impedita da quelli che ti stanno intorno; infatti
non si trovano intorno al tuo cuore, ma al tuo corpo; il tuo cuore può rimanere
in solitudine in compagnia di Dio. Questo esercizio lo faceva
anche Davide in mezzo a tutte le occupazioni, come ci risulta da un’infinità di
passi dei Salmi, come, quando dice: Signore, io sono sempre con Te. Vedo il mio
Dio costantemente davanti a me. Ho alzato gli occhi verso di te, mio Dio, che
abito in Cielo. I miei occhi sono sempre in Dio. Abitualmente le
conversazioni non sono così impegnative che non si possa, ogni tanto, sottrarre
il cuore per condurlo in quella solitudine divina. I genitori di Santa
Caterina da Siena le avevano tolto ogni comodità di luogo e di tempo per pregare
e meditare; Nostro Signore le ispirò di farsi un piccolo oratorio spirituale
nella propria anima, nel quale si raccoglieva mentalmente e così, pur in mezzo a
tutte le occupazioni esteriori, poteva consacrarsi a quella santa solitudine di
cuore. In seguito, quando il mondo l’assillava, non ne soffriva alcun danno,
perché, come essa diceva, si chiudeva nella sua cameretta interiore, nella quale
restava in dolce compagnia con il suo celeste sposo. Per questo consigliava ai
suoi figli spirituali di procurarsi una camera nel proprio cuore per potervi
sostare. Raccogli dunque qualche
volta il tuo spirito nel tuo cure e lì, isolata dagli altri, potrai parlare con
Dio, cuore a cuore, della tua anima e dirai con Davide: Ho vegliato e sono stato
simile al pellicano nella solitudine; come un uccello notturno o un gufo tra le
macerie, o come il passero solitario sul tetto. Queste parole, oltre al
senso letterale (provano che quel grande Re prendeva qualche ora di solitudine
per contemplare le cose spirituali), prese nel senso mistico, ci indicano tre
luoghi di ritiro, come tre eremi, nei quali possiamo trovare la solitudine,
seguendo l’esempio del Salvatore che sul Monte Calvario è come il pellicano del
deserto, che, con il proprio sangue, ridà la vita ai piccoli morti; nella
nascita in una stalla abbandonata, assomiglia al gufo tra le rovine che si
lamenta e piange le nostre mancanze e i nostri peccati; nel giorno
dell’ascensione è come il passero che si isola e sale al Cielo che è il tetto
del mondo. In questi tre luoghi anche noi possiamo raccoglierci pur essendo
circondati dal frastuono delle nostre occupazioni. Al Beato Eleazaro, conte
di Arian in Provenza, che si trovava lontano da casa da molto tempo, la sua
devota e casta Delfina mandò un messo per chiedere notizie della salute.
Eleazaro rispose: "Sto bene, mia cara; se vuoi vedermi, cercami nella piaga del
costato del dolce Gesù, perché è là che abito e là mi potrai trovare. Invano mi
cercheresti altrove". Quello sì che era un cavaliere cristiano!
Capitolo XIII
LE ASPIRAZIONI, LE GIAGULATORIE E I BUONI
PENSIERI Ci raccogliamo in Dio
perché aspiriamo a Lui e aspiriamo a Lui per poterci in Lui raccogliere, di modo
che l’aspirazione a Dio e il raccoglimento spirituale si sostengono a vicenda,
ed entrambi hanno origine e nascono dai buoni pensieri. Aspira dunque spesso a
Dio, Filotea, con slanci del cuore brevi ma ardenti: canta la sua bellezza,
invoca il suo aiuto, gettati in ispirito ai piedi della croce, adora la sua
bontà, interrogalo spesso sulla tua salvezza, donagli mille volte al giorno la
tua anima, fissa i tuoi occhi interiori sulla sua dolcezza, tendigli la mano
come fa un bambino con il papà, perché ti guidi; mettilo sul petto come un
profumato mazzolino di fiori, innalzalo nella tua anima come uno stendardo e
conduci il tuo cuore in mille modi alla ricerca dell’amore di Dio, e scuotilo
perché giunga ad un appassionato e tenero amore per questo Sposo divino.
Questo è il modo di
innalzare le orazioni giaculatorie, che il grande S. Agostino consigliava con
tanto zelo alla devota Proba. Se il nostro spirito si mette a frequentare con
intimità e familiarità il suo Dio, o Filotea, rimarrà profumato delle sue
perfezioni; questo esercizio non disturba l’andamento della giornata perché può
trovare posto tra gli affari e le occupazioni, senza recar loro alcun
pregiudizio, poiché, nel raccoglimento spirituale, come in questi slanci
interiori, si operano soltanto piccole e brevi interruzioni che non nuocciono a
quello che stiamo facendo, ma anzi sono di giovamento. Il pellegrino che prende
un sorso di vino per sollevare il cuore e rinfrescare la bocca, benché per fare
questo sosti un po’, non si può dire che interrompa il viaggio, anzi recupera le
forze per poi portarlo a termine con più celerità e maggior facilità; si ferma
per poter proseguire più speditamente. Esistono molte raccolte di
aspirazioni vocali, che sono veramente utili; ma, se tu mi ascolti, non devi
legarti a nessuna formula, ma dire dentro di te o a voce, quelle che ti
suggerirà il cuore sul momento; te ne suggerirà a volontà! E’ vero che ci sono certe
massime che possiedono una forza particolare per dare soddisfazione al cuore in
questo campo, come gli slanci profusi così abbondantemente nei Salmi di Davide,
le varie invocazioni del nome di Gesù, e le espressione d’amore che si trovano
nel Cantico dei Cantici. Anche i Canti spirituali possono servire allo scopo,
purché siano cantati con attenzione. Voglio farti un paragone:
coloro che si amano di un amore umano e naturale, hanno quasi costantemente il
pensiero rivolto alla persona amata, il cuore trabocca di amore per lei, la
bocca non fa che tesserne le lodi, e quando l’amata è assente manifestano la
loro passione con lettere e non c’è albero su cui non lascino inciso il loro
amore; allo stesso modo coloro che amano Dio non possono passare un momento
senza pensare a Lui, respirare per Lui, tendere a Lui, parlare di Lui, e
vorrebbero, se fosse possibile, incidere sul petto di tutti gli uomini il santo
nome di Gesù. Tutte le creature ti
invitano a questo. Non c’è creatura che non proclami la lode dell’Amato; dice S.
Agostino, seguendo S. Antonio, che tutto ciò che esiste al mondo parla, magari
con un linguaggio muto, del proprio amore; tutte le cose ti incitano a buoni
pensieri, da cui vengono, per forza, slanci e aspirazioni a Dio. Eccone qualche
esempio: S. Gregorio, Vescovo di
Nazianzo, raccontava al popolo che, mentre un giorno passeggiava lungo la riva
del mare, guardava le onde che, giungendo sulla spiaggia, lasciavano conchiglie
e chiocciolette, ciuffi d’erba, ostriche e altri rifiuti che il mare rigettava,
si potrebbe quasi dire, sputava sulla spiaggia; poi, ritornava con altre onde,
riprendeva e inghiottiva di nuovo una parte del tutto. Gli scogli invece
rimanevano ben saldi, nonostante che le onde li investissero con violenza. E
fece questa riflessione: i deboli, come conchiglie, chiocciole e ciuffi d’erba
si lasciano trascinare un momento nell’afflizione, un altro nella gioia, in
balia delle onde della sorte; ma la gente che ha coraggio, rimane salda e
immobile in mezzo a qualsiasi bufera. Da questo pensiero passava allo slancio di
Davide: Signore, salvami, perché le acque sono penetrate fino in fondo
all’anima; Signore, salvami dalle acque profonde; sono trascinato in fondo al
mare, la tempesta mi fa affondare. Era un momento in cui era nella sofferenza,
perché massimo aveva iniziato i suoi maneggi per usurpargli la Diocesi. S. Fulgenzio, Vescovo di
Ruspe, trovandosi in una assemblea di nobili romani che veniva arringata da
Teodorico re dei Goti, guardando tutta quella gente elegante, ognuno al proprio
posto secondo il grado e il censo, disse: O Dio, quanto deve essere bella la
Gerusalemme celeste se è tanto solenne la Roma terrestre! Se a coloro che amano
la vanità in questo mondo è concesso tanto splendore, quale deve essere
nell’altro mondo la gloria riservata agli amanti della verità! Si dice che S, Anselmo,
Arcivescovo di Canterbury, per nascita onore delle nostre montagne, era
eccezionale nel saper ricavare buoni pensieri: un leprotto, inseguito dai cani,
si rifugiò sotto il cavallo del santo Vescovo, che, per caso, passava da quelle
parti, per cercare protezione contro la morte che lo minacciava. I cani tutt’intorno
abbaiavano, ma non avevano il coraggio di violare l’immunità cui la loro preda
si era affidata; tutto il seguito scoppiò a ridere a quella scena. Ma non il
grande Anselmo che, sospirando e con le lacrime agli occhi disse: Voi ridete, ma
non ride la povera bestiola; i nemici dell’anima, perduta nel labirinto di molti
peccati, l’aspettano al passaggio della morte per rapirla e sbranarla, ed essa,
spaventata, cerca ovunque rifugio e protezione; se non ne trova ai suoi nemici
non importa proprio nulla e se la ridono. E se ne andò pensieroso. Costantino il Grande aveva
scritto una lettera a S. Antonio; ciò meravigliò molto i religiosi che gli
stavano intorno. Antonio disse: Perché vi meravigliate che un Re scriva ad un
uomo? Ammirate piuttosto che Dio eterno abbia scritto la sua legge ai mortali,
anzi, abbia loro parlato direttamente per mezzo del Figlio! S. Francesco, vedendo una
pecora, tutta sola in mezzo ad un gregge di capre, disse al suo compagno: Guarda
com’è dolce quella pecora in mezzo a quelle capre; così era Nostro Signore,
dolce e umile in mezzo ai Farisei! Un’altra volta, vedendo un
agnello sbranato da un maiale piangendo esclamò: Piccolo agnellino, quanto mi
ricordi la morte del mio Salvatore. Un grande personaggio e
anche grande santo del nostro tempo, Francesco Borgia, quand’era ancora Duca di
Candia, mentre andava a caccia si immergeva in molti pensieri spirituali come
questo: Ammira come il falco ritorni sul pugno, si lasci bendare gli occhi e
legare alla pertica, mentre gli uomini sono così ribelli alla voce di Dio! Il grande S. Basilio
diceva che la rosa tra le spine è un insegnamento per gli uomini: Le cose più
gradevoli di questo mondo, o mortali, sono frammiste a sofferenza. Niente è
schietto: il rimpianto è sempre unito alla gioia, la vedovanza al matrimonio, la
premura al risultato, l’umiliazione alla gloria, il prezzo agli onori, la
ripugnanza alle delizie, la malattia alla buona salute. La rosa, dice il nostro
Santo, è un bel fiore, ma mi dà una grande tristezza, perché mi ricorda il mio
peccato, a causa del quale la terra è stata condannata a produrre spine. Un’anima devota, vedendo
il cielo stellato, che si specchia nell’acqua limpida di un ruscello dirà: Mio
Dio, queste stelle le avrò sotto i piedi quando mi avrai accolto nelle tue
tende. E come le stelle del cielo le vedi specchiate sulla terra, allo stesso
modo gli uomini della terra li vedi riflessi nel cielo della sorgente purissima
della carità divina. Ci sarà anche chi, vedendo
scorrere un fiume dirà: La mia anima non avrà riposo finché non si immerga nel
mare profondo di Dio che è la sua origine. S. Francesca Romana, un
giorno, mentre contemplava un ruscello, sulla cui sponda si era fermata a
pregare, fu rapita in estasi e, senza sosta, ripeteva queste belle parole: La
grazia del mio Dio scende con la dolcezza e la soavità di questo ruscello. Un altro, vedendo gli
alberi in fiore, esclamerà: Perché solo io sono senza fiori nel giardino della
Chiesa? Un altro, osservando dei
pulcini raccolti sotto la chioccia, dirà: Signore, conservaci sotto la
protezione delle tua ali. Un altro ancora, alla
vista del girasole, penserà: Quando avverrà, Dio mio, che la mia anima segua le
attrattive della tua bontà? Vedendo poi delle viole
del pensiero coltivate, belle a vedersi, ma senza profumo, dirà: Ecco come sono
i miei pensieri, belli a chiacchiere, ma poi non sanno di niente! Ecco, Filotea, come si
possono ricavare buoni pensieri e sante ispirazioni dalle situazioni di questa
vita mortale. Infelici sono coloro che distolgono le creature dal loro Creatore
per ricondurle al peccato; beati invece quelli che indirizzano le creature alla
gloria del loro Creatore e si servono del poco che sono per fare onore alla
verità. S. Gregorio di Nazianzo dice di avere l’abitudine di indirizzare tutte
le cose al profitto spirituale. Leggi il devoto epitaffio che S. Girolamo ha
composto per S. Paola: è bello constatare come sia ricco delle ispirazioni e dei
santi pensieri che la Santa sapeva ricavare da qualsiasi incontro. Nell’esercizio del
raccoglimento spirituale e delle preghiere giaculatorie si trova la profonda
radice della devozione: può supplire alla mancanza di tutte le altre forme di
orazione. Ma se manca questo non c’è modo di rimediare. Senza questo esercizio non
è possibile la vita contemplativa, anzi sarà mal condotta anche quella attiva;
senza questo il riposo è ozio, il lavoro preoccupazione; perciò ti supplico di
abbracciarlo con tutto il cuore, senza staccartene mai!
Capitolo XIV
COME ASCOLTARE LA SANTA MESSA
Ma se durante la Messa
vuoi fare la tua meditazione sui misteri che stai seguendo giorno per giorno,
non è necessario che tu segua queste indicazioni; sarà sufficiente che
all’inizio manifesti la tua intenzione di voler adorare e offrire questo santo
Sacrificio per mezzo della meditazione e dell’orazione, poiché in tutte le
meditazioni ci sono, o esplicitamente o implicitamente, le operazioni sopra
indicate.
Capitolo XV
GLI ALTRI ESERCIZI PUBBLICI E COMUNI Oltre a ciò, Filotea, le
Domeniche e le Feste devi assistere, per quello che potrai, al canto delle Ore e
dei Vespri; quelli sono giorni consacrati a Dio e bisogna fare qualcosa di più
in suo onore e gloria. Proverai una infinita
dolcezza spirituale, secondo quanto afferma S. Agostino nelle Confessioni:
all’inizio della conversione, assistere agli Uffici divini, lo commuoveva fino
alle lacrime. E poi (e voglio dirlo una
volta per tutte), si ricava sempre maggior frutto e più consolazione dalle
celebrazioni pubbliche della Chiesa, che non dalle devozioni personali; perché
Dio ha così voluto dando la preferenza assoluta agli atti di comunità su quelli
privati. Entra volentieri nelle
Confraternite che trovi sul posto, soprattutto in quelle le cui pratiche offrono
un frutto maggiore e più edificazione. Facendo così ti renderai molto gradita a
Dio. E’ vero che Dio non ti fa obbligo di far parte delle Confraternite, ma te
lo raccomanda la Chiesa che, a significare questo suo desiderio, le arricchisce
di indulgenze e di altri privilegi. E poi, è sempre una cosa
molto ben fatta unirsi ad altri e cooperare con essi per la riuscita di buoni
progetti. Benché possa capitare di fare anche in privato pratiche di pietà
altrettanto buone come quelle che si fanno in comune nell’ambito della
Confraternita, e addirittura di trovare più trasporto in quelle private,
ciononostante Dio è glorificato maggiormente dall’unione agli altri e dal
contributo che noi diamo ai fratelli e al prossimo in un atto comune. Questo vale per tutte le
preghiere e le devozioni pubbliche, alle quali, nella misura del possibile,
dobbiamo dare il contributo del nostro buon esempio per l’edificazione del
prossimo e il nostro affetto per la gloria di Dio e l’unione dei cuori in azioni
comuni.
Capitolo XVI
BISOGNA ONORARE E INVOCARE I SANTI Spesso Dio ci fa giungere
le sue ispirazioni per mezzo degli Angeli; perciò anche noi dobbiamo fare la
stessa cosa indirizzando a Lui le nostre aspirazioni con lo stesso mezzo. Le anime sante dei defunti
che ora si trovano in Paradiso, in compagnia degli Angeli, uguali ad essi, come
dice Nostro Signore, hanno lo stesso ufficio: ispirarci con le loro preghiere e
portare a Dio le nostre aspirazioni. Uniamo, Filotea, i nostri cuori a questi
spiriti celesti e a queste anime beate: come il piccolo usignolo impara a
cantare stando con i grandi, così, con questo scambio con i Santi, noi
riusciremo a pregare e a cantare le lodi di Dio: Canterò i Salmi, dice Davide,
davanti agli Angeli. Onora, riverisci e
rispetta con amore speciale la santa e gloriosa Vergine Maria: ella è Madre del
nostro Padre sovrano e perciò anche nostra cara nonna. Ricorriamo aLei quali
nipotini, gettiamoci sulle sue ginocchia con assoluta fiducia; in ogni momento,
in ogni circostanza, facciamo appello a questa dolce Madre, invochiamo il suo
amore materno e, facendo ogni sforzo per imitare le sue virtù, abbiamo per Lei
un sincero cuore di figli. Renditi molto amico degli
Angeli; impara a vederli sempre presenti, anche se invisibili, nella tua vita;
soprattutto ama e rispetta quello della Diocesi in cui ti trovi, quelli delle
persone con le quali vivi, e in modo particolare il tuo; pregali spesso, prendi
l’abitudine di lodarli, confida nel loro aiuto e nella loro assistenza per tutte
le circostanze tanto spirituali che materiali, perché si prendano a cuore i tuoi
progetti. Il grande Pietro Favre,
primo sacerdote, primo predicatore, primo lettore di Teologia della santa
Compagnia di Gesù, e primo compagno del Beato Ignazio, fondatore della stessa,
tornando un giorno dalla Germania, dove aveva reso grandi servizi in onore di
Nostro Signore, sostando nella nostra Diocesi, sua patria d’origine, raccontava
che attraversando molti paesi eretici, aveva ricevuto infinite consolazioni nel
salutare gli Angeli protettori delle parrocchie e diceva di averne sperimentato
sensibilmente l’assistenza: lo avevano protetto dalle imboscate degli eretici,
avevano reso molte anime aperte e docili nel ricevere la dottrina della
salvezza. Lo esponeva con tanto calore che una donna, allora giovane, avendolo
udito direttamente dalla sua bocca, lo ripeteva agli uditori ancora con profonda
commozione, quattro anni fa, ossia sessanta anni dopo! L’anno scorso ho avuto la
consolazione di consacrare un altare nel luogo dove nacque quel santo prete, nel
villaggio di Villaret, tra le nostre più aspre montagne. Scegliti qualche santo
particolare la cui vita e i cui esempi maggiormente ti invitano all’imitazione e
nella cui intercessione ti trovi ad avere maggior fiducia: come quello del nome
che porti e che ti è stato assegnato nel Battesimo.
Capitolo XVII
COME VA ASCOLTATA LA PAROLA DI DIO Devi essere devota alla
Parola di Dio: sia che tu l’oda in conversazioni familiari assieme ai tuoi amici
spirituali, sia nella solennità di un sermone, devi ascoltarla sempre con
attenzione e rispetto. Ricavane profitto: non lasciarla cadere a terra, ma
accoglila nel tuo cuore come un unguento prezioso, seguendo l’esempio della
Santissima Vergine, che conservava con cura nel proprio, tutte le lodi dette in
onore del Figlio. Ricordati che Nostro
Signore accoglie le parole che gli rivolgiamo nelle preghiere, nella misura
nella quale accogliamo quelle che Egli ci rivolge con la predicazione. Conserva
presso di te sempre qualche buon libro di devozione, come quello di S.
Bonaventura, il Combattimento Spirituale di Scupoli, le Confessioni
di S. Agostino, le Lettere di S. Girolamo e simili. Tutti i giorni
leggine un brano con grande devozione, come leggeresti lettere inviate
personalmente a te dai Santi del Cielo, per indicarti il cammino e darti
coraggio di avviarti in esso. Leggi anche le Storie e le
vite dei santi, nelle quali puoi vedere la vita cristiana, come in uno specchio;
adatta le loro azioni ai casi della tua vita secondo il tuo stato. Benché molte
azioni dei Santi non siano imitabili in senso letterale, da gente che vive nel
mondo, hanno senz’altro qualche cosa da insegnarci o da vicino o da lontano; per
esempio, puoi imitare la solitudine di Paolo, primo eremita, con il tuo
raccoglimento spirituale e con quello reale, cose di cui in parte abbiamo
parlato (cap.XII) e in parte parleremo (Parte V). Puoi imitare l’estrema povertà
di S. Francesco con gli esercizi di povertà che ti proporremo (parte III), e
così per il resto. Ti accorgerai che ci sono
episodi più illuminanti di altri per la nostra vita, come la vita della Beata
Madre Teresa, che è notevole per questo; la vita dei primi Gesuiti, quella di S.
Carlo Borromeo, Arcivescovo di Milano, di S. Luigi di Francia, di S. Bernardo, i
fioretti di S. Francesco e altre. Ce ne sono anche di quelle
che sono più adatte per essere ammirate che imitate, come quella di S. Maria
Egiziaca, S. Simeone stilita, le due Caterine, da Siena e da Genova, di S.
Angela e altre simili, che non per questo non sono una prova piacevole del
grande amore di Dio.
Capitolo XVIII
COME VANNO ACCOLTE LE ISPIRAZIONI Chiamiamo ispirazioni gli
inviti, i movimenti, i rimproveri, i rimorsi interiori, i lumi e le cognizioni
che Dio genera in noi prevenendo il nostro cuore con le sue benedizioni, con
attenzione e affetto di Padre per svegliarci, scuoterci, spingerci, attirarci
verso la virtù, l’amore celeste, i buoni propositi: in breve, verso tutto ciò
che ci mette in cammino per il nostro bene eterno. Lo Sposo lo chiama bussare
alla porta e bussare al cuore della Sposa, svegliarla se dorme, invocarla e
chiamarla quand’è assente, invitarla a gustare il miele e a cogliere i frutti e
i fiori nel suo giardino, a cantare e a fare udire la voce alle sue orecchie. Tre sono i movimenti che
si susseguono nella promessa sposa prima di giungere al matrimonio: in primo
luogo le viene proposto il matrimonio, poi ella lo trova di suo gradimento,
infine dà il suo consenso. Allo stesso modo, quando
Dio vuole compiere in noi, per mezzo di noi e con noi un’opera di rilievo, in
primo luogo ce la propone ispirandocela; poi tocca a noi esprimerci dicendo se
ci piace; in terzo luogo aderiamo con il sì. Lo stesso processo lo
seguiamo per cadere nel peccato: anche il tal caso i movimenti sono tre: la
tentazione, il compiacimento, il consenso. Per conquistare le virtù i
gradini sono sempre tre: l’ispirazione, che è il contrario della tentazione; il
compiacimento nell’ispirazione che è il contrario del compiacimento nella
tentazione; il consenso all’ispirazione, che è il contrario del consenso alla
tentazione. Anche se l’ispirazione
dovesse insistere per tutto l’arco della nostra vita, se non la trovassimo bella
e piacevole, non saremmo in alcun modo accetti a Dio; anzi la sua divina Maestà
ne sarebbe offesa, come lo fu nei confronti degli Israeliti, che aveva inseguito
inutilmente per quarant’anni chiamandoli alla conversione senza trovare in essi
risposta. Giurò che mai più li avrebbe fatti entrare nella sua pace. Così un signore che abbia
per molto tempo corteggiato una giovane donna, sarebbe molto contrariato, se,
dopo tutto, lei non volesse saperne di matrimonio. Il piacere che si prova
nelle ispirazioni è un avvio determinante alla gloria di Dio e in tal modo si
comincia ad essere graditi alla divina Maestà; benché questo compiacimento non
sia ancora un consenso pieno, perlomeno è una disposizione favorevole. Se è vero che è un buon
segno e cosa molto utile compiacersi nell’ascolto della Parola di Dio, tanto che
possiamo considerarlo un’ispirazione esteriore, è cosa altrettanto buona e
gradita a Dio compiacersi nell’ispirazione interiore: è quel piacere di cui
parla la Sposa quando dice: la mia anima si è sciolta di piacere, quand’ho udito
la voce dell’amato. Il gentiluomo è
soddisfatto quando vede che la dama che egli serve è contenta del suo servizio. In conclusione è il
consenso che completa l’atto virtuoso: perché anche se ispirati e contenti
dell’ispirazione, neghiamo poi il consenso a Dio, siamo degli ingrati e
offendiamo gravemente la Maestà divina, perché il disprezzo sembra ancora
maggiore. E’ quanto capitò alla Sposa, perché, pur avendole il canto del suo
Amato toccato il cuore di piacere, ella non gli aprì la porta e si scusò con una
ragione sciocca. Lo Sposo si indignò, passò oltre e se ne andò. Così un gentiluomo che
dopo aver corteggiato lungamente una donna e averle reso gentilmente servizio,
si vede alla fine respinto e disprezzato, avrà senz’altro più motivo di
risentimento di quanto ne avrebbe avuto se fosse stato subito accolto male e
trattato peggio. Risolviti, Filotea, ad
accettare di buon cuore tutte le ispirazioni che Dio vorrà mandarti. Quando ti
giungeranno accoglile come ambasciatrici del Re del Cielo, che vuole unirsi in
matrimonio con te. Ascolta con cuore sereno quello che ti propongono; considera
l’amore che te le ha fatte mandare e trattale bene. Acconsenti con un’adesione
piena d’amore e fedele all’ispirazione; in modo che Dio, che non sei in grado di
costringere, si sentirà fortemente obbligato dal tuo affetto. Ma prima di dare
il consenso alle ispirazioni per cose importanti e straordinarie, per non
rischiare di cadere in inganno, consigliati sempre con la tua guida, perché
esamini se l’ispirazione è vera o falsa. Se il nemico vede un’anima pronta a
consentire alle ispirazioni, gliene propone subito di false per trarla in
inganno; cosa che gli sarà impossibile se ella, con umiltà, ubbidirà a chi la
conduce. Una volta dato il
consenso, bisogna far sì che abbia seguito e l’ispirazione si attui: questo è il
culmine della virtù autentica. Consentire nel cuore senza passare ai fatti, è
come piantare una vigna senza volerne frutto. A questo scopo è molto utile
praticare l’esercizio del mattino e il raccoglimento spirituale, indicati sopra.
Il tal modo non solo ci prepariamo a fare in modo generico il bene, ma
concretamente lo realizziamo.
Capitolo XIX
LA SANTA CONFESSIONE Il nostro Salvatore ha
lasciato alla sua Chiesa il sacramento della Penitenza o Confessione perché
potessimo purificarci dalle nostre iniquità, per numerose che siano, tutte le
volte che ci infanghiamo.
Perciò, Filotea, non
tollerare mai per lungo tempo che il tuo cure rimanga contagiato dal peccato,
disponendo tu di un rimedio sempre pronto e facile da applicare. La leonessa che
si è unita ad un leopardo corre immediatamente a lavarsi per togliere da sé il
lezzo, perché il leone, avvertendolo, non si adombri e si irriti. L’anima che ha
acconsentito al peccato deve avere orrore di se stessa e ripulirsi
immediatamente, per rispetto alla Maestà divina che sempre la segue. Perché
vogliamo lasciarci morire spiritualmente quando abbiamo a disposizione un
rimedio così sicuro? Confessati devotamente e
umilmente ogni otto giorni, e, se puoi, ogni volta fai la comunione, anche se
non avverti nella coscienza il rimorso di alcun peccato mortale. In tal caso,
con la confessione, non soltanto riceverai l’assoluzione dei peccati veniali
confessati, ma anche una grande forza per evitarli in avvenire, una grande
chiarezza per distinguerli e una efficace grazia per rimediare a tutto il danno
che ti hanno causato. Praticherai la virtù dell’umiltà, dell’obbedienza, della
semplicità e della carità; con il solo atto della Confessione praticherai più
virtù che con qualsiasi altro. Abbi sempre un sincero
dispiacere dei peccati che confessi, per piccoli che siano, e prendi una ferma
decisione di correggerti. Molti si confessano dei peccati veniali per abitudine,
quasi meccanicamente, senza pensare minimamente ad eliminarli; e così per tutta
la vita ne saranno dominati e perderanno molti beni e frutti spirituali. Se, per esempio, ti
confessi di aver mentito senza recar danno, o di aver detto qualche parola
grossolana, o di aver giocato troppo, pentiti e fa proposito di correggerti; è
un abuso confessare un peccato, sia mortale che veniale, senza aver intenzione
di emendarsene, perché la Confessione è stata istituita proprio per quello
scopo. Non fare accuse generiche,
come fanno molti, in modo macchinale, tipo queste: Non ho amato Dio come era mio
dovere; Non ho ricevuto i Sacramenti con il rispetto dovuto, e simili. Ti
chiarisco il motivo: Ciò dicendo tu non offri alcuna indicazione particolare che
possa dare al confessore un’idea dello stato della tua coscienza; tutti i Santi
del Paradiso e tutti gli uomini della terra potrebbero dire tranquillamente la
stessa cosa. Cerca qual è la ragione specifica dell’accusa, una volta trovata,
accusati della mancanza commessa con semplicità e naturalezza. Se, per esempio, ti accusi
di non avere amato il prossimo come avresti dovuto, può darsi che si sia
trattato di un povero veramente bisognoso che tu non hai aiutato come avresti
potuto o per negligenza, o per durezza di cuore, o per disprezzo; vedi un po’ tu
il motivo! Similmente non accusarti
di non aver pregato Dio con la dovuta devozione; ma specifica se hai avuto delle
distrazioni volontarie perché non hai avuto cura di scegliere il luogo, il tempo
e il contegno atti a favorire l’attenzione nella preghiera; accusati con
semplicità di quello in cui trovi di aver mancato, senza ricorrere a quelle
espressioni generiche che, nella confessione, non fanno né caldo né freddo. Non accontentarti di
raccontare i tuoi peccati veniali solo come fatto; accusati anche del motivo che
ti ci ha portato. Non dimenticarti, per
esempio, di dire che hai mentito senza coinvolgere nessuno; ma chiarisci, se è
stato per vanità, se era per vantarti o scusarti, o per gioco, o per
cocciutaggine. Se hai peccato nel gioco, specifica se è stato per soldi, o per
il piacere della conversazione, e così via. Dì anche se sei rimasto
per lungo tempo nel tuo male, perché, in genere, il tempo aggrava il peccato.
C’è molta differenza tra la vanità di un momento, che ha occupato il nostro
spirito sì e no per un quarto d’ora, e quella nella quale il nostro cuore è
rimasto immerso per uno, due o tre giorni! In conclusione, bisogna
esporre il fatto, il motivo e la durata dei nostri peccati; perché, anche se
comunemente non siamo obbligati ad essere così esatti nel dichiarare i nostri
peccati veniali, anzi non siamo nemmeno obbligati a confessarli, è pur sempre
vero che coloro che vogliono pulire per bene l’anima per raggiungere più
speditamente la santa devozione, devono avere molta cura di descrivere al medico
spirituale il male, per piccolo che sia, se vogliono guarire. Non trascurare di
aggiungere quanto serve per far capire il tipo dell’offesa, come il motivo che
ti ha fatto montare in collera, o ti ha fatto accettare il vizio di qualcuno.
Per esempio, se un uomo che non mi va a genio, mi provoca con qualche leggera
parola per ischerzo, io la prendo a male e monto in collera: cosa che se
l’avesse fatta un altro che mi è simpatico, l’avrei accettata, anche se avesse
caricato la dose. Preciserò dunque con
chiarezza: Mi sono lasciato trasportare a parole di collera contro una persona,
perché ho preso a male ciò che mi aveva detto, non per le parole in se stesse,
ma perché mi è antipatico colui che le ha dette. E se fosse necessario
precisare le parole per farti capire meglio, penso che faresti bene a dirle.
Accusandoci in questo modo, con naturalezza, non solo mettiamo fuori i peccati
fatti, ma anche le cattive inclinazioni, le usanze, le abitudini e le altre
radici del peccato, in modo che il padre spirituale abbia una chiara conoscenza
del cuore che gli è affidato e quindi predisponga i rimedi più opportuni.
Tuttavia non fare il nome di chi ha eventualmente cooperato al tuo peccato,
almeno finché ti sarà possibile. Fa attenzione a numerosi
peccati che vivono e spadroneggiano, spesso senza essere avvertiti, nella
coscienza e accusali per potertene liberare; a questo fine leggi attentamente i
Capitoli VI, XXVII, XXVIII, XXIX, XXXV e XXXVI della III parte e il Capitolo
VIII della IV parte. Non cambiare facilmente di
confessore, ma scegline uno e rendigli conto della tua coscienza nei giorni che
avrai stabilito; e digli con naturalezza e franchezza i peccati commessi; di
tanto in tanto, ogni mese o ogni due mesi, digli anche a che punto sei con le
inclinazioni, benché in quelle non ci sia peccato; digli se sei afflitta dalla
tristezza, dal rimpianto, se sei invece portata alla gioia, al desiderio di
acquisire ricchezze, e simili inclinazioni.
Capitolo XX
LA COMUNIONE FREQUENTE Si dice che Mitridate, re
del Ponto, avesse inventato un veleno con il quale aveva talmente rinvigorito il
proprio organismo, che, quando volle avvelenarsi per sfuggire alla schiavitù dei
Romani, non riuscì a portare a compimento il proposito. Il Salvatore ha istituito
l’augusto sacramento dell’Eucarestia, che contiene realmente la sua carne e il
suo sangue, affinché chi ne mangia viva eternamente. Ecco perché, chiunque vi
ricorre spesso con devozione, rinforza talmente la salute e la vitalità
dell’anima, che è quasi impossibile che rimanga avvelenata dai cattivi affetti
di qualunque sorta siano. Non è possibile nutrirsi
di questo cibo di vita e continuare a vivere gli affetti di morte; allo stesso
modo che gli uomini nel paradiso terrestre non avrebbero potuto morire quanto al
corpo in virtù del frutto della vita del Signore vi aveva collocato, così essi
non possono morire spiritualmente in virtù di questo sacramento di vita. Se è vero che i frutti più
teneri, soggetti a corrompersi, come le ciliegie, le albicocche e le fragole, si
conservano facilmente tutto l’anno una volta canditi nello zucchero e nel miele,
nessuna meraviglia che i nostri cuori, benché fragili e deboli, siano resi
immuni dalla corruzione del peccato quando sono trattati con quello zucchero e
quel miele che sono la carne e il sangue incorruttibili del Figlio di Dio. O
Filotea, i cristiani che saranno condannati, resteranno senza parola allorché il
Giudice giusto rinfaccerà loro il torto che hanno avuto di lasciarsi morire
spiritualmente, quando era loro così facile mantenersi in vita e buona salute
nutrendosi del suo Corpo offerto a tal fine. Miserabili, dirà loro. Come avete
potuto lasciarvi morire, quando avevate l’ordine di nutrirvi del cibo di vita? "Io non lodo e non biasimo
il fatto di ricevere la comunione eucaristica tutti i giorni; ma consiglio ed
esorto ciascuno a fare la comunione tutte le Domeniche, purché lo spirito non
abbia affetti al peccato". Sono parole testuali di S.
Agostino, al quale mi associo non biasimando e non lodando chi fa la comunione
tutti i giorni; lascio la decisione su questo punto alla discrezione del Padre
spirituale di chi vorrà prendere decisioni a questo proposito; infatti le
disposizioni per accostarsi così di frequente alla santa comunione devono essere
di un livello di perfezione, che non è opportuno dare in materia un parere
generico. D’altra parte, siccome tali disposizioni, benché richiedono un livello
di perfezione alto, possono trovarsi in molte anime buone, non è nemmeno bene
distogliere e dissuadere tutti. Va deciso dopo aver preso in esame lo stato
interiore di ciascuno in particolare. Sarebbe imprudente
consigliare a tutti indiscriminatamente la comunione frequente; ma sarebbe
ugualmente imprudente biasimare chi la facesse, soprattutto quando c’è di mezzo
il parere di un prudente direttore di spirito. Bella la risposta di S, Caterina
da Siena, quando, a proposito della sua comunione quotidiana, le fu citato S.
Agostino che non loda e non biasima chi si comunica tutti i giorni: Ebbene,
disse, poiché S. Agostino non lo biasima, prego anche voi di fare altrettanto, e
mi basta. Ma vedi bene, Filotea, che
S. Agostino esorta e consiglia con forza di fare la comunione tutte le
domeniche; falla anche tu più spesso che puoi. Giacché, io lo credo, tu non hai
alcun affetto al peccato mortale, e nemmeno al peccato veniale, sei nella
disposizione richiesta da S. Agostino, e anche qualcosa di più; perché non solo
non hai l’affetto a peccare, ma non hai nemmeno l’affetto al peccato. Sicché se
il tuo padre spirituale lo trova bene, puoi fare la comunione anche più spesso
di ogni domenica. Possono tuttavia sorgere
molte difficoltà, non da parte tua, ma da parte di coloro che vivono con te, che
potrebbero consigliare al tuo saggio direttore di non farti comunicare così
spesso. Se, per esempio, tu sei sottomessa a qualcuno, e coloro cui devi
obbedienza e rispetto siano così mal istruiti e così strani da sentirsi inquieti
e turbati nel vederti fare la comunione così spesso, nel caso, tutto
considerato, sarà bene andare incontro alla loro malattia e fare la comunione
soltanto ogni quindici giorni; ciò solo nel caso che la difficoltà non possa
esse superata in altro modo. In questo campo non bisogna dare direttive
generali, occorre stare a quanto dice il padre spirituale; tuttavia mi sento in
obbligo di affermare con certezza che la massima distanza tra una comunione e
l’altra non deve superare il mese, almeno in quelli che intendono servire Dio
devotamente. Se sai essere molto
prudente, non c’è né madre, né moglie, né marito, né padre che ti impedisca di
comunicare spesso: e sai perché. Perché il giorno in cui avrai fatto la
comunione, non diminuirai la cura per quello che fa parte dei doveri del tuo
stato, anzi sarai più dolce e gentile e non rifiuterai l’adempimento di nessun
dovere; la conseguenza sarà che gli altri non avranno alcun interesse a
distoglierti da questo esercizio che non causa loro alcun pregiudizio; a meno
che non siano gretti e incapaci di ragionare; in tal caso, come già detto, usa
condiscendenza, secondo il consiglio del tuo direttore. Devo aggiungere una parola
per la gente sposata: Dio, nell’antica Legge, trovava cosa fatta male che i
creditori esigessero il loro debito nei giorni di festa; ma non se l’aveva a
male se il debitore pagava e rendeva il debito a chi lo esigeva. E’ cosa poco
conveniente, benché non sia un grande peccato, chiedere la soddisfazione del
debito coniugale nel giorno in cui si è fatta la comunione; ma non è
sconveniente, anzi direi che è meritorio, renderlo. Ecco perché a causa di tali
doveri, nessuno deve essere privato della Comunione, quando la sua devozione lo
spinge a chiederla. Nella Chiesa primitiva i cristiani comunicavano tutti i
giorni, pur essendo sposati e benedetti da tanti figli; ecco perché ho detto che
la comunione frequente non deve generare alcuna sorta di problemi né ai papà, né
alle mamme, né ai mariti, né alle mogli purché l’anima che si accosta alla
comunione sia prudente e discreta. Quanto alle malattie
corporali non ce n’è alcuna che impedisca questa santa partecipazione, eccetto
quelle che causano vomito molto frequente. Per fare la comunione ogni
otto giorni occorre non avere peccati mortali e non avere affetto al peccato
veniale, e avere un grande desiderio di fare la comunione; ma per fare la
comunione tutti i giorni, oltre a ciò, bisogna aver superato la maggior parte
delle cattive inclinazioni ed avere il parere favorevole del padre spirituale.
Capitolo XXI
COME BISOGNA FARE LA COMUNIONE La preparazione alla santa
Comunione comincia la sera precedente, con molte aspirazioni e slanci d’amore.
Ritirati per tempo in camera tua, prima del solito; così il mattino seguente
sarai pronta per alzarti più presto. Se durante la notte dovessi svegliarti,
metti subito nel cuore e sulla bocca qualche pensiero odoroso, per profumare la
tua anima e prepararla a ricevere lo sposo che veglia mentre dormi e si prepara
ad arricchirti di infinite grazie e favori se sei pronta a riceverli. Al mattino alzati con
grande gioia per la felicità che speri e, dopo esserti confessata, va, con
grande fiducia, ma anche con grande umiltà, a ricevere quel cibo celeste che ti
nutre per l’immortalità. Dopo aver pronunciato le sante parole: Signore, non
sono degna, non muovere più né la testa né le labbra, non per pregare e ancor
meno per sospirare, ma apri dolcemente e mediamente la bocca e, alzando la testa
quel tanto che basta perché il sacerdote veda quello che fa, ricevi piena di
fede, di speranza e di carità Colui al quale, il quale, per il quale e nel quale
tu credi, speri, bruci d’amore. Filotea, immaginati che,
simile all’ape che dopo aver raccolto sui fiori la rugiada del cielo, e il succo
più squisito della terra lo trasforma in miele e lo trasporta nella sua arnia;
il sacerdote sull’altare prende tra le mani il Salvatore del mondo, vero Figlio
di Dio, simile a rugiada discesa dal cielo e vero Figlio della Vergine, simile a
fiore sbocciato dalla terra della nostra umanità, e lo offre in cibo di soavità
alla tua bocca e al tuo corpo. Appena Gesù è in te scuoti
il cuore perché venga a rendere omaggio al re della salvezza; esamina con lui la
tua situazione interiore, pensa che hai in te e che c’è venuto per la tua
felicità; accoglilo meglio che puoi e comportati in modo tale che si veda, da
tutte le tue azioni, che Dio è con te. Ma se non avessi la grazia
di comunicare realmente nella santa Messa, comunicati almeno con il cuore e lo
spirito, unendoti con un ardente desiderio alla carne del Salvatore. La tua prima intenzione
nella comunione deve essere di progredire, fortificarti e stabilizzarti
nell’amore di Dio; perché quello che ti è dato soltanto per amore, tu lo devi
ricevere con amore. Non è possibile immaginare il Salvatore impegnato in
un’azione più piena di amore e più tenera di questa, nella quale, si può dire
che distrugga se stesso riducendosi in cibo per entrare nelle nostre anime e
unirsi intimamente al cuore e al corpo dei fedeli. Se ti domandano perché tu
fai la comunione così spesso, rispondi che è per imparare ad amare Dio, per
purificarti dalle imperfezioni, per liberarti dalle miserie, per consolarti
nelle afflizioni, per trovare sostegno nelle debolezze. Rispondi che sono due le
categorie di persone che devono fare spesso la comunione: i perfetti, perché,
essendo ben disposti, farebbero molto male a non accostarsi alla sorgente della
perfezione; e gli imperfetti, per poter camminare verso la perfezione; i forti
per non rischiare di scoprirsi deboli, e i deboli per diventare forti; i malati
per guarire e i sani per non ammalarsi; tu poi, creatura imperfetta, debole e
ammalata, hai bisogno di comunicare spesso con la perfezione, la forza e il
medico. Rispondi che coloro i
quali non hanno molte occupazioni, devono fare la comunione perché ne hanno il
tempo; quelli invece che sono molto occupati, la devono fare perché ne hanno
bisogno, perché chi lavora molto ed è carico di preoccupazioni deve nutrirsi di
cibi sostanziosi e mangiare spesso. Comunicati spesso,
Filotea, più spesso che puoi, secondo il parere del tuo padre spirituale; e
credimi, le lepri, qui da noi, sulle nostre montagne, in inverno diventano
bianche perché non vedono e non mangiano che neve; anche tu, a forza di adorare
e di nutrirti di bellezza, di bontà e della stessa purezza di questo Divin
Sacramento, diventerai bella, santa e pura.
TERZA PARTE
Contiene molti consigli per l’esercizio delle
virtù
Capitolo I
LA SCELTA NECESSARIA NELL’ESERCIZIO DELLE
VIRTU’ Come la regina delle api
non esce mai senza essere circondata da tutto il suo piccolo popolo, così la
carità non entra mai in un cuore senza condurre al suo seguito tutte le altre
virtù. Come un buon capitano le mantiene tutte in esercizio e le impiega in vari
compiti, come soldati: chi per un servizio, chi per un altro; chi in un modo,
chi in un altro; chi prima e chi dopo; chi in questo luogo chi in quell’altro. Il giusto è come un albero
piantato lungo un corso d’acqua che porta i frutti nella sua stagione. Quando la
carità entra in un’anima, produce in essa frutti di virtù, ciascuno a suo tempo. La musica briosa, tanto
gradevole in sé, può essere fuori luogo in un lutto. Sono molti ad avere il
difetto che ora ti dico: siccome si sono impegnati in una determinata virtù, si
intestardiscono a volerla praticare in tutte le circostanze, e vogliono o
piangere senza interruzione o ridere senza fine; proprio come certi antichi
filosofi. Anzi, fanno di peggio: trovano da ridire e coprono di biasimo quelli
che non li seguono nell’esercizio delle "loro" virtù. L’Apostolo dice che
bisogna rallegrarsi con quelli che sono contenti e piangere con quelli che sono
afflitti; dice anche che la carità è paziente e benevola, aperta e prudente,
accondiscendente. Ci sono, a dire il vero,
delle virtù che hanno un impiego quasi universale, per cui, non soltanto non
devono essere praticate separatamente, ma anzi devono arricchire delle loro
qualità gli atti di tutte le altre virtù. Per esempio, le occasioni di praticare
la forza, la magnanimità, la munificenza, non sono molto frequenti; altre virtù
invece, come la dolcezza, la temperanza, l’onestà e l’umiltà devono dare colore
e splendore agli atti di tutte le altre virtù. Non è che non ci siano virtù
superiori in eccellenza; ma il fatto è che queste sono richieste con maggior
frequenza. Lo zucchero è più buono del sale, ma il sale ha un impiego più
frequente e più generale. Questa è la ragione per la quale occorre avere sempre
pronta una buona provvista di queste virtù generali. Si può dire che il loro
impiego sia necessario quasi ininterrottamente. Nell’esercizio delle virtù
dobbiamo dare la precedenza a quelle più utili al compimento del nostro dovere,
non a quelle che ci piacciono di più. A Santa Paola piacevano le asprezze delle
mortificazioni corporali per godere più facilmente delle dolcezze dello spirito,
ma il suo primo dovere era l’obbedienza ai superiori; questa è la ragione per la
quale S. Girolamo dice che era da riprendere perché si dava a digiuni
incontrollati contro il parere del suo Vescovo. Gli Apostoli, per contro,
istituiti per predicare il Vangelo e distribuire il pane celeste alle anime,
giudicarono cosa molto ben fatta, per poter esercitare tale mansione senza
distrazioni, tralasciare la pratica della virtù della cura dei poveri, che pure,
in sé, è ottima.
Ogni vocazione ha le sue
virtù particolari: le virtù proprie di un Vescovo non sono quelle di un
principe; le virtù adatte ad un soldato non sono quelle di una donna sposata;
quelle di una vedova, sono altre ancora. E’ vero che tutti devono possedere
tutte le virtù, ma questo non vuol dire che debbano praticarle allo stesso modo;
ognuno deve impegnarsi in modo tutto speciale in quello proprie dello stato cui
è stato chiamato. Tra le virtù che non
riguardano in modo specifico il nostro stato, dobbiamo dare la preferenza alle
migliori e non alle più appariscenti. Alla vista le comete sembrano più grandi
delle stelle e ai nostri occhi hanno una dimensione maggiore; e invece non sono
nemmeno paragonabili alle stelle, né per grandezza, né per luminosità; ci
sembrano più grandi solo perché sono più vicine a noi e composte di materiale
più grossolano di quello delle stelle. Lo stesso avviene per
certe virtù che, per il fatto che sono più vicine a noi, sono sensibili e direi
quasi palpabili, il popolino le stima molto e le preferisce. Per questo rimane più
colpito dall’elemosina materiale che da quella spirituale; antepone il cilicio,
il digiuno, la nudità, la disciplina e le mortificazioni del corpo alla
dolcezza, alla bontà, alla modestia e altre mortificazioni del cuore: se
vogliamo essere onesti, queste ultime sono di molto migliori. Tu, Filotea, devi
scegliere le virtù più consistenti, non quelle che godono di maggior stima; le
più efficaci, non le più appariscenti; le migliori, non le più onorate. E’ bene che ognuno scelga
l’esercizio particolarmente intenso di qualche virtù, non per questo
abbandonando le altre , ma per tenere sempre abitualmente il proprio spirito
ordinato e occupato. Una giovane donna,
bellissima, splendida più del sole, vestita come una regina, cinta di una corona
di olivo, apparve a S. Giovanni, Vescovo di Alessandria e gli disse: Sono la
figlia primogenita del Re, se mi accetti come amica ti condurrò alla sua
presenza. La riconobbe, era la Misericordia verso i poveri che Dio voleva da
lui. Vi si consacrò con tanta assiduità che fu chiamato S. Giovanni
Elemosiniere. Eulogio di Alessandria
desiderava compiere qualche cosa di speciale per il Signore: siccome non aveva
abbastanza salute per abbracciare la vita dell’eremita o per porsi sotto
l’obbedienza di un altro, accolse presso di sé un emarginato dalla società,
campione di ogni vizio e ladroneria, per esercitare nei suoi confronti la carità
e la mortificazione; per farlo ancora meglio fece voto di onorarlo, trattarlo e
servirlo come un domestico nei confronti del suo padrone e signore. Ad un certo
momento, sia l’uno che l’altro, ebbero la tentazione di separarsi; chiesero
consiglio al grande S. Antonio che disse: Figli miei, guardatevi bene dal
separarvi uno dall’altro; siete oramai prossimi alla vostra fine, e se l’Angelo
non vi trova insieme, correte grande pericolo di perdere le vostre corone. Il Re S. Luigi considerava
un premio visitare gli ospedali e serviva gli ammalati di persona. S.Francesco amava tanto la
povertà, che la chiamava la sua signora; S. Domenico invece, amava tanto la
predicazione, che ne ha dato il nome ai suoi Frati. S. Gregorio il Grande,
sull’esempio di Abramo, trattava i pellegrini con affetto, e il Re della gloria
gli fece lo stesso onore che aveva fatto al Patriarca Abramo presentandosi a lui
in veste di pellegrino. Tobia esercitava la virtù
della sepoltura dei morti. S. Elisabetta, che pure era una grande principessa,
amava l’abiezione di se stessa. S. Caterina da Genova, rimasta vedova, si
consacrò al servizio degli ospedali. Cassiano racconta che una ragazza devota,
volendo esercitare la virtù della pazienza, ricorse a S. Atanasio, che le pose a
fianco una vedova triste, collerica, dispettosa, insofferente che, aggredendola
senza interruzione, le diede modo di praticare alla perfezione la dolcezza e la
condiscendenza. Tra i Servitori di Dio c’è
chi si impegna nel servizio dei malati, chi ad aiutare i poveri, chi a
promuovere la conoscenza della dottrina cristiana tra i piccoli, chi a radunare
le anime perdute o smarrite, chi a preparare le chiese e ad ornare gli altari,
chi a procurare la pace e la concordia tra gli uomini. In ciò imitano i
ricamatori, i quali, su fondi diversi, dispongono in studiata varietà le sete,
l’oro, l’argento, per formare fiori di ogni specie; la stessa cosa fanno quelle
anime pie che iniziano uno speciale esercizio di devozione. Tale devozione serve
loro da fondo per il ricamo spirituale, sul quale poi impostano le variazioni di
tutte le altre virtù; in tal modo mantengono i loro atti e i loro affetti uniti
e ordinati proprio in forza del rapporto in cui mantengono le singole virtù con
la principale. Per tale motivo il loro spirito appare nel suo bel vestito di
broccato d’oro ricamato e trapunto di vari motivo all’ago. Quando siamo combattuti da
qualche vizio, abbracciamo la virtù contraria, sempre che siamo in condizione di
farlo, riconducendo le altre a quella. In tal modo sconfiggeremo il nemico e
continueremo a progredire in tutte le virtù. Se sono combattuto
dall’orgoglio e dalla collera, devo assolutamente chinarmi e piegarmi all’umiltà
e alla dolcezza; per riuscirvi, ricorrerò all’orazione, ai Sacramenti, alla
prudenza, alla costanza, alla sobrietà. Prendo il paragone del
cinghiale, il quale, per rendere aguzze le zanne di difesa le sfrega e le
appuntisce con l’aiuto degli altri denti, il che fa sì che tutti ne risultino
affilati e taglienti; allo stesso modo, l’uomo virtuoso, che ha iniziato l’opera
della perfezione, deve limare e affilare quella virtù della quale sente
maggiormente il bisogno per la propria difesa; e questo per mezzo dell’esercizio
delle altre virtù, che, a loro volta, mentre affilano quella, ne traggono
vantaggio, migliorano e risultano meno ruvide. Così capitò a Giobbe, che
esercitando in modo particolare la virtù della pazienza, a causa di tante
tentazioni cui era sottoposto, finì col diventare perfettamente santo e virtuoso
in tutte le virtù e sotto ogni aspetto. Secondo quanto dice S.
Gregorio di Nazianzo, può capitare che, per un solo atto perfetto di una virtù,
qualcuno raggiunga l’apice di tutte le virtù. Come esempio porta Raab che, per
aver praticato in modo perfetto l’ospitalità, giunse a somma gloria; ciò si deve
intendere solo per i casi in cui l’atto è stato veramente perfetto, e animato da
un grande fervore di carità.
Capitolo II
CONTINUAZIONE DEL MEDESIMO DISCORSO SULLA
SCELTA DELLA VIRTU’ Molto bene dice S.
Agostino quando afferma che coloro i quali iniziano il cammino della devozione
commettono certi errori che, stando al rigore dei canoni sulla perfezione, sono
biasimevoli; ma per un altro verso sono lodevoli perché sono segno della grande
pietà che seguirà; ne sono in certo modo l’avvio. Il timore servile, frutto
d’ignoranza, che genera scrupoli eccessivi nelle anime di coloro che escono
dall’abitudine al peccato, all’inizio può essere una virtù raccomandabile; fa
prevedere con sicurezza una retta coscienza in futuro. Se lo stesso timore
dovesse persistere in coloro che hanno già fatto un certo progresso, sarebbe un
segno negativo; perché nel cuore di costoro deve dominare l’amore che, per
gradi, elimina il timore servile. Agli inizi, S. Bernardo
era rigido e rude con coloro che si ponevano sotto la sua direzione: diceva
loro, per prima cosa, che era necessario abbandonare il corpo per continuare
verso di Lui solo con lo spirito. Quando ascoltava le loro confessioni,
aggrediva con tale severità ogni loro difetto, per piccolo che fosse, e faceva
pressioni con tanta forza su quei poveri principianti, che volendo spingerli con
troppa forza verso la perfezione, finiva per farli rinunciare e tornare
indietro. Sotto quelle pressioni ininterrotte si scoraggiavano e si sentivano
incapaci di affrontare una salita così ripida e così lunga. Se rifletti un po’,
Filotea, giungi alla conclusione che si trattava di uno zelo molto bruciante di
un’anima perfetta che consigliava a quel grande santo quel tipo di metodo.
Quello zelo era senz’altro una grande virtù in sé, ma una virtù che pur essendo
tale, nel caso specifico era da riprovare. Dio stesso gli apparve e lo corresse
e colmò la sua anima di uno spirito dolce, soave, amabile e tenero, che lo
resero totalmente un altro. Si accusò di essere troppo rigido e severo e si
trasformò in un uomo tanto cordiale e arrendevole con tutti, da potergli
applicare il detto: Tutto a tutti, per conquistare tutti. S.Girolamo racconta che la
sua cara figlia spirituale S. Paola, non solo era portata all’esagerazione, ma
era testarda nella pratica delle mortificazioni corporali, fino a non volersi
arrendere al parere contrario che il suo Vescovo, S. Epifanio, le aveva espresso
al riguardo. Oltre a ciò, si era lasciata andare talmente al pianto per la morte
dei suoi, che aveva rischiato di morire. S. Girolamo conclude: Mi direte che
anziché tessere le lodi di questa santa, sto scrivendone critiche e rimproveri.
Ma, davanti a Gesù, che ella ha servito e che io voglio servire, affermo che non
mento né pro né contro, come cristiano di una cristiana; voglio dire che io ne
sto scrivendo la storia e non un panegirico; i suoi vizi sono virtù per gli
altri. Intende dire cjìhe gli scarti e i difetti di S. Paola sarebbero state
virtù in un’anima meno perfetta; se consideriamo seriamente le cose troveremo
degli atti che vengono considerati difetti in coloro che sono perfetti, che
potrebbero essere considerate grandi perfezioni in coloro che sono imperfetti.
In uno che esce dalla malattia è buon segno avere le gambe gonfie, perché
dimostra che la natura ha già ripreso vigore e si sbarazza degli umori
superflui; ma lo stesso sintomo sarebbe cattivo indizio in una persona non
malata, perché starebbe ad indicare che la natura non ha sufficiente vigore per
eliminare e assorbire gli umori. Filotea, bisogna avere una
buona opinione di quelli che vediamo impegnati nella pratica delle virtù, anche
se frammiste a imperfezioni; anche i Santi le hanno praticate in tal modo. Per quello che ci riguarda
personalmente, dobbiamo impegnarci ad esercitarle molto seriamente, non soltanto
con fedeltà, ma anche con prudenza. A tal fine facciamo nostro il consiglio del
Saggio: Non fare affidamento sulla tua prudenza, ma su quella di coloro che Dio
ti ha dato per guidarti. Ci sono alcune cose che
molti considerano virtù, e invece non lo sono affatto! Bisogna che te ne parli
in po’. Sono le estasi, i rapimenti, l’insensibilità, l’impassibilità, l’unione
deificante, le elevazioni, le trasformazioni e simili perfezioni su cui si
dilungano alcuni libri, che promettono l’elevazione dell’anima fino alla
contemplazione puramente intellettuale, all’adesione essenziale dello spirito e
alla vita superiore. Vedi, Filotea, queste
perfezioni non sono virtù; sono piuttosto ricompense che Dio concede come premio
alle virtù o, meglio ancora, saggi della felicità della vita futura, che,
qualche volta, il Signore fa intravedere agli uomini per far loro desiderare il
tutto lassù in paradiso. Questa non è una ragione
per esigere tali grazie, anche perché non sono in nessun modo necessarie per
servire e amare Dio, che deve essere la nostra unica aspirazione. Non sono
grazie che possono essere conquistate con lavoro e impegno perché, più che di
azioni si tratta di passioni, che siamo in grado di ricevere, ma non di
procurare. Aggiungo che noi abbiamo
iniziato un cammino per diventare persone oneste, gente devota, uomini pii,
donne pie; ecco perché dobbiamo impegnarci seriamente. Se poi Dio ha deciso di
innalzarci fino a quelle perfezioni angeliche, sapremo essere anche dei buoni
angeli; in attesa, con molta semplicità, umiltà e devozione, esercitiamoci alle
piccole virtù, messe da Nostro Signore alla portata del nostro impegno e del
nostro lavoro: e sono, ad esempio, la pazienza, la bontà, la mortificazione del
cuore, l’umiltà, l’obbedienza, la povertà, la castità, la dolcezza nei confronti
del prossimo, la sopportazione delle sue imperfezioni, la diligenza e il fervore
delle cose sante. Lasciamo volentieri le
altezze alle anime grandi: non siamo capaci di un ruolo così elevato nel
servizio di Dio. Saremo già contenti di poterlo servire in cucina o come fornai,
di essere suoi servi, suoi facchini, magari suoi camerieri; è Lui soltanto che
può decidere di chiamarci a far parte degli intimi e del consiglio privato. E’ così, Filotea. Perché
questo Re di gloria non dà ai suoi servi le ricompense secondo il livello dei
compiti assegnati, ma secondo l’amore e l’umiltà che hanno messo
nell’esercitarli. Saul cercava le asine di
suo padre e trovò il regno di Israele; Rebecca abbeverò i cammelli di Abramo e
divenne sposa del figlio; Ruth, dopo aver spigolato dietro ai mietitori di Booz,
si coricò ai suoi piedi, ma egli la volle al suo fianco e divenne sua sposa. La pretesa di cose
straordinarie così alte ed elevate è facilmente occasione di illusioni, inganni,
e falsità. Capita qualche volta che coloro i quali pensano di essere angeli non
siano nemmeno uomini come si deve; in loro, alla prova dei fatti, trovi soltanto
sfoggio di parole e termini magniloquenti, ma vuoto di sentimenti e assenze di
opere. Tuttavia non è bene disprezzare e censurare in modo temerario; Benediciamo Dio per la superiorità degli altri, ma rimaniamo nel nostro cammino, che corre più a valle ma è più sicuro, meno appariscente, ma più alla portata della nostra insufficienza e della nostra pochezza; e se noi ci manteniamo in quello con umiltà e fedeltà, Dio ci innalzerà a grandezze maggiori.
Capitolo III
LA PAZIENZA Voi avete bisogno di
pazienza, affinché, facendo la volontà di Dio, meritiate di conseguire la sua
promessa, dice l’Apostolo. Il Salvatore aveva detto: con la pazienza
conquisterete la padronanza delle vostre anime. Dominare la propria anima
è la massima aspirazione dell’uomo, e il dominio dell’anima è commisurato al
livello della pazienza! Ricordati spesso che
Nostro Signore ci ha salvato soffrendo con costanza; è nello stesso modo che noi
potremo operare la nostra salvezza, sopportando la sofferenza, le afflizioni, le
ingiurie, le contraddizioni, i dispiaceri con la maggior dolcezza che ci sarà
possibile. Non limitare la tua
pazienza a un genere determinato di ingiurie o di afflizioni, ma estendile a
tutte quelle che il Signore ti manderà o permetterà che tu incontri. Alcuni
vogliono sopportare soltanto le tribolazioni che procurano onore, come per
esempio: essere feriti in guerra, essere prigionieri di guerra, essere
maltrattati a causa della religione, diventare poveri per una lite da cui sono
usciti vincitori. Io dico che costoro non amano la tribolazione, ma soltanto
l’onore che ne deriva. Il vero paziente, ossia chi vuole servire Dio, sopporta
con animo uguale le tribolazioni unite al disonore e quelle che danno onore. Se
ci disprezzano, ci attaccano e ci accusano i cattivi, per un uomo di coraggio è
una vera gioia; ma se quelli che ci attaccano, ci accusano e ci maltrattano,
sono gente per bene, amici, i genitori, altri parenti, allora sì che va bene! Ho una stima maggiore per
la dolcezza con la quale S. Carlo Borromeo sopportò a lungo gli attacchi che gli
sferrava pubblicamente dal pulpito un predicatore di fama, appartenente ad un
Ordine rigorosissimo nell’ortodossia, che non per tutti gli altri attacchi
sopportati. Le punture delle api fanno
più male di quelle delle mosche; allo stesso modo il male che riceviamo dalla
gente per bene e le opposizioni che ci fanno, risultano molto più difficili da
sopportare che qualunque altra. Capita abbastanza spesso che due brave persone,
entrambi con la migliore intenzione di questo mondo, per divergenza di opinione,
si facciano guerra senza quartiere, accanendosi l’uno contro l’altro. Non essere paziente
soltanto nel momento culminante della tribolazione, ma anche in tutti gli
inconvenienti e i guai che si trascina dietro. Molti accetterebbero anche di
avere qualche guaio a condizione di non soffrirne conseguenze. Non sono
dispiaciuto di essere caduto in povertà, dirà uno, però questo nuovo stato di
cose mi impedisce di essere utile agli amici, di educare i miei figli e di
vivere in modo decoroso, come avrei voluto. Dirà un altro: Io non mi
preoccuperei se la gente non dicesse che è colpa mia. C’è anche quello che non
tiene in alcun conto le maldicenze contro di lui e le sopporterebbe volentieri
se i presenti non prestassero fede al maldicente. Altri ancora accettano di
provare qualche conseguenza del male, ma, a loro parere, tutte sono troppe! Non
si impazientiscono, dicono, di essere malati, ma solo perché non hanno il denaro
per farsi curare; trovano anche la scusa che in tale stato sono di peso agli
altri. Io dico, Filotea, che occorre sopportare con pazienza, non solo lo stato
di malattia, ma anche la malattia che Dio vuole, nel luogo dove vuole,
circondati dalle persone che vuole, e con gli inconvenienti che vuole; e così
per tutte le altre tribolazioni. Quando sarai colpita dal
male, contrapponi tutti i rimedi che Dio ha messo a tua disposizione; agire
diversamente sarebbe tentare la divina Maestà: ma, una volta fatto ciò, aspetta
con una fiducia totale, l’effetto che Dio vorrà loro concedere. Se Dio crede
bene che i rimedi vincano il male, tu lo ringrazierai con umiltà; ma se invece
crede bene di permettere che il male vinca i rimedi, benedicili con pazienza. Io sono del parere di San
Gregorio: quando ti accusano giustamente di qualche colpa realmente commessa,
umiliati molto, confessa che meriti l’accusa che ti è stata mossa. Se poi sei
accusata ingiustamente, discolpati con calma, prova che non sei colpevole: hai
l’obbligo di rispettare la verità anche per il buon esempio al prossimo. Ma se
dopo la tua sincera e onesta spiegazione dei fatti a tua discolpa, gli altri
insistono nel caricare su di te le responsabilità dei fatti, non angustiarti in
alcun modo e non cercare altre strade per far accettare la versione autentica
dei fatti. Sai perché? Dopo che hai reso il suo alla verità, rendilo ora
all’umiltà. Lamentati meno che puoi
per i torti che ricevi; è un fatto certo che chi abitualmente si lamenta finisce
per peccare. E’ colpa dell’amor proprio che ingigantisce per professione i torti
subiti: ma quello che più ti raccomando e di non andare a lamentarti con persone
facili all’indignazione e a pensare male. Se proprio non puoi fare a meno di
lamentarti con qualcuno, sia per riparare l’offesa, sia per calmare te stessa,
rivolgiti a persone calme e piene di amore di Dio. Se non farai così, il tuo
cuore, invece di ricavarne serenità, sarà spinto ad essere ancora più inquieto:
invece di toglierti la spina che ti punge appena, te la conficcherebbero più
profondamente nel piede. Ci sono poi alcuni che quando sono ammalati, afflitti o
offesi da qualcuno, stanno bene attenti a non lamentarsi e a dimostrare troppa
permalosità; a loro parere, ed è vero, ciò darebbe prova di grande debolezza e
di mancanza di generosità; ma poi, nel fondo di loro stessi, desiderano
intensamente che qualcuno li compatisca e si danno da fare con mille arti a tale
scopo. Vogliono che tutti sappiano che loro sono afflitti, ma anche pazienti e
coraggiosi! Ti pare che quella sia pazienza? Chiamala come vuoi, ma quella è
soltanto una finta pazienza. In fondo è soltanto un’abile e studiata ambizione,
è vanità: ne ricavano gloria, ma non davanti a Dio! Il vero paziente non si
lamenta del male e non desidera essere compatito; ne parla con naturalezza,
sincerità e semplicità, senza lamenti, senza rimpianti, senza esagerazioni; se
lo compatiscono, sopporta con pazienza i compatimenti, a meno che addirittura
siano per mali che non ha; in tal caso, con molta umiltà, farà notare che quel
male non l’ha e poi si manterrà con animo sereno nella pace tra la verità e la
pazienza, ammettendo sì il male, ma senza lamentele. Nelle contrarietà che ti
piomberanno addosso nell’esercizio della devozione, e vedrai che non
mancheranno, ricordati della parola di nostro Signore: La donna quando
partorisce provi dolori molto forti, ma tutto dimentica alla vista del bambino,
perché ha dato un uomo alla vita. Nella tua anima hai concepito il figlio più
meraviglioso di questo mondo, Gesù Cristo. Prima che sia dato completamente alla
luce e generato, può darsi che ti procuri ansia e sofferenza; ma fatti animo
perché, passati quei dolori, ti rimarrà la gioia senza fine di aver dato tale
uomo al mondo. Per quello che ti riguarda sarà generato totalmente solo quando
l’avrai formato completamente nel tuo cuore e nelle tue azioni con l’imitazione
della sua vita. Quando sarai malata, offri
i tuoi dolori, gli inconvenienti e le debolezze per il servizio del Signore, e
chiedigli, con insistenza, di unirli a quanto Egli ha sopportato per te.
Obbedisci al medico, prendi le medicine, i cibi e gli altri rimedi per amore di
Dio; ricordati del fiele che egli ha preso per amore nostro. Desidera pure di guarire
per servirlo, ma non rifiutare di essere ammalata per obbedirgli; e preparati
anche alla morte, se quella a lui piacesse, per lodarlo e gioire con Lui. Le api
nel periodo in cui fanno il miele, vivono e si nutrono con una sostanza molto
amara; lo stesso avviene per noi: non potremo mai compiere atti di grande
dolcezza e pazienza, fare il miele delle buone virtù, finché non saremo capaci
di mangiare il pane dell’amarezza e vivere tra le sofferenze. Il miele ricavato
dai fiori di timo, piccola erba amara è, senza confronti, il migliore; lo stesso
è della virtù esercitata nell’amarezza delle tribolazioni più vili, basse e
abbiette. Guarda spesso con gli
occhi interiori Gesù cristo crocifisso, spogliato, bestemmiato, calunniato,
abbandonato, oppresso da ogni sorta di mali, tristezze e ansie, e pensa che
tutte le tue sofferenze non sono in alcun modo paragonabili alle sue, né per
intensità, né per numero; e pensa che mai riuscirai a soffrire per Lui quello
che Egli ha sofferto per te. Considera i tormenti
atroci sopportati dai Martiri e le sofferenze che tante persone sopportano e che
sono, senza confronto, più penose delle tue, e poi dì a te stessa: Le
contrarietà che mi affliggono sono consolazioni e le mie spine sono rose a
confronto di coloro che vivono in una morte continua, oppressi da croci
infinitamente più gravose e questo senza aiuti, senza consolazioni, senza alcun
sollievo.
Capitolo IV
L’UMILTA’ ESTERIORE Disse il profeta Eliseo ad
una povera vedova: Prendi tutti i vasi vuoti che hai e riempili d’olio. Per
ricevere la grazia di Dio nei nostri cuori, dobbiamo vuotarli di noi stessi. Il
gheppio, stridendo e fissando gli uccelli da preda, li mette in fuga per una
forza misteriosa; per questo è il preferito delle colombe, che vicine a lui si
sentono sicure. Allo stesso modo l’umiltà respinge Satana e conserva in noi le
grazie e i doni dello Spirito Santo. E’ per questo che i Santi, e in modo
particolare il Re dei Santi e sua Madre, onorano e amano l’umiltà più di tutte
le altre virtù morali. Sono diverse le ragioni
per le quali dobbiamo considerare vana la gloria che ci viene attribuita: o
perché non è in noi, o anche perché, pur essendo in noi, non è nostra; o anche
perché, pur essendo in noi ed essendo nostra, non è meritata. La nobiltà della
stirpe, il favore dei potenti, la popolarità, sono glorie che non hanno radice
in noi, ma o nei nostri predecessori o nella stima degli altri. C’è gente che va
superba e altera perché cavalca un bel destriero, perché ha un bel pennacchio
sul cappello, perché indossa vestiti meravigliosi. Non ti pare che quella gente
sia un po’ matta? Se proprio vogliamo parlare di gloria, spetta al cavallo, allo
struzzo, al sarto. Ci vuole proprio un bel coraggio per prendere in prestito un
po’ di stima da un cavallo, da una piuma, da una piega dell’abito! Altri si sentono
importanti e si danno delle arie per un bel paio di baffi all’insù, per una
barba ben curata, per i capelli ricciuti, per le mani delicate; perché sanno
danzare, giocare, cantare; e non ti pare che anche questi abbiano una rotellina
fuori posto? Vorrebbero aumentare il proprio pregio e la propria reputazione con
cose frivole e insulse! Ci sono poi quelli che,
per quel poco che sanno, esigono onore e rispetto dal mondo intero; tutti
dovrebbero, secondo loro, precipitarsi a imparare qualcosina alla loro scuola.
Loro si sentono maestri, la gente li considera soltanto dei pedanti. Ci sono
anche quelli che sono convinti di essere molto belli e credono che tutti li
corteggino. Tutto ciò è tremendamente
vuoto, sciocco e senza senso; la gloria che proviene da "valori" così
insignificanti deve essere ritenuta vana, sciocca e frivola. Il bene vero si conosce
come il vero balsamo: la prova della genuinità del balsamo si fa distillandolo
nell’acqua; se va a fondo e rimane sommerso è valutato finissimo e prezioso.
Allo stesso modo per sapere
se un uomo è veramente
saggio, sapiente, generoso, nobile, bisogna vedere se le sue doti tendono
all’umiltà, alla modestia, al nascondimento; in tal caso si tratta di doti
genuine; ma se galleggiano e si mettono in mostra sono false e tanto maggiori
saranno gli sforzi che faranno per farsi notare, tanto più sarà evidente che non
sono doti autentiche. Le perle nate e cresciute
all’aperto, al vento e al rumore dei tuoni, hanno soltanto l’involucro di perle,
dentro sono vuote. Allo stesso modo le virtù e le belle qualità degli uomini,
nate e cresciute nell’orgoglio, nell’esaltazione di sé e nella vanità, hanno
soltanto l’apparenza del bene, senza linfa, senza midollo e senza solidità. Gli
onori, la stirpe, le dignità sono come lo zafferano: più lo calpesti e più si
rinforza e rende bene. Essere belli, quando ci si tiene, perde il suo pregio: la
bellezza per piacere deve essere disinvolta; la scienza ci rende ridicoli quando
ci gonfia e degenera in pedanteria. Se siamo puntigliosi per
la stirpe, per il rango, per i titoli, offriamo le nostre qualità all’esame
sindacatore degli altri, alla loro inchiesta su di noi, all’indagine e così ci
ritroveremo le nostre credute qualità svuotate e scostanti; sì, perché l’onore
che è bello quand’è ricevuto in dono, diventa dozzinale e di nessun pregio
quando è preteso, cercato e mendicato. Quando il pavone fa la
ruota per farsi notare, drizzando le sue belle piume, scopre tutto il resto e fa
vedere da tutte le parti ciò che ha di meno bello; i fiori sono belli quando
sono piantati in terra; una volta staccati appassiscono. Il profumo della
mandragora può esserci di aiuto per capire: coloro che la odorano da lontano e
di passaggio, ne rimangono conquistati; ma coloro che la odorano da vicino e con
insistenza ne rimangono intontiti o addirittura ammalati; lo stesso avviene per
gli onori che danno una dolce consolazione a chi li gode da lontano e solo
leggermente senza spenderci troppo e diventare ansioso; ma chi ci si attacca e
se ne ciba, merita di essere biasimato e ripreso. La ricerca e l’amore della
virtù ci rende già un po’ virtuosi; la ricerca e l’amore degli onori invece, ci
rende soltanto meritevoli di disprezzo e di rimprovero. Le persone serie non
perdono tempo nell’inutile groviglio di gerarchie, di onori, di saluti; hanno
altro da fare! Questo è un terreno per il perditempo. Chi può avere perle non va
alla ricerca di conchiglie: coloro che tendono alla virtù, non si agitano alla
caccia di onori. Ognuno ha diritto di
rimanere nel proprio rango senza mancare di umiltà, a condizione che ciò avvenga
con naturalezza e senza contese. Mi sembra che si possa
fare un paragone con quelli che tornano dal Perù i quali, oltre all’oro e
all’argento, portano con sé anche scimmie e pappagalli; costano poco e non
pesano molto per il carico della nave; così è di coloro che tendono alla virtù
senza per questo lasciare il loro rango e gli onori inerenti; a condizione che
ciò non sottragga loro troppo tempo e troppa attenzione e che sia senza gravarsi
di dubbi, d’inquietudine, di dispute e di contese. Tuttavia non parlo di coloro
la cui dignità è in rapporto con una carica pubblica e nemmeno di alcune
situazioni particolari nelle quali le conseguenze potrebbero incidere
negativamente; in tali casi ognuno deve rimanere al posto che gli compete con
prudenza e discrezione, accompagnate sempre da carità e cortesia.
Capitolo V
L’UMILTA’ INTERIORE Tu, Filotea, mi chiedi di
condurti avanti nell’umiltà: quello che ho detto finora riguarda più il campo
della saggezza che quello dell’umiltà; quindi andiamo avanti. Molti non vogliono pensare
alle grazie che Dio ha loro dato personalmente, non ne hanno il coraggio perché
temono di cadere nella vanagloria e nel vuoto compiacimento. E qui si sbagliano:
S. Tommaso d’Aquino dice che il mezzo per giungere all’amore di Dio è il
pensiero dei suoi benefici; meglio li conosciamo e più amiamo Dio. Direi proprio che niente
può umiliarci di fronte alla misericordia di Dio quanto i suoi benefici, e
niente può umiliarci di fronte alla sua giustizia quanto le nostre offese.
Pensiamo a quello che Egli ha fatto per noi e a quello che noi abbiamo fatto
contro di Lui; e, come dobbiamo pensare ai nostri peccati più piccoli, dobbiamo
pensare alle sue grazie più piccole. Non dobbiamo temere che il conoscere i doni
che ha posto in noi ci gonfi; è sufficiente che abbiamo sempre presente questa
verità: ciò che di buono c’è in noi non viene da noi. Rifletti: i muli, animali
pesanti e maleodoranti, non cessano di essere tali solo perché sono carichi di
mobili preziosi e profumati appartenenti al principe. Che cosa abbiamo di buono
che non ci sia stato dato? E se ci è stato dato,
perché insuperbircene? E’ proprio il contrario: la seria riflessione sui doni
ricevuti ci rende umili; la conoscenza genera la riconoscenza. Ma se poi, vedendo i doni
di Dio in noi, venisse a solleticarci in qualche modo la vanità, c’è sempre
pronto un rimedio infallibile: pensiamo alla nostra ingratitudine, alla nostra
imperfezione, alla nostra miseria: se pensiamo ai guai che abbiamo combinato
quando Dio non era con noi, scopriremo subito che quanto di buono riusciamo ad
imbastire con Lui, non è nel nostro stile e del nostro sacco. Ne proveremo gioia
sincera perché il bene c’è, ma ne daremo il merito a Dio perché Lui solo ne è
l’autore. La Santa Vergine dice che
Dio opera in lei meraviglie, e lo fa soltanto per umiliarsi e dare gloria a Dio;
la mia anima magnifica il Signore, dice, perché ha fatto in me cose grandi. Spesso diciamo che non
siamo nulla, anzi che siamo la miseria in persona, la spazzatura del mondo; ma
resteremmo molto male se ci prendessero alla lettera e se ci considerassero in
pubblico secondo quanto diciamo. E’ proprio il contrario: fingiamo di fuggire e
di nasconderci solo perché ci inseguano e ci cerchino; dimostriamo di voler
essere gli ultimi, seduti proprio all’ultimo angolino della tavola, ma soltanto
per passare con grande onore a capotavola. L’umiltà vera non finge di
essere umile, a fatica dice parole di umiltà; perché è suo intendimento non solo
nascondere le altre virtù, ma soprattutto vorrebbe riuscire a nascondere se
stessa; se le fosse lecito mentire, o addirittura scandalizzare il prossimo,
prenderebbe atteggiamenti arroganti e superbi, per potercisi nascondere e vivere
completamente ignorata e nascosta. Eccoti il mio parere,
Filotea: o evitiamo di dire parole di umiltà, oppure diciamole con profonda
convinzione, profondamente rispondente alle parole. Non abbassiamo gli occhi
senza umiliare il cuore; non giochiamo a fare gli ultimi se non intendiamo
esserlo per davvero. Questa è la mia regola generale e non faccio alcuna
eccezione; aggiungo soltanto questo: la buona educazione esige qualche volta che
cediamo la precedenza a persone che certamente non l’accetteranno; questa non è
doppiezza o falsa umiltà: in tal caso l’offerta della precedenza è un segno
d’onore, e poiché non ci è concesso di tributarlo a chi di dovere secondo il
merito, non è cosa fatta male darne almeno un piccolo segno. Questo vale anche
per alcune espressioni di onore e di rispetto che, strettamente prese, non
sembrano rispecchiare la verità: ma lo sono abbastanza se colui che le pronuncia
ha seriamente l’intenzione di onorare e dimostrare rispetto a colui cui sono
indirizzate. Anche se le parole hanno un significato che va oltre la nostra
intenzione, non facciamo nulla di male a servircene quando l’uso è corrente.
Personalmente preferirei che le parole fossero rispondenti, il più fedelmente
possibile, ai nostri pensieri, e questo per poter seguire sempre e dappertutto
la linea della semplicità e della spontaneità affettuosa. L’uomo sinceramente umile
sarebbe più contento se fosse un altro, anziché lui stesso, a dire di lui che è
un miserabile, un nulla, un buono a nulla; o, perlomeno, se sa che si dice, non
si oppone, ma approva di cuore. Perché, se è vero che ne è convinto, è naturale
che ne sia contento di vedere condivisa la sua opinione. Molti affermano che
vogliono lasciare l’orazione mentale ai perfetti perché essi non ne sono degni;
altri protestano che non hanno il coraggio di fare spesso la comunione, perché
non si sentono sufficientemente purificati; altri ancora dicono di temere di
essere causa di disonore per la devozione se ci si impegnano, a causa della loro
enorme miseria e fragilità; altri rifuggono dal mettere i loro talenti al
servizio di Dio e del prossimo perché, dicono, conoscono la loro debolezza e
potrebbero inorgoglirsi vedendosi strumenti di qualche cosa di buono; temono di
consumarsi facendo luce agli altri. Tutte queste preoccupazioni sono soltanto
inganni, una sorta di umiltà non soltanto falsa, ma perversa, per mezzo della
quale, con molta sottigliezza e senza dirlo, si critica l’operato di Dio, o
almeno si tenta di coprire di umiltà l’orgoglio della propria opinione, della
propria indole, della propria pigrizia. Domanda a Dio un segno
dall’alto, dal cielo o dal basso, dal profondo del mare, dice il Profeta
all’infelice Acaz, che risponde: No, non lo domanderò e non tenterò il Signore!
E’ veramente perverso. Ostenta un grande sentimento di rispetto verso Dio e,
colorando d’umiltà la sua presunzione, rifiuta la grazia di cui Dio vuole dargli
un segno. Non pensa che rifiutare i doni che Dio vuole darci è orgoglio!
Dobbiamo ricevere i doni che Dio ci manda; l’umiltà è obbedire e seguire da
vicino i suoi disegni. Dio vuole che noi siamo perfetti e unendoci a Lui esige
che lo seguiamo da vicino il più possibile. Il superbo, che confida solo in se
stesso, ha infinite ragioni per non porre mano ad alcuna iniziativa; ma l’umile
trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa
intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio, che si compiace di
manifestare la sua potenza nella nostra debolezza e far trionfare la sua
misericordia basandola sulla nostra miseria. Molto umilmente e
santamente dobbiamo tentare tutto quello che è giudicato opportuno per il nostro
progresso spirituale da coloro che hanno la responsabilità della nostra anima. Pensare di sapere ciò che
non si sa, è stupidità manifesta; voler fare il sapiente in un campo in cui
sappiamo benissimo di essere ignoranti, è una vanità insopportabile; per conto
mio non vorrei fare il sapiente nemmeno in quello che so, ma nemmeno atteggiarmi
a ignorante. Quando lo richiede la
carità, bisogna dare al prossimo, con franchezza e dolcezza allo stesso tempo,
non soltanto quanto gli è utile all’istruzione, ma anche ciò che gli fa piacere.
L’umiltà nasconde e copre le virtù per conservarle, le lascia vedere quando lo
esige la carità, per accrescerle, svilupparle e perfezionarle.
L’umiltà richiama alla
mente quell’albero delle isole di Tilo che di notte chiude e protegge i suoi bei
fiori di colore incarnato e li dischiude soltanto quando si alza il sole, sicché
la gente del paese dice che questo fiore di notte dorme. Così fa l’umiltà che
copre e nasconde tutte le virtù e le perfezioni umane e le lascia apparire solo
per il servizio della carità, perché è una virtù del cielo, non della terra,
divina, non umana: è il vero sole delle virtù sulle quali deve sempre brillare.
Si può concludere che le forme di umiltà che portano pregiudizio alla carità,
sono certamente false. Non vorrei atteggiarmi a
matto, ma nemmeno a saggio: perché se l’umiltà mi impedisce di fare il saggio,
la semplicità e la franchezza mi impediscono di fare il matto; se è vero che la
vanità è contraria all’umiltà, è anche vero che l’artificio, l’affettazione e la
finzione sono contrarie alla franchezza ed alla semplicità. E anche se qualche celebre
servitore di Dio ha fatto il matto per essere schernito dal mondo, ammiriamolo
pure, ma non imitiamolo. Per lasciarsi andare a quegli eccessi quei Servi di Dio
hanno avuto motivi personali fuori dall’ordinario che non ci autorizzano a
trarre conclusioni per noi. Davide, saltando e
danzando più di quanto sembrasse opportuno, davanti all’Arca dell’alleanza, non
voleva fare il matto; ma, molto semplicemente e senza artifici, con quelle danze
voleva dimostrare la gioia straordinaria di cui traboccava il suo cuore. Quando sua moglie Micol
glielo rimproverò cime una follia, non fece caso all’umiliazione, ma continuò a
manifestare con naturale schiettezza la sua gioia e diede prova di saper
accettare un po’ di disprezzo per il suo Dio. Per questo io ti dico che,
se a seguito di atti di una vera e schietta devozione, sarai stimata persona di
poco conto, degna di disprezzo o pazza, l’umiltà ti farà gioire per quel
fortunato attacco che non ha le sue ragioni in te, ma in coloro che ti
attaccano.
Capitolo VI
L’UMILTA’ CI FA AMARE L’ABIEZIONE Procedo oltre, Filotea, e
ti dico di amare l’abiezione sempre e in tutto. Ma, mi chiederai, che cosa vuol
dire amare la propria abiezione? In latino abiezione vuol dire umiltà e umiltà
vuol dire abiezione; di modo che, quando la Madonna nel suo Cantico dice che,
poiché il Signore ha visto l’umiltà della sua serva, tutte le generazioni la
chiameranno beata, vuol dire che il Signore, con bontà, ha guardato la sua
abiezione, la sua meschinità, la sua bassezza, per colmarla di grazia e di
favori. C’è tuttavia differenza tra la virtù dell’umiltà e l’abiezione;
l’abiezione è la pochezza, la bassezza e la meschinità che alberga in noi, senza
che ci pensiamo; la virtù dell’umiltà invece, è la conoscenza veritiera e
l’ammissione della nostra abiezione. L’apice dell’umiltà così
intesa consiste non soltanto nel riconoscere la nostra abiezione, ma nell’amarla
ed esserne contenti; non per mancanza di coraggio o di generosità, ma per
esaltare maggiormente la Maestà divina e dare al prossimo una stima maggiore che
a noi stessi. Ti incoraggio a questo e, per essere più esplicito, ti dirò che,
tra i mali che ci affliggono, alcuni sono spregevoli, altri onorati; a quelli
onorati molti si adattano, ma nessuno vuol saperne di quelli spregevoli. Prendi,
per esempio, un devoto eremita, coperto di cenci e tremante dal freddo: tutti
onoreranno il suo abito a brandelli e proveranno compassione per la sua
sofferenza; ma se un povero artigiano, un povero galantuomo o una povera ragazza
si trovano nelle stesse condizioni, verranno coperti di disprezzo, derisi e la
loro povertà sarà spregevole. Se un Religioso accetta
con devozione un duro richiamo dal superiore, o un figlio dal padre, tutti
chiameranno quel comportamento mortificazione, obbedienza, saggezza; se un
cavaliere o una dama dovessero subire, per amore di Dio, la stessa cosa da parte
di qualcuno, di qualunque cosa si tratti, tutti la chiameranno codardia o
vigliaccheria: ecco un altro male spregevole. Poni il caso che uno abbia
un tumore al braccio e un altro al volto: il primo soffre soltanto il male, ma
il secondo, con il male, si trova il disprezzo, l’isolamento e l’abiezione. Io ti dico che non
soltanto devi amare il male, il che è opera della virtù della pazienza; tu devi
amare anche l’abiezione, e questo è opera dell’umiltà.
Ci sono poi delle virtù
disprezzate e delle virtù onorate: la pazienza, la dolcezza, la semplicità e la
stessa umiltà, per i mondani , sono virtù vili e da disprezzare; per contro
stimano molto la prudenza, il valore, la liberalità. Ci sono addirittura atti
della stessa virtù che a volte sono disprezzati e a volte onorati; prendi, ad
esempio, l’elemosina o il perdono delle offese; sono entrambi atti di carità: la
prima è onorata da tutti, il secondo è disprezzato dal mondo. Un giovanotto o
una ragazza che non si lasciano trascinare ai disordini di una brigata dissoluta
nel parlare, nel giocare, nel ballare, nel bere, nel vestire come loro, saranno
scherniti e criticati e il loro riserbo sarà chiamato bigottismo o
esibizionismo. Amare queste conseguenze vuol dire amare la propria abiezione. Passiamo a un altro campo:
la visita agli ammalati. Se ti mandano dal più reietto secondo il mondo, per te
sarà un’abiezione; per questo l’amerai. Se ti mandano da gente bene sarà
un’abiezione secondo lo spirito, perché il merito e le virtù saranno minori;
amerai anche quella abiezione. Se si cade nel bel mezzo della strada, oltre al
male, ci trovi la vergogna; anche questa va amata. Ci sono alcune colpe che non
comportano altro male all’infuori dell’abiezione; l’umiltà non esige che le
commettiamo apposta, ma, che una volta commesse, non ce ne preoccupiamo. Si
tratta di certe sciocchezze, mancanze di educazione, o sbadataggini, che vanno
evitate finché si è in tempo, per comportarsi educatamente e con prudenza; ma
una volta che ci siamo caduti, bisogna accettare l’abiezione che ne consegue ed
accettarla di cuore per amore dell’umiltà. Ma vado oltre: se per
collera o mancanza di controllo, mi sono lasciata andare a parole indecorose o
offensive di Dio e del prossimo, me ne pentirò sinceramente e sarò profondamente
dispiaciuta per l’offesa che cercherò di riparare meglio che potrò; ma non
lascerò passare l’occasione per accettare volentieri l’abiezione e il disprezzo
che ricadranno su di me. Se fosse possibile separare le due cose, respingerei
con forza il peccato e terrei umilmente l’abiezione. Ma pur amando l’abiezione
che deriva dal male, non bisogna arrendersi alle fatalità del male che ne è la
causa; bisogna correre ai ripari. Occorre farlo in modo efficace e con cura,
soprattutto poi, quando il male è soltanto una conseguenza. Se sono afflitta da un
male spregevole al volto, farò di tutto per guarire, senza far nulla perché sia
dimenticata l’abiezione che me ne è venuta. Se ho commesso qualche cosa che non
offende alcuno, non cercherò scuse, perché, pur trattandosi di un difetto, non è
permanente; se mi scusassi sarebbe solo per evitare l’abiezione che me ne viene.
Questo l’umiltà non lo permette. Ma, se per disattenzione o leggerezza, ho
offeso o scandalizzato qualcuno, riparerò l’offesa con qualche scusa che
risponda a verità; perché in tal caso, il male ha radici e la carità esige che
lo sradichi. Qualche volta capita anche
che la verità esiga che poniamo rimedio all’abiezione per il bene del prossimo,
al quale è necessaria la nostra buona reputazione; in tal caso pur togliendo
l’abiezione dagli occhi del prossimo, per impedirne lo scandalo, dobbiamo
rinchiuderla e nasconderla nel nostro cuore perché ne sia edificato. Tu, Filotea, vuoi sapere
quali sono le abiezioni migliori: ti dico subito, e senza esitazione, che quelle
più utili all’anima e più gradite a Dio, sono quelle che incontriamo per caso o
che sono legate alla nostra condizione; la ragione è che non le abbiamo scelte
noi, ma le abbiamo ricevute come Dio ce le ha mandate. E Lui sa scegliere sempre
meglio di noi. Se fosse necessario scegliere, ricordati che le più grandi sono
le migliori; e sai quali sono le più grandi? Quelle maggiormente contrarie alle
nostre inclinazioni, sempre, beninteso, in linea con la nostra vocazione. Te lo
dico una volta per sempre: la nostra scelta e la nostra preferenza rovina, o
almeno diminuisce, tutte le nostre virtù. Chi ci farà la grazia di poter dire
con il grande Re Davide: "Ho scelto di essere abietto nella casa del Signore.
Piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori"? Il solo che lo può, cara
Filotea, è Colui che per innalzare noi, è vissuto e morto come obbrobrio degli
uomini e abiezione del popolo. Ti ho detto molte cose che
potranno sembrarti dure quando ci rifletterai sopra; ma, credimi, risulteranno
più dolci dello zucchero e del miele, quando le metterai in atto.
Capitolo VII
COME VA CONSERVATO IL BUON NOME PRATICANDO L’UMILTA’ Per una virtù ordinaria
non ci si scomoda a lodare, ad onorare, a dare gloria a chi la possiede; questo
si fa soltanto quando la virtù è eccellente. Con la lode, infatti non
vogliamo portare gli altri ad avere stima per le ottime qualità di qualcuno; con
l’onore facciamo sapere a tutti che quella stima noi l’abbiamo; la gloria, poi,
a mio parere, è il lustro della reputazione che scaturisce dalla somma di molte
lodi e onori: possiamo dire che le lodi e gli onori sono come pietre preziose,
dalla composizione delle quali, come un gioiello, nasce la gloria. L’umiltà non accetta che
noi pensiamo di essere migliori e che abbiamo diritto di essere anteposti agli
altri; non permette nemmeno che andiamo alla caccia di lodi, di onori, di
gloria, cose che devono essere tributate soltanto all’ottimo. Accetta il consiglio del
Saggio che dice di aver cura del nostro buon nome, perché il buon nome è la
stima, non dell’ottimo, ma soltanto di una semplice e ordinaria prudenza e
onestà di vita, che l’umiltà non ci impedisce di riconoscere in noi stessi; di
conseguenza non ci vieta di desiderarne il relativo buon nome. E’ vero che l’umiltà
disprezzerebbe il buono nome se la carità non ne avesse bisogno; ma visto che è
uno dei fondamenti della società umana, e che, senza di essa, noi siamo
addirittura dannosi per la gente e non soltanto inutili, a motivo dello scandalo
che daremmo; la carità richiede e l’umiltà di buon grado accetta, che noi
desideriamo e conserviamo con cura il buon nome. Prendi a paragone le
foglie degli alberi che, di per sé, non valgono gran che, e tuttavia rendono un
grande servizio, non solo nel dare un bell’aspetto all’albero, ma anche nel
proteggere i frutti finché sono teneri; è la stessa cosa per il buon nome che,
per sé, non è da considerare fortemente; tuttavia è molto utile, non soltanto
come abbellimento della vita, ma anche per proteggere le nostre virtù, in modo
particolare quelle ancora tenere e deboli. L’obbligo di conservare il
buon nome e di essere realmente come la gente ci stima, esige che abbiamo un
coraggio generoso sostenuto da una forte e dolce violenza. Conserviamo le nostre
virtù, cara Filotea, perché sono gradite a Dio, grande e sommo fine di tutte le
nostre azioni; ma allo stesso modo che coloro i quali vogliono conservare i
frutti, non si accontentano di fare marmellate, ma li sigillano in vasi adatti
alla conservazione, così, pur rimanendo l’amore di Dio la principale garanzia
per le nostre virtù, possiamo servirci, a tale scopo, anche del buon nome e con
utilità. Tuttavia nella difesa del
nostro buon nome non dobbiamo essere troppo zelanti, esatti e puntigliosi:
quelli che sono delicati e sensibili in modo esagerato per tutto ciò che
concerne la loro reputazione, assomigliano a quelli che ingurgitano medicine per
il minimo disturbo: costoro, infatti, volendo proteggere la loro salute, la
rovinano del tutto; così, chi vuole, con troppa premura, proteggere il proprio
buon nome, lo perde del tutto, e sai perché? La tenerezza verso se stessi rende
strani, ribelli, insopportabili, pasto ideale per i maldicenti. Non dar peso e disprezzare
l’ingiuria e la calunnia, ordinariamente è un rimedio molto efficace del
risentimento, della contestazione, della vendetta: il dispetto le rende
evanescenti; chi se ne inquieta, invece, dà l’impressione di confessare. I coccodrilli fanno del
male soltanto a coloro che ne hanno paura; la maldicenza fa del male solo a chi
se ne preoccupa. Il timore eccessivo di
perdere il buon nome dimostra mancanza di fiducia nel suo fondamento, che è la
vita onesta. Le città dotate di ponti di legno su grandi fiumi, ad ogni
alluvione temono di vederli travolti; quelle invece che sono dotate di ponti in
pietra, temono soltanto in caso di piene eccezionali. Similmente coloro che
hanno un’anima cristiana con solide basi, non fanno abitualmente caso alle
alluvioni delle lingue malefiche; coloro invece che si sentono deboli, temono di
essere travolti ad ogni occasione. Chi vuol godere di un buon
nome nei confronti di tutti, lo perde proprio nei confronti di tutti: merita di
perdere l’onore chi vuole mendicarlo da coloro che il vizio ha reso
indiscutibilmente infami e senza onore. Il buon nome è l’insegna
che indica dove alloggia la virtù; è evidente che la virtù viene prima. Ecco
perché, se ti dicono: sei un ipocrita perché ti sei incamminata nella devozione;
se ti considerano un uomo senza carattere perché hai perdonato un’ingiuria,
lascia correre, non farci caso. Per prima cosa abbi presente che tali giudizi
sono emessi da persone vuote e superficiali; quand’anche poi il buon nome si
perdesse davvero, l’importante è non perdere la virtù e non deviare dal suo
cammino; mi pare logico che si dia la preferenza ai frutti sulle foglie, ossia
ai beni spirituali interiori su quelli esteriori. Va bene essere gelosi del
proprio buon nome, ma non idolatri! E’ vero che non bisogna scandalizzare
l’occhio dei buoni, ma nemmeno si deve contentare quello dei cattivi. La barba è
un ornamento adatto al volto dell’uomo e i capelli a quello della donna: se si
strappano alla radice i peli dal mento o i capelli dalla testa , probabilmente
non rispunteranno più; ma se li tagli soltanto, o magari anche li radi,
rispunteranno molto presto, più forti e più folti. Lo stesso avviene per il buon
nome: la lingua dei maldicenti può tagliarlo o anche addirittura raderlo,
giacché, dice Davide, è come un rasoio affilato; ma niente paura! Rispunterà
presto più bello di prima e anche più forte! Se invece il nostro buon nome viene
distrutto dai nostri vizi, dalle vigliaccherie, dalla nostra cattiva condotta,
beh! Allora possiamo aspettare tutto il tempo che vogliamo, e non rispunterà!
Sarà inutile l’attesa perché abbiamo estirpato la radice. La radice del buon nome è
la bontà e l’onestà della vita; finché sono presenti in noi, possono sempre
rigenerare il buon nome giustamente conquistato. Lascia quella vuota
conversazione, quell’attività inutile, quell’amicizia frivola, quella compagnia
equivoca, se danneggiano il tuo buon nome, perché il buon nome vale più di tutte
quelle vuote soddisfazioni; ma se la gente mormora, riprova o calunnia perché ti
impegni nella pietà per avanzare nella devozione e nel cammino verso il bene
eterno, lascia abbaiare i cani contro la luna; anche se dovessero riuscire a
costruire un’opinione negativa sul tuo buon nome, e in tal modo tagliare e
radere i capelli e la barba del buon nome, sta tranquilla che presto rispunterà.
Il rasoio della maldicenza sarà utile al tuo onore, come la roncola alla vigna,
perché la rende copiosa di frutti. Teniamo sempre gli occhi
fissi a Gesù Cristo crocifisso, camminiamo al suo servizio con fiducia e
semplicità, accompagnata da saggezza e devozione: sarà lui a proteggere il
nostro buon nome. Se permette che ci sia tolto è solo per darcene uno migliore o
per favorirci nella crescita dell’umiltà. Ricorda bene che un’oncia di umiltà
vale più di mille libre di onore. Se veniamo ripresi
ingiustamente, opponiamo serenamente la verità alla calunnia; se persiste,
insistiamo nell’umiltà. Mettiamo il nostro buon nome, unitamente alla nostra
anima nelle mani di Dio,; non potremo trovare migliore garanzia. Serviamo Dio nella buona e
nella cattiva fama, sull’esempio di S. Paolo; potremo così dire con Davide: Mio
Dio, è soltanto per Te che ho sopportato l’obbrobrio e che ho tollerato che la
vergogna coprisse il mio volto. Faccio eccezione per certi
crimini talmente atroci e infamanti che nessuno deve accettare di vedersene
attribuita la paternità; anzi bisogna liberarsi anche del sospetto se si può
fare nel rispetto della giustizia. La stessa eccezione va
fatta per le persone dal cui buon nome dipende l’edificazione di molti; in tali
casi è necessario perseguire la riparazione del torto ricevuto, e questo secondo
la più rigorosa morale teologica.
Capitolo VIII
LA DOLCEZZA VERSO IL PROSSIMO E IL RIMEDIO
CONTRO L’IRA Il sacro crisma che, per
tradizione apostolica, la Chiesa usa nelle confermazioni e nelle benedizioni, è
composto di olio di oliva e balsamo: questi due elementi ricordano, tra l’altro,
le due meravigliose virtù che risplendevano in modo particolare nella persona di
Nostro Signore. Egli ce le ha raccomandate personalmente, quasi che, per mezzo
di esse soltanto, il nostro cuore possa essere consacrato al suo servizio e
trascinato ad imitarlo: Imparate da me, dice, che sono mite e umile di cuore. L’umiltà ci fa crescere in
perfezione davanti a Dio e la dolcezza davanti al prossimo. Il balsamo che, come
ho detto sopra, scende sempre a fondo, raffigura l’umiltà, e l’olio di oliva,
che rimane sempre in superficie, raffigura la dolcezza e la bonomia, che
superano tutte le virtù ed eccellono quali splendidi fiori della carità che,
stando a s. Bernardo, raggiunge la perfezione quando non è soltanto paziente, ma
anche dolce e affabile. Fa attenzione, Filotea:
questo mistico crisma composto di dolcezza e di umiltà deve trovarsi dentro al
tuo cuore; l’abile inganno del nemico, infatti, è quello di far sì che molti si
fermino alle parole ed agli atteggiamenti esterni di queste due virtù, per cui,
nella loro imperdonabile superficialità, pensano di essere umili e dolci, mentre
non lo sono affatto; e si tradiscono perché, nonostante la loro cerimoniosa
dolcezza e umiltà, alla minima parola leggermente scortese, alla più piccola
ingiuria, scattano con un’arroganza inaspettata. Si dice che coloro i quali
si sono immunizzati per mezzo del controveleno chiamato comunemente "la grazia
di S. Paolo", se vengono punti o morsicati d una vipera, non si gonfiano, a
condizione che "la grazia" fosse di prima qualità. Quando l’umiltà e la dolcezza
sono vere e sincere capita la stessa cosa: ci difendono dal gonfiore e dal
bruciore che le ingiurie abitualmente provocano nei nostri cuori. Ne consegue
che se reagisci mostrandoti orgogliosa, gonfia d’ira, indispettita, allorché sei
punta e morsicata dalle male lingue, vuole dire che la tua umiltà e la tua
dolcezza non sono profonde e sincere ma soltanto superficiali ed epidermiche. Il santo ed illustre
Patriarca Giuseppe, quando dall’Egitto rispedì i fratelli a casa del padre,
diede loro un consiglio: Per via, non adiratevi. A te dico la stessa cosa,
Filotea. Questa vita terrena è soltanto un cammino versa quella beata, non
adiriamoci dunque per la strada gli uni contro gli altri; camminiamo
tranquillamente e in pace con i fratelli e i compagni di viaggio. Con chiarezza, e senza
eccezioni, ti dico: Se ti è possibile, non inquietarti affatto, non deve
esistere alcun pretesto perché tu apra la porta del cuore all’ira. S. Giacomo,
senza tanti giri di parole, dice chiaramente: L’ira dell’uomo non opera la
giustizia di Dio. Bisogna resistere
seriamente al male e reprimere i vizi di coloro di cui abbiamo la
responsabilità, con costanza e con decisione, ma sempre con dolcezza e serenità.
Niente calma un elefante infuriato come la vista di un agnellino e nulla attenua
la violenza delle cannonate come la lana. La correzione dettata
dalla passione, anche quando ha basi ragionevoli, ha molto meno efficacia di
quella che viene unicamente dalla ragione; questo perché l’anima ragionevole sa
cedere alla ragione, ma rifiuta di piegarsi alla passione ed alla tirannia. Di
modo che la ragione accompagnata dalla passione è odiosa, perché la sua giusta
autorità è avvilita dall’alleanza con la tirannia. I Principi, quando fanno
visita con un seguito di pace, onorano e danno gioia ai popoli; ma quando
arrivano con i soldati, anche se è per il bene pubblico, la loro visita è sempre
sgradita e apportatrice di danni; perché, anche qualora riescano a far osservare
rigorosamente la disciplina ai loro soldati, non potranno mai riuscire ad
impedire che scoppi qualche disordine, in cui il civile ha la peggio e viene
oppresso. Allo stesso modo, quando
domina la ragione e distribuisce pacificamente castighi, correzioni, rimproveri,
anche se lo fa con rigore e severità, tutti le vogliono bene ugualmente e
approvano il suo operato; ma se porta con sé l’ira, la collera, la stizza, che,
dice S. Agostino, sono i suoi soldati, da amabile diventa piuttosto temibile e
il cuore ne esce sempre maltrattato e calpestato. Dice sempre S. Agostino,
scrivendo a Profuturo: E’ meglio chiudere la porta all’ira giusta e imparziale,
anche se di minime proporzioni, perché, una volta entrata, è molto difficile
farla uscire, poiché entra come un piccolo germoglio, e in brevissimo tempo,
cresce e diventa un albero. Che se poi giunge fino
alla notte e il sole tramonta sulla nostra ira, ciò che l’Apostolo proibisce, si
tramuta in odio e non te ne liberi più. Perché essa si nutre di mille false
convinzioni. Non si è mai trovato un uomo adirato il quale fosse convinto che la
sua ira era ingiusta. Meglio imparare a vivere
senza collera, che volersi servire con moderazione e saggezza della collera, e
quando, a causa della nostra imperfezione e debolezza, ci coglie di sorpresa, è
meglio respingerla immediatamente che voler entrare in trattativa con essa. E
sai perché? Per poco che tu le conceda, diventa subito padrona della piazza e fa
come il serpente che, dove riesce a far passare la testa, fa passare tutto il
corpo. Ma come faccio a
respingerla? Dirai. Semplicissimo, ti rispondo. Al primo allarme raccogli tutte
le tue forze, non con precipitazione e violenza, ma con dolcezza, tuttavia con
serio impegno. Hai notato quello che accade nelle sedute di molti senati e
parlamenti? Gli uscieri che gridano: zitti là o zitti qui, fanno più confusione
di quelli che vorrebbero far tacere. Allo stesso modo, può capitarci che quando
con forza vogliamo reprimere la collera, provochiamo più agitazione nel nostro
cuore di quanta non ne avrebbe causata la collera; il cuore così agitato non
riesce più ad essere padrone di se stesso. Dopo questo sforzo
compiuto con calma, segui il consiglio che S. Agostino, già vecchio, diede al
giovane Vescovo Ausilio: Fa ciò che deve fare un uomo; e se ti capita ciò che
l’uomo di Dio dice nel Salmo: Il mio occhio è turbato da grande collera, ricorri
a Dio e grida: Abbi misericordia di me, Signore; e così egli stenderà la sua
mano destra e reprimerà la tua collera. Voglio dire che bisogna
invocare l’aiuto di Dio, quando ci sentiamo agitati dalla collera, ad imitazione
degli Apostoli, sballottati sul mare dal vento e dalla tempesta: comanderà alle
nostre passioni e subentrerà una grande calma. Ma non mi stancherò mai di
ripeterti che l’orazione che si fa contro la collera in atto che ci sta
travolgendo, deve essere fatta con dolcezza, tranquillità, non con violenza. E’
una norma generale per tutti i rimedi contro questo male. Di più, appena ti accorgi
che ti sei lasciata andare a qualche atto di collera, rimedia con un atto di
dolcezza, nei confronti della stessa persona con cui ti sei irritata. Rimedio sovrano contro la
menzogna, è correggerla subito, appena uno si accorge di averla detta; per la
collera bisogna agire nello stesso modo: appena ti accorgi di esserci caduta,
ripara subito con un atto contrario di dolcezza. C’è un detto che fa al caso
nostro: la piaga recente si cura meglio. Fa qualche cosa di più:
quando sei calma e senza alcun motivo di collera, fa rifornimento di dolcezza e
di affabilità, parlando e agendo, nelle tue azioni piccole e grandi, nel modo
più cortese che ti sarà possibile, ricordandoti che la Sposa, nel Cantico dei
Cantici, non soltanto ha il miele sulle labbra e sulla lingua, ma anche nel
petto, ove non c’è soltanto miele, ma anche latte. Perché non basta avere la
parola dolce nei confronti del prossimo, bisogna averla anche nel petto, ossia
nell’intimo della nostra anima. Non basta nemmeno avere la dolcezza del miele,
che è aromatico e profumato, e raffigura la dolcezza della conversazione educata
con gli estranei, ma bisogna avere anche la dolcezza del latte verso i familiari
e i vicini: in questo mancano seriamente quelli che sono angeli per la strada e
diavoli in casa.
Capitolo IX
LA DOLCEZZA VERSO NOI STESSI Uno dei metodi più
efficaci per conseguire la dolcezza è quello di esercitarla verso se stessi, non
indispettendosi mai contro di sé e contro le proprie imperfezioni. E’ vero che
la ragione richiede che quando commettiamo errori ne siamo dispiaciuti e
rammaricati, ma non che ne proviamo un dispiacere distruttivo e disperato,
carico di dispetto e di collera. E in questo molti sbagliano grossolanamente
perché si mettono in collera, poi si infuriano perché si sono infuriati,
diventano tristi perché si sono rattristati, e si indispettiscono perché si sono
indispettiti. In tal modo conservano il cuore come frutta candita a bagno nella
collera: può anche sembrare che la seconda collera elimini la prima, ma in
realtà è soltanto per fare spazio maggiore alla seconda, alla prima occasione. C’è di più: queste collere
e amarezze contro di se stessi portano all’orgoglio e sono soltanto espressione
di amor proprio, che si tormenta e si inquieta per le imperfezioni. Il
dispiacere che dobbiamo avere per le nostre mancanze deve essere sereno,
ponderato e fermo; un giudice punisce molto meglio i colpevoli quando emette
sentenze ragionevoli in ispirito di serenità, che quando procede con
aggressività e passione. In tal caso non punirebbe le colpe secondo la loro
natura, ma secondo la propria passione. Allo stesso modo noi puniamo molto
meglio noi stessi se usiamo correzioni serene e ponderate e non aspre,
precipitose e colleriche; tanto più che queste correzioni fatte con irruenza non
sono proporzionate alle nostre colpe ma alle nostre inclinazioni. Per esempio, chi è
attaccato alla castità, andrà su tutte le furie e sarà inconsolabilmente
amareggiato per la minima colpa contro di essa, e poi farà le matte risate per
una gravissima maldicenza commessa. Per contro, chi odia la maldicenza, andrà in
crisi per una leggera mormorazione e non darà peso ad una grave mancanza contro
la castità; e così via. E questo capita perché la coscienza di costoro non
giudica secondo ragione, ma secondo passione. Devi credermi, Filotea: le
osservazioni di un papà, se fatte con dolcezza e cordialità, hanno molta più
efficacia per correggere il figlio, della collera e delle sfuriate. La stessa
cosa avviene quando il nostro cuore è caduto in qualche colpa: se lo riprendiamo
con osservazioni dolci e serene e gli dimostriamo più compassione che passione,
lo incoraggiamo a correggersi, il pentimento sarà molto più profondo e lo
compenetrerà più di quanto non farebbe un pentimento pieno di dispetto, di ira e
di minacce. Per conto mio, posto che
ci tenessi molto a non cadere nel vizio di vanità, e ciononostante ci fossi
caduto, e seriamente, non vorrei correggere il mio cuore con parole come le
seguenti: Guarda quanto sei miserabile e abominevole; dopo tante risoluzioni,
guarda come ti sei lasciato travolgere! Muori di vergogna, non azzardarti più ad
alzare gli occhi verso il cielo; cieco, svergognato, traditore e sleale con il
tuo Dio, e simili cose. Io procederei invece, ragionevolmente, con compassione:
Coraggio, mio povero cuore, eccoci caduti nella trappola da cui avevamo promesso
di stare lontano; rialziamoci e liberiamocene per sempre, invochiamo la
misericordia di Dio e speriamo in essa; d’ora in poi ci darà la sua assistenza
per renderci più decisi, rimettiamoci in cammino con umiltà. Coraggio, d’ora in poi
stiamo in guardia, Dio ci aiuterà, ce la faremo. E su questa correzione vorrei
costruire un solido e fermo proposito di non ricaderci più, prendendo i mezzi
più idonei a tal fine, compreso il parere del mio direttore spirituale. Se poi qualcuno pensasse
di non essere sufficientemente scosso da questo tipo di correzione, potrebbe
servirsi di un richiamo o di un rimprovero duro e forte per provocare una
vergogna profonda, purché, dopo aver rudemente sgridato e strapazzato il proprio
cuore, chiuda con una consolazione, ponendo termine alla sua amarezza e al suo
corruccio con una dolce e santa fiducia in Dio, ad imitazione di quel grande
penitente che, vedendo un’anima afflitta, la risollevava in questo modo: Perché
sei triste, anima mia? Perché mi turbi? Spera in Dio, io lo benedirò ancora
perché è la salvezza del mio volto e il mio vero Dio. Rialza dunque dolcemente
il tuo cuore quando cade, umiliati grandemente davanti a Dio alla conoscenza
della tua miseria; ma non meravigliarti della tua caduta: è naturale che
l’infermità sia malata, che la debolezza sia debole, e la miseria sia misera.
Disprezza con tutte le forze l’offesa che Dio ha ricevuto da te e, con coraggio
e fiducia nella sua misericordia, rimettiti nel cammino della virtù, che avevi
abbandonato.
Capitolo X
LE OCCUPAZIONI VANNO AFFRONTATE CON
ATTENZIONE, MA SENZA PRECIPITAZIONE E FRETTA ECCESSIVA La cura e la diligenza che
dobbiamo mettere nelle nostre occupazioni non hanno nulla in comune con l’ansia,
l’apprensione e la fretta eccessiva. Gli Angeli hanno cura
della nostra salvezza e la procurano con diligenza, ma senza ansia, apprensione
e fretta; la cura e la diligenza sono espressione della loro carità, mentre
l’ansia, l’apprensione e la fretta sarebbero contrarie al loro stato di
beatitudine; giacché la cura e la diligenza possono essere compagne della
serenità e della pace dello spirito; non invece l’ansia, la preoccupazione, e
ancor meno l’angustia precipitosa. Sii dunque accurata e
diligente in tutte le responsabilità che ti saranno affidate, Filotea; se Dio te
le ha affidate, tu ne devi avere grande cura; ma se ti è possibile, non cadere
nell’ansia e nell’apprensione, ossia non affrontarle con cuore inquieto, ansioso
e tormentato. Non agire con
precipitazione nel compimento dei tuoi doveri: la precipitazione turba la
ragione e il giudizio, e ci impedisce di compiere bene proprio quello verso cui
ci precipitiamo! Quando Nostro Signore
riprende Marta, dice: Marta, Marta, sei ansiosa e ti agiti per molte cose. Vedi,
se ella fosse stata semplicemente premurosa, non si sarebbe agitata; ma è
proprio perché era preoccupata e inquieta che si affretta e si agita, ed è
proprio questo che Nostro Signore le rimprovera. I fiumi che scorrono
dolcemente nella pianura portano grandi battelli con ricche merci; le piogge che
cadono dolcemente sulla campagna la rendono feconda di foraggi e di grano; ma i
torrenti ed i corsi d’acqua che precipitano a valle con rapide e cascate,
rovinano le campagne circostanti e non sono utili al traffico; lo stesso fanno
le piogge violente e tempestose che travolgono i terreni lavorati e rovinano i
pascoli. Un lavoro fatto con violenza e precipitazione non riesce mai bene:
Bisogna affrettarsi con calma, dice l’antico proverbio. Colui che ha fretta, dice
Salomone, corre il rischio di inciampare e urtare contro tutto. Facciamo sempre
abbastanza presto quando facciamo bene. I fuchi fanno molto più
rumore e si spostano con molta più fretta della api, ma producono soltanto cera,
non miele. Più o meno fanno la stessa cosa coloro che si affrettano con un’ansia
bruciante e con un’apprensione disordinata: finiscono con il fare poco e male! Le mosche non ci danno
noia per la mole, ma per il numero: allo stesso modo si può dire che le
occupazioni importanti non ci mettono in agitazione come le piccole, perché
queste si presentano molto numerose. Accetta in pace le
incombenze che ti capitano, e cerca di portarle a termine con ordine, una dopo
l’altra. Se vuoi farle tutte in una volta e disordinatamente, farai soltanto
sforzi che ti angustieranno e prostreranno il tuo spirito; e finirai quasi
sempre schiacciato sotto il loro peso e senza risultato. In tutte le tue
occupazioni appoggiati completamente alla Provvidenza di Dio, che è la sola che
possa dare compimento ai tuoi progetti; tuttavia, da parte tua, lavora
dolcemente per cooperare con essa , e sii certa che se confidi in Dio, il
risultato che conseguirai sarà sempre il migliore per te, sia che ti sembri
personalmente buono che cattivo. Fa come i bambini che con
una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e
le more lungo le siepi; anche tu fai lo stesso: mentre con una mano raccogli e
ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tinti aggrappata al Padre
celeste, volgendoti ogni tanto verso di Lui, per vedere se le tue occupazioni e
i tuoi affari sono di suo gradimento. Fa attenzione a non lasciare la sua mano e
la sua protezione, pensando così di raccogliere e accumulare di più. Se il Padre
celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra.
Voglio dire, Filotea, che quando sarai in mezzo agli affari e alle occupazioni
ordinarie, che non richiedono un’attenzione molto accurata e assidua, guarda Dio
più delle occupazioni; quando gli affari sono così importanti che richiedono
tutta la tua attenzione per riuscire bene, ogni tanto dà uno sguardo a Dio, come
fanno coloro che navigano in mare i quali per raggiungere il porto previsto,
guardano più il cielo che la nave. Così Dio lavorerà con te, in te e per te, e
il tuo lavoro sarà accompagnato dalla gioia.
Capitolo XI
L’OBBEDIENZA Soltanto la carità ci
eleva alla perfezione; ma l’obbedienza, la povertà e la castità sono i tre
grandi mezzi per acquistarla. L’obbedienza consacra il nostro cuore, la castità
il nostro corpo, e la povertà i nostri beni all’amore e al servizio di Dio: sono
i tre bracci della croce spirituale, che poggiano sul quarto che è l’umiltà. Non intendo parlare di
queste virtù in quanto oggetto di voto pubblico; riguarda soltanto i religiosi;
e nemmeno in quanto oggetto di voto privato, perché il voto aggiunge sempre
grazie e meriti a tutte le virtù. Tuttavia per portarci a perfezione non è
necessario che siano oggetto di voto; l’importante è che siano vissute. Quando sono legate al
voto, soprattutto se pubblico, mettono l’uomo nello stato di perfezione; per
metterlo invece semplicemente nella perfezione è sufficiente viverle. C’è molta
differenza tra lo stato di perfezione e la perfezione: tutti i vescovi e i
religiosi sono nello stato di perfezione, ma non per questo sono nella
perfezione, il che si vede anche troppo! Sforziamoci, Filotea, di
mettere bene in pratica queste tre virtù, ciascuno secondo la propria vocazione;
è vero che non ci mettono nello stato di perfezione, ma ci daranno l’autentica
perfezione; tutti siamo obbligati a praticare queste tre virtù, anche se non
tutti allo stesso modo. Due sono i generi
d’obbedienza: l’obbligatoria e la volontaria. In forza dell’obbligatoria devi
obbedire umilmente ai tuoi superiori ecclesiastici, come il papa, il vescovo, il
parroco e i loro rappresentanti; devi poi obbedire ai tuoi superiori civili,
ossia il principe e i magistrati da lui preposti al governo del tuo paese; poi
devi ubbidire anche ai tuoi superiori familiari, ossia tuo padre, tua madre, il
padrone e la padrona. Questa obbedienza si chiama obbligatoria perché nessuno
può dispensarsi dall’obbligo di ubbidire ai superiori sunnominati, perché è Dio
che ha dato loro l’autorità di comandare e di governare, ognuno nei suoi limiti.
Fa dunque quello che ti è comandato. E’ necessario. Ma per essere perfetto devi
seguire i loro consigli e anche i loro desideri e le preferenze nella misura in
cui te lo permettono la prudenza e la carità. Obbedisci quando ti ordinano una
cosa gradevole, come mangiare, prendere un po’ di ricreazione; può anche
sembrare che non ci sia grande virtù ad obbedire in queste cose. E’ certo che
sarebbe un difetto grave disobbedire. Obbedisci alle cose
indifferenti, quali indossare un abito anziché un altro, passare per una strada
anziché per un’altra, cantare o tacere; sarà un’obbedienza molto preziosa.
Obbedisci nelle cose difficili, aspre e dure; quella sarà un’obbedienza
perfetta. Obbedisci poi con
dolcezza, senza repliche; con prontezza, senza ritardi; con gioia, senza
tristezza; soprattutto obbedisci con amore, per amore di colui che, per amor
nostro, si è fatto obbediente fino alla morte in Croce, e che, come dice S.
Bernardo, preferì rinunciare alla vita piuttosto che all’obbedienza. Per imparare ad obbedire
con facilità ai tuoi superiori, accondiscendi senza difficoltà alla volontà dei
tuoi pari, cedendo al loro parere in ciò che non ha nulla di male, lasciando da
parte un comportamento litigioso ed aspro; adattati volentieri ai desideri dei
tuoi inferiori nei limiti del ragionevole, senza prendere atteggiamenti
intransigenti d’autorità, almeno finché si comportano bene.
E’ falso credere che da
religioso o da religiosa ci sarebbe più facile obbedire; sarebbe la stessa cosa.
Se ora troviamo difficile ed arduo obbedire a coloro che Dio ci ha preposto,
nulla cambierebbe mutando stato! Chiamiamo obbedienza
volontaria quella cui ci leghiamo per nostra scelta, e che non ci è imposta da
alcuno. Abitualmente il principe e il vescovo non li scegliamo noi, né il padre,
né la madre; qualche volta nemmeno il marito. Ma scegliamo invece il confessore
e il direttore spirituale. Ora, sia che alla scelta si aggiunga il voto di
obbedirgli, come fece S. Teresa che, oltre all’obbedienza solenne votata al
superiore dell’Ordine, si era obbligata con voto semplice, ad obbedire al P.
Graziano; o anche senza voto, si prometta obbedienza a qualcuno, questa rimarrà
sempre un’obbedienza volontaria, perché è decisa dalla nostra volontà in base
alla nostra scelta. Bisogna ubbidire a tutti i
superiori, a ciascuno nel campo che lo riguarda. Per ciò che riguarda lo Stato e
la cosa pubblica, bisogna ubbidire alle autorità civili; per ciò che riguarda il
campo religioso, ai vescovi; per le cose di casa, al padre, al marito, al
padrone; per la guida personale dell’anima al confessore e al direttore. Fatti indicare dal padre
spirituale gli esercizi di pietà che devi praticare; riusciranno meglio ed
avranno doppia grazia e doppio valore: la prima, per se stessi, perché sono pii
esercizi; l’altra la ricevono dall’obbedienza che li ha prescritti e in virtù
della quale sono compiuti. Gli obbedienti sono dei fortunati, perché il Signore
non permetterà mai che si perdano.
Capitolo XII
LA NECESSITA’ DELLA CASTITA’ La castità è il giglio
delle virtù; rende gli uomini simili agli Angeli. Niente è bello se non è puro,
e la purezza degli uomini è la castità. Alla castità si dà il nome di onestà, e
alla sua conservazione, onore, Viene anche chiamata integrità e il contrario
corruzione. Gode di gloria tutta speciale perché è la bella e splendida virtù
dell’anima e del corpo. Non è mai permesso
prendere piaceri impudichi dai nostri corpi, poco importa in che modo. Li
legittima soltanto il matrimonio che, con la sua santità, compensa il discredito
insito nel piacere. Anche nel matrimonio bisogna avere cura che l’intenzione sia
onesta, perché se ci dovesse essere qualche sconvenienza nel piacere che si
prende, ci sia sempre l’onestà nell’intenzione che lo ha cercato. Il cuore casto è come la
madreperla, che può ricevere soltanto le gocce d’acqua che scendono dal cielo,
giacché può accogliere soltanto i piaceri del matrimonio, che viene dal cielo.
Fuori da ciò non deve nemmeno tollerare il pensiero voluttuoso, volontario e
prolungato. Come primo grado in questa
virtù, Filotea, guarda di non accogliere in te alcun genere di piacere
inammissibile e proibito, quali sono tutti quelli che si prendono fuori del
matrimonio, o anche nel matrimonio, se si prendono contro le regole del
matrimonio. Come secondo grado,
taglia, per quanto ti sarà possibile, anche i piaceri inutili e superflui,
benché permessi e leciti. Per il terzo, non legare
il tuo affetto ai piaceri e alle soddisfazioni che sono comandate e prescritte;
è vero che bisogna prendere i piaceri necessari, ossia quelli che sono legati al
fine e alla natura stessa del santo matrimonio, ma non per questo devi impegnare
in essi il cuore e lo spirito. Del resto, tutti hanno
molto bisogno di questa virtù. Coloro che vivono nella vedovanza devono avere
una castità coraggiosa, che non soltanto disprezza le occasioni presenti e le
future, ma resiste alle fantasie che i piaceri leciti provati nel matrimonio
possono suscitare nel loro spirito, che per questo sono più sensibili alle
suggestioni poco oneste. E’ questa la ragione per
cui S. Agostino ammira la purezza del suo caro Alipio, che aveva completamente
dimenticato e non teneva in alcun conto i piaceri carnali, che aveva conosciuto,
almeno in parte, nella sua giovinezza. Prendi a paragone i frutti: un frutto
sano e intero può essere conservato o nella paglia o nella sabbia o nelle
proprie foglie; ma una volta intaccato, è impossibile conservarlo se non
facendone marmellata con l’aggiunta di miele o di zucchero; così avviene per la
castità non ancora ferita e contaminata: sono tanti i modi per conservarla, ma
una volta intaccata, può conservarla soltanto una devozione eccellente che, come
ho detto spesso, è l’autentico miele e lo zucchero delle anime. Le vergini hanno bisogno
di una devozione semplice e delicata, per bandire dal loro cuore ogni genere di
pensieri curiosi ed eliminare con un disprezzo totale ogni genere di piacere
immondo che, a essere sinceri, non meritano nemmeno di essere considerato dagli
uomini, visto che i somari e i porci li superano in questo campo. Quelle anime pure stiamo
bene attente; senza alcun dubbio dovranno sempre avere per certo che la castità
è incomparabilmente molto meglio di tutto ciò che le è contrario; il nemico,
infatti, dice S. Girolamo, spinge fortemente le vergini al desiderio di provare
il piacere. A tal fine lo rappresenta loro molto più attraente e delizioso di
quanto non sia; questo le turba molto, dice quel Padre, perché pensano che
quello che non conoscono sia più dolce. La piccola farfalla ci è
maestra: vedendo la fiamma così bella vuol provare se non sia altrettanto dolce;
e, spinta da questo desiderio, non si arrende finché, alla prima prova, ci
rimane. I giovani agiscono allo stesso modo: si lasciano talmente affascinare
dal falso e vuoto luccichio delle fiamme del piacere che, dopo averci girato
intorno con mille pensieri curiosi, finiscono per cadere e perdersi. In questo
sono più sciocchi delle farfalle, perché quelle, in una certa misura, hanno
motivo di pensare che il fuoco sia anche buono perché è veramente bello; mentre
questi sanno bene che quello che vogliono è disonesto, ma non per questo
tagliano la stima folle ed esagerata che hanno del piacere. Per gli sposati dico che è
sicuro, anche se la gente comune non riesce a pensarlo, che la castità è loro
molto necessaria; per essi non consiste nell’astenersi in modo totale dai
piaceri carnali, ma nel sapersi moderare. Ora, a mio parere, il comando:
Adiratevi e non peccate, è più difficile di quest’altro: Non adiratevi affatto.
Riesce più facile evitare la collera che controllarla. Lo stesso si può dire dei
piaceri carnali: è più facile astenersene completamente che essere moderati. E’ vero che la grazia del
sacramento del matrimonio dà una forza particolare per attenuare il fuoco della
concupiscenza, ma la debolezza di coloro che ne usufruiscono passa facilmente
alla permissività, poi alla dissoluzione, dall’uso all’abuso. Molti ricchi sono ladri,
non per bisogno, ma per avarizia. Così molta gente sposata ruba piaceri
disordinati solo per mancanza di padronanza e lussuria, benché abbiano un campo
legittimo sufficientemente ampio nel quale muoversi; la loro concupiscenza
assomiglia a un fuoco fatuo, che balla qua e là senza fermarsi in alcun luogo. E’ sempre pericoloso
prendere medicine troppo forti, perché qualora se ne prenda più della giusta
dose, o anche se la medicina non è stata ben preparata, ce ne viene del danno:
il matrimonio è stato istituito, in parte, anche quale rimedio della
concupiscenza; senz’altro è un rimedio di ottima efficacia, ma , attenzione,
perché è molto forte, di conseguenza può essere molto pericoloso se non è usato
con discrezione. Aggiungo che i casi della
vita, oltre alle lunghe malattie, spesso separano i mariti dalle mogli. Ecco
perché gli sposati hanno bisogno di due generi di castità: la prima, per essere
capaci di vivere in astinenza assoluta quando sono separati, nelle occasioni cui
ho appena accennato; la seconda, per essere capaci di moderarsi, quando vivono
insieme. S. Caterina da Siena vide
tra i dannati dell’inferno molti che erano tormentati con supplizi
particolarmente atroci per avere profanato la santità del matrimonio: e questo
era loro capitato, diceva, non per la gravità del peccato in sé, perché gli
omicidi e le bestemmie sono più gravi, ma perché coloro che li avevano commessi
vi avevano preso l’abitudine senza più farci caso, e così avevano persistito
negli stessi per lungo tempo. Vedi dunque che la castità
è necessaria a tutti. Procura di essere in pace con tutti, dice l’Apostolo, e di
possedere la santità senza di cui nessuno vedrà Dio. Ora, per santità, secondo
S. Girolamo e S. Giovanni Crisostomo, intende la castità. Filotea, è proprio vero,
nessuno vedrà Dio se non è casto, nessuno abiterà nella sua santa tenda se non è
puro di cuore; e, come dice il Salvatore stesso: I cani e i peccatori di
sensualità ne saranno esclusi, e beati i puri di cuore perché vedranno Dio.
Capitolo XIII
CONSIGLI PER CONSERVARE LA CASTITA’ Filotea, tienti lontana
dagli inganni e dagli allettamenti della sensualità. E’ un cancro che corrode
impercettibilmente; e da inizi invisibili ti porta in breve a situazioni
incontrollabili; è più facile evitarlo che guarirlo. I corpi umani assomigliano
a vasi di vetro che non possono essere trasportati insieme senza porre qualche
cosa tra l’uno e l’altro; senza tale precauzione, il rischio di mandarli in
pezzi è molto grande. Anche la frutta ci può insegnare qualcosa: infatti anche
se la frutta che trasporti è sana e matura al punto giusto, rischi di ammaccarla
tutta sballottandola, se non metti qualcosa tra un frutto e l’altro. Anche
l’acqua, per limpida che sia, quando la versi in un vaso, se ci mette il muso un
animale sporco la sua limpidezza è svanita. Non permettere mai, Filotea, che
qualcuno ti tocchi in modo screanzato, né per leggerezza, né per amicizia; è
vero che, volendo, la castità può essere conservata anche in simili situazioni,
che sanno più di leggerezza che di malizia; ma la freschezza del fiore della
castità ne soffre sempre e ci perde qualche cosa. Se poi uno si lascia toccare
in modo disonesto, è la fine totale della castità. La castità ha la sua
radice nel cuore, ma è il corpo la sua abitazione; ecco perché si perde a causa
dei sensi esteriori del corpo e per i pensieri e i desideri del cuore. Guardare,
ascoltare, parlare, odorare, toccare cose disoneste è impudicizia se il cuore vi
si immerge e ci prende piacere. S. Paolo taglia corto: La fornicazione non deve
nemmeno essere nominata tra di voi. Le api evitano nel modo
più assoluto di toccare le carogne, ma non basta: fuggono e non riescono nemmeno
a sopportare il lezzo che ne emana. Nel Cantico dei Cantici, la Sposa dalle mani
distilla mirra, profumo che preserva dalla corruzione; le sue labbra sono
coperte di un nastro rosso, segno del pudore delle sue parole; i suoi occhi
assomigliano a quelli di una colomba per la loro purezza; il suo naso è
incorruttibile come i cedri del Libano. E’ così l’anima devota deve essere:
casta, pura, onesta di mani, di labbra, di orecchie, di occhi e di corpo. A questo proposito ti
riporto quello che dice il padre [del deserto] Cassiano, come uscito dalla bocca
del grande S. Basilio, che disse un giorno, parlando di se stesso: Non ho mai
conosciuto donne eppure non sono vergine. La castità si può perdere in tanti
modi quanti sono i generi di impudicizie e di lascivie, che poi, secondo che
sono grandi o piccole, l’indeboliscono, la feriscono, o la fanno morire del
tutto. Certe familiarità, certe passioncelle leggere e un po’ sensitive, a voler
essere nel giusto, non ledono gravemente la castità; tuttavia la indeboliscono,
la rendono malaticcia e offuscano il suo splendore. Ci sono poi altre
familiarità e passioni, che non sono soltanto indiscrete, ma viziose; non
soltanto leggere, ma disoneste; non soltanto sensitive, ma carnali; la castità
da queste ne rimarrà sempre almeno ferita e paralizzata. Ho detto almeno, perché
abitualmente muore e scompare del tutto quando le leggerezze e le lascivie danno
alla carne il massimo del piacere voluttuoso, perché in tal caso, la castità
perisce nel modo più indegno, perverso e infelice che si possa immaginare. E’
peggio di quando si perde per fornicazione, adulterio e incesto, perché questi
ultimi sono soltanto peccati, ma gli altri, dice Tertulliano, nel libro
dell’Impudicizia, sono ‘mostri’ di iniquità e di peccato. Cassiano non crede, e io
nemmeno, che S. Basilio si riferisca a queste sregolatezze, quando dice di non
essere più vergine; penso che si riferisse soltanto ai cattivi pensieri di
sensualità che, pur non avendo contaminato il corpo, avevano contaminato il
cuore, della cui castità, abitualmente, le anime riservate sono molto gelose. Nel modo più assoluto,
Filotea, non frequentare le persone licenziose, soprattutto se in più, sono
anche svergognate, il che avviene quasi sempre; sai perché? Sono come i caproni
che, leccando i mandorli dolci, li rendono amari. Quelle anime maleodoranti
e quei cuori infetti non riescono a conversare con alcuno, poco importa di quale
sesso, senza trascinarlo in qualche modo nell’impudicizia. Hanno il veleno negli
occhi e nell’alito come i basilischi. Frequenta piuttosto le
persone caste e virtuose, pensa e leggi spesso cose sante, perché la Parola di
Dio è casta e rende casti coloro che vi si compiacciono; sicché Davide la
paragona al topazio, pietra preziosa, che ha la proprietà di calmare l’ardore
della concupiscenza. Tienti sempre vicino a
Gesù Cristo crocifisso; fallo spiritualmente con la meditazione e realmente con
la santa Comunione: perché allo stesso modo che coloro i quali si coricano
sull’erba detta "agnus castus" diventano casti e puri, se tu riposi il cuore su
Nostro Signore, che è il vero Agnello casto e immacolato, scoprirai presto che
la tua anima e il tuo corpo sono mondati da tutte le sozzure e le sensualità.
Capitolo XIV
LA POVERTA’ DI SPIRITO OSSERVATA NELLE
RICCHEZZE Beati i poveri di spirito,
perché di essi è il regno dei cieli; infelici dunque i ricchi di spirito, perché
li aspetta la miseria dell’inferno. Il ricco di spirito è
quello che ha le ricchezze nel cuore e il cuore nelle ricchezze; il povero di
spirito è colui che non ha né le ricchezze nel cuore, né il cuore nelle
ricchezze. Gli alcioni fanno i nidi in forma di palma e vi lasciano soltanto una
piccola apertura in alto. Li piazzano sulla riva del mare e li costruiscono così
solidi e impermeabili che se anche le onde dovessero travolgerli, le acque non
penetrano; anzi rimangono sempre a galla in mezzo al mare, sul mare e padroni
del mare. Così deve essere il tuo
cuore, cara Filotea, aperto soltanto al cielo, e impenetrabile alle ricchezze e
ai beni caduchi. Se possiedi delle ricchezze, non impegnare il cuore in esse; fa
in modo di dominarle sempre e, pur essendo in mezzo ad esse, comportati come se
ne fossi senza. Non affogare quel dono del cielo, che è il cuore, nei beni della
terra; conservalo sempre superiori ad essi, sopra di essi, senza smarrirlo in
essi. Possedere del veleno ed
essere avvelenati non è la stessa cosa: i farmacisti possiedono quasi sempre del
veleno per servirsene in varie circostanze, ma non per questo sono avvelenati;
non hanno il veleno nel corpo, ma nel laboratorio. Allo stesso modo puoi
possedere ricchezze senza esserne avvelenata: questo se lo hai in casa o nel
portafoglio, ma non nel cuore. Essere ricco di fatto e
povero nel cuore è una gran fortuna per il cristiano; in tal modo ha gli agi
della ricchezza in questo mondo e il merito della povertà per ‘altro! Sai, Filotea? Nessuno al
mondo vorrà mai ammettere di essere avaro! Tutti negano di essere contagiati da
questo tarlo che inaridisce il cuore. Chi adduce a scusa il pesante fardello dei
figli, chi la necessità di crearsi una posizione solida. Non si possiede mai
abbastanza; si scopre sempre un motivo per avere di più: quelli poi che sono
avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in
coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre
maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili.
Mosè vide la fiamma che
bruciava un cespuglio senza consumarlo; al contrario il fuoco dell’avarizia,
consuma e divora l’avaro senza mai bruciarlo. Tra gli ardori e i calori più
forti, egli si vanta di provare la più riposante freschezza di questo mondo, e
ritiene la sua sete insaziabile una sete naturale e piacevole. Se desideri lungamente,
ardentemente e con ansia i beni che non possiedi, hai un bel dire che non li
vuoi acquistare ingiustamente. Non sarà per questo che cesserai di essere un
autentico avaro. Chi brama di bere con arsura, con insistenza e con ansia, anche
se desidera bere solo acqua, dimostra chiaramente di aver la febbre. Filotea, non so fino a che
punto sia un giusto desiderio voler possedere giustamente quello che un altro
giustamente già possiede; con questo desiderio noi vogliamo fare il comodo
nostro incomodando gli altri. Chi già possiede giustamente un bene, non ha forse
più ragioni di conservarlo giustamente, che noi di volerglielo portar via
giustamente? E perché vogliamo allungare il nostro desiderio sul suo bene per
portarglielo via? Ma anche volendo supporre che questo nostro desiderio sia
giusto per davvero, di sicuro non è caritatevole; è certo che noi saremmo molto
contrariati se qualcuno, anche giustamente volesse impadronirsi di quello che
giustamente possediamo noi! Questo è il peccato di Acab, che voleva
impossessarsi giustamente della vigna di Nabot, mentre Nabot giustamente voleva
conservarla. La desiderò con tanto ardore, così a lungo e tormentandosi che finì
con l’offendere Dio. Aspetta, Filotea, a
desiderare il bene del prossimo che il prossimo abbia il desiderio di
disfarsene; in tal caso il suo desiderio renderà il tuo più che giusto,
addirittura caritatevole. Sì, sono d’accordo che tu
abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con
giustizia, con calma e carità. Sì, sono d'accordo che tu
abbia cura di accrescere il tuo patrimonio e le tue possibilità, ma sempre con
giustizia, con calma e carità. Se sei molto attaccata ai
beni che possiedi, se ne sei tutta presa e ci metti dentro il cuore e i
pensieri, e temi con un timore intenso e ossessivo di perderli, credimi, hai
ancora la febbre. Chi ha la febbre beve l'acqua che gli offrono con
un'ingordigia, una bramosia e una soddisfazione che i sani abitualmente non
manifestano. Non è possibile trovare molta soddisfazione in una cosa, se non
nutriamo per la stessa molto affetto. Se capita che tu perda dei
beni e che il tuo cuore rimanga desolato, fortemente afflitto, credi a me,
Filotea, vuol dire che lì c'era molto del tuo affetto. Infatti l'afflizione per
la cosa perduta è la prova più certa dell'affetto che si aveva per essa. E allora non desiderare
con una brama travolgente e definita il bene che non hai; non impegnare troppo
il cuore in quello che possiedi; non disperarti per i rovesci che potranno
colpirti. Avrai allora qualche motivo di pensare che, pur essendo ricca di
fatto, non lo sei di affetto, ma sei povera di spirito e quindi felice, perché
il Regno dei cieli è tuo.
Capitolo XV
COME DEVE ESSERE PRATICATA LA POVERTA REALE
RIMANENDO RICCHI DI FATTO Il pittore Parrasio,
dipingendo il popolo di Atene, ebbe un'idea geniale: lo rappresentò con
espressioni sempre diverse: di collera, di rabbia, di incostanza, di cortesia,
di clemenza, di misericordia, di alterigia, di superbia, di umiltà, di vanità,
di timidezza, e tutto ciò contemporaneamente; io, cara Filotea, vorrei mettere
allo stesso modo contemporaneamente nel tuo cuore la ricchezza e la povertà, una
grande cura e un grande disprezzo dei beni temporali. Devi avere più cura tu di
rendere i tuoi beni utili e fruttuosi di quanta non ne abbia la gente di mondo.
Infatti i giardinieri dei grandi principi non sono forse più accurati e
diligenti nel coltivare ed abbellire i giardini loro affidati che se fossero di
loro proprietà? E perché? P- semplice: pensano che quei giardini appartengono ai
principi e ai re nelle grazie dei quali vogliono entrare con quel servizio. Filotea, tutto quello che
possediamo non è nostro: Dio ce l'ha affidato e vuole che lo rendiamo fruttuoso
e utile; se ne abbiamo cura per bene il nostro servizio gli sarà accetto. Deve
essere una cura maggiore e più continua di quella che la gente del mondo ha per
i propri beni. Essi si impegnano soltanto per amore di se stessi, noi invece
lavoriamo per amore di Dio. Se metti a confronto
questi due amori arrivi alla conclusione che, poiché l'amore di sé è un amore
violento, turbolento e ossessivo, anche la cura dei beni fondata su di esso sarà
agitata, rabbiosa e piena di paure; per contro poiché l'amore di Dio è dolce,
sereno e tranquillo, la cura dei beni fondata su di esso sarà serena, dolce e
tranquilla. Cerchiamo di essere calmi nella cura dei nostri beni temporali, sia
per conservarli, sia anche, all'occasione, per accrescerli, se la nostra
condizione lo richiede. Questa è la volontà di Dio e noi dobbiamo realizzarla
per amore. Ma fa attenzione agli
inganni dell'amor proprio; sa così bene scimmiottare l'amore di Dio, che a volte
sembra proprio lui! Per impedire questo equivoco, ossia che la cura dei beni
temporali si tramuti in avarizia, oltre a quanto ti ho indicato nel capitolo
precedente, dobbiamo molto spesso praticare una povertà reale ed effettiva, pur
vivendo circondati da tutte le ricchezze che Dio ci ha dato. Comincia col disfarti di
un po' dei tuoi beni dandoli di tutto cuore ai poveri: dare significa
impoverirsi nella misura in cui si dà, e più darai e più sarai povera. t- vero
che Dio ti ricompenserà, non soltanto nell'altro mondo, ma anche in questo;
infatti niente rende gli affari tanto prosperi quanto l'elemosina. Tuttavia, in
attesa mancherai di quello che hai dato! Ed è una santa e ricca
povertà quella procurata dall'elemosina. Ama i poveri e la povertà;
è questo amore che ti farà sinceramente povera, giacché, come dice la Scrittura,
noi assomigliamo alle cose che amiamo. L'amore rende simili gli amanti. Chi è
infermo e io non sono come lui? dice S. Paolo. Avrebbe anche potuto dire: Chi è
povero e io non lo sono come lui? L'amore lo rendeva simile a quelli che amava. Se dunque ami i poveri
parteciperai realmente della loro povertà e sarai povera con loro. Se è vero che
ami i poveri, frequentali spesso: sii contenta quando vengono a casa tua e tu va
a trovarli a casa loro. Parla volentieri con loro, sii contenta se ti vengono
vicino in chiesa, per strada, ovunque. Usa un linguaggio semplice con loro,
parlando come usano parlare tra di loro. Devi invece essere ricca di mano,
distribuendo loro con abbondanza dei tuoi beni. Vuoi fare ancora di più,
Filotea? Non accontentarti di essere povera come i poveri, ma sii più povera dei
poveri. E come? Il servo è minore del padrone: e allora tu fatti serva dei
poveri. Va a servirli nei loro giacigli quando sono ammalati, intendo di
persona, con le tue mani; sii la loro cuoca a tue spese; sii la loro cameriera,
la loro lavandaia. Filotea, questo servizio vale più di una corona reale. Sono preso da sconfinata
ammirazione ogni volta che penso allo zelo con il quale S. Luigi lo mise in
pratica: io considero quel monarca uno dei più grandi re della terra, ma di una
grandezza che abbraccia tutti i settori. Spesso serviva alla tavola dei poveri
che manteneva a sue spese; e quasi tutti i giorni tre li faceva sedere alla sua
mensa e spesso mangiava con amore quello che rimaneva nei loro piatti. Quando
visitava gli ammalati negli ospizi, e lo faceva spesso, abitualmente serviva
quelli che erano colpiti dalle malattie più ributtanti, come lebbrosi, cancerosi
e simili; li serviva a capo scoperto e in ginocchio, rispettando in essi la
persona del Salvatore del mondo; dimostrava loro una tenerezza che soltanto una
madre premurosa ha per il proprio figlio. S. Elisabetta, figlia del
re d'Ungheria, si univa abitualmente ai poveri e qualche volta, per
divertimento, si vestiva poveramente tra le sue dame e diceva loro: Se fossi
povera, mi vestirei così. Cara Filotea, quel
principe e quella principessa erano poveri sul serio in mezzo alle ricchezze ed
erano ricchi nella loro povertà. Beati quelli che sono
poveri in questo modo, perché di essi è il regno dei cieli. Ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto freddo e mi avete vestito; possedete il regno
che vi è stato preparato fin dalla creazione del mondo, dirà nel giudizio finale
il Re dei poveri a coloro che a loro volta avranno voluto essere re, dominando
le cose materiali. Tutti, prima o poi,
incontriamo situazioni nelle quali sperimentiamo la mancanza di qualche comodità
e ne sentiamo il peso. Ci capita, ad esempio, di ospitare una persona che
vorremmo e dovremmo trattare con riguardo e non c'è modo a causa dell'ora;
oppure ti capita di avere gli abiti belli in un luogo mentre ti servirebbero in
un altro per presentarti meglio; ti può capitare ancora che in cantina i vini si
siano voltati in aceto e ti rimane solo un vino cattivo e aspro; oppure ti trovi
in campagna in una bicocca dove manca tutto: il letto, la camera, un tavolo, il
personale! Capita spesso di avere
bisogno di qualche cosa anche se si è ricchi; in tal caso bisogna saper essere
poveri in quello che manca. Filotea, sii contenta in
queste situazioni, accettale volentieri e sopportale serenamente. Quando ti capiteranno
rovesci che ti impoveriranno, o molto o poco, quali la grandine, il fuoco, le
inondazioni, la siccità, le ruberie, i processi, allora sì che è il tempo di
praticare la povertà; accetta serenamente la diminuzione dei beni, adattati con
pazienza e costanza all'impoverimento. Esaù si presentò -a suo
padre con le mani coperte di peli, e Giacobbe lo imitò; ma siccome il pelo che
copriva le mani di Giacobbe non apparteneva alla sua pelle, ma ai guanti, se lo
poteva togliere senza scorticarsi; al contrario il pelo di Esaù apparteneva alla
sua pelle; era peloso per natura; chi avesse voluto levarglielo gli avrebbe
causato un atroce dolore, lo avrebbe fatto urlare e si sarebbe difeso. Quando i nostri beni sono
legati al cuore, se la grandine, i ladri o gli imbroglioni ce ne strappano una
parte, che urla, che agitazione, che tormento ne abbiamo! Ma se i nostri beni
sono attaccati a noi solo per la cura che Dio vuole che ne abbiamo e non sono
attaccati al cuore, se ce li strappano, non sarà per quello che daremo in smanie
e cadremo in svenimento. I vestiti degli uomini e
degli animali differiscono proprio in questo: i vestiti delle bestie fanno parte
della loro carne, quelli degli uomini sono soltanto sovrapposti, per poterli
indossare e togliere quando si vuole.
Capitolo XVI
COME PRATICARE LA RICCHEZZA DI SPIRITO NELLA
POVERTA' REALE Se sei povera di fatto,
cara Filotea, cerca di esserlo anche nello spirito; fa di necessità virtù, e
considera la pietra preziosa della povertà per quello che vale. Il mondo non
apprezza il suo splendore che rimane ugualmente meraviglioso e unico. Coraggio, Filotea, sei in
buona compagnia: Nostro Signore, la Madonna, gli Apostoli, tanti Santi e Sante
sono stati poveri, pur avendo avuto la possibilità di essere ricchi, se
l'avessero voluto. Quante persone del mondo, vincendo contrasti, a volte
durissimi, sono andati alla ricerca, con un amore impareggiabile, di madonna
Povertà nei chiostri e negli ospedali. E hanno tanto sofferto per trovarla! Lo
testimoniano S. Alessio, S. Paola, S. Paolino, S. Angela e tanti altri. Per te,
Filotea, la Povertà si è scomodata personalmente ed è venuta a trovarti; l'hai
incontrata senza bisogno di cercarla nella sofferenza. Abbracciala perché è
l'amica del cuore di Gesù Cristo, che è nato, vissuto e morto con lei vicino;
per tutta la vita l'ha avuta per governante. La tua povertà, Filotea,
ha due grandi privilegi che possono procurarti molto merito. Il primo è che non l'hai
scelta tu, ma è la volontà di Dio che ti ha creata povera senza alcun concorso
della tua volontà. Ora ciò che riceviamo dalla volontà di Dio senza altri
interventi, gli è gradito di più, se noi l'accettiamo di cuore e per amore della
sua santa volontà; quando c'è poco di nostro, c'è molto di DIO. L'accettazione pura e
semplice della volontà di Dio rende purissima la sofferenza. Il secondo privilegio di
questa povertà è quello di essere povera sul serio. Una povertà lodata,
corteggiata, stimata, aiutata e assistita assomiglia piuttosto alla ricchezza,
o, perlomeno, non è povera del tutto; ma una povertà disprezzata, isolata,
rinfacciata e abbandonata è veramente povera. Così è abitualmente la povertà
della gente che vive nel mondo: non sono poveri perché l'hanno voluto, ma perché
ci si sono trovati, e di questo non si tiene conto; e per il fatto che di questo
non si tiene conto, la loro povertà è più povera di quella dei religiosi,
benché, d'altra parte, questa abbia un valore più grande e raccomandabile, a
motivo del voto e dell'intenzione per cui è stata scelta. Non lamentarti, dunque,
cara Filotea, della tua povertà; ci si lamenta soltanto di ciò che ci dispiace;
e se la povertà ti dispiace, non sei povera nello spirito, ma anzi ricca nel
cuore. Non lamentarti di non essere aiutata come si dovrebbe; in questo consiste
il valore della povertà. Voler essere poveri e non volerne patire gli
inconvenienti, è una pretesa assurda. E’ pretendere l'onore della povertà e gli
agi delle ricchezze. Non vergognarti di essere
povera e di chiedere l'elemosina per carità; accetta con umiltà quello che ti
verrà dato e sopporta l'eventuale rifiuto con dolcezza. Ricordati spesso del
viaggio che la Madonna fece in Egitto per portare in salvo il Figlio, e quanto
disprezzo, povertà e miseria dovette sopportare! Se vivrai così sarai molto
ricca nella tua povertà.
Capitolo XVII
L'AMICIZIA E, PRIMA DI TUTTO, LA CATTIVA E LA
FRIVOLA L'amore occupa il primo
posto tra le passioni dell'anima: è il re di tutti i movimenti del cuore, fa
convergere tutto a sé e ci rende simili a ciò che amiamo. Fa attenzione, Filotea, a
non amare cose cattive: saresti irrimediabilmente e subito cattiva anche tu! L'amicizia è l'amore più
pericoloso: gli altri amori possono anche fare a meno di comunicare, l'amicizia
invece è fondata essenzialmente proprio sulla comunicazione. Di norma è
impossibile che l'amicizia non ci faccia partecipare delle qualità della persona
amata. Non ogni amore è amicizia.
3. In più coloro che si
amano, devono avere qualche bene in comune a base della loro amicizia. L'amicizia si differenzia
secondo la diversità dei modi di comunicare e i modi di comunicare si
differenziano secondo i beni che costituiscono l'oggetto dello scambio: se si
tratta di beni falsi e vani, l'amicizia è falsa e vana; se si tratta di beni
veri, l'amicizia è vera; e migliori saranno i beni, migliore sarà l'amicizia.
Infatti, allo stesso modo che il miele raccolto dalle gemme dei fiori più
deliziosi è il migliore, così l'amore fondato sullo scambio di un bene squisito
è ottimo. Esiste in Eraclea del
Ponto un genere di miele velenoso, che fa impazzire coloro che ne mangiano. t
velenoso perché viene raccolto dalla pianta dell'aconito, presente in abbondanza
in quella regione. Lo stesso è dell'amicizia fondata sullo scambio di beni vuoti
e viziosi: risulterà totalmente falsa e cattiva. Lo scambio di piaceri carnali è
semplicemente un'attrazione reciproca e un'esca bestiale che, tra gli uomini,
non merita di essere chiamata con il nome di amicizia; parola che del resto non
ci si sogna nemmeno di usare quando ci si riferisce agli stessi rapporti tra i
somari e i cavalli; e se nel matrimonio lo scambio si riducesse a questo, non
sarebbe possibile alcuna amicizia; ma siccome, oltre a ciò, c'è lo scambio della
vita, dell'iniziativa, degli affetti e di una indissolubile fedeltà, ecco perché
l'amicizia nel matrimonio è vera e santa. L'amicizia fondata sullo
scambio del piacere dei sensi è grossolana e non merita il nome di amicizia;
così pure quella fondata su virtù frivole e inutili, perché sono virtù che
dipendono dai sensi. Do il nome di piaceri dei
sensi a quelli che sono legati in modo diretto e principale ai sensi esteriori,
quali sono il piacere di ammirare la bellezza, di ascoltare una voce dolce, di
toccare e simili. Do il nome di virtù
frivole a certe abilità e qualità inutili che gli spiriti deboli chiamano virtù
e perfezioni. Ascolta quello che dicono la maggior parte delle ragazze, delle donne e dei
giovanotti in genere: non esiteranno a dire che Tizio è molto virtuoso, ha tante
perfezioni, perché balla bene, sa destreggiarsi abilmente in tutti i giochi, sa
vestirsi con gusto, canta bene, ha una brillante conversazione, ha un bell'aspetto.
I ciarlatani considerano migliori tra loro quelli che meglio riescono nell'arte
di fare i buffoni. Siccome tutto ciò riguarda
i sensi, per tale ragione le amicizie che hanno tali fondamenti si chiamano
sensuali, vane e frivole e meriterebbero più di essere chiamate follie che
amicizie. Di questo genere sono
abitualmente le amicizie dei giovani che riguardano i baffi, i capelli, lo
sguardo, gli abiti, il sussiego, la parlantina. Sono virtù caratteristiche
dell'età degli amanti, che hanno virtù poco solide, come la loro peluria del
mento e hanno il senno in bocciolo. Tali amicizie sono soltanto passeggere e
fondono come neve al sole.
Capitolo XVIII
LE PASSIONCELLE (I FLIRTS)
Quando queste allegre
amicizie hanno luogo tra persone di diverso sesso, senza alcuna intenzione di
giungere al matrimonio, si chiamano passioncelle; sono soltanto aborti, o meglio
ancora, fantasie di amicizie; ma non si deve dare loro il nome di amicizie o di
amori perché sono vuote e senza senso. Cionondimeno i cuori degli uomini e delle
donne vi rimangono catturati e si impegolano e si allacciano tra di loro in
affetti vani e leggeri, che hanno per fondamento soltanto quegli scambi frivoli
e quelle sciocche attrattive di cui ho appena parlato. Benché questi sciocchi
amori finiscano abitualmente per naufragare ed affogare in carnalità e lascivie
molto volgari, bisogna riconoscere che non è mai la prima intenzione degli
interessati tale conclusione. Altrimenti non sarebbero passioncelle, ma
impudicizie dichiarate. A volte potranno anche
trascorrere molti anni, senza che capiti tra coloro che sono afflitti da questa
follia, un solo gesto che sia contrario alla santità del corpo. Gli interessati
si limiteranno, con varie scuse, a stemperare i loro cuori in auguri, desideri,
sospiri, complimenti e simili scemenze e vanità. Alcuni vogliono soltanto
appagare il cuore nel dare e ricevere amore seguendo la loro inclinazione
all'amore; nella scelta degli amori costoro non riflettono minimamente: è loro
sufficiente seguire il gusto e l'istinto; sicché, quando incontrano una persona
piacevole, senza pensare al lato interiore, né al comportamento morale della
stessa, danno subito la stura alle loro passioncelle e si impigliano in una rete
dalla quale in seguito, faticheranno molto per liberarsi. Altri vi si lasciano
andare per vanità perché pensano che non è piccola gloria prendere e legare i
cuori con l'amore; costoro, poiché fanno la loro scelta per vanità, collocano le
loro tagliole e tendono le loro reti in luoghi privilegiati, eccelsi, distinti e
illustri. Altri ancora sono spinti
contemporaneamente dalla tendenza all'amore e dalla vanità, e agiscono in questo
modo perché, pur avendo il cuore fortemente attirato dall'amore, vogliono
aggiungervi anche un po' di gloria. Simili amicizie sono
cattive, folli e vane: cattive, perché vengono e
finiscono nel peccato della carne; rubano l'amore, e di conseguenza anche il
cuore, a Dio, alla moglie, al marito, a chi era dovuto; folli perché non hanno
basi, né motivazioni serie; vane, perché non recano alcuna utilità, nessun
onore, nessuna gioia. Al contrario, ci fanno perdere tempo, offuscano l'onore, e
non offrono alcun piacere, a meno che non si voglia chiamare piacere l'ansia di
attendere e sperare, senza sapere né quello che si vuole, né che cosa si
attende. Questi spiriti piccoli e
deboli sono persuasi che c'è un non so che nelle testimonianze di amore che
ricevono, ma non saprebbero precisare che cos’è; per questo la loro brama è
insaziabile ed alimenta, senza soste, nel loro cuore, eterne diffidenze, gelosie
e tormenti. S. Gregorio di N'azianzo,
scrivendo contro le donne vanitose, dice meraviglie, a questo proposito; cito un
brano che egli indirizza alle donne, ma va molto bene anche per gli uomini: " La
tua bellezza naturale è sufficiente per tuo marito; se poi vuoi che sia per
molti uomini, come una rete tesa per molti uccelli, che succederà? Ti piacerà
colui che ti troverà bella, ad occhiata risponderai con occhiata, a sguardo con
sguardo; presto verranno i sorrisi e le frasettine d'amore, all'inizio, fatte
scivolare di nascosto, ma presto si giungerà alla familiarità e al
chiacchiericcio manifesto. Sta attenta, lingua mia chiacchierona, a non dire
quello che verrà dopo; ma questa verità voglio dirla: niente di tutto ciò che i
giovanotti e le donne dicono o fanno insieme in quelle folli galanterie va senza
grosse ferite. Tutte le passioncelle sono legate insieme e si susseguono tutte,
proprio come un ferro preso da una calamita che, a sua volta, attira altri ferri
uno dopo l'altro ". Come ha ragione questo
santo Vescovo! Che cosa vuoi fare? Dare amore, non è vero? Nessuno può dare
volontariamente amore senza necessariamente riceverne in cambio; in questo gioco
chi prende è preso. L'erba chiamata aproxis, alla sola vista riceve e genera
fuoco: così sono anche i nostri cuori. Appena vedono un'anima che brucia d'amore
per loro, si infiammano immediatamente per lei. Voglio stare al gioco,
dirà qualcuno, ma poco per volta t'inganni: quel fuoco è forte e penetrante più
di quanto sembri. Pensi di non essere colpito che da una scintilla, e ti accorgi
che in un baleno tutto il cuore è incendiato, ridotti in cenere i tuoi propositi
e in fumo il tuo buon nome. Grida il Saggio: Chi avrà compassione di un
incantatore morso da un serpente? E io grido con lui: pazzo e insensato, pensavi
di domare l'amore per dosarlo a tuo piacimento! Volevi divertirti con lui, ma
egli ti ha punto e morso profondamente. Sai cosa dirà la gente? Rideranno di te
perché hai voluto incantare l'amore e, pieno di presunzione, ti sci messo in
seno una serpe pericolosa che ti ha rovinato e ci hai rimesso l'anima e l'onore. Mio Dio, che cieca pazzia
è mai questa? Rischiare in questo modo, con garanzie così fragili, la parte più
nobile della nostra anima! Sì, Filotea, perché Dio vuole l'uomo solo per
l'anima, l'anima solo per la volontà e la volontà solo per l'amore. Non abbiamo
amore a sufficienza nemmeno per ciò che è necessario! Voglio dire: già è molto
se ne abbiamo abbastanza per amare Dio; ciononostante, miserabili come siamo, lo
disperdiamo e dilapidiamo in cose sciocche, vane e frivole, come se ne avessimo
troppo! Quel grande Dio che aveva riservato per sé soltanto l'amore delle nostre
anime, quale riconoscenza per la creazione, la conservazione e la Redenzione,
esigerà un conto rigoroso delle sottrazioni che avremo fatto; pensa: ha detto
che ci chiederà conto delle parole oziose; come vuoi che non ce lo chieda delle
amicizie oziose, sciocche, pazze e dannose? Il noce reca molto danno
ai campi e alle vigne in cui è piantato, perché è grande ed assorbe tutte le
sostanze della terra, che così non riesce a nutrire anche le altre piante; il
suo fogliame è così folto che fa un'ombra grande e spessa. Per di più attira i
passanti che, per prenderne i frutti rovinano e calpestano tutt'intorno. Queste passioncelle
producono danni simili all'anima; l'occupano talmente e condizionano così
potentemente i suoi movimenti, che essa non è più disponibile per alcun'altra
opera buona; le foglie, ossia i chiacchiericci, i divertimento e i
corteggiamenti sono così frequenti che non lasciano spazio; infine attirano così
numerose le tentazioni, le distrazioni, i sospetti e tutto ciò che vi si
accompagna, sicché il cuore ne è rovinato e calpestato. In breve, queste
passioncelle, non solo allontanano l'amore celeste, ma anche il timore di Dio;
prostrano lo spirito, indeboliscono il buon nome. In una parola è il giocattolo
delle corti, ma la peste dei cuori!
Capitolo XIX
LE VERE AMICIZIE Ama tutti, Filotea, con un
grande amore di carità, ma legati con un rapporto di amicizia soltanto con
coloro che possono operare con te uno scambio di cose virtuose. Più le virtù
saranno valide, più l'amicizia sarà perfetta. Se lo scambio avviene nel
campo delle scienze, la tua amicizia sarà, senza dubbio, molto lodevole; più
ancora se il campo sarà quello delle virtù, come la prudenza, la discrezione, la
fortezza, la giustizia. Ma se questo scambio
avverrà nel campo della carità, della devozione, della perfezione cristiana,
allora sì, che si tratterà di un'amicizia perfetta. Sarà ottima perché viene da
Dio, ottima perché tende a Dio, ottima perché il suo legame è Dio, ottima perché
sarà eterna in Dio. L bello poter amare sulla
tetra come si ama in cielo, e imparare a volersi bene in questo mondo come
faremo eternamente nell'altro. Non parlo qui del semplice amore di carità,
perché quello dobbiamo averlo per tutti gli uomini; parlo dell'amicizia
spirituale, nell'ambito della quale, due, tre o più persone si scambiano
la devozione, gli affetti spirituali e diventano realmente un solo spirito. A
ragione quelle anime felici possono cantare: Com'è bello e piacevole per i
fratelli abitare insieme. Ed è vero, perché il delizioso balsamo della devozione
si effonde da un cuore all'altro con una comunicazione ininterrotta, di modo che
si può veramente dire che Dio ha effuso la sua benedizione e la sua vita su
simile amicizia per i secoli dei secoli. Mi sembra che tutte le
altre amicizie siano soltanto fantasmi a confronto di questa e i loro legami
anelli di vetro e di giaietto, a confronto del legame della devozione che è
tutta di oro fino. Non stringere amicizie di
altro genere; intendo dire quelle che dipendono da te. Non devi lasciar cadere,
né disprezzare quelle che la natura e i doveri precedenti ti obbligano a
intrattenere: quali quelle con i parenti, i soci, i benefattori, i vicini e
altri; ripeto, mi riferisco a quelle che tu scegli liberamente di persona. Può darsi che qualcuno ti
dica che non bisogna avere alcun genere di particolare affetto o amicizia,
perché ciò ingombra il cuore, distrae lo spirito, dà luogo ad invidie; ma si
sbagliano. Negli scritti di molti santi e devoti autori, hanno letto che le
amicizie particolari e gli affetti fuori dell'ordine sono molto dannosi per i
religiosi; pensano che la regola valga per tutti, ma su questo ci sarebbe molto
da dire. Premesso che in un
monastero ben ordinato, il progetto comune è di tendere tutti insieme alla vera
devozione, è evidente che non sono necessari questi scambi particolari, per
timore che, mentre si cerca in particolare ciò che è comune, non si passi dalle
particolarità alle parzialità. Ma per coloro che vivono tra la gente del mondo e
abbracciano la vera virtù, è indispensabile stringere un'alleanza reciproca con
una santa amicizia; infatti appoggiandosi ad essa, ci si fa coraggio, ci si
aiuta, ci si sostiene nel cammino verso il bene. Coloro che camminano in
piano non hanno bisogno di prendersi per mano, ma coloro che si trovano in un
cammino scabroso e scivoloso si sostengono l'un l'altro per camminare con
maggiore sicurezza. I religiosi non hanno bisogno di amicizie particolari, ma
coloro che vivono nel mondo, sì, per darsi reciprocamente sicurezza e aiuto in
tutti i passaggi pericolosi che devono affrontare. Nel mondo, non tutti tendono
allo stesso fine, non tutti hanno lo stesso spirito; bisogna dunque riflettere e
stringere amicizie secondo i nostri programmi; questa particolarità crea
veramente una parzialità, ma è una santa parzialità che non crea divisioni se
non quella del bene dal male, delle pecore dalle capre, delle api dai fuchi, che
sono separazioni necessarie. IR fuor di dubbio, e
nessuno si sogna di negarlo, che Nostro Signore nutrisse un'amicizia più tenera
e personale per Giovanni, Lazzaro, Marta, Maddalena; lo dice la Scrittura.
Sappiamo che S. Pietro aveva una predilezione per Marco e per Santa Petronilla;
S. Paolo per S. Timoteo e S. Tecla. S. Gregorio di Nazianzo si gloria cento
volte dell'amicizia che aveva per S. Basilio e così la descrive: " Si aveva
l'impressione che in noi due ci fosse una sola anima con due corpi. P, vero che
non bisogna prestare fede a coloro che dicono che tutto è in tutto; tuttavia è
vero che tutti e due eravamo in ciascuno e ciascuno nell'altro; coltivare la
virtù e ordinare i programmi della nostra vita alle speranze future; questo era
il modo di uscire da questa terra mortale, prima di morire ". S. Agostino dice che S.
Ambrogio voleva molto bene a S. Monica, per le rare virtù che ammirava in lei,
ed ella gli voleva bene come a un angelo di Dio. Ma ho torto -a farti
perdere tempo per una cosa così chiara. S. Girolamo, S. Agostino, S. Gregorio,
S. Bernardo e tutti i più grandi Servi di Dio hanno avuto amicizie personali
senza pregiudizio per la loro perfezione. S. Paolo, rimproverando ai Gentili il
disordine morale della vita, li accusa di essere gente senza affetto, ossia
gente incapace di amicizia. S. Tommaso, come del resto tutti i buoni filosofi,
dice che l'amicizia è una virtù: certamente parla dell'amicizia personale
perché, dice, la vera amicizia non può essere estesa a molte persone. La perfezione dunque, non
consiste nel non avere amicizie, ma nell'averne una buona, santa e bella.
Capitolo XX
LA DIFFERENZA TRA LE VERE AMICIZIE E QUELLE
FUTILI Fa attenzione, Fílotea:
voglio metterti in guardia perché tu non corra pericolo. Non so se tu sappia che
il miele di Eraclea, molto velenoso, assomiglia incredibilmente al miele comune;
e il pericolo di prendere uno per l'altro è reale, come pure quello di
mischiarli: nel qual caso l'inganno è anche peggiore perché la buona qualità
dell'uno non impedisce l'effetto velenoso dell'altro. Bisogna fare attenzione a
non lasciarsi trarre in inganno nelle amicizie, soprattutto quando si stringono
tra persone di sesso diverso, poco importa per quale motivo; spesso Satana si
sostituisce a coloro che amano. Si comincia sempre
dall'amore virtuoso, ma, se non si è molto saggi, si insinua presto l'amore
frivolo, poi si passa all'amore sensuale, poi a quello carnale; il pericolo
esiste persino nell'amore spirituale, se non si fa molta attenzione; benché in
questo sia molto più difficile la confusione e l'equivoco, perché la sua purezza
e il suo nitore rendono più evidenti le brutture che Satana vuole insinuarvi:
ecco perché il diavolo, quando ci prova, fa le cose con maggior finezza e tenta
di far scivolare le brutture quasi impercettibilmente. Distinguerai l'amicizia
mondana da quella santa e virtuosa, esattamente come si distingue il miele di
Eraclea dall'altro: il miele di Eraclea è più dolce al palato dei miele
ordinario; è l'aconito che gli aumenta la dolcezza; così fa abitualmente
l'amicizia mondana che sforna a ripetizione quantità enormi di parole melliflue,
una pioggia di frasette appassionate e di lodi sulla bellezza, la grazia e le
qualità sensuali: l'amicizia sana invece ha un linguaggio semplice e schietto,
loda soltanto la virtù e la grazia di Dio, unico suo fondamento. Il miele di Eraclea, una
volta ingoiato, provoca dei capogiri; allo stesso modo l'amicizia futile provoca
dei disorientamenti di spirito che rendono insicura la persona nella castità e
nella devozione. La conducono a sguardi languidi, vezzosi, insistiti; a carezze
sensuali, a sospiri equivoci, a piccole lamentele di non essere amati a
sufficienza; ad artifici ben mascherati, ma abili e cattivanti: galanterie,
abuso di baci e altre libertà e familiarità che portano alla volgarità e sono
sicuro presagio di una imminente resa dell'onestà. L'amicizia santa, invece,
ha occhi semplici e casti; gli atti di cortesia sono controllati e schietti; se
ci sono sospiri, saranno per il cielo, le libertà solo per lo spirito, i lamenti
saranno soltanto perché Dio non è abbastanza amato, prova infallibile
dell'onestà. Il miele di Eraclea turba
la vista; l'amicizia mondana turba il senno, di modo che coloro che ne sono
colpiti, pensano di agire bene mentre agiscono male, e sono convinti che le loro
scuse, i loro pretesti, e le loro parole sono motivi validi. Temono la luce e
amano le tenebre. L'amicizia santa invece ha gli occhi luminosi e non si
nasconde, anzi si fa vedere volentieri dalla gente per bene. Infine il miele di Eraclea
lascia un forte sapore amaro in bocca: avviene lo stesso nelle false amicizie
che si tramutano e finiscono in parole e richieste carnali e degne delle fogne;
in caso di rifiuto, esploderanno le ingiurie, le calunnie, le imposture, le
tristezze, le confessioni e le gelosie che si concludono quasi sempre
nell'abbrutimento e in isterismi; l'amicizia pulita è sempre uguale nell'onestà,
educata e amabile, e si muta soltanto in una unione degli spiriti più pura e più
perfetta, immagine vivente dell'amicizia beata che regna in Cielo. S.Gregorio di Nazianzo
dice che il pavone quando fa la ruota, emette il suo verso caratteristico e si
pavoneggia, eccitando le femmine che l'odono, alla lubricità. Allo stesso modo,
quando vedi un uomo pavoneggiarsi, agghindarsi e così parato, avvicinarsi per
fare chiacchiericcio, per sussurrare, mercanteggiare alle orecchie di una donna
matura o di una giovane, e tutto senza alcuna intenzione di matrimonio, beh, sta
certa che è soltanto per tentarla a qualche impudicizia; la donna onorata turerà
le proprie orecchie per non udire il verso di quel pavone e la voce
dell'incantatore che vuole sedurla; se ascolterà sarà l'inizio della perdita del
cuore. I giovani che fanno gesti
leziosi, smancerie, e carezze, o dicono parole che non vorrebbero che fossero
udite dai loro padri, madri, mariti, mogli o confessori, dimostrano in tal modo
che si stanno occupando non proprio dell'onore e della coscienza. La Madonna rimase turbata
vedendo un Angelo in sembianza di uomo, perché era sola e la stava lodando con
molta solennità: non dimentichiamo che erano lodi celesti! 0 Salvatore del
mondo! La purezza teme un Angelo in forma umana; perché la nostra purità non
dovrebbe temere un uomo, anche se in sembianza di Angelo, quando tesse lodi
sensuali o almeno umane?
Capitolo XXI
CONSIGLI E RIMEDI PER COMBATTERE LE CATTIVE
AMICIZIE Ma che cosa fare per
combattere gli amori futili, le stranezze, le pazzie, le brutture cui ho
accennato? Appena ne avverti i primi sintomi, volgiti subito dall'altra parte e,
respingendo nel modo più assoluto quelle stupidità, corri presso la Croce del
Salvatore, afferra la sua corona di spine e cingine il tuo cuore di modo che
quelle piccole volpi non possano avvicinarsi. Sta bene attenta a non
scendere a patti con il nemico; non dire: lo ascolterò, ma poi non farò nulla di
quanto mi suggerirà; gli presterò orecchio, ma gli rifiuterò il cuore. Filotea,
in tali circostanze, devi essere intransigente: il cuore e le orecchie sono
collegati, e com'è impossibile arrestare un torrente che scende a valle dalla
montagna, così è difficile impedire che l'amore entrato in un orecchio non
scenda presto nel cuore. Secondo Alcmeone le capre
respirano per le orecchie e non per le froge; Aristotele lo nega; io non ne so
niente, ma di certo so che il nostro cuore respira per l'orecchio, e siccome
inspira ed espira i suoi pensieri per mezzo della lingua, respira anche per
l’orecchio, per mezzo del quale riceve i pensieri degli altri. Proteggiamo
dunque scrupolosamente le nostre orecchie dai colpi d'aria delle parole inutili;
in caso contrario ben presto il nostro cuore ne sarà contagiato. Sotto nessun pretesto devi
ascoltare proposte oscene di alcun genere: è questo il solo caso in cui non
corri pericolo di essere incivile e scortese. Ricordati che hai
consacrato il cuore a Dio, gli hai dato il tuo amore, e sarebbe un sacrilegio
sottrargliene anche una briciola soltanto; rinnova la tua offerta con mille
propositi e promesse e rimani in quelle come un cervo nel suo rifugio e poi
invoca Dio. Egli ti verrà in aiuto: prenderà il tuo amore sotto la sua
protezione, per farlo vivere unicamente in Lui. Se poi sei già incappata
nelle reti di quei futili amori, allora sento l'obbligo di dirti che ti sarà
difficile sbarazzartene. Mettiti alla presenza della divina Maestà, riconosci
l'enormità della tua miseria, la tua debolezza, la tua vanità; poi con l'impegno
massimo di cui sarai capace, detesta quegli amori già iniziati, rinnega la
sciocca manifestazione che ne hai fatto, rinuncia a tutte le promesse ricevute
e, con una volontà forte e risoluta, decidi nel cuore e risolviti a mai più
ricominciare quei giochi e quelle schermaglie d'amore. Se poi ti è possibile
allontanarti fisicamente dalla persona coinvolta, sono d'accordissimo, perché,
allo stesso modo che coloro i quali sono stati morsi da un serpente, non possono
guarire facilmente in presenza di coloro che già sono stati morsi a loro volta,
la persona ferita d'amore difficilmente riuscirà a guarire da quella passione,
finché sarà vicina a quella ferita dallo stesso morso. Il mutamento del luogo è
molto utile per calmare la febbre e l'agitazione causate sia dal dolore che
dall'amore. Il ragazzo di cui parla S. Ambrogio nel II libro della Penitenza,
ritornò da un lungo viaggio completamente guarito dai futili amori che
l'avevano attanagliato prima; alla sciocca amante che, incontrandolo gli disse:
Non mi conosci? sono sempre la stessa! Sì, certo, rispose, ma sono io che non
sono più lo stesso. La lontananza aveva operato in lui quel felice mutamento. S. Agostino dice che per
alleviare il dolore per la morte dell’amico si allontanò da Tagaste, dove quegli
era morto, e se ne andò a Cartagine. Ma chi non può
allontanarsi? Deve troncare ogni conversazione privata, gli incontri segreti,
gli sguardi languidi, i sorrisi e in genere tutti gli scambi e gli ammiccamenti
che possono nutrire questo fuoco maleodorante e fuligginoso. Se poi le
circostanze esigono che si rivolga la parola al complice, deve essere per
dichiarare, con una coraggiosa, breve e seria protesta, il divorzio definitivo
che abbiamo giurato. Grido a voce alta, a chiunque sia caduto in questi lacci
passionali: taglia, tronca, spezza. Non bisogna perdere tempo a discutere queste
futili amicizie; bisogna strapparle non perdere tempo a sciogliere i nodi;
bisogna spezzarli è tagliarli; tanto quei cordoni e quei legami non hanno alcun
pregio.
Non bisogna avere riguardi
per un amore che è contrario all'amore di Dio. Ma, dopo avere in questo
modo spezzate le catene di quell'infame schiavitù, è possibile che resti qualche
strascico. I marchi e le piaghe dei ferri rimarranno impressi nei piedi, ossia
negli affetti. Non fa nulla, Filotea, se tu hai concepito per il tuo male tutto
l'orrore che merita; se farai così non sarai più agitata dalle ansie; proverai
soltanto un forte orrore per quell'amore infame e per tutto quello ad esso
collegato e sarai libera da ogni altro affetto per la persona che hai lasciato;
ti rimarrà soltanto un amore purissimo per Iddio. Se poi, a causa
dell'imperfezione del pentimento, rimane in te qualche inclinazione cattiva,
procura per la tua anima una solitudine mentale, come ti ho già insegnato, e
ritirati in essa con tutte le tue facoltà, e con mille slanci ripetuti dello
spirito, rinuncia alle tue inclinazioni, rinnegale con tutte le forze; datti
alla lettura dei Libri santi più di quanto non sei solita fare, confessati e
comunicati più spesso, con umiltà e sincerità parla di tutte queste suggestioni
e tentazioni al tuo direttore spirituale, se ti è possibile; o almeno con
qualche anima dalla fede profonda e molto prudente; sta certa che il Signore ti
libererà da tutte le passioni, se tu continuerai fedelmente questi esercizi. Ma, mi dirai, non è
ingratitudine rompere così drasticamente un'amicizia? lo ti dico: quant'è bella
l'ingratitudine che ti rende accetta a Dio! Filotea, non sarà ingratitudine, ma
anzi un'azione meritoria in favore del tuo amante; perché, spezzando i tuoi
legami, romperai anche i suoi; e se anche, sul momento, non saprà apprezzare la
sua felicità, lo farà ben presto e con te canterà in ringraziamento: 0 Signore,
tu hai spezzato i miei legami, io ti sacrificherò la vittima di lode e invocherò
il tuo santo Nome.
Capitolo XXII
L'amicizia richiede un
intenso scambio tra coloro che si vogliono bene: diversamente non può nascere e
tanto meno mantenersi. Ecco perché avviene spesso che agli scambi che sono alla
base dell'amicizia, se ne aggiungano molti altri che si insinuano
insensibilmente da cuore a cuore: e così gli affetti, le tendenze e le opinioni
passano in continuazione da uno all'altro. Questo soprattutto quando
all'affetto si aggiunge la stima; in tal caso apriamo il cuore all'amico con
molta larghezza per cui, con essa, entrano con facilità in noi tutte le sue
tendenze e le sue opinioni, poco importa se siano buone o cattive. Le api che raccolgono il
miele di Eraclea cercano soltanto il miele, ma con esso succhiano anche le
qualità velenose dell'aconito sul quale fanno la raccolta. A questo proposito,
Filotea, bisogna mettere in pratica la parola che il Salvatore delle anime
nostre era solito ripetere e che gli antichi ci hanno insegnato: Sii abile
cambiavalute, batti buona moneta; ossia, non accettare il denaro falso con il
buono, né l'oro di bassa lega con l'oro fino; separa il metallo prezioso dal
vile. Fa' attenzione perché nessuno va esente da imperfezioni. E che motivo c'è di
ricevere alla rinfusa difetti e imperfezioni dell'amico assieme alla sua
amicizia? E’ evidente che bisogna volergli bene nonostante le sue imperfezioni,
ma non bisogna voler bene alle sue imperfezioni e prenderle su di noi;
l'amicizia richiede che ci comunichiamo il bene, non il male. A somiglianza di coloro
che cavano la ghiaia dal Taro e separano l'oro che trovano Per portarlo via,
mentre lasciano il resto sulla riva del fiume, coloro che comunicano con l'amico
devono saper separare la sabbia delle imperfezioni e non lasciarla penetrare
nelle loro anime. S. Gregorio di Nazianzo ci
dice che molti, i quali volevano bene e ammiravano S. Basilio, erano talmente
portati alla sua imitazione, che lo scimmiottavano anche nelle sue imperfezioni
esteriori, nel suo modo di parlare lentamente e con lo spirito assorto e
pensoso, nel taglio della barba e nel modo di camminare. Noi vediamo dei mariti,
delle mogli, dei figli, degli amici, che hanno tanta stima dei loro amici, dei
loro padri, dei loro mariti, delle loro mogli, che per condiscendenza o
imitazione, prendono da loro, assieme all'amicizia, mille piccole tendenze
cattive. Questo non deve accadere:
ciascuno ne ha abbastanza dei propri difetti senza bisogno di caricarsi anche di
quelli degli altri; aggiungo che l’amicizia non soltanto non lo richiede, ma al
contrario, ci obbliga a darci reciprocamente una mano per liberarci da tutte le
forme di imperfezione. E’ fuor di dubbio che
bisogna sopportare con dolcezza l'amico nelle sue imperfezioni, ma non
incoraggiarlo in quelle, e ancor meno trasferirle in noi. Parlo soltanto di
imperfezioni; quanto ai peccati non bisogna accettarli e sopportarli nemmeno
nell'amico. Un'amicizia che lascia morire l'amico senza prestargli aiuto, è
un'amicizia debole e cattiva; vedere un amico che muore di un ascesso e non
avere il coraggio di dare il colpo di bisturi per salvarlo, non è amicizia. L'amicizia vera e vitale
non sopravvive tra i peccati. Si dice che, dove si adagia, la salamandra spegne
il fuoco; il peccato distrugge l'amicizia in cui si annida: se si tratta di un
peccato passeggero, l'amicizia lo mette immediatamente in fuga con la
correzione; ma se ci rimane e ci si ferma, l'amicizia perisce immediatamente,
perché per vivere ha bisogno della virtù; da qui risulta molto chiaro che non è
possibile peccare per amicizia. L'amico diventa nemico
quando vuole condurci al peccato e merita di perdere l'amicizia se vuol condurre
l’amico alla rovina e alla dannazione; una delle prove più sicure di una falsa
amicizia è vederla praticata tra persone viziose, qualunque sia il genere di
peccato che le accomuna. Se colui al quale vogliamo bene è preda del vizio, la
nostra amicizia è sicuramente viziosa; giacché se non può avere per base una
solida e sincera virtù, è giocoforza che sia fondata su una virtù apparente o su
qualche aspetto sensuale. Una società costituita tra
i commercianti per il profitto temporale ha soltanto l'apparenza di vera
amicizia. Essa non ha per fine l'amore delle persone, ma l'amore del denaro. Infine eccoti due massime,
fondamentali colonne della vita cristiana; una è del Saggio: Chi teme Dio
incontrerà una buona amicizia; l'altra è di S. Giacomo: L'amicizia di questo
mondo è nemica di Dio.
Capitolo XXIII
GLI ESERCIZI DELLA MORTIFICAZIONE ESTERIORE Coloro che si intendono di
agricoltura e di coltiva2ione di alberi da frutta assicurano che se si incide
una parola su una mandorla intatta e poi si rimette nel suo nocciolo, si
richiude e si salda a perfezione, e si pianta, tutte le mandorle che produrrà
l'albero che ne nascerà porteranno scritta la parola incisa nella mandorla
piantata. Non ho mai approvato il
metodo di coloro che per riformare l'uomo cominciano dall'esterno: dal contegno,
dall'abito, dai capelli. Mi sembra che si debba cominciare dal di dentro:
Convertitevi a me con tutto il cuore, dice Dio. Figlio mio, dammi il tuo cuore;
e questo perché è il cuore la sorgente delle azioni, per cui le azioni sono
secondo il cuore. Lo Sposo divino invita
l'anima e le dice: Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul
tuo braccio. E’ proprio vero perché chi ha Gesù nel cuore lo ha ben presto anche
in tutte le azioni esteriori. Ecco perché, cara Filotea,
prima di tutto, voglio incidere e scrivere nel tuo cuore questo santissimo
Motto: VIVA GESU’; e sono sicuro che in seguito la tua vita, vero albero
nato dal cuore, come il mandorlo dal nocciolo, produrrà tutte le azioni, ossia i
suoi frutti, segnati dallo stesso motto della salvezza. Quel dolce Gesù, che
sarà vivente nel tuo cuore, lo si vedrà nei tuoi occhi ' sulla tua bocca, nelle
tue mani e persino dai tuoi capelli; e potrai dire sinceramente, sull'esempio di
S. Paolo: Vivo sì, ma non più io; è Cristo che vive in me. A dirla in breve, chi
conquista il cuore e dell'uomo conquista tutto l'uomo. Ma proprio questo cuore,
dal quale vogliamo cominciare, ha bisogno di essere educato su come darsi una
linea di condotta e un comportamento, di modo che non si manifesti soltanto la
santa devozione, ma anche una profonda saggezza con altrettanta discrezione. A
tal fine eccoti alcuni consigli. Se sei in condizione di
sopportare il digiuno, farai bene a digiunare qualche giorno in più di quelli
che comanda la Chiesa; perché, oltre all'effetto ordinario del digiuno, che è
quello di liberare lo spirito, sottomettere la carne, praticare la virtù e
accrescere l'eterna ricompensa in cielo, il digiuno ci dà modo di dominare i
nostri appetiti, e mantenere la sensualità e il corpo sottomessi allo spirito; e
anche se i digiuni non saranno molti, il nemico quando si accorgerà che sappiamo
digiunare, ci temerà di più. Il mercoledì, il venerdì e
il sabato sono i giorni che i primi cristiani più facilmente consacravano alla
astinenza: scegline uno tra di essi per digiunare, secondo quanto ti consiglierà
la tua devozione e la discrezione del tuo direttore spirituale. Ripeto volentieri quanto
dice S. Girolamo a Leta: I digiuni lunghi ed esagerati mi indispongono molto,
soprattutto se sono effettuati da persone in giovane età. Ho sperimentato che il
somarello fiacco cerca di deviare dal sentiero; ossia, i giovani che si ammalano
per digiuni eccessivi, si girano facilmente verso le cose delicate. I cervi
corrono goffamente in due circostanze: quando sono troppo grassi e quando sono
troppo magri. Anche noi siamo molto fragili di fronte alle tentazioni sia quando
il nostro corpo è troppo pasciuto, come quando è troppo debole; nel primo caso è
presuntuoso nel suo benessere, nell'altro è disperato nel suo malessere; quando
è troppo grasso non riusciamo a portarlo, quando è troppo magro lui non porta
noi. La mancanza di misura nei digiuni, nelle flagellazioni, nell'uso del
cilicio, nelle asprezze rende molte persone incapaci di consacrare gli anni
migliori della vita ai servizi della carità; questo avvenne anche a S. Bernardo
che si pentì in seguito di aver abusato di penitenze troppo dure; chi ha
trattato con troppa durezza il proprio corpo all'inizio, finirà col blandirlo
alla fine. Non pensi che se quei tali avessero agito con più senno, se gli
avessero riservato un trattamento sempre uguale e -adeguato ai suoi compiti ed
alle sue occupazioni avrebbero fatto meglio? Il digiuno e il lavoro
domano e prostrano la carne. Se il lavoro che fai ti è
necessario, o è molto utile alla gloria di Dio, sono dei parere che sia meglio
per te affrontare la fatica del lavoro che quella del digiuno; questo è il
pensiero della Chiesa che dispensa anche dai digiuni comandati quelli che si
consacrano a lavori utili al servizio di Dio -e del prossimo. C'è chi fa fatica a
digiunare, chi invece a servire gli ammalati, un altro a visitare i prigionieri,
a confessare, a predicare, consolare gli afflitti, Pregare ed altri esercizi
simili: queste ultime fatiche valgono di più di quella del digiuno, perché,
oltre a darci ugualmente il dominio sulla carne, in Più ci offrono frutti molto
più apprezzabili. Come principio generale è
meglio conservare forze corporali più di quanto serve, che perderne più di
quanto è necessario; si può sempre fiaccarle, volendolo; ma non sempre basta
volerlo, per recuperarle. Mi sembra che dobbiamo
avere una grande considerazione per la frase che Nostro Signore, Salvatore e
Redentore disse ai suoi discepoli: Mangiate ciò che vi sarà presentato Io sono
del parere che sia maggiore virtù mangiare senza scelta ciò che ti viene
presentato, e nell'ordine in cui ti viene presentato, senza far caso se sia di
tuo gusto o meno, che scegliere sempre quanto c'è di peggiore. Perché se anche
questo ultimo modo di agire sembra più austero, l'altro denota maggiore
mortificazione, perché non ti porta soltanto alla rinuncia al tuo gusto, ma
anche alla scelta personale; e mi sembra che non sia una mortificazione da poco
piegare il proprio gusto alle circostanze del caso e tenerlo sottomesso alle
situazioni fortuite; in Più questo genere di mortificazione passa inosservato,
non dà noia ad alcuno ed è di un valore ineguagliabile quanto a buona
educazione! Mettere da parte un cibo
per prenderne un altro, piluccare e assaggiare tutto senza mai trovare nulla di
ben preparato e a puntino, giocare a fare il misterioso ad ogni boccone. Tutto
ciò manifesta un cuore da mollusco, sensibile solo ai piatti e alle scodelle.
Ammiro di più S. Bernardo che beve olio per acqua o vino per colpa di altri, che
se avesse bevuto assenzio per propria scelta; quello che fece disse chiaramente
che non faceva caso a quello che beveva! E in questa indifferenza a
ciò che si mangia e a ciò che si beve si trova la perfezione di questa parola:
Mangiate ciò che vi sarà presentato. Faccio eccezione per i
cibi che nuocciono alla salute o che disturbano lo spirito, come sono, per
molti, i cibi caldi e le spezie che riscaldano e che gonfiano; o anche certe
circostanze nelle quali la natura deve essere sostenuta, per avere la forza di
affrontare qualche impegno per la gloria di Dio. Una sobrietà costante e
moderata è molto meglio che le privazioni violente fatte di tanto in tanto,
intervallate da periodi di grande rilassatezza. Se presa con moderazione,
la disciplina dà meravigliosi risultati nel risvegliare il desiderio della
devozione. Il cilicio domina potentemente il corpo, ma il suo uso abitualmente
non è consigliabile agli sposati, alle persone di costituzione delicata, o a
quelli che devono sopportare altre grosse fatiche. Tuttavia si può impiegare,
volendo, nei giorni forti di penitenza, sempre che il confessore sia d'accordo. La notte, ciascuno secondo
la propria costituzione, deve prendersi il tempo sufficiente per dormire; questo
per poter essere pienamente sveglio e fresco di giorno. Si aggiunga che la Sacra
Scrittura in cento modi, l'esempio dei Santi e motivi di ordine naturale, ci
raccomandano fortemente, come momento più ricco e producente del giorno, il
mattino. Oltre a ciò pensa che Nostro Signore viene chiamato Sole che sorge, la
Madonna Alba del giorno. Penso che tutto ciò
indichi che è segno di virtù coricarsi di buon'ora la sera per potersi alzare
per tempo il mattino. Certamente è il tempo più bello, il più dolce e il meno
occupato; anche gli uccelli ci invitano, al mattino per tempo, a lodare Dio; di
modo che l'alzarsi presto giova alla salute e alla santità. Balaam, cavalcando la sua
asina, stava recandosi a trovare Balac; ma siccome la sua intenzione non era
retta, l'Angelo lo attendeva sulla strada con la spada sguainata per ucciderlo.
L'asina, che vedeva l'Angelo, si fermò tre volte rifiutandosi di avanzare;
Balaam la prendeva ferocemente a bastonate per farla avanzare; alla terza volta
si coricò del tutto sotto Balaam e, per un grande prodigio, parlò e disse: Che
cosa ti ho fatto? Perché mi hai già bastonato tre volte? Subito si apersero gli
occhi a Balaam che vide l'Angelo, il quale gli disse: Perché hai percosso la tua
asina? Se non ti avesse tenuto lontana) da me io ti avrei ucciso e lei l'avrei
risparmiata! Rispose allora Balaam: Signore, ho peccato perché non sapevo che ti
eri posto contro di me sulla via. Vedi, Filotea, Balaam ha
fatto il male e bastona e percuote la povera asina che non c'entra per nulla. E’ quello che avviene
spesso nella nostra vita. Guarda per esempio quella donna; cade malato il figlio
o i marito, e subito ricorre al digiuno, alla disciplina, al cilicio, come fece
Davide in un caso simile, Cara amica, tu percuoti il povero asino, affliggi il
tuo corpo, che non ha niente a che fare con il tuo male. Non è lui che ha
provocato la spada di Dio contro di te; correggi Piuttosto il cuore che idolatra
il marito e che tollera mille vizi nel figlio, e lo conduce all'orgoglio, alla
vanità, all'ambizione. Ci sarà qualche altro che
cadrà pesantemente nel peccato di lussuria: il rimorso interiore aggredirà la
sua coscienza con la spada in pugno per trapassarla di santo timore; e subito,
riprendendo la padronanza del cuore griderà: carne traditrice, corpo traditore,
tu mi hai rovinato. E subito infierirà a grandi colpi sulla carne, con digiuni
sregolati, discipline senza criterio, cilici insopportabili. Povero te, se il
tuo corpo potesse parlare come l'asina di Balaam! Ti direbbe: Miserabile, perché
mi percuoti? t contro te, anima mia, che Dio prepara la vendetta; sei tu la
criminale; perché mi conduci alle cattive conversazioni? Perché impieghi i miei
occhi, le mie mani, le mie labbra nei piaceri? Perché mi turbi con cattive
fantasie? Fa buoni pensieri e io non avrò cattivi movimenti, frequenta la gente
onesta e lo non sarò agitato dalla concupiscenza. Sei tu che mi getti nel fuoco
e poi pretendi che non arda. Mi getti il fumo negli occhi e non vuoi che gli
occhi si infiammino. In questi casi Dio ti
dice: Percuoti spezza fendi, strapazza prima il tuo cuore, perché è contro di
esso che sono adirato. Per guarire il prurito non
serve molto lavarsi e fare il bagno, quanto piuttosto purificare il sangue e
rinfrescare il fegato. Allo stesso modo per sanare i nostri vizi, è bene, sì,
mortificare la carne, ma più ancora e necessario purificare i nostri affetti e
rinnovare il nostro cuore. Per chiudere, ricordati di
non dare mai seguito a penitenze corporali senza aver avuto il parere favorevole
del tuo direttore spirituale.
Capitolo XXIV
LE CONVERSAZIONI E LA SOLITUDINE Ricercare le conversazioni
e fuggirle sono due estremi ugualmente riprovevoli in una devozione civile quale
è quella che vado proponendoti. La fuga dalla
conversazione tradisce un senso di superiorità e disprezzo nei confronti del
prossimo; la ricerca, per contro, tradisce tendenza all'ozio e alla professione
di perditempo. Bisogna amare il prossimo
come se stessi e, per dimostrargli amore, non bisogna evitare di incontrarlo; ma
per dimostrare che vogliamo bene anche a noi stessi, occorre rimanere con noi
quando ne abbiamo I’opportunità. E questa l'abbiamo quando siamo soli: Pensa a
te stesso, dice S. Bernardo, e poi agli altri. Se dunque nulla ti impone di far
visite o riceverne a casa tua, rimani in te stessa e conversa con il tuo cuore.
Ma se ti capita di trovarti in compagnia o, per qualche giusto motivo devi
andare a cercarla tu stessa, vacci con Dio, Filotea, e guarda il prossimo con
cuore contento e occhio felice. Vengono chiamate cattive
conversazioni quelle che si tengono con intenzione perversa, o anche se quelli
che vi partecipano sono viziosi, scriteriati, dissoluti; da quelle bisogna stare
lontano, come fanno le api che si tengono lontane dai gruppi di tafani e di
calabroni. Allo stesso modo che
quelli i quali sono stati morsi da cani arrabbiati, sudano, hanno il fiato e la
saliva pericolose, soprattutto per i bambini e le persone di costituzione
delicata, quei viziosi depravati costituiscono sempre un pericolo e un rischio
per coloro che li frequentano, soprattutto se si tratta di persone dalla
devozione ancora tenera e delicata. Ci sono conversazioni che
hanno il solo scopo di divertire, servono per distrarsi un po' dalle occupazioni
serie; a quelle è chiaro che non dobbiamo consacrarci; lasciamo loro soltanto il
tempo libero destinato a riposarci. Altre conversazioni hanno
per fine la buona educazione, come, ad esempio, lo scambio di visite e certe
riunioni che si fanno per onorare il prossimo: direi che per quelle non bisogna
farsi scrupolo nel disertarle. Però nemmeno essere troppo incivili dimostrando
per esse disprezzo. Facciamo con moderazione il nostro dovere, evitando in ugual
misura di essere rozzi e leggeri. Rimangono le conversazioni
utili, quali quelle delle persone devote e virtuose: Filotea, ritieni una grande
grazia incontrarne spesso. La vigna piantata tra gli olivi dà un'uva grassa che
sa di oliva; un'anima che si trovi a frequentare spesso gente di virtù partecipa
necessariamente delle loro qualità. I fuchi da soli non fanno
miele, ma in compagnia delle api qualche cosa riescono a fare. La conversazione
con le anime devote ci aiuta molto nell'esercizio della devozione. In ogni conversazione
occorre dare sempre la preferenza alla spontaneità, alla semplicità, alla
dolcezza, alla misura. C'è gente che si comporta e si muove con tanto studio che
tutti ne sono annoiati, Uno che non volesse mai spostarsi senza cadenzare il
passo, che non volesse parlare senza cantare, sarebbe davvero un peso per tutti;
non è diverso per quelli che hanno sempre un contegno studiato e agiscono
soltanto con mosse calcolate; rendono impossibile la conversazione; la gente di
questo tipo è ammalata di presunzione. In via ordinaria la nostra
conversazione deve essere dominata da una gioia moderata. S. Romualdo e S.
Antonio vengono molto lodati perché, nonostante tutte le austerità, avevano
sempre il volto e le parole illuminate di gioia, allegria e civiltà. Sta allegra con chi è
contento, ti ripeto con l'Apostolo; sii sempre contenta, ma in Nostro Signore, e
la tua moderazione sia nota a tutti gli uomini. Per gioire in Nostro
Signore, è necessario che '1 motivo della tua gioia, non solo sia lecito, ma
anche onesto. Dico questo perché ci sono cose lecite che poi risultano
disoneste; per mettere in evidenza, per esempio, la tua modestia, sta attenta a
non diventare insolente, il che è sempre da riprovare. Fare lo sgambetto a uno,
mettere in ombra un altro, pungere un terzo> fare del male a un menomato, sono
scherni e soddisfazioni stupide, insolenti e anche cattive. Ma oltre alla solitudine
mentale, nella quale ti è sempre possibile rifugiarti anche in mezzo alle più
rumorose compagnie, e di cui ti ho già parlato, (P. Il, C. XII), devi amare
anche la solitudine locale e reale; non voglio spedirti nel deserto, come S.
Maria Egiziaca, S. Paolo, S. Antonio, Arsenio e gli altri padri eremiti, ma
penso che ogni tanto ti farebbe bene rimanere sola in camera tua, nel tuo
giardino o altrove, dove ti sia possibile raccogliere il tuo spirito nel tuo
cuore e ritemprare la tua anima con buoni propositi e santi pensieri, o con
qualche buona lettura, come faceva quel santo vescovo di Nazianzo che parlando
di se stesso diceva: Passeggiavo con me stesso al tramonto del sole e
trascorrevo il tempo in riva al mare; ho questa abitudine per riposarmi e
liberarmi un po' dalle preoccupazioni quotidiane. Abbiamo anche l'esempio di
S. Ambrogio riferito da S. Agostino ci racconta che spesso entrava in camera sua
(non 'chiudeva mai la porta a nessuno), e lo guardava leggere. Aspettava un po',
poi se ne andava per non disturbarlo e, senza dir parola, pensando che il tempo
che rimaneva a quel grande pastore per ritemprare e distendere il proprio
spirito, dopo il carico di una giornata di lavoro, non doveva essergli tolto. Anche Nostro Signore agì
allo stesso modo con gli Apostoli dopo che gli avevano raccontato le loro
fatiche nella predicazione e nel ministero: Venite in disparte, disse loro, e
riposatevi un po'.
Capitolo XXV
IL BUON GUSTO E IL SENSO DELLA MISURA NEL
VESTIRE S. Paolo vuole che le
donne devote, vale anche per gli uomini, vestano abiti decenti, ornandosi con
modestia e misura. Il decoro degli abiti e degli altri ornamenti si deduce dalla
stoffa, dal taglio, dalla pulizia. Per quello che riguarda la
pulizia deve essere costante e generale; per quanto ci è possibile non lasciamo
sugli abiti tracce di sporcizia e segni di trascuratezza. La pulizia esteriore
indica, in una certa misura, l'onestà interiore. Dio stesso esige la pulizia
esteriore in coloro che si avvicinano al suo altare, e hanno la principale
responsabilità della devozione. Per quello che riguarda la
stoffa e il taglio degli abiti, il decoro va collegato a diverse circostanze: di
tempo, di età, di rango, di ambiente, di situazioni. Abitualmente ci si veste
meglio nei giorni di festa, tenuto conto anche della solennità che ricorre; in
tempo di penitenza, come in Quaresima, si veste in tono molto dimesso; se vai a
nozze ti vesti con l'abito adatto alle nozze; se vai a un funerale, con l'abito
adatto al funerale; se vai dal principe, alzi il tono; se resti con i domestici,
ti adegui a loro. La donna sposata, quand'è
col marito, deve ornarsi per piacere a lui, se lo facesse quando lui è lontano
sarebbe lecito chiedersi agli occhi' di chi voglia essere piacente. Alle ragazze sono permessi
più fronzoli, perché hanno il giusto diritto di voler piacere a molti anche se
deve essere soltanto per conquistarne uno in vista del matrimonio. Niente di male che anche
le vedove, che cercano marito, si ornino con una certa evidenza, purché non
esibiscano leggerezze; sono già madri di famiglia, hanno passato i dispiaceri
della vedovanza; si ha il diritto di giudicarle persone di spirito maturo e
formato. Le vere vedove, che s ' i
sentono tali non solo nel corpo, ma anche nel cuore, devono rinunciare a tutti
gli ornamenti; per esse c'è l'umiltà, la modestia, la devozione. Se vogliono
dare amore agli uomini, non sono vedove vere, e se non ne vogliono dare, perché
vanno in giro con le insegne? Chi non vuole più ricevere clienti, deve togliere
l'insegna. Ci si diverte sempre alle spalle delle persone anziane che vogliono
fare i belli: le pazzie si possono permettere solo ai giovani! Sii sempre in ordine,
Filotea; non ci deve essere niente in te che sappia di trasandato, di
approssimativo, di raffazzonato: sarebbe segno di disprezzo per quelli che
incontri, andare da loro con un abito indecoroso; d'altra parte evita
l'affettazione, la vanità, la ricercatezza, le follie. Fin che ti è possibile
rimani semplice e modesta; è il più bell'ornamento della bellezza e la miglior
copertura in caso che la bellezza non ci fosse! S. Pietro chiede, in modo
particolare alle giovani donne, di non portare i capelli esageratamente
increspati, arricciati, inanellati, ritorti a modo di serpente. Gli uomini tanto
smidollati da perdere tempo in queste civetterie, sono additati da tutti come
ermafroditi, e le donne vanitose sono considerate arrendevoli in fatto di
castità. Se poi sono virtuose non è che si veda tanto in mezzo a tante scemenze
e stupidaggini. Dicono, per difendersi, che non pensano male; ma io dico, come
del resto ho già detto, che al male ci pensa il diavolo. Da parte mia vorrei che il
devoto e la devota che seguono i miei consigli fossero quelli vestiti sempre con
più gusto nella brigata, ma i meno ricercati e affettati; come dice il
proverbio, vorrei che fossero ornati di grazia, di gentilezza e di dignità. S.
Luigi lo esprime molto bene: Ci si deve vestire secondo la propria condizione,
di modo che i saggi e i buoni non possano dire: ti sei caricato troppo; e i
giovani: ti sei tirato troppo giù. Ma in caso che i giovani
non fossero soddisfatti del nostro decoro, poco danno, atteniamoci al parere dei
saggi!
Capitolo XXVI
SUL PARLARE E IN PRIMO LUOGO COME SI DEVE
PARLARE DI DIO I medici, dall'esame della
lingua di un paziente, si fanno un'opinione fondata sul suo stato di salute; per
noi le informazioni valide sullo stato della nostra anima sono le parole: Dalle
tue parole, dice il Salvatore, sarai giustificato e dalle tue parole sarai
condannato. Quando proviamo un dolore, subito vi portiamo la mano sopra; lo
stesso fa la lingua sull'amore che proviamo. Per cui, Filotea, se sei
molto innamorata di Dio, parlerai spesso di Dio nelle conversazioni familiari
con i i tuoi domestici, con gli amici, con i vicini: perché, la bocca del
giusto mediterà la sapienza, e la sua lingua parlerà con giudizio. A somiglianza
delle api, che con la loro boccuccia trattano solo il miele, la tua lingua sarà
sempre profumata del suo Dio, e il tuo più grande piacere sarà quello di sentir
fluire dalle tue labbra lodi e benedizioni al suo nome, proprio come si dice di
S. Francesco d'Assisi, il quale, dopo che aveva pronunciato il santo nome del
Signore, ripassava la lingua sulle labbra per continuare ad assaporare la più
grande dolcezza del mondo. Ma quando parli di Dio,
ricordati che stai parlando di Dio, ossia che lo devi fare con rispetto e
devozione, non prendendo atteggiamento di sufficienza o il tono di una predica,
ma con spirito di dolcezza, di carità e di umiltà, facendo scendere, come ben
sai e come si dice della Sposa nel Cantico dei Cantici, il miele delizioso della
devozione e delle cose divine, goccia a goccia, ora nell'orecchio dell'uno, ora
nell'orecchio dell'altro; e pregherai Dio nell'intimo della tua anima che voglia
far scendere quella santa rugiada fino al cuore di quelli che ascoltano. Questo
compito angelico va condotto con dolcezza e soavità; bisogna evitare il tono
della correzione; bisogna procedere per modo di ispirazione; sai bene che la
soavità dei modi e l'amabilità nel proporre qualche buon suggerimento, compiono
meraviglie ed hanno la forza di un invito irresistibile per i cuori. Non parlare mai di Dio e di devozione tanto per dire di averlo fatto, o per fare due chiacchiere; ma sempre con attenzione e devozione; questo te lo dico per impedirti di cadere in una sciocca vanità che si riscontra in molti che fanno professione di persone devote. Ad ogni piè sospinto dicono parole sante e piene di fervore, quasi per modo di battute, senza nemmeno pensarci. Dopo averle dette sono convinti di essere lo specchio delle parole che hanno detto; invece, proprio non lo sono!
Capitolo XXVII
L'ONESTA' NELLE PAROLE E IL RISPETTO DOVUTO
ALLE PERSONE Dice S. Giacomo: Se uno
non pecca in parole è un uomo perfetto. Fa scrupolosamente attenzione a non
lasciarti sfuggire alcuna parola sconveniente; anche se non la dici con cattiva
intenzione, coloro che l'odono, possono prenderla in tal senso. Se la parola
sconveniente cade in un cuore debole, si estende e si allarga come una goccia
d'olio su un lenzuolo; e qualche volta si impadronisce in modo tale del cuore da
riempirlo di mille pensieri e tentazioni oscene. Tu sai che il veleno per
il corpo entra dalla bocca; quello per il cuore entra dall'orecchio e la lingua
che lo propina è assassina, anche se il veleno propinato non consegue l'effetto
perché ha trovato immunizzati i cuori degli uditori. Se gli altri non sono morti
non è perché mancasse la volontà di uccidere. Nessuno venga a dirmi che
non ci pensa: Nostro Signore, che conosce i pensieri, ha detto che la bocca
parla dell'abbondanza del cuore. Se il pensiero non ce lo mettiamo noi, sta pur
certa che ce lo mette il diavolo e anche molto! t il suo segreto: servirsi di
cattive parole per trafiggere i cuori di chi gli capita a tiro. Si dice che quelli che
mangiano l'erba detta angelica, hanno sempre l'alito dolce e gradevole; coloro
che hanno nel cuore l'onestà e la castità, che è una virtù angelica, usano
sempre parole educate e pulite. Quanto alle cose indecenti e folli, l'apostolo
non vuole nemmeno che se ne faccia il nome, e ci assicura che niente corrompe i
buoni costumi quanto le conversazioni invereconde. Se queste parole indecenti
sono dette di nascosto, in modo studiato e sottile, sono ancora più velenose;
infatti più un dardo è appuntito e più profondamente penetra nel corpo; così,
più una parola cattiva è sottile e più penetra nei nostri cuori. Coloro che pensano di
essere gentiluomini perché usano tali parole nelle conversazioni, non hanno idea
di che cosa sono le conversazioni; devono essere simili a sciami di api raccolte
insieme per ricavare il miele da qualche dolce e virtuoso argomento, e non un
mucchio di vespe che si uniscono per succhiare marciume. Se qualche stupido ti dice
parole indecenti, fa vedere che le tue orecchie non vogliono udirle: interessati
ad altro o manifesta la tua ripugnanza in qualche modo; sarà la tua prudenza a
indicarti quello opportuno. Uno dei difetti peggiori
dello spirito è quello di essere beffardo: Dio odia molto questo vizio e
sappiamo che lo ha punito con castighi esemplari. Nessun vizio è così
contrario alla carità, e più ancora alla devozione, quanto il disprezzo e la
derisione del prossimo. La derisione e la beffa
non vanno senza disprezzo; è per questo che è un peccato molto grave, e i
moralisti hanno ragione di dire che la derisione è il modo peggiore di offendere
il prossimo con parole; le altre offese salvano sempre, in una certa misura, la
stima per la persona; la derisione invece non la risparmia in nulla. Cosa molto diversa sono le
battute scherzose tra amici; si fanno in allegria e gioia serena. Si tratta
addirittura di una virtù cui i Greci davano il nome di eutrapelia: noi diciamo
buona conversazione. E’ il modo di prendersi una onesta e amabile ricreazione
sulle situazioni buffe cui i difetti degli uomini danno occasione. Bisogna soltanto stare
attenti a non passare dagli scherzi sereni alla derisione. La derisione provoca
al riso per mancanza di stima e per disprezzo del prossimo; invece la battuta
allegra e la burla scherzosa provocano al riso per la " trovata ", gli
accostamenti imprevedibili fatti in confidenza e schiettezza amichevole; e
sempre con molta cortesia di linguaggio. S. Luigi quando le persone
bigotte volevano parlargli di argomenti impegnativi dopo il pranzo, era solito
dire: Ora non è tempo di dotte discussioni, ora è tempo di allegria e di
scherzi; ciascuno dica quello che si sente. in tal modo andava incontro alla
nobiltà che lo circondava per ricevere gentilezze da Sua Maestà. Filotea,
l'importante è passare il tempo di ricreazione in modo tale da conservare per
devozione il pensiero della santa eternità.
Capitolo XXVIII
I GIUDIZI TEMERARI Non giudicare e non sarai
giudicato, dice il Salvatore delle nostre anime; non condannare e non sarai
condannato. Dice l'apostolo: Non giudicare prima del tempo, ossia fino a che non
venga il Signore che svelerà il segreto nascosto nelle tenebre, e manifesterà i
pensieri dei cuori. I giudizi temerari sono severamente riprovati da Dio! 1
giudizi emessi dai figli degli uomini sono temerari perché gli uomini non sono
autorizzati ad emettere giudizi gli uni sugli altri; ciò facendo usurpano
l'ufficio che Nostro Signore si è riservato; in più sono temerari perché la
principale malizia del peccato dipende dall'intenzione e dal disegno del cuore,
che è per noi il segreto delle tenebre; sono temerari perché ciascuno è
sufficientemente occupato a giudicare se stesso, senza mettersi a giudicare
anche il prossimo. Per non correre il rischio
di essere giudicati, è assolutamente necessario evitare di giudicare gli altri:
fermiamoci invece a giudicare noi stessi. Nostro Signore ci ha proibito la prima
cosa e l'apostolo ci comanda la seconda quando dice: Se noi giudichiamo noi
stessi, non verremo giudicati. Noi facciamo invece esattamente il contrario: non
manchiamo mai di fare quello che ci era stato proibito, sentenziando -a
dritta e a manca sul prossimo; giudicare noi stessi, che sarebbe poi quello che
ci è stato comandato, chi si sogna di farlo? Bisogna correre ai ripari
partendo dalle cause dei giudizi temerari. Ci sono dei cuori acidi, amari e
aspri per natura, che rendono acido e amaro tutto quello che ricevono; costoro,
secondo il detto del Profeta, mutano il giudizio in assenzio, perché non sanno
giudicare il prossimo senza rigore e asprezza. Simili persone hanno tanto
bisogno di cadere tra le mani di un consumato medico spirituale, perché, dato
che l'amarezza di cuore è loro connaturale, vincerla è difficile; benché per sé
non sia peccato, anzi soltanto un'imperfezione, tuttavia è da ritenersi
pericolosa, perché introduce nell’anima, e ve li fissa, il giudizio temerario e
la maldicenza. Altri fanno giudizi
temerari, non per acidità, ma per orgoglio; pensano che nella misura in cui
abbassano l'onore degli altri, alzano il proprio! Sono spiriti arroganti e
presuntuosi, pieni di ammirazione per se stessi, che si collocano così in alto
nella propria stima, da vedere tutto il resto come cose piccole e basse: Non
sono come gli altri uomini, diceva quel Fariseo. In alcuni questo orgoglio
non è tanto evidente e si manifesta soltanto in un certo compiacimento nel
considerare i difetti degli altri per assaporare con maggior piacere il bene
contrario di cui si sentono dotati. Questo compiacimento è così segreto e
impercettibile che, se non si è forniti di una buona vista, non lo si può
scoprire; e persino quelli che ne sono affetti, non se ne accorgono se non si fa
loro notare. Altri poi, per lusingarsi
e trovare scuse nei confronti di se stessi, o per attenuare i rimorsi delle loro
coscienze, pensano molto volentieri che gli altri siano contagiati dal vizio al
quale si sono dati, o da qualche altro equivalente; pensano che il fatto di
trovarsi ad essere in molti colpevoli dello stesso crimine, riduca la gravità. Molti si lasciano andare
al giudizio temerario per il solo piacere di filosofeggiare e fare gli indovini
sulle abitudini e i capricci della gente, quasi per esercitarsi! Che se poi, per
disgrazia, qualche volta azzeccano i loro giudizi, l'audacia e la brama di
andare avanti diventa tanto forte in essi, che solo a fatica si può riuscire a
distoglierli. Altri ancora giudicano per passione e pensano sempre bene di ciò
che amano e sempre male di ciò che odiano. Soltanto in un caso, sorprendente fin
che si vuole, ma reale, l'eccesso di amore spinge ad emettere un giudizio
negativo su ciò che si ama: come risultato è mostruoso, ma lo spieghi facilmente
se pensi che viene da un amore equivoco, imperfetto, agitato, malato, che si
chiama gelosia, che, come tutti sanno, per un semplice sguardo, per il minimo
sorriso di questo mondo, condanna le persone accusandole di perfidia e di
adulterio. Infine, spesso e molto,
contribuiscono alla formazione di sospetti e giudizi temerari il timore,
l'ambizione e altre simili debolezze dello spirito. Quali sono i rimedi?
Coloro che bevono un estratto di un oppiaceo detto ofiusa, che cresce in
Etiopia, credono di vedere ovunque serpenti e altre cose orribili: coloro che
hanno trangugiato orgoglio, invidia, ambizione, odio, vedono tutte le cose come
cattive e riprovevoli; chi ha bevuto l'oppiaceo, se vuol guarire, deve bere vino
di palma; la stessa cosa devono fare i viziosi di cui sopra. Bevi più che puoi il sacro
vino della carità; ti libererai da quegli umori perversi che ti fanno dare
giudizi temerari. La carità teme l'incontro
con il male, tanto meno lo cerca; quando ci si imbatte volge altrove lo sguardo
e fa finta di niente, anzi chiude gli occhi prima di vederlo, alle prime
avvisaglie e finisce con il credere, con santa semplicità, che quello non era
male, ma soltanto un'ombra o un fantasma del male; se poi l'evidenza la
costringe ad ammettere che è proprio male, se ne allontana immediatamente e
cerca di dimenticarne l'aspetto. Per tutti i mali il grande
rimedio è la carità; in modo particolare per questo. Tutto sembra giallo agli
occhi degli ammalati gravi di itterizia; si dice che per guarirli da questo male
bisogna obbligarli a mettere un po' d'erba detta celidonia sotto la pianta dei
piedi. Il peccato del giudizio
temerario è un'itterizia spirituale, che, agli occhi di coloro che ne sono
affetti, trasforma tutte le cose in cattive; chi vuole guarirne, non deve curare
gli occhi, ossia l'intelletto, ma gli affetti, che sono i piedi dell'anima: se i
tuoi affetti sono dolci, se sono caritatevoli, anche i tuoi giudizi lo saranno. Voglio raccontarti tre
esempi notevoli. Isacco aveva detto che
Rebecca era sua sorella, Abimelech vide che gioiva con lei, ossia che
l'accarezzava con tenerezza, e subito concluse che era sua moglie: un occhio
maligno avrebbe invece pensato che era la sua amante, o caso mai, se realmente
era sua sorella, che erano due incestuosi; Abimelech segue l'interpretazione più
benevola del fatto. Bisogna agire sempre in questo modo, Filotea, interpretando
sempre in favore del prossimo; e se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma
sempre la tua attenzione al più bello. La Madonna era incinta: S.
Giuseppe lo vedeva bene. D'altra parte la vedeva tutta santa, tutta pura, tutta
angelica; non poteva credere che fosse rimasta incinta mancando al suo onore.
Decide allora di abbandonarla, lasciando a Dio il giudizio. Benché ci fossero
tutte le circostanze evidenti per farsi una cattiva opinione di quella Vergine,
egli non volle giudicarla. Perché? Perché era giusto, dice lo Spirito di Dio.
L'uomo giusto quando non può scusare né il fatto né l'intenzione, di chi sa per
altre vie essere uomo per bene, rifiuta di giudicare, se lo toglie dallo
spirito, lascia a Dio solo la sentenza. Il Salvatore non può
scusare completamente il peccato di coloro che lo stanno crocifiggendo; ne
diminuisce la malizia, adducendo l'ignoranza. Quando non ci è possibile scusare
il peccato, rendiamolo almeno degno di compassione, attribuendolo alla causa più
comprensibile che si possa pensare, quali l'ignoranza e la debolezza. Ma allora, non è mai
permesso giudicare il prossimo? No, mai! t Dio solo, Filotea, che giudica i
colpevoli secondo giustizia. t vero che si serve della voce dei magistrati per
renderla intelligibile alle nostre orecchie: sono il suo tramite e i suoi
interpreti e devono pronunciare soltanto quello che hanno sentito da Lui, quasi
come oracoli. Se agiscono diversamente, seguendo le loro passioni, in tal caso
chi giudica sono loro e dovranno renderne conto essendo a loro volta giudicati,
perché agli uomini, in quanto uomini, è proibito di giudicare. Vedere o conoscere una
cosa, non è giudicare, perché il giudizio, stando al detto della Scrittura,
presuppone la necessità di chiarire una difficoltà, che può essere piccola o
grande, vera o apparente; infatti dice che coloro i quali non credono sono già
giudicati; non ci sono dubbi sulla loro condanna eterna. Non c'è nulla di male
nel dubitare del prossimo, perché non è proibito dubitare, ma giudicare!
Tuttavia non e permesso dubitare o sospettare se non proprio quando
rigorosamente non se ne può fare a meno, e siamo costretti a dubitare da motivi
e ragioni serie. Al di fuori di ciò i dubbi e i sospetti sarebbero temerari. Se qualche occhio maligno
avesse visto Giacobbe mentre baciava Rachele vicino al pozzo, e se avesse visto
Rebecca accettare in dono braccialetti e orecchini da Eleazaro, forestiero in
quel paese, avrebbe, senza alcun dubbio, pensato male di quei due modelli di
virtù, ma senza ragione e senza fondamento; perché quando un'azione è per se
stessa indifferente, tirarne cattive conclusioni è un sospetto temerario, a meno
che siamo costretti al sospetto da molte indicazioni inequivocabili. Concludere da un'azione
mal fatta la condanna della persona è un giudizio temerario; ma su questo, tra
breve, parlerò con maggior chiarezza. E per finire ti dico che
chi ha molta cura della propria coscienza non è quasi mai portato ai giudizi
temerari; come le api vedendo la nebbia o il tempo nuvoloso s ' i rifugiano
nelle loro arnie a sistemare il miele, allo stesso modo i pensieri delle anime
buone non si posano su oggetti confusi, né sulle azioni poco chiare del
prossimo. Anzi, per evitare il pericolo, si raccolgono all'interno del loro
cuore per curare i buoni propositi del proprio emendamento. Soltanto un'anima
insulsa può perdere tempo ad esaminare la vita degli altri. Faccio eccezione per
quelli che hanno la responsabilità di altri, sia in famiglia che nella società:
per essi gran parte della coscienza sta nel guardare e vegliare su quella degli
altri. Adempiano al loro dovere
con amore; al di fuori di ciò, si comportino come tutti.
Capitolo XXIX
LA MALDICENZA Il giudizio temerario
causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se
stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla
maldicenza, vera peste delle conversazioni. Vorrei avere un carbone ardente del
santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la
perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla
bocca di Isaia. Se si riuscisse a togliere
la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A
chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si
grava, rimane l'obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della
maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri;
ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è
un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede
nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell'anima; la vita civile che
consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la
seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo
vibrato dalla lingua, compie tre delitti.- uccide spiritualmente la propria
anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale
sparla. Dice S. Bernardo che sia colui che sparla come colui che ascolta il
maldicente, hanno il diavolo addosso, uno sulla lingua e l'altro nell'orecchio.
Davide, riferendosi ai maldicenti dice: Hanno affilato le loro lingue come
quelle dei serpenti. Il serpente ha la lingua
biforcuta, a due punte, come dice Aristotele; tale e quale è quella del
maldicente, che con un sol morso ferisce e avvelena l'orecchio di chi ascolta e
il buon nome di colui di cui parla male. Per questo ti scongiuro,
carissima Filotea, di non sparlare mai di alcuno, né direttamente, né
indirettamente. Sta attenta a non attribuire delitti e peccati inesistenti al
prossimo, a non svelare quelli rimasti segreti, a non gonfiare quelli
conosciuti, a non interpretare in senso negativo il bene fatto, a non negare il
bene che sai esistere in qualcuno, a non fingere di ignorarlo, tanto meno poi
devi sminuirlo a parole; agendo in questo modo offenderesti seriamente Dio,
soprattutto se dovessi accusare falsamente il prossimo o negassi la verità a lui
favorevole; mentire e contemporaneamente nuocere al prossimo è doppio peccato. Coloro che per seminare
maldicenza fanno introduzioni onorifiche, e che la condiscono di piccole frasi
gentili, o peggio di scherno, sono i maldicenti più sottili e più velenosi. Protesto, dicono, che gli
voglio bene e che per il resto è un galantuomo, ma, continuano, la verità va
detta: ha avuto torto nel commettere quella perfidia; quella è una ragazza
virtuosissima, ma si è lasciata sorprendere..., e simili piccole cornici! Non capisci dov'è l'arte?
Chi vuol scoccare una freccia, la tira più che può a sé, ma è soltanto per
scagliarla con maggior forza: si può anche avere l'impressione che costoro
tirino a sé la maldicenza, ma è soltanto per scoccarla con maggior sicurezza,
per farla penetrare più a fondo nel cuore di coloro che ascoltano. La maldicenza portata
sotto forma di scherno è la più cattiva di tutte; fa pensare alla cicuta che, di
per sé, non è un veleno molto forte, anzi ha un'azione lenta e facilmente vi si
può porre rimedio, ma se viene '1 vino, è senza scampo; lo stesso è di una presa
con maldicenza che, di natura sua, secondo il detto, entrerebbe da un orecchio e
uscirebbe dall'altro e che invece penetra fortemente nella mente degli
ascoltatori quando è presentata in un contesto di parole sottili e gioviali. Dice Davide: Hanno il
veleno dell'aspide sotto le loro labbra. La puntura dell'aspide è quasi
impercettibile, e il suo veleno dà sulle prime un prurito gradevole, che allarga
così il cuore e le viscere e favorisce così l'assorbimento del veleno, contro il
quale non ci sarà più nulla da fare. Non dire mai: Il tale è un
ubriacone, anche se l'hai visto ubriaco davvero; quello è un adultero, perché
l'hai visto in adulterio; è incestuoso perché l'hai sorpreso in quella
disgrazia; una sola azione non ti autorizza a classificare la gente. Il sole si
fermò una volta per favorire la vittoria di Giosuè e si oscurò un'altra volta
per la vittoria del Salvatore; a nessuno viene in mente per questo di dire che
il sole è immobile e oscuro. Noè si ubriacò una volta;
e così anche Lot e questi, in più, commise anche un grave incesto: non per
questo erano ubriaconi, e non si può dire che quest'ultimo fosse incestuoso. E
non si può dire che S. Pietro fosse un sanguinario perché una volta ha versato
sangue, né che fosse bestemmiatore perché ha bestemmiato una volta. Per classificare uno
vizioso o virtuoso bisogna che abbia fatto progressi e preso abitudini; è dunque
una menzogna affermare che un uomo è collerico o ladro, perché l'abbiamo visto
adirato o rubare una volta soltanto. Anche se un uomo è stato
vizioso per lungo tempo, sì rischia di mentire chiamandolo vizioso. Simone il lebbroso chiamò
Maddalena peccatrice, perché lo era stata prima; mentì, perché non lo era più,
anzi era una santa penitente; e Nostro Signore la difese. Quell'altro Fariseo
vanesio considerava grande peccatore il pubblicano, ingiusto, adultero, ladro;
ma si ingannava, perché proprio in quel momento era giustificato. Poiché la bontà di Dio è
così grande che basta un momento per chiedere e ottenere la sua grazia, come
facciamo a sapere che uno, che era peccatore ieri, lo sia anche oggi? Il giorno
precedente non ci autorizza a giudicare quello presente, e il presente non ci
autorizza a giudicare il passato. Solo l'ultimo li classificherà tutti. Non potremo mai dire che
un uomo è cattivo senza pericolo di mentire. In caso che sia necessario parlare
possiamo dire che ha commesso tale o tal'altra azione cattiva, che ha condotto
una vita disordinata in tale periodo, che agisce male al presente; ma non è
lecito da ieri tirare delle conclusioni per oggi, né da oggi per ieri, e ancor
meno da oggi per domani. Se è vero che bisogna
essere molto attenti a non parlare mai male del prossimo, però bisogna anche
guardarsi dall'estremo opposto, in cui cadono alcuni, i quali, per paura di fare
della maldicenza, lodano e dicono bene del vizio. Se ti imbatti in un
maldicente senza pudore, per scusarlo, non dire che è una persona libera e
franca; di una persona apertamente vanesia, non dire che è generosa e senza
complessi; le libertà pericolose non chiamarle semplicità e ingenuità; non
camuffare la disobbedienza con il nome di zelo, l'arroganza con il nome di
franchezza, la sensualità con il nome di amicizia. Cara Filotea, per fuggire
il vizio della maldicenza, non devi favorire, accarezzare, e nutrire gli altri
vizi; ma con semplicità e franchezza, devi dire male del male e biasimare le
cose da biasimare; solo se agiamo in questo modo diamo gloria a Dio. Fa però attenzione ed
attienti a quello che ora ti dirò. Si possono lodevolmente
biasimare i vizi degli altri, anzi è necessario e richiesto, quando lo esige il
bene di colui di cui si parla o di chi ascolta. Facciamo degli esempi:
supponi che in presenza di ragazze vengano raccontate delle licenziosità
commesse da Tizio e da Caia: è una cosa senz'altro pericolosa; oppure supponi
che si parli della dissolutezza verbale di un tale o di una tale, sempre
esemplificando; o ancora di una condotta oscena: se io non biasimo chiaramente
quel male, o, peggio, tento di scusarlo, quelle tenere anime che ascoltano,
avranno la scusa per lasciarsi andare a qualche cosa di simile; il loro bene
esige che, con molta franchezza, biasimi all'istante quelle sconcezze. Potrei
riservarmi di farlo in un altro momento soltanto se sapessi di ricavarne
sicuramente un miglior risultato togliendo allo stesso tempo importanza ai
colpevoli. P, necessaria anche
un'altra cosa: per parlare del soggetto devo averne l'autorità, o perché sono
uno di quelli più in evidenza nel gruppo; nel qual caso se non parlo, avrò
l'aria di approvare il vizio: se invece nel gruppo non godo di molta
considerazione, devo guardarmi bene dal fare censure. Più di tutto Poi è
necessario che io sia ponderato ed esatto nelle parole, per non dirne una sola
di troppo: per esempio. se devo riprendere le eccessive libertà di quel
giovanotto e di quella ragazza, perché chiaramente esagerate e pericolose, devo
saper conservare la misura per non gonfiare la cosa nemmeno di un soffio. Se c'è soltanto qualche
sospetto, dirò soltanto quello; se si tratta di sola imprudenza, non dirò di
più; se non c'è né imprudenza, né sospetto di male, ma soltanto materia perché
qualche spirito malizioso faccia della maldicenza, non dirò niente del tutto o
dirò soltanto quello che è, Quando parlo del prossimo,
la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia
il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro
deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità. Un'ultima cosa: pur
riprendendo il vizio, devi fare attenzione a non coinvolgere la persona che lo
porta. Ti concedo di parlare liberamente soltanto dei peccatori infami, pubblici
e conosciuti da tutti, ma anche in questo caso lo devi fare con spirito di
carità e di compassione, non con arroganza e presunzione; tanto meno per godere
del male altrui. farlo per quest'ultimo motivo è prova di un cuore vile e
spregevole. Faccio eccezione per i
nemici dichiarati di Dio e della Chiesa; quelli vanno screditati il più
possibile: ad esempio, le sette eretiche e scismatiche con i loro capi. E’
carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove. Tutti si prendono la
libertà di giudicate e censurare i governanti e parlar male di intere reazioni,
lasciandosi guidare dalla simpatia: Filotea, non commettere quest'errore. Tu,
oltre all’offesa a Dio, corri il rischio di scatenare mille rimostranze. Quando senti parlare male,
se puoi farlo con fondatezza, metti in dubbio l'accusa; se non è possibile,
dimostra compassione per il colpevole, cambia discorso, ricorda e richiama alla
mente dei presenti che coloro i quali non sbagliano lo devono soltanto a Dio.
Riporta in se stesso il maldicente con buone maniere; se sai qualche cosa di
bene della persona attaccata, dilla.
Capitolo XXX
ALTRI CONSIGLI SUL PARLARE Il tuo modo di parlare sia
pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, semplice e veritiero. Tienti lontano
dalla doppiezza, dall'astuzia e dalle finzioni. t vero che non tutte le verità
devono sempre essere dette; ma per nessun motivo è lecito andare contro la
verità. Abituati a non mentire
coscientemente, né per scusa, né per altro, ricordandoti che Dio è il Dio della
verità. Se hai mentito inavvertitamente e puoi rimediare spiegando e
correggendo, fallo subito: le scuse sincere hanno più delicatezza e più forza
convincente per scusarci di qualunque menzogna. Qualche volta è permesso,
con prudenza e discrezione, alterare e nascondere la verità con un giro di
parole; ma soltanto per motivi seri; quando lo richiedono, senza ombra di
dubbio, la gloria di Dio e il suo servizio. Fuori di ciò, i giri di parole o le
astuzie verbali sono pericolose perché, come dice la Parola di Dio, lo Spirito
Santo non abita in un'anima falsa e doppia. Nessuna finezza è migliore
e più desiderabile della semplicità. La prudenza mondana e le
arti della carne sono caratteristiche dei figli di questo secolo; i figli di Dio
invece camminano senza astuzie e hanno il cuore senza misteri. Chi cammina con
semplicità, dice il Saggio, avanza con fiducia. La menzogna, la doppiezza, la
simulazione sono segni di uno spirito debole e vile. S. Agostino, nel IV libro
delle Confessioni, dice che l'anima sua e quella del suo amico formavano
un'anima sola, e che odiava la vita dopo la morte dell'amico, perché non se la
sentiva di vivere a metà e, nello stesso tempo, temeva di morire, perché in tal
modo anche l'amico avrebbe cessato di vivere totalmente. In seguito queste
parole gli parvero troppo artificiose e studiate e così, nel Libro delle
Ritrattazioni, le sconfessa e le chiama inezie. Cara Filotea, pensa quanto
quella bella e sant'anima fosse sensibile all'affettazione delle parole! Senza
dubbio il parlare in modo schietto, senza fronzoli e con sincerità, è un
prezioso ornamento della vita cristiana. "Ho detto, farò attenzione
alle mie vie per non peccare in parole; Signore, metti le sentinelle alla mia
bocca e una porta a chiusura delle mie labbra " cantava Davide. E’ un consiglio del grande
Re S. Luigi: Non contraddire mai nessuno a meno che non sia peccato o dal
consenso ne consegua un grave danno; questo ti eviterà contestazioni e litigi.
Quando è necessario contraddire qualcuno e opporsi all'opinione di un altro,
bisogna usare molta dolcezza e una grande abilità, senza aver l'aria di
aggredire chicchessia; non ci si guadagna mai a prendere le cose con asprezza.
Il parlare poco, tanto raccomandato dagli antichi saggi, non va inteso nel senso
di dire poche parole, ma di non dirne di inutili. Nel campo delle parole non si
guarda alla quantità, ma alla qualità. Secondo me bisogna evitare i due estremi:
darsi troppo un contegno sostenuto e severo, rifiutandosi di partecipare alla
conversazione familiare, il che mi sembra che denoti mancanza di fiducia e anche
un certo disprezzo degli altri; d'altra parte il ciarlare e il cicalare senza
soste, senza mai lasciare spazio agli altri per dire una sola parola, sarebbe
segno di leggerezza e insulsaggine. S.Luigi trovava che non
fosse ben fatto, quando si è in compagnia, parlare all'orecchio o fare
conciliaboli; questo per non dare il sospetto che si stesse parlando di
qualcuno. Diceva: Chi si trova a tavola, in buona compagnia, e ha da dire una
cosa allegra e simpatica, la deve dire in modo che tutti la odano; se invece si
tratta di un affare di importanza, non parli affatto.
Capitolo XXXI
PASSATEMPI E DIVERTIMENTI E, IN PRIMO LUOGO,
QUELLI LECITI E LODEVOLI Ogni tanto è necessario
rilassare lo spirito e il corpo con qualche divertimento. S.Giovanni Evangelista,
secondo quanto riferisce Cassiano, un giorno fu sorpreso da un cacciatore mentre
accarezzava per divertimento una pernice che gli si era posata sulla mano; il
cacciatore gli chiese come mai lui, uomo di tanto valore, perdesse il suo tempo
in una cosa tanto insignificante e senza frutto; S. Giovanni gli chiese di
rimando: E tu, perché non tieni il tuo arco sempre teso? Per il timore, rispose
il cacciatore, che, rimanendo sempre curvo, al momento opportuno non abbia più
la forza di distendersi. E per un replicò l'apostolo, perché ti meravigli se
lascio per un po' il rigore e la concentrazione dello spirito per distrarmi un
po' e consacrarmi poi, con maggior vi. gore alla contemplazione? Essere tanto
rigidi, rustici e selvatici da non voler permettere né a sé, né agli altri alcun
genere di divertimento, senza alcun dubbio è un vizio!
Prendere una boccata
d'aria, fare due passi, fermarsi in conversazioni gioviali e piacevoli, suonare
il liuto o qualche altro strumento, fare della musica, andare a caccia, sono
divertimenti così onesti che per usarne bene basta la prudenza comune a tutti,
quella che assegna ad ogni cosa un posto, un luogo, un tempo e la misura. 1 giochi nei quali la
vittoria premia e ricompensa la destrezza e l'inventiva del corpo e dello
spirito, come il gioco della pallacorda, della palla, della pallamaglio, il
gioco della giostra, gli scacchi e altri giochi da tavolino, di natura loro,
sono divertimenti buoni e onesti. Bisogna guardarsi soltanto
dagli eccessi, sia per il tempo che vi si spende, sia per il denaro che vi si
impegna; se tu vi consacri troppo tempo, diventa un'occupazione, non più un
divertimento: non ne traggono giovamento né lo spirito, né il corpo, anzi alla
fine ti troverai stordito e stanco. Dopo che hai giocato
cinque o sei ore agli scacchi, ti trovi stanco morto e vuoto nello spirito; se
giochi a lungo a pallacorda, non ti diverti, ma ti ammazzi di fatica. Se poi la
posta, ossia ciò che si mette in palio, è troppo alta, si altera la serenità dei
giocatori. Inoltre, mi sembra un'ingiustizia mettere grossi premi per la
destrezza e l'inventiva in cose di così poca importanza, anzi, direi di nessuna
utilità, come il gioco. Ma soprattutto, Filotea,
sta attenta a non impegnare il tuo affetto; un gioco sarà onesto fin che vuoi,
ma metterci dentro il cuore e il proprio affetto è sempre male! Non dico che non
si debba provar piacere mentre si gioca, non sarebbe più un divertimento, ma ti
dico di non impegnarci il cuore per desiderarlo, perderci tempo e agitarti.
Capitolo XXXII
I GIOCHI PROIBITI Il gioco dei dadi, delle
carte e simili, nei quali la vittoria dipende più dalla fortuna che altro, non
soltanto sono divertimenti pericolosi, come il ballo ma, di natura loro, sono
semplicemente cattivi e riprovevoli. P- per questo che sono proibiti tanto dalle
leggi civili che da quelle ecclesiastiche. Ma dov'è tutto questo
male? mi chiederai. In questi giochi non è la
ragione che dà la vittoria, ma il caso, che spesso favorisce chi di per sé,
quanto a destrezza e ingegno, non meriterebbe niente: sotto questo aspetto la
ragione è umiliata. Tu mi dirai: Ma ci siamo messi d'accordo! Questo vale
soltanto per dimostrare che chi vince non fa torto agli altri, ma ciò non toglie
che il patto non sia ragionevole e il gioco nemmeno; perché la vittoria, che
deve essere il premio della destrezza, diventa premio del caso, che non merita
nessun premio, visto che non dipende, in alcun modo, da noi! Aggiungi che questi giochi
hanno il nome di divertimenti e sono fatti per questo; e invece proprio non lo
sono, ma sono soltanto occupazioni a tempo pieno. Non è forse un'occupazione
tenere lo spirito caricato e teso da un'attenzione continua, e agitato da
insistenti inquietudini, ansie e paure? Riesci a trovare una tensione più
triste, più lugubre e più desolata di quella di un giocatore? Non si può
parlare, non si può ridere, nemmeno tossire, altrimenti i giocatori si
stizziscono. Infine nel gioco non c'è
gioia se non vinci. E non ti sembra che sia una gioia perversa, giacché si può
conseguire soltanto per mezzo della sconfitta e del dispiacere del
compagno? t davvero una gioia senza onore. Sono queste le tre ragioni
per cui questi giochi sono proibiti. Il grande Re S. Luigi, sapendo che suo
fratello, il Conte di Angiò e il nobile Gautier de Nemours stavano giocando,
malato com'era, si alzò e, barcollando, si recò in camera loro, prese i tavolini
da gioco, i dadi e una parte del denaro e gettò tutto in mare dalla finestra, e
si corrucciò molto contro di loro. La santa e casta Sara,
parlando a Dio della propria innocenza, per metterla in evidenza, dice: Tu sai,
Signore, che non mi sono mai fermata a parlare con i giocatori.
Capitolo XXXIII
I BALLI E I PASSATEMPI LECITI MA PERICOLOSI Di natura loro, le danze e
i balli sono cose indifferenti, ma il modo abituale di dar corso a questi
passatempi, manifesta una forte inclinazione e tendenza al male. Per tale motivo
costituiscono sempre un certo pericolo. Ci si dà alle danze di
notte e, col favore delle tenebre e dell'oscurità, è facile farci scivolare
qualche libertà equivoca e insinuatrice, per un soggetto che, di natura sua,
tende fortemente al male; si veglia a lungo, il che guasta la mattinata del
giorno seguente e quindi la possibilità di servire Dio in essa; in una parola è
sempre follia cambiare il giorno con la notte, la luce con le tenebre, le buone
azioni con le follie. Tutti fanno a gara
nell'essere vanitosi al ballo e si sa che la vanità dispone fortemente agli
affetti equivoci e agli amori riprovevoli e pericolosi; nelle danze tutto ciò
trova un terreno ideale. Filotea, sai cosa dicono i
medici delle zucche e dei funghi? Che non valgono niente. Ti dico la stessa cosa
delle danze: i balli migliori non sono buoni a nulla. Se ti capita di dover
mangiare delle zucche, fa attenzione che almeno siano preparate bene: se ti
trovi in una situazione per cui non ti è possibile trovare plausibili
giustificazioni per dispensarti dal ballo, cura che la danza sia 'ben preparata'. Con che cosa la devi
condire? Modestia, dignità e retta intenzione. Riferendosi ai funghi, i
medici dicono dì mangiarne pochi e di rado, perché, per quanto ben preparati, la
quantità li rende velenosi. Filotea, danza poco e raramente; diversamente
rischieresti di affezionartici. Secondo Plinio, i funghi,
proprio perché sono spugnosi e porosi, assorbono facilmente tutto ciò che di
infetto c'è intorno, e se si trovano vicino a un serpente ne assorbono il
veleno. I balli, le danze e simili riunioni equivoche ordinariamente assorbono
tutti i vizi e i peccati che dominano in un ambiente: le dispute, le invidie, le
beffe, gli amori folli. Allo stesso modo che il ballo apre i pori del corpo di
coloro che vi si impegnano, contemporaneamente apre anche i pori del
cuore; per cui, se qualche serpente, approfittando dell'occasione, viene a
sussurrare qualche parola lasciva all'orecchio, qualche corteggiamento, qualche
moina, o addirittura qualche basilisco viene a gettare sguardi impudichi,
occhiate d’amore, i cuori sono molto arrendevoli e si lasciano facilmente
conquistare ed avvelenare. Questi divertimenti,
Filotea, abitualmente sono fuori posto e risultano pericolosi: dissipano lo
spirito di devozione, indeboliscono le forze, intiepidiscono la carità, e
risvegliano nell'anima mille generi di affetti perversi; questa è la ragione per
cui occorre servirsene con grande prudenza. Dopo i funghi si
raccomanda di bere vino della migliore qualità; io ti dico che dopo le danze
devi ricorrere a qualche santa e buona riflessione, per bloccare le impressioni
pericolose che il piacere che hai provato potrebbe aver risvegliato nella tua
anima. E quali? 1. Mentre tu ti davi alle
danze, molte anime bruciavano nel fuoco dell'inferno per i peccati commessi nel
ballo o per colpa del ballo. 2. Molti religiosi e
persone devote, mentre tu bal1-avi, erano alla presenza di Dio, cantavano le sue
lodi e ne contemplavano la bellezza. Hanno impiegato il loro tempo molto meglio
di te! 3. Mentre tu danzavi,
molte anime morivano tra grandi sofferenze; milioni di uomini e donne
combattevano con il male nei loro letti, negli ospedali, nelle strade. Pativano
per la gotta, i calcoli, il delirio. E non trovavano riposo! Tu non ne hai
compassione? Non pensi che un giorno ti lamenterai come loro, mentre altri
danzeranno come ora fai tu? 4. Nostro Signore, la
Madonna, gli Angeli e i Santi ti hanno visto al ballo: come hai fatto loro pena!
Hanno visto il tuo cuore affogarsi in simile follia e tutta presa da quella
sciocchezza. 5. Mentre tu ballavi il
tempo scorreva e ti sei avvicinata alla morte; guarda come sogghigna e ti invita
al ballo; al suo ballo, nel quale i violini saranno i gemiti dei circostanti e
il passo di danza sarà uno solo, quello dalla vita alla morte. Quella danza è il solo
vero 'passatempo' dei mortali; in un momento passi dal tempo all'eternità della
felicità o del tormento. Ho notato per tua comodità
queste brevi riflessioni; ma Dio te ne suggerirà altre a questo fine, se tu hai
il suo timore.
Capitolo XXXIV
QUANDO E’ PERMESSO GIOCARE E DANZARE
Giocare e danzare è lecito quando si fa per divertimento e non per affetto; deve
essere per breve tempo
e non fino a stancarsi o
stordirsi, e di rado. Chi lo facesse spesso, trasformerebbe il divertimento in
lavoro.
Ma quando si può giocare e danzare?
Le occasioni per la danza
e il gioco, di per sé moralmente indifferenti, sono abbastanza frequenti; quelle
per i giochi proibiti sono più rare, e quanto più tali giochi sono biasimevoli e
pericolosi tanto più rare saranno le occasioni in cui saranno permessi. In breve: gioca e danza
alle condizioni che ti ho indicato, quando te lo consiglieranno la prudenza e la
discrezione per accondiscendere e far piacere all'onesta compagnia nella quale
ti troverai; la condiscendenza è figlia della carità e come tale rende buone le
azioni indifferenti e permesse quelle pericolose. Riesce persino a togliere
la malizia a quei giochi che sono del tutto cattivi: per cui i giochi d'azzardo,
che di per sé sono riprovevoli, cessano di esserlo se, qualche volta, è una
ragionevole condiscendenza che ti ci conduce. Mi ha edificato leggere
nella vita di S. Carlo Borromeo che era arrendevole con gli Svizzeri in certi
campi nei quali ordinariamente era molto severo, e che il Beato Ignazio di
Loyola, invitato a giocare, accettò. Di S. Elisabetta d'Ungheria sappiamo che
giocava e danzava quando si trovava in riunioni fatte per divertirsi; e questo
senza pregiudizio della devozione, che era tanto radicata nella sua anima che
aumentava in mezzo alla pompa e alle vanità cui l'esponeva la sua condizione,
proprio come avviene per gli scogli intorno al lago di Rieti che crescono se
battuti dalle onde; col vento i grandi fuochi divampano con maggior violenza, ma
i piccoli si spengono del tutto se non li proteggiamo.
Capitolo XXXV
BISOGNA ESSERE FEDELI NELLE GRANDI E NELLE
PICCOLE OCCASIONI Nel Cantico dei Cantici lo
Sposo confessa che la Sposa gli ha rapito il cuore con uno sguardo e un capello.
Tra tutte le parti del corpo umano nessuna è più nobile dell'occhio, sia per la
sua perfezione come organo, sia per la sua attività; e niente è più trascurabile
di un capello. Lo Sposo divino in tal modo vuole farci capire che non gli sono
accette soltanto le opere importanti dei devoti, ma anche le minori e quelle che
sembrano di nessun conto. Sarà contento di noi soltanto se avremo cura di
servirlo bene nelle cose importanti e di rilievo come nelle piccole e
insignificanti; sia con le une che con le altre, possiamo rapirgli il cuore per
amore. Preparati dunque, Filotea,
a soffrire un gran numero di grosse afflizioni per il Signore, fors'anche il
martirio; deciditi a fargli dono di quanto hai di più prezioso, sempre che si
degni di accettare: padre, madre, fratello, marito, moglie, figli, i tuoi occhi
e la tua vita; a tutto ciò devi preparare il cuore. Quando la Divina
Provvidenza non ti manda afflizioni acute e pesanti, insomma non ti chiede gli
occhi, donale almeno i capelli: voglio dire, sopporta con dolcezza le piccole
offese, gli inconvenienti insignificanti, quelle sconfitte da poco sempre
all'ordine del giorno; per mezzo di tutte queste piccole occasioni, usate con
amore e direzione, conquisterai totalmente il suo cuore e lo farai tuo. I piccoli gesti quotidiani
di carità, un mal di testa, un mal di denti, un lieve malessere, una stranezza
del marito o della moglie, un vaso rotto, un dispetto, una smorfia, la perdita
di un guanto, di un anello, di un fazzoletto; quel piccolo sforzo per andare a
letto presto la sera e alzarsi al mattino di buon'ora per pregare, per fare la
comunione; quella piccola vergogna che si prova a fare in pubblico un atto di
devozione; a farla breve, tutte le piccole contrarietà accettate e abbracciate
con amore fanno infinitamente piacere alla Bontà divina, che, per un bicchiere
d'acqua, ha promesso il mare della felicità completa ai fedeli; e siccome queste
occasioni si presentano in continuazione, servirsene bene è un mezzo sicuro per
accumulare grandi ricchezze spirituali. Quando nella vita di S.
Caterina da Siena ho letto tanti rapimenti ed elevazioni di spirito, tante
parole di sapienza e persino di
predicazioni tenute da lei, ho avuto la certezza che con quell'occhio di
contemplazione aveva rapito il cuore dello Sposo celeste; ma mi ha consolato
nella stessa misura vederla in cucina girare umilmente lo spiedo, attizzare il
fuoco, preparare il cibo, impastare il pane e fare tutti gli uffici più umili
della casa, con un coraggio pieno di amore e di dilezione per il Signore. Ho
uguale stima per la piccola e semplice meditazione che faceva consacrandosi a
quei compiti così umili e disprezzati, come per le estasi e i rapimenti così
frequenti in lei, e che forse le furono concessi proprio in ricompensa di
quell'umiltà e di quell'abiezione. Ecco com'era la sua
meditazione: mentre preparava da mangiare per suo padre, pensava di prepararlo
per Nostro Signore, come S. Marta; per lei sua madre le ricordava la Madonna; i
fratelli, gli Apostoli. In tal modo pensava nel suo spirito di servire tutta la
corte celeste e si adoperava in quei piccoli lavori con molta dolcezza, perché
sapeva che quella era la volontà di Dio. Ti ho presentato
quest'esempio, Filotea, perché tu ti renda conto quanto sia importante
indirizzare bene tutte le nostre azioni, per vili che siano, al servizio della
divina Maestà. A questo scopo ti
consiglio vivamente di imitare la donna forte tanto lodata da Salomone e che
poneva mano alle imprese forti, alte e generose senza trascurare di filare e
girare il fuso: Ella ha posto mano a cose grandi e la sua mano gira il fuso.
Poni mano a cose forti, applicandoti alla meditazione e all'orazione, all'uso
dei sacramenti, a donare amore a Dio e alle anime, -a spargere buoni pensieri
nei cuori, a fare insomma opere grandi e importanti secondo la tua vocazione; ma
non dimenticare il fuso e la conocchia, ossia pratica quelle piccole e umili
virtù che crescono come fiori ai piedi della
Croce: il servizio dei poveri, la visita ai malati, la cura della famiglia, con
tutto quello che comporta, con una diligenza che non ti lascerà mai tempo per
l'ozio; e in tutte queste faccende cerca di avere pensieri simili a quelli che,
come ti ho detto, aveva S. Caterina in tali situazioni. Le grandi occasioni di
servire Dio si presentano raramente, le piccole invece le hai sempre: ora, chi
sarà fedele nel piccolo, dice il Salvatore, avrà un incarico grande. Fa dunque
tutto in nome di Dio, e tutto sarà fatto bene. Sia che tu mangi, sia che tu
beva, sia che tu dorma, sia che ti diverta, sia che tu giri lo spiedo, purché tu
porti avanti bene le tue faccende, trarrai sempre grande profitto al cospetto di
Dio, perché fai tutte le cose che Dio vuole che tu faccia.
Capitolo XXXVI
BISOGNA ESSERE GIUSTI E RAGIONEVOLI Siamo uomini soltanto
perché siamo dotati di ragione, eppure è cosa estremamente difficile trovare un
uomo veramente ragionevole, perché l'amor proprio abitualmente offusca la
ragione, e insensibilmente ci conduce a mille generi di ingiustizie e
cattiverie, piccole sì, ma pericolose, che, come le piccole volpi di cui parla
il Cantico dei Cantici, distruggono le vigne: essendo piccole nessuno ci fa caso
ma siccome sono numerose, producono seri danni. 'Non pensare che quello che ora
dirò siano cattiverie e discorsi senza fondamento. Per poco accusiamo
immediatamente il prossimo, mentre scusiamo noi stessi anche nel molto; vogliamo vendere a prezzo molto
alto e comperare a buon mercato; vogliamo che si faccia giustizia in casa degli
altri, per casa nostra, misericordia e comprensione; pretendiamo che si prendano
sempre in buona parte le nostre parole, ma siamo suscettibili e permalosi a
quelle degli altri. Pagando, vorremmo che il
prossimo ci cedesse quello che è suo; non è più giusto che si tenga quello che è
suo e noi il nostro denaro? Ce l'abbiamo con lui perché non vuole piegarsi a
noi, ma non ti pare che dovrebbe essere lui ad avercela con noi perché vogliamo
farlo piegare? Se ci piace un esercizio
disprezziamo tutto il resto e sentenziamo su tutto quello che non è di nostro
gusto. Se qualcuno dei nostri dipendenti ha un modo di fare sgarbato, o ci
riesce antipatico, può fare qualunque cosa, la prenderemo sempre per traverso;
non cessiamo di umiliarlo e siamo pronti al rimprovero; al contrario, se
qualcuno ci va a genio, può fare quello che vuole, lo scuseremo sempre. Ci sono dei figli
veramente buoni e bravi, ma invisi ai loro papà e alle loro mamme solo a causa
di difetti fisici e magari poi sono preferiti quelli viziosi, perché hanno delle
belle qualità fisiche. In ogni campo diamo la preferenza ai ricchi sui poveri,
anche se non sono di stirpe più nobile o più virtuosi; diamo la preferenza anche
a quelli vestiti meglio. Esigiamo con scrupolo i
nostri diritti, ma pretendiamo che gli altri siano remissivi nel chiedere i
loro; conserviamo il nostro posto con puntiglio, ma vogliamo che gli altri siano
umili e condiscendenti; ci lamentiamo con facilità del prossimo, ma poi guai se
uno si lamenta di noi! Quello che facciamo per gli altri ci sembra sempre tanto,
ciò che gli altri fanno per noi, nulla, almeno ci sembra. Assomigliamo alle pernici
di Pafiagonia che hanno due cuori: ne abbiamo uno dolce e cortese per noi, e uno
duro, severo, intransigente per il prossimo. Usiamo due pesi: uno per pesare le
nostre comodità, caricando il più possibile, l'altro per pesare quelle del
prossimo, alleggerendo più che possiamo. La Scrittura dice che le
labbra ingannatrici hanno parlato in un cuore e in un cuore: con ciò vuol dire
che hanno due cuori; avere due pesi: uno forte, per riscuotere e un altro
leggero, per pagare, è cosa abominevole davanti a Dio. Filotea, sii costante e
giusta nelle tue azioni: mettiti sempre al posto del prossimo e metti lui al tuo
e così giudicherai rettamente; quando compri fa la venditrice e quando vendi fa
la compratrice e vedrai che riuscirai a vendere e comprare secondo giustizia. Si tratta di piccole
ingiustizie, che non obbligano alla restituzione, perché ci limitiamo
rigorosamente nei termini a nostro favore; ma non per questo è un motivo per non
correggerci. Sono grosse mancanze contro la ragionevolezza e la carità; se si
guarda bene sono veri imbrogli: ma che ci vuole in fin dei conti a vivere con
generosità, nobiltà di cuore, cortesia, e con un cuore signore, costante e
ragionevole? Ricordati di esaminare
spesso il tuo cuore, Filotea, per vedere se verso il prossimo si comporta come
vorresti che si comportasse lui nei tuoi confronti se tu fossi al suo posto; qui
sta la ragionevolezza. Traiano, rimproverato dai
suoi confidenti perché rendeva, secondo loro, la Maestà imperiale troppo
accessibile, rispose: E sì, perché non dovrei essere per i cittadini quel tipo
di imperatore che io vorrei incontrare se io stesso fossi semplice cittadino?
Capitolo XXXVII
I DESIDERI Tutti sanno che bisogna
tenersi lontano dai desideri di cose viziose, perché il desiderio del male ci
rende cattivi. Ti dico di più, Filotea: non desiderare le cose che sono
pericolose per l'anima, come i balli, i giochi e i passatempi in genere; non
desiderare le cariche e gli onori, nemmeno le visioni e le estasi, perché in
queste cose c'è un grave pericolo di vanità e di inganno. Non desiderare le cose
molto lontane nel tempo, ossia che per lungo tempo non potranno capitare, cosa
che fanno molti stancando ed impoverendo inutilmente i loro cuori; per di più si
mettono in una situazione di continua agitazione. Se un giovane desidera
fortemente ricevere un incarico prima del tempo, a che gli serve, dico io, quel
desiderio? Se una donna sposata desidera essere religiosa, che senso ha? Se
desidero comprare i beni del mio vicino prima che sia disposto a vendere, non
sto perdendo il tempo? Se quando sono malato desidero predicare e dire la santa
Messa, visitare gli altri malati e fare tutto quello che fanno quelli che sono
in buona salute, non sono desideri inutili? giacché in quelle occasioni non sono
in grado di realizzarli! Questi desideri inutili occupano il posto di altri che
dovrei avere, ossia, essere molto paziente, molto rassegnato, molto mortificato,
molto obbediente e molto dolce nelle mie sofferenze; questo è quello che vuole
Dio per ora! Generalmente abbiamo le
voglie come le donne incinte, che vogliono le ciliege fresche in autunno e l'uva
fresca in primavera! Proprio non approvo che
una persona tenuta a qualche dovere o a qualche vocazione, si diverta a
desiderare un altro genere di vita diverso da quello che conviene al suo stato
attuale. Ciò distrae il cuore e lo rende fiacco per i doveri che gli sono
propri. Se desidero la solitudine
dei Certosini perdo il mio tempo, e questo desiderio occupa il posto di quello
che dovrei avere di impegnarmi seriamente al mio dovere attuale. Vorrei che
nemmeno si desiderasse di avere uno spirito migliore o un giudizio migliore,
perché questi desideri sono frivoli ed occupano il posto del desiderio che
ciascuno deve avere di coltivare il proprio così com'è. Non vorrei nemmeno che
si desiderassero i mezzi che non si hanno per servire Dio. Questo per i desideri
che distraggono il cuore; quanto invece al semplice augurio, non porta alcun
danno; l'importante è che non sia troppo insistente. Desidera le croci solo
nella misura in cui sarai riuscita a sopportare quelle incontrate; è una pazzia
desiderare il martirio e non avere la forza di sopportare un'ingiuria. Il nemico
spesso fa nascere in noi forti desideri per eroismi impossibili e che non si
verificheranno mai, per distoglierci dalle piccole occasioni presenti, dalle
quali per piccole che siano, potremmo trarre grande profitto. Nella nostra
immaginazione combattiamo contro i mostri africani e poi di fatto ci lasciamo
uccidere da serpentelli che incontriamo sulla nostra strada; questo perché siamo
distratti. Non desiderare le
tentazioni; sarebbe temerità: ma impegna il tuo cuore a saperle attendere con
coraggio e a saperti difendere quando arriveranno. La varietà dei cibi,
soprattutto poi se la quantità è grande, carica sempre lo stomaco e, se è
debole, lo rovina. Non riempire la tua anima di troppi desideri: non di quelli
mondani perché ti distruggerebbero totalmente, ma nemmeno di quelli spirituali,
perché ti appesantirebbero. Quando l'anima è purificata si sente libera dai
cattivi umori, ritrova un forte appetito dei cibi spirituali, e come
un'affamata, desidera mille generi di esercizi di pietà, di mortificazione, di
penitenza, di umiltà, di carità, di orazione. Avere buon appetito, Filotea, è
buon segno, ma rifletti bene se poi sarai in grado di digerire tutto quello che
vuoi inghiottire. Con il parere del tuo
padre spirituale, tra tanti desideri, scegli quelli che puoi attuare e portare a
compimento ora; e impegnati seriamente su quelli: vedrai che Dio te ne ispirerà
degli altri; a suo tempo, porterai a compimento anche quelli. In questo modo non
perderai il tuo tempo in desideri inutili. Fa attenzione, Filotea,
non ti chiedo di accantonare nessun genere di desideri; ti chiedo soltanto di
metterli in ordine. Quelli che non puoi realizzare ora, mettili da parte, in un
angolino del tuo cuore, fino -a che non giunga il loro momento; nel frattempo
realizza quelli che sono maturi e di stagione. Quello che dico non vale
soltanto per i desideri spirituali, ma anche per quelli del mondo: se non
riusciamo ad agire in questo modo saremo sempre anime inquiete e nell'affanno.
Capítolo XXXVIII
CONSIGLI PER GLI SPOSATI Il Matrimonio è un grande
Sacramento, lo dico in Gesù Cristo e nella sua Chiesa; e deve essere onorato da
tutti, in tutti e nella sua totalità, ossia in tutte le sue componenti. Da tutti, perché anche le
nubili devono onorarlo con umiltà; in tutti, perché è ugualmente santo tra i
poveri e tra i ricchi; nella sua totalità, perché la sua origine, il suo fine, i
suoi vantaggi, la sua forma e la sua materia sono santi. E’ il vivaio del
cristianesimo, che popola la terra di fedeli per completare il numero degli
eletti in cielo; ne consegue che la difesa del bene del Matrimonio è molto
importante per la società perché è l'origine e la sorgente di tutti i ruscelli
che le danno vita. Piacesse a Dio che il suo
amatissimo Figlio fosse invitato a tutte le nozze come lo fu a quelle di Cara!
Il vino della gioia e della benedizione non mancherebbe mai; e invece ce n'è
appena un po' per cominciare: il motivo è che è stato invitato Adone al posto di
Nostro Signore e Venere al posto di Maria Santissima. Chi vuole avere degli
agnelli molto belli e pezzati, come Giacobbe, deve agire come lui: offriva alla
vista delle pecore che stavano per partorire dei bastoncini colorati in vario
modo; similmente chi vuole che il matrimonio sia felice, durante le nozze deve
pensare alla santità e alla dignità di questo Sacramento; se poi invece di
pensare alla santità ci si lascia andare a mille distrazioni, a feste, a
banchetti e a chiacchiere e tutto finisce lì, nessuna meraviglia che i risultati
siano poi diversi da quelli attesi. Esorto soprattutto gli
sposi all'amore reciproco che lo Spirito Santo tanto insistentemente raccomanda
loro nella Scrittura. Sposi cari, se vi amate reciprocamente soltanto di amore
naturale, non fate gran che: anche le coppie di tortore si amano così. Se vi
amate di un amore umano, non aggiungete gran che: anche i pagani si amavano in
tal modo. Ma io vi dico con il grande Apostolo: Mariti, amate le vostre mogli
come Gesù Cristo ama la sua Chiesa; mogli, amate i vostri mariti come la Chiesa
ama il suo Salvatore. t stato Dio a presentare
Eva al nostro primo padre Adamo e a dargliela in moglie: amici miei, è Dio che
con la sua mano invisibile, ha stretto il nodo del sacro vincolo del vostro
matrimonio e vi ha consegnato uno all'altra e viceversa. Come potete allora
amarvi di un amore che non sia santo, sacro e divino? Il primo effetto di questo
amore è l'unione indissolubile dei vostri cuori. Se incolli tra loro due
tavolette di abete, servendoti di una buona colla, si uniranno in modo tale che
ti sarà più facile spaccarle altrove che nel punto nel quale le hai incollate;
Dio unisce l'uomo e la donna con il proprio sangue; ecco perché questa unione è
così forte che sarà più facile che l'anima si separi dal corpo che il marito
dalla moglie. Questa unione va intesa in primo luogo riferita al cuore,
all'affetto, all'amore e non al corpo. Il secondo effetto di
questo amore deve essere la fedeltà inviolabile di uno per l'altra. Anticamente
i sigilli erano incisi negli anelli che si portavano al dito, cosa che del resto
afferma anche la Sacra Scrittura: ecco la ragione della cerimonia degli anelli,
che si compie alle nozze. La Chiesa, tramite il sacerdote, benedice un anello e
in primo luogo lo consegna all'uomo, per significare che in questo modo marca e
sigilla il suo cuore con questo Sacramento, perché in esso non entri mai più il
nome o l'amore di un'altra donna, finché vivrà colei che gli è stata data; poi
lo sposo mette l'anello nella mano della sposa perché anche lei sappia che mai
più in seguito il suo cuore dovrà accogliere affetto per un altro uomo diverso
da quello che il Signore le ha dato, finché vivrà su questa terra. Il terzo frutto del
matrimonio è la legittima generazione dei figli e la loro crescita. Voi, sposi,
godete di un onore molto grande, giacché Dio, volendo Moltiplicare le anime che
lo lodino e lo benedicano per l'eternità, vi ha scelto per cooperare a un così
grande disegno, affidandovi la generazione dei corpi nei quali egli fa scendere
come gocce celesti le anime che crea appositamente per infonderle in quei corpi. Per tutto questo, voi
mariti dovete nutrire per le vostre mogli un amore tenero, costante e profondo:
per questo la donna è stata tratta dalla costola più vicina al cuore del primo
uomo: perché egli l'amasse profondamente e teneramente. Le debolezze e le
infermità delle vostre donne, sia di corpo che di spirito, non devono provocare
nessun genere di disprezzo, ma piuttosto una dolce e amorevole comprensione,
perché è Dio che le ha create così; infatti per tale condizione dipendono da voi
e a voi ne viene maggiore onore e rispetto; sono per tale motivo strettamente
legate a voi quali compagne e voi ne siete i capi responsabili. E voi, mogli, amate con
tenerezza e cordialità i mariti che Dio vi ha dato, ma non dimenticate di
mettere nel vostro amore anche rispetto e cortesia; è per questo che Dio li ha
creati più vigorosi e risoluti, e ha voluto che la donna dipendesse dall'uomo,
ossa delle sue ossa, carne della sua carne, e fosse generata da una sua costola,
presa sotto il suo braccio, per indicare che deve stare sotto la protezione ed
essere guidata dal marito. In tutta la Sacra Scrittura si raccomanda
insistentemente questa sottomissione, che poi la stessa Scrittura rende dolce,
non solo perché vi chiede di accettarla con amore, ma perché raccomanda ai
vostri mariti di fare la loro parte, con grande amore, tenerezza e dolcezza:
Mariti, dice S. Pietro, abbiate un comportamento discreto con le vostre mogli,
perché sono fragili come vasi di cristallo; e portate loro onore. Vi esorto a rendere sempre
più forte questo amore reciproco, ma fate attenzione che non si muti in alcuna
forma di gelosia; capita spesso che le mele più delicate e più mature abbiano il
verme; la stessa cosa può capitare tra gli sposi: dall'amore più ardente e
premuroso può nascere il verme della gelosia che guasta e fa marcire tutto.
Comincia con le discussioni, poi le discordie e infine le divisioni. La gelosia
non potrà mai entrare dove c'è un'amicizia reciproca fondata sulla virtù
sincera; infatti la gelosia è segno di un amore sensuale e che cresce dove trova
una virtù manchevole, incostante e diffidente. Ed è per questo che è una
sciocca pretesa voler esaltare l'amicizia con la gelosia; la gelosia è soltanto
segno dell'ampiezza e dello spessore dell'amicizia; ma non della sua buona
qualità, della sua bellezza, della sua perfezione. La perfezione dell'amicizia
esige certezza nella presenza di virtù in colui che si ama; la gelosia
presuppone invece l'incertezza sulla presenza di tali virtù. Se voi, mariti, volete che
le vostre donne siano fedeli, insegnatelo loro con il vostro esempio. Dice S.
Gregorio Nazianzeno: " Con che faccia pretendete la pudicizia dalle vostre
mogli, se poi siete voi a vivere nell'impudicizia? Come potete domandare loro
ciò che non fate voi? ". Volete che siano caste? Comportatevi castamente con
loro e, come dice S. Paolo: Ciascuno sappia possedere il proprio vaso in
santità. Se al contrario, voi insegnate loro cose disoneste, non meravigliatevi
poi se le perderete e con disonore. Voi, mogli, il cui onore è
legato inseparabilmente alla pudicizia e all'onestà, conservate gelosamente la
vostra gloria e non permettete che alcun genere di dissolutezza offuschi la
bellezza del vostro buon nome. Temete ogni sorta di attacco, per piccolo che
sia, non tollerate alcun corteggiamento nei vostri confronti. Dovete sospettare
di chi viene a lodare la vostra bellezza e la vostra gentilezza, perché chi loda
una merce che non può acquistare per lo più è fortemente tentato di rubarla. Se
poi alla lode delle tue qualità aggiunge il disprezzo per tuo marito, ti offende
gravemente perché è evidente che, non solo vuole perderti, ma ti considera già a
metà perduta; infatti il contratto è mezzo concluso con il secondo acquirente
quando si è stanchi del primo! Ci sono donne, sia
dell'antichità che dei nostri tempi, che hanno l'abitudine di portare pendagli
con un certo numero di perle alle orecchie, per il piacere di sentirle
tintinnare, una contro l'altra, almeno così dice Plinio! Ed ora, se permetti, ti
dico il mio parere: io so che Isacco, grande amico di Dio, mandò a Rebecca, come
primo segno del suo amore, degli orecchini; penso che quell'ornamento mistico
voglia significare che la prima cosa che un marito ha il diritto di aspettarsi
dalla moglie, e che la moglie deve gelosamente conservare per lui, è l'orecchio;
non deve lasciarvi entrare alcuna parola o altro, al di fuori del dolce
tintinnio pieno d'amore, fatto di parole caste e pudiche, figurate nelle perle
orientali del Vangelo: bisogna ricordarsi sempre che le anime sono avvelenate
per le orecchie, come il corpo per la bocca. L'amore e la fedeltà unite
insieme generano sempre libertà e confidenza; ecco perché i Santi e le Sante nel
matrimonio hanno usato di molte reciproche carezze, carezze piene d'amore, ma
caste; tenere, ma sincere. Isacco e Rebecca, la
coppia più casta dell'antichità, furono visti dalla finestra mentre si
accarezzavano in tale maniera che, benché non ci fosse nulla di disonesto,
Abimelech concluse che non potevano essere che marito e moglie. Il grande S.
Luigi re, rigorosissimo con se stesso, era tenerissimo con la moglie, tanto da
meritare quasi di essere richiamato per le carezze eccessive; penso che
piuttosto avrebbe meritato una lode per il modo con il quale sapeva dimenticare
il suo spirito militare e coraggioso per far posto a quelle piccole attenzioni
che hanno il pregio di conservare l'amore coniugale; infatti, benché quelle
piccole dimostrazioni di semplice e schietta amicizia non leghino i nostri
cuori, servono tuttavia ad avvicinarli e sono un piacevole complemento della
reciproca conservazione. S.Monica, quand'era
incinta del grande S. Agostino, lo consacrò con rinnovate offerte, alla
religione cristiana e al servizio della gloria di Dio, come ci riferisce egli
stesso confessandoci che aveva già assaporato " il sale di Dio nel seno
di sua madre ". E’ un grande esempio per
le donne cristiane: offrire alla maestà divina il frutto del loro seno, anche
prima che veda la luce, perché Dio, che accetta le offerte di un cuore umile e
pieno di buona volontà, abitualmente asseconda gli affetti delle madri in tali
condizioni. Ne sono testimoni Samuele,
S. Tommaso d'Aquino, S. Andrea da Fiesole e molti altri. La madre di S. Bernardo,
degna madre di così grande figlio, prendeva in braccio i figli appena nati e li
offriva a Gesù Cristo, e da quel momento voleva loro bene come a cosa consacrata
a Dio e che da Lui le era stata affidata; cosa che I,- riuscì così perfettamente
che tutti e sette divennero grandi santi. Ma una volta venuti al
mondo, quando cominciano ad avere l'uso di ragione, i papà e le mamme devono
avere grande cura di imprimere nel cuore dei loro figli il timore di Dio. La buona regina Bianca
compì particolarmente bene questo dovere nei confronti del Re S. Luigi, suo
figlio, dicendogli spesso: " Caro figlio, preferirei vederti morto sotto i miei
occhi, che vederti commettere un sol peccato mortale "; la qual cosa rimase
talmente impressa nel cuore di quel santo figlio, che, come raccontava egli
stesso, non ci fu mai giorno della sua vita nel quale non se ne ricordasse, e si
impegnasse con tutte le sue forze, a restare fedele a quella raccomandazione. Nel nostro modo di
parlare, le stirpi e le generazioni sono chiamate 'casa'; gli Ebrei chiamano
anche la generazione dei figli 'costruzione della casa', perché è in questo
senso che si dice che Dio edificò delle case per mezzo delle levatrici d'Egitto. Questo per dimostrare che
impiegare molti beni mondani non equivale a costruire una buona casa; ma
allevare i figli nel timore di Dio e nella virtù, quello sì che è costruire una
casa solida. In questo campo non ci si
deve risparmiare nessun genere di fatica e di lavoro, perché i figli sono la
corona del padre e della madre. S. Monica contrastò con
tanto amore e costanza le cattive inclinazioni di S. Agostino, che, dopo averlo
seguito per terra e per mare, si può dire che lo rese felicemente suo figlio con
la conversione, più di quanto non lo fosse stato per la generazione del corpo. S. Paolo lascia alle donne
la cura e la responsabilità della casa; molti sono di questa opinione e
sostengono che la devozione della donna porta più frutto alla famiglia di quella
del marito; il motivo è che i mariti conducono una vita molto più fuori dalle
pareti domestiche, per cui non possono avere tanta influenza nell'indirizzare i
figli alla virtù. E’ questa considerazione
che fa dire a Salomone, nei Proverbi, che tutta la felicità di una casa
dipende dalla cura e dall'attività di quella donna forte che egli ci descrive. Nella Genesi si dice che
Isacco vedendo che sua moglie Rebecca era sterile, pregò il Signore per lei o,
com'è detto nel testo ebraico, pregò il Signore di fronte a lei, perché
pregavano uno da un lato e uno dall'altro del luogo di preghiera: e la preghiera
del marito fatta in questo modo fu esaudita. L'unione che si realizza
tra marito e moglie nella santa devozione è la più fruttuosa che si possa dare;
per questo devono, a gara, incoraggiarsi reciprocamente ad acquisirla. Ci sono
dei frutti, come la mela cotogna, che, per la loro asprezza, sono buoni soltanto
in marmellata; altri frutti poi sono talmente teneri e delicati che non possono
essere conservati se non canditi, come le ciliege e le albicocche. Similmente le mogli devono
augurarsi che i loro mariti siano canditi con lo zucchero della devozione,
perché l'uomo senza devozione è un animale spietato, aspro e rude; i mariti
devono augurarsi che le loro donne siano devote, perché senza la devozione, la
donna è molto fragile e predisposta a lasciare la virtù o a permettere che venga
offuscata. S. Paolo ha detto che
l'uomo infedele è santificato dalla donna fedele, e la donna infedele dall'uomo
fedele, perché nella stretta alleanza del matrimonio, facilmente l'uno può
attrarre l'altro alla virtù e viceversa. P, una vera benedizione quando l'uomo e
la donna fedele si santificano reciprocamente in un autentico timore del
Signore. L'aiuto reciproco deve
essere così grande che mai avvenga che entrambi siano adirati contemporaneamente
e improvvisamente, perché tra loro non si devono vedere dissensi e litigi. Le
mosche da miele non possono fermarsi dove c'è eco, rimbombo o clamore di voci;
lo stesso è dello Spirito Santo che non entra in una casa dove ci sono dispute,
contese, urla che si accavallano e litigi. S. Gregorio Nazianzeno
dice che già al suo tempo gli sposi festeggiavano l'anniversario del matrimonio.
Mi piacerebbe che si introducesse questa abitudine, purché non fosse la
copertura per divertimenti mondani e sensuali, ma che i mariti e le mogli,
confessati e comunicati in quel giorno, raccomandassero a Dio, con un fervore
più intenso che d'abitudine, il progresso del loro matrimonio, e rinnovassero i
buoni propositi di santificarlo sempre più con un'amicizia e una fedeltà
reciproca; sarebbe il modo di riprendere fiato in Nostro Signore per sopportare
sempre meglio il peso della loro vocazione.
Capitolo
XXXIX
L'ONESTA DEL LETTO MATRIMONIALE Il letto matrimoniale deve
essere immacolato, dice l'apostolo, ossia non contaminato da impudicizie e altre
innominabili brutture. Il matrimonio è stato
istituito nel paradiso terrestre, dove ancora non c'era stata alcuna
sregolatezza sensuale, né altra disonestà. C'è una certa analogia tra
i piaceri legati al sesso e quelli legati al cibo: sia gli uni che gli altri
riguardano la carne; l'unica differenza è che i primi, per la loro brutale
violenza, vengono chiamati semplicemente carnali. Per cui parlerò degli uni,
intendendo con ciò illustrare anche gli altri, soprattutto riguardo ad alcuni
dettagli scabrosi, che non mi sembra opportuno affrontare direttamente. 1. Il mangiare ha per fine
la conservazione della vita: ora mangiare semplicemente per nutrire e conservare
la persona è una cosa buona, santa e comandata; la stessa cosa va detta per
l'uso del matrimonio: ciò che esige la generazione dei figli e la
moltiplicazione delle persone è una cosa buona e molto santa, perché ne è il
fine principale. 2. Mangiate non per
conservare la vita ma per il piacere di continuare ad intrattenerci con gli
altri e scambiare con essi cortesie, è cosa molto giusta e onesta: allo stesso
modo, la reciproca e legittima soddisfazione delle parti nel santo matrimonio, è
chiamato da S. Paolo dovere; ma è un dovere così grande che non permette che
nessuna delle due parti possa esimersene senza il libero e volontario consenso
dell’altra, nemmeno per consacrarsi agli esercizi di devozione, il che mi ha
fatto dire sull'argomento la frase che ho inserito nel capitolo sulla santa
Comunione; quindi ancor meno ci si deve dispensare con scuse capricciose di
pretese virtù immaginarie o peggio ancora perché si è adirati o si prova un
sentimento di disprezzo. 3. Coloro che mangiano per
il dovere di stare in compagnia, devono farlo disinvoltamente e non per forza;
per di più devono anche dare l'impressione di avere appetito. Similmente il
dovere coniugale deve essere reso sempre fedelmente, con franchezza e nella
speranza di generare figli, anche se si dovesse realizzare qualche condizione
che lo escluda. 4. Mangiare non per i due
motivi suindicati, ma solo per soddisfare l'appetito, si può anche accettare, ma
non lodare; il semplice piacere dell'appetito sensuale non può essere motivo
sufficiente per rendere lodevole un'azione; è già molto che la renda
accettabile. 5. Mangiare non per
appetito, ma per ingordigia, è cosa più o meno riprovevole; dipende dalla misura
degli eccessi. 6. L'eccesso nel mangiare
non si valuta soltanto dalla quantità esagerata che si ingurgita, ma anche dal
modo e dalla maniera di mangiare. Sembra strano, Filotea, eppure il miele così
appropriato e salutare per le api, qualche volta fa loro male fino a renderle
malate: quando in primavera ne mangiano troppo, l'eccesso dà loro la dissenteria
che qualche volta le conduce fino alla morte; alla stessa conclusione giungono
quando si impiastricciano di miele la testolina e le alucce. In verità, il rapporto
matrimoniale che di natura sua è così santo, giusto e raccomandabile, tanto
utile alla società, in certi casi può diventare pericoloso per gli interessati;
sì, perché qualche volta rende le loro anime molto malate di peccato veniale,
questo con i semplici eccessi; ma qualche altra volta le fa addirittura morire
con il peccato mortale, come quando viola e perverte l'ordine naturale stabilito
per la generazione dei figli, nel qua] caso, in proporzione alla gravità della
violazione di quell'ordine, i peccati, sempre mortali, possono risultare più o
meno esecrabili. Siccome la procreazione dei figli è il primo e principale fine
del matrimonio, non ci si può mai scostare dall'ordine da esso richiesto, anche
se per causa di qualche altra circostanza non dovesse essere conseguito: esempi,
la sterilità o la gravidanza in corso, nei quali casi evidentemente non c'è
procreazione; in tali circostanze il commercio corporale non cessa di essere
giusto e santo, sempre che siano osservate le regole per la generazione, perché
nessuna circostanza potrà mai togliere valore alla legge imposta dal fine
principale del matrimonio. L’azione infame ed
esecrabile commessa da Onan nel matrimonio, era detestabile agli occhi di Dio,
come dice il testo sacro nel capitolo trentottesimo della Genesi; e benché
qualche eretico del nostro tempo, più biasimevole dei Cinici, dei quali parla S.
Girolamo nel commento alla lettera agli Efesini, abbia voluto sostenere che era
l'intenzione perversa che Dio detestava, la Scrittura non lascia dubbi, e dice
chiaramente che era la cosa in sé che davanti a Dio era detestabile e
abominevole. 7. E’ indice sicuro di uno
spirito di accattone, villano, abietto e senza onore pensare ai cibi e alla
scorpacciata prima del pasto; peggio ancora quando dopo ci si sofferma sul
piacere provato nel rimpinzarsi, parlandone e pensandoci, immergendo lo spirito
nel ricordo della voluttà provata trangugiando vivande; proprio come fanno
alcuni che prima del pranzo hanno il loro spirito sullo spiedo e dopo il pranzo
nel piatto. Sono veri lavandini da cucina, sono quelli di cui parla S. Paolo
quando dice che hanno fatto del ventre il loro dio. La gente rispettabile
pensa alla tavola quando si siede, e dopo il pasto si lava le mani e la bocca
per non sentire più né l'odore, né il sapore di quello che ha mangiato.
L'elefante è un gran bestione, ma è il più degno degli animali ed ha buon senso:
voglio raccontarvi un aspetto della sua onestà. Non cambia mai femmina e ama
teneramente quella che ha scelto, con la quale si accoppia soltanto ogni tre
anni e per cinque giorni; si circonda di tanto segreto che non è mai stato
possibile sorprenderlo in quell'atto; si fa vedere apertamente il sesto giorno
quando si reca al fiume per un bagno totale, perché non vuole rientrare nel
branco senza essersi totalmente purificato. Sembra quasi che il
comportamento così bello e onesto di quest'animale inviti gli sposi a non
rimanere impantanati col cuore nelle sensualità e nei piaceri provati secondo la
loro condizione; ma una volta passati, bisogna lavarne il cuore e gli affetti,
purificarsi il più presto possibile, per potere in seguito, in libertà di
spirito, affrontare le altre azioni più pulite ed elevate del proprio stato. In questo consiglio è
racchiusa la pratica della meravigliosa dottrina che S. Paolo consegna ai
Corinzi; dice: Il tempo è breve, coloro che hanno moglie si comportino come se
non l'avessero. Perché, secondo S. Gregorio, avere una donna come se non si
avesse vuol dire prendere assieme a lei i piaceri corporali in modo tale da non
essere distolti dalle aspirazioni dello spirito. Quello che si dice del marito,
si applica logicamente anche alla moglie. Coloro che usano del
mondo, continua l'apostolo, siano come se non ne usassero. Tutti si servano pure
del mondo, secondo la propria vocazione, ma senza impegnare l'affetto, in modo
da essere sempre liberi e pronti a servire Dio senza che il mondo ci sia di
ostacolo. Dice S. Agostino: " t il
grande male dell'uomo pretendere di godere di quelle cose di cui deve soltanto
servirsi, e volersi servire di quelle per le quali deve soltanto provare gioia
". Noi dobbiamo godere delle cose spirituali e di quelle corporali soltanto
servircene; quando noi trasformiamo in godimento l'uso delle cose corporali,
anche la nostra anima da ragionevole diventa bruta e bestiale. Penso di aver detto tutto
quello che volevo dire, ed essere riuscito a far capire senza dirlo quello che
non voleva dire.
Capitolo XL
CONSIGLI ALLE VEDOVE S. Paolo, scrivendo a
Timoteo, dice a tutti i vescovi: Onora le vedove che sono veramente vedove. Ora,
per essere veramente vedove sono richieste queste tre condizioni: 1. La vedova deve essere
non soltanto vedova di corpo, ma anche di cuore, ossia deve aver deciso, con una
ferma risoluzione, di mantenersi nello stato di una casta vedovanza; coloro che
sono vedove in attesa di risposarsi, sono separate dagli uomini solo quanto al
piacere del corpo, ma sono già unite a loro con la volontà del cuore. Se la vera
vedova, per sentirsi più stabile nello stato di vedovanza, vuole offrire in voto
a Dio il suo corpo e la sua castità, aggiungerà un bell'ornamento alla vedovanza
e metterà al sicuro la sua decisione. Infatti, una volta fatto il voto, vedendo
che non è più in suo potere lasciare la castità senza lasciare il paradiso, sarà
custode così gelosi del suo proposito, che non permetterà nemmeno a semplici
pensieri di matrimonio, di fermarsi nel suo spirito anche per un attimo, in modo
tale che quel voto costituirà una solida barriera tra la sua anima e ogni
progetto che sia contrario alla decisione presa. S. Agostino consiglia con
particolare insistenza questo voto alla vedova cristiana; e l'antico e dotto
Origene va molto oltre, perché consiglia alle donne sposate di destinarsi e
votarsi alla castità vedovile in caso che i mariti dovessero morire prima di
loro; questo perché tra i piaceri sensuali che potrebbero provare nel
matrimonio, possano avere anche i meriti di una casta vedovanza con questo voto
anticipato. Il voto rende le opere che
ne sono l'oggetto, più gradite a Dio, dà coraggio nell'affrontarle, e non offre
a Dio soltanto le opere, che sono il frutto della nostra buona volontà, ma gli
fa dono anche della volontà stessa, che è come dire l'albero che produce le
opere buone. Con la semplice castità
noi facciamo dono del nostro corpo a Dio, riservandoci la libertà di concedergli
in altra occasione, anche i piaceri dei sensi: col voto di castità, invece, gli
facciamo un dono assoluto e irrevocabile, senza riservarci la facoltà di
cambiare; in tal modo ci rendiamo felicemente schiavi di Colui il cui servizio è
molto meglio di tutti i regni. Approvo fino in fondo il parere di quei due
grandi uomini, per cui mi piacerebbe che le persone che se la sentono di seguire
i loro consigli, lo facessero con prudenza, santità e fermezza, dopo aver bene
esaminato il loro coraggio. invocato l'ispirazione celeste e ascoltato il
consiglio di qualche saggio e devoto direttore; in tal modo tutto sarebbe fatto
con maggior frutto.
2. Inoltre, bisogna che la
rinuncia alle seconde nozze si faccia senza secondi fini e con semplicità, per
rivolgere con maggiore purezza tutti i propri affetti a Dio, e unire il
proprio cuore, con tutte le sue parti, a quello della divina Maestà; anche il
desiderio di lasciare ricchezze ai figli o qualche altro progetto urnano, può
offrire alla vedova motivo di rimanere nella vedovanza, e probabilmente ne
riceverà anche lodi, ma non davanti a Dio, giacché davanti a Dio niente può
ricevere lode autentica se non è fatto per Lui. 3. Oltre a ciò, la vedova,
per essere veramente vedova, deve vivere staccata dalle gioie dei mondo e
privarsene volontariamente. S. Paolo dice che la vedeva che vive nelle delizie è
già morta da viva. Pretendere di essere vedova e poi compiacersi di essere
corteggiata, coperta di gentilezze, esaltata; pretendere di essere sempre
presente ai balli, alle danze, ai festini; profumarsi, agghindarsi, far di tutto
per essere piacente, vuoi dire essere vedova corporalmente viva, ma morta
nell'anima. a vuoi che abbia il fatto che l'insegna inalberata per indicare la
casa di Adone e dell'amor profano sia composta di piume bianche che si innalzano
a guisa di pennacchio, oppure di un velo nero, steso con sapiente maestria come
una rete sul volto? Anzi, spesso il nero dona anche più del bianco e mette in
maggior risalto i colori. La donna che ha già esperienza di come piacere agli
uomini, è più abile nel lanciare inviti pericolosi al loro spirito. La vedova
che vive compiacendosi in queste futili vanità, pur vivendo, è morta; a voler
chiamare le cose con il loro nome, è soltanto un fantasma di vedova. Il tempo di potare è
venuto, nella nostra terra si è udito il tubare della tortora, dice il Cantico.
Il taglio delle cose inutili di questo mondo è richiesto a chiunque voglia
vivere devotamente; ma è assolutamente indispensabile alla vera vedova, che,
come una casta tortora ha da poco smesso di piangere, gemere e lamentarsi per la
morte del marito. Quando Noemi tornò da Moab
a Betlemme, le donne della città che l'avevano conosciuta giovane sposa,
dicevano tra loro: Non è costei Noemi? Ma essa rispondeva: Vi prego, non
chiamatemi Noemi, perché Noemi significa graziosa e bella, ma chiamatemi Mara
perché il Signore ha riempito il mio cuore di amarezza: parlava così perché le
era morto il marito. Allo Stesso modo la vedova devota non ci tiene ad essere
chiamata bella e graziosa; si accontenta di essere ciò che Dio vuole che ella
sia, umile e abietta ai suoi occhi. Le lampade alimentate con
olio aromatico emanano un profumo più gradevole quando si spegne la fiamma:
similmente le vedove che hanno avuto un amore puro nel loro matrimonio, spandono
il profumo della virtù di castità più penetrante ancora quando si spegne la loro
fiamma, ossia quando si è spento il marito con la morte. Amare il marito quand'è
in vita, è cosa abituale tra le donne; ma amarlo tanto che dopo la morte non se
ne accetti un altro, è un livello d'amore che appartiene soltanto alle vedove
vere. Sperare in Dio, quando si ha l'appoggio del marito non è un fatto raro; ma
sperare in Dio quando tale appoggio viene a mancare, e cosa meritevole di grande
lode: questa è la ragione per la quale nella vedovanza si manifesta più
facilmente la consistenza delle virtù presenti nel matrimonio. La vedova che ha figli
ancora bisognosi di lei per la formazione e la guida, soprattutto per quello che
riguarda l'anima e il loro avvenire, non può e non deve abbandonarli per nessuna
ragione; l'apostolo Paolo dice chiaramente che è obbligata ad averne cura, per
fare quello che hanno fatto con lei mamma e papà, e anche perché, se nessuno ha
cura dei suoi, e principalmente di quelli della sua famiglia, sarebbe da
considerare peggio di un infedele. Ma se i figli sono oramai
autosufficienti, la vedova deve raccogliere tutti i suoi affetti e pensieri per
impegnarli più puramente al suo avanzamento nell'amore di Dio. Se non è costretta in
coscienza da cause di forza maggiore a immischiarsi nelle faccende materiali,
come, per esempio, i processi, il mio consiglio è che se ne stia completamente
fuori, e nella condotta degli affari segua il metodo più pacifico e tranquillo
che le sarà possibile, anche se non dovesse risultare il più fruttuoso. il
pericolo di danno A mio parere occorrerebbe che fosse realmente preoccupante per
meritare di essere messo a confronto con il bene di una santa serenità. Lasciamo
che i processi e simili pasticci distraggano il cuore e aprano la porta ai
nemici della castità; perché, per far piacere a coloro che ci devono sostenere,
si hanno spesso modi di fare poco devoti e poco graditi a Dio. L'orazione deve costituire
un costante esercizio per la vedova; siccome ella deve ormai nutrire amore
soltanto per Iddio, trovo naturale che le sue parole siano quasi esclusivamente
rivolte a Dio. Il ferro in vicinanza di un diamante non viene attratto dalla
calamita; ma se allontani il diamante, immediatamente il ferro scatta verso la
calamita. Mi sembra che l'esempio si possa applicare alla vedova: mentre il
marito era in vita, il suo cuore non poteva lanciarsi completamente in Dio; ma
appena il marito è morto, ella è libera di seguire con prontezza la scia dei
profumi celesti, dicendo, come la Sposa: Signore, ora che sono tutta mia,
prendimi come tutta tua; trascinami con te, corriamo al profumo dei tuoi
unguenti. L'esercizio delle virtù
proprie della santa vedova sono il totale riserbo, la rinuncia agli onori, al
rango, alle riunioni, ai titoli e simili vanità; il servizio dei poveri e degli
ammalati, la consolazione degli afflitti, l'iniziazione delle ragazze alla vita
devota, e quella di rendersi un perfetto esempio di ogni virtù per le giovani
donne. La pulizia e la semplicità
sono i due abbellimenti per i loro abiti; l'umiltà e la carità i due ornamenti
per le loro azioni; l'onestà e il tratto gentile, l'ornamento della loro
conversazione; il riserbo e la pudicizia, l'ornamento dei loro occhi; e Gesù
Cristo Crocifisso l'unico amore del loro cuore. Per concludere, nella
Chiesa, la vera vedova è una violetta di marzo, che spande intorno a sé un
profumo incomparabile di devozione, e si tiene sempre nascosta sotto le larghe
foglie della sua umiltà, e con i colori meno sgargianti che indossa, testimonia
la mortificazione; cresce nei luoghi freschi e non coltivati, non vuol essere
agitata dalle conversazioni della gente di mondo, per meglio proteggere la
freschezza del cuore dal desiderio dei beni, degli onori e, perché no? dal
calore di un’amore che potrebbe invaghirla. Sarà molto felice, dice il santo
Apostolo, perseverando in quella via. Avrei molte altre cose da
dire a questo proposito; ma avrò detto tutto esortando la vedova custode
premurosa dell'onore della propria condizione, a leggere attentamente le belle
lettere che il grande S. Girolamo scrisse a Furia e a Salvia, e a tutte quelle
altre signore che ebbero la fortuna di essere figlie spirituali di un tale
padre; non c'è nulla da aggiungere a quello che scrive loro; al più solo questo
consiglio: la vera vedova non deve mai biasimare o censurare coloro che passano
a seconde nozze e magari anche alle terze . alle quarte; in certe situazioni è
Dio che così dispone per la propria maggior gloria. Bisogna avere sempre davanti
agli occhi quella dottrina degli Antichi: in cielo il posto alla vedovanza e
alla verginità è assegnato soltanto dall'umiltà che le accompagna.
Capitolo XLI
UNA PAROLA ALLE VERGINI Voi che siete vergini, se
aspirate al matrimonio, conservate gelosamente il primo amore per il primo
marito. Penso che sia un grave inganno offrire al posto di un cuore integro e
sincero, un cuore già usato, adulterato e consumato nell'amore. Ma se la vostra felicità
vi chiama alle caste e verginali nozze spirituali, e volete per sempre rimanere
vergini, conservate l’amore nel modo più delicato possibile, per lo Sposo divino
che, essendo la Purezza incarnata, nulla gradisce quanto questa virtù. A Lui
dobbiamo tutte le primizie, ma principalmente quelle dell'amore. Le lettere di S. Girolamo
vi offrono tutti i consigli del caso; e giacché la vostra condizione vi obbliga
all'obbedienza, scegliete una guida, per poter più santamente, sotto la sua
condotta, consacrare il vostro cuore e il vostro corpo alla sua divina Maestà.
QUARTA PARTE
Contiene i consigli opportuni contro le
tentazioni più correnti
Capitolo I
NON BISOGNA LASCIARSI SCORAGGIARE DALLE
CHIACCHIERE DELLA GENTE Appena la gente si
accorgerà che hai deciso di seguire la vita devota, scoccherà contro di te mille
frecciatine di compatimento e altrettanti dardi di pesante maldicenza: i più
arrabbiati daranno al tuo cambiamento il nome di ipocrisia, di bigotteria, di
tradimento; diranno che il mondo ti ha voltato le spalle ed allora ti sei
consolata volgendoti a Dio; i tuoi amici poi, da parte loro, si affretteranno a
somrnergerti di rimproveri, tanto prudenti e pieni di carità, a loro avviso.
Sanno già che diventerai triste, perderai credito di fronte alla gente,
sarai insopportabile, invecchierai prima del tempo, le cose di casa tua andranno
a rotoli; ti ricorderanno che bisogna vivere nel mondo stando alle sue regole,
che l'anima si può salvare anche senza tante storie; e simili sciocchezze. Filotea, credimi, sono
tutte chiacchiere stupide e inutili; a quella brava gente non importa proprio
niente né della tua salute, né dei tuoi affari. Se voi foste del mondo,
dice il Salvatore, il mondo amerebbe ciò che è suo; ma siccome voi non siete del
mondo, vi odia. Ho visto gentiluomini e dame passare intere notti di seguito a
giocare agli scacchi e alle carte. Esiste forse
un'occupazione più vuota, più triste e più massacrante di quella? Eppure
la brava gente non mette parola: gli amici non se ne sono minimamente
preoccupati; se invece noi facciamo un'ora di meditazione, oppure ci vedono
alzarci al mattino un po' più presto pararci alla santa Comunione, tutti si
precipitano dal medico per farci curare dallo stato ansioso e dall'itterizia.
Passa trenta notti a ballare e nessuno troverà da ridire; per la sola veglia
della notte di Natale, il giorno dopo, chi ha la tosse e chi il mal di pancia. Chi non si accorge subito
che il mondo è un giudice ingiusto? Gentile ed accomodante con i suoi figli, ma
duro e senza pietà per i figli di Dio. Per andare a genio al
mondo dobbiamo andare a braccetto con lui. E poi non riesci ad accontentarlo
nemmeno lo stesso perché è matto: t venuto Giovanni, dice il Salvatore, che non
mangia e non beve e voi dite che ha il diavolo; è venuto il Figlio dell'uomo che
mangia e beve e voi dite che è un samaritano. E’ proprio vero, Filotea,
se per far piacere agli altri, ci lasciamo andare a ridere, a giocare, a ballare
con la gente di mondo, il mondo ne sarà scandalizzato; se non lo facciamo ci
accuserà 1 di essere ipocriti e tristi; se ci vestiamo bene, penserà che abbiamo
un motivo nascosto; se andiamo alla buona, ci farà passare per gente senza
educazione; la nostra allegria sarà per lui dissolutezza, la mortificazione,
tristezza; ci guarda tanto di traverso che per quanto ci sforziamo, non gli
andremo mai a genio. Le nostre imperfezioni le ingigantisce e le classifica
peccati, i nostri peccati veniali li fa mortali; i nostri peccati di debolezza
li trasforma in peccati di malizia. Dovrebbe invece sapere, come dice S. Paolo,
la carità è benigna, il mondo, al contrario, è cattivo; dovrebbe sapere anche
che la carità non pensa male; a contrario, i mori pensa sempre ma e, e se
proprio non gli riesce di accusare le nostre azioni, accusa le nostre
intenzioni. I montoni possono avere le corna o non averle, essere bianchi o
essere neri, il lupo, appena gli riuscirà, li sbranerà. E’ un po' la stessa cosa
per noi fare quello che vogliamo, il mondo ci farà sempre guerra; se ci fermiamo
un po' davanti al confessore, si chiederà che cosa gli stiamo raccontando; se
invece ci sbrighiamo, dirà che abbiamo taciuto metà! Sorveglierà tutti i nostri
movimenti e per un piccolo scatto di collera dirà che siamo insopportabili; la
cura dei nostri affari la chiamerà avarizia, la nostra dolcezza, stupidità;
quanto ai figli del mondo, la loro collera è sincerità, la loro avarizia abilità
amministrativa; le libertà che si prendono, franchezza: i ragni rovinano sempre
l'opera delle api! Filotea, lasciamo perdere
questo cieco: lascialo urlare finché non si stancherà, come fa il barbagianni
per spaventare gli uccelli del giorno. Restiamo fermi nei nostri propositi, sarà
la perseveranza a dimostrare che è sul serio e con sincerità che ci siamo votati
a Dio e incamminati nella vita devota. Le comete e i pianeti
hanno apparentemente la stessa luminosità; solo che le comete scompaiono in poco
tempo, perché hanno soltanto una luminosità transitoria, mentre i pianeti godono
di una luce continua; lo stesso si può dire dell'ipocrisia e della virtù;
esternamente si assomigliano molto, ma volendo, si possono distinguere
con sicurezza l'una dall'altra: l'ipocrisia non dura nel tempo e si scioglie
come nebbia al sole, mentre la virtù autentica rimane stabile e costante. Non è un vantaggio da
poco, per ben cominciare il cammino della devozione, ricevere calunnie e
improperi: evitiamo, in tal modo, il pericolo della vanità e dell'orgoglio, che
sono come le levatrici d'Egitto, cui l'infernale Faraone aveva dato l'ordine di
uccidere i nati maschi di Israele il giorno stesso della nascita. Noi siamo crocifissi per
il mondo e il mondo è crocifisso per noi; il mondo ci considera pazzi? e noi
consideriamolo matto!
Capitolo II
E’ NECESSARIO FARSI CORAGGIO La luce, che pure è bella
e desiderabile per i nostri occhi, li abbaglia quando sono stati per lungo tempo
al buio; prima di familiarizzarti con gli abitanti di un paese che non
conosciamo, per quanto siano cortesi e premurosi, ti trovi, per un po' di tempo,
disorientata. Similmente, cara Filotea, può capitare che, a questo cambiamento
di rotta della tua vita interiore, tu rimanga seriamente sconvolta e questo
addio totale alle follie e alle stupidità del mondo, ti causi qualche momento di
sofferta tristezza e di scoraggiamento. Se dovessi trovarti realmente in simile
situazione, abbi un po' di pazienza, te ne prego: vedrai che non è nulla! Si
tratta soltanto di un po' di disorientamento di fronte alla novità; quando
questo momento sarà passato avrai consolazioni a non finire. Sulle prime è
facile che ti dispiaccia essere privata della gloria di cui gli sciocchi e gli
adulatori ti circondavano nella tua vanità; ma sul serio vorresti perdere quella
eterna che il Signore ti darà sulla sua parola di verità? I vuoti divertimenti e i
passatempi ai quali hai sacrificato gli anni passati ti torneranno alla mente
per adescare il cuore e riprenderselo; ma come potresti avere il coraggio di
rinunciare a una felicità eterna per leggerezze così
ingannevoli? Credi a me, se sarai perseverante, non passerà molto tempo che
sarai ricolma di dolcezze così deliziose e piacevoli, fatte di autentico miele,
che dovrai ammettere che il mondo ha soltanto del fiele a confronto! Un solo
giorno di devozione vale più di mille anni di vita di mondo. Ora ti accorgi che la
montagna della perfezione cristiana è terribilmente alta: dirai, Dio mio, e come
ci arriverò? Coraggio, Filotea, quando le larve delle api cominciano a prendere
forma si chiamano ninfe; non sanno ancora volare sui fiori, né sui monti, né
sulle colline, per raccogliere miele; ma piano piano, nutrendosi del miele
preparato dalle api anziane, quelle piccole ninfe mettono le ali e si
fortificano, e cosí in seguito potranno volare ovunque, alla ricerca del miele. E’ vero, noi siamo ancora
piccole larve nella devozione, non riusciamo a salire secondo il nostro
progetto, che è addirittura quello di raggiungere la vetta della perfezione
cristiana; ma, piano piano, prendiamo forma con i nostri desideri e i nostri
propositi, cominciamo a mettere le ali; abbiamo motivo di sperare che un giorno
saremo api spirituali e voleremo; nel frattempo viviamo del miele degli
insegnamenti così ricchi che i devoti prima di noi ci hanno lasciato, e
preghiamo Iddio che ci arricchisca di penne come di colomba, per poter volare
non soltanto nel tempo della vita presente, ma anche raggiungere il riposo
nell'eternità della futura.
Capitolo III LA NATURA DELLE TENTAZIONI
E LA DIFFERENZA TRA SENTIRE LA TENTAZIONE E ACCONSENTIRE AD ESSA Immagina, Filotea, una
giovane principessa molto amata dal suo sposo; pensa ora che qualcuno mai
intenzionato, per trascinarla a disonorare il letto nuziale, le invii un infame
messaggio d'amore per portare avanti con lei il suo esecrando disegno. Per prima cosa il
messaggero propone alla principessa l'intenzione del suo padrone; in un secondo
momento la principessa trova piacevole o ripugnante la proposta e la stessa
ambasceria; in terzo luogo, dice di sì o dice di no. Allo stesso modo Satana,
il mondo e la carne, vedendo un'anima sposa al Figlio di Dio, le mandano
tentazioni e suggerimenti con i quali: l. il peccato viene proposto; 2. a quella
proposta prova piacere o prova dispiacere; 3. infine acconsente o rifiuta. I
gradini per scendere al male sono tre: la tentazione, la dilettazione, il
consenso. E’ vero che questi tre
momenti non sempre è facile distinguerli chiaramente in ogni genere di peccato,
ma sono molto evidenti e distinti concretamente nei peccati di chiara gravità. Anche se la tentazione ad
un peccato ci tormentasse tutta la vita, non potrebbe renderci sgraditi alla
divina Maestà; l'essenziale è che non ci piaccia e che non acconsentiamo. Il
motivo è che nella tentazione noi non siamo attivi, ma passivi, e siccome non
proviamo alcun piacere, non possiamo essere colpevoli. S.Paolo sofferse
lungamente le tentazioni della carne e non per questo dispiaceva a Dio; anzi Dio
era glorificato nelle tentazioni; la Beata Angela da Foligno provava tentazioni
carnali così crudeli che, solo al racconto, si prova compassione per lei. Anche
le tentazioni patite da S. Benedetto e S. Francesco, allorché uno si gettò nella
neve e l'altro nelle spine per mitigarle, erano terribili; ma non per questo
persero la grazia di Dio; anzi la grazia in essi aumentò. Devi essere molto
coraggiosa, Filotea, quando sei afflitta da tentazioni, e non sentirti mai vinta
finché ti disgustano; tieni sempre presente la differenza che c'è tra sentire e
acconsentire; è possibile sentirle pur continuando a provarne dispiacere, ma
invece non è possibile acconsentire senza provare piacere in esse; il motivo è
presto detto: il piacere è il gradino al consenso. I nostri nemici possono
presentarci tutti gli inviti e le esche che vogliono, possono piazzarsi sulla
soglia della porta dei nostro cuore cercando di entrare, possono farci tutte le
promesse immaginabili; finché da parte nostra saremo decisi a rifiutare, non e
possibile che offendiamo Dio. Ricordati l'esempio della
principessa il principe sposo non può incolparla del messaggio che le è stato
inviato, se ella non si è compiaciuta. Tuttavia tra l'anima e quella principessa
c'è una differenza: la principessa, dopo aver ricevuto la proposta peccaminosa,
se lo vuole, può cacciare il messaggero e non più ascoltarlo; mentre non è
sempre in potere dell'anima non continuare a provare la tentazione, anche se è
in suo potere non acconsentire: ecco perché, anche se la tentazione persiste e
rimane a lungo, non può nuocerci finché la troviamo disgustosa. Quanto alla dilettazione
che può seguire la tentazione, siccome abbiamo due parti nell'anima, una
inferiore e l'altra superiore, e visto anche che l'inferiore non sempre segue la
superiore, anzi se ne mantiene indipendente, può capitare spesso che la parte
inferiore si compiaccia nella tentazione, senza il consenso, anzi contro il
gradimento della parte superiore: è questa la lotta e la guerra descritta da S.
Paolo, quando dice che la sua carne brama contro il suo spirito, che c'è
una legge delle membra e una dello spirito, e altre cose simili. Hai mai visto, Filotea, un
grande bracere con il fuoco coperto sotto la cenere? quando dieci-dodici ore
dopo vieni per cercare il fuoco, ne trovi soltanto un po' nel mezzo, e si fatica
a trovarlo; tuttavia c'era, visto che si può trovare! E con quello si possono
riaccendere tutti gli altri carboni spenti. La stessa cosa avviene della carità,
che è la nostra vita spirituale, soffocata da grandi e violente tentazioni: la
tentazione provoca alla dilettazione la parte inferiore e può dare l'impressione
di coprire tutta l'anima di cenere e ridurre l'amore di Dio allo stremo, perché
non si trova più da nessuna parte, meno che al centro del cuore, nascosto in
fondo allo spirito; sembra proprio che non ci sia più e si fatica a trovarlo. Eppure c'è e c'è sul
serio, perché anche se tutto è torbido nella nostra anima e nel nostro corpo,
noi abbiamo fatto il proposito di non acconsentire al peccato e nemmeno alla
tentazione; la dilettazione che piace al nostro uomo esteriore, dispiace a
quello interiore, e anche se circonda da ogni parte la nostra volontà,
l'importante è che non sia entrata in essa: da ciò appare evidente che si tratta
di una dilettazione involontaria, e quindi che non può essere peccato.
Capitolo IV
DUE BEGLI ESEMPI IN PROPOSITO Avresti senz'altro piacere
di capire bene ciò che ti sto dicendo ed io non ho difficoltà ad allungare il
discorso per chiarirlo ancora meglio. Il giovane di cui parla S.
Girolamo, che, steso e legato molto morbidamente con nastri di seta su di un
dolce letto, era provocato con ogni genere di toccamenti sensuali e seduzioni da
parte di una donna perversa che si era coricata con lui per scuotere la sua
resistenza, ti pare che non dovesse provare certe sensazioni? Non credi che i
suoi sensi fossero presi dal piacere, e la sua immaginazione soffocata dalla
presenza di tutte quelle voluttà? lo non lo metto in dubbio, eppure in mezzo a
quella tormenta del male, sballottato da una così terribile tempesta di
tentazioni, tra tante voluttà che lo attraggono da ogni parte, dimostra che il
suo cuore non è ancora vinto e la sua volontà non si arrende in alcun modo; e
poiché il suo spirito vede che tutto gli è contro, e non ha sotto la sua volontà
più alcuna parte del corpo che la lingua, se la tronca con un morso e la sputa
in faccia a quella donna di malaffare che, con il piacere, lo tormentava più
crudelmente di quanto non avrebbero saputo fare i carnefici con i tormenti; il
tiranno che aveva dubitato,
per piegarlo, della forza
dei tormenti, aveva riposto la sua fiducia, per vincerlo, nella forza dei
piaceri: ma si era sbagliato. Stupenda anche la storia
del combattimento di S. Caterina da Siena, sempre sullo stesso tema. Eccola in
breve. Lo spirito maligno aveva
avuto licenza da Dio di attaccare la castità di quella santa vergine con tutta
la rabbia che voleva, purché non la toccasse. Si mise dunque all'opera,
insinuandole nel cuore ogni sorta di oscenità e, per creare in lei un'emozione
ancora più forte, le si presentò con i suoi diavoli in sembianza di uomini e
donne, che si esibivano davanti a lei, in ogni genere di oscenità e di sconcezze
aggiungendo parole e inviti indecenti; benché tutte quelle manifestazioni
fossero esteriori, cionondimeno per mezzo dei sensi penetravano molto
profondamente nel cuore della giovane donna; il cuore ne era saturo. Libera da
questa tormenta di oscenità e di piaceri carnali le rimaneva soltanto la sottile
e pura volontà superiore. Questo durò per molto tempo; finché un giorno le
apparve Nostro Signore. Gli chiese subito: " Dov'eri, mio dolce Signore, quando
il mio cuore era così pieno di tenebre e di brutture? " Rispose il Signore: "
Figlia mia, mi trovavo nel tuo cuore ". " E come, replicò lei, potevi abitare
nel mio cuore, dove c'erano tante oscenità? Tu abiti in luoghi così malfamati? "
Le rispose Nostro Signore: " Dimmi un po', quegli sporchi pensieri del tuo cuore
ti davano piacere o tristezza, amarezza o diletto? " E lei: " Grande amarezza e
tristezza". Replicò il Signore: "Chi era a mettere quella grande tristezza e
amarezza nel tuo cuore, se non io che mi tenevo nascosto nel profondo della tua
anima? Credimi, figlia mia, se io non fossi stato presente, quei pensieri che
premevano intorno alla tua volontà senza poterla piegare, senza di me
l'avrebbero vinta e vi sarebbero penetrati, e il tuo libero arbitrio li avrebbe
accolti con piacere, e così avrebbero dato la morte alla tua anima; ma siccome
dentro c'ero io, inculcavo disgusto e resistenza al tuo cuore, di modo che con
tutte le forze non cedesse alla tentazione. Non potendo annientare la
tentazione, come avrebbe voluto, provava un disgusto ancora maggiore e un odio
profondo contro di lei e contro se stessa; e così quei tormentierano un grande
merito ed una grande vittoria per te, una grande crescita della tua virtù e
della tua forza ". Vedi bene, Filotea, quanto
quel fuoco fosse nascosto sotto la cenere, e la tentazione e il diletto fossero
penetrati nel cuore e avessero assediato la volontà, che sola, sostenuta dal suo
Salvatore, resisteva nelle amarezze, nei tormenti; rimanendo salda nel rifiuto
del male che le veniva proposto, rifiutando costantemente il consenso al Peccato
che la opprimeva da ogni parte. Quale sconforto per
un'anima che ama Dio, non sapere nemmeno se Egli è in lei o meno e se l'amore
divino, per il quale lotta, è completamente spento in essa o no! Ma è l'apice
della perfezione dell'amore celeste far soffrire e lottare l'amante per amore,
senza sapere se possiede quell'amore per il quale e per mezzo del quale lotta!
Capitolo V
INCORAGGIAMENTO ALL'ANIMA CHE SI TROVA NELLE
TENTAZIONI Cara Filotea, quei
terribili attacchi e quelle tentazioni così forti, sono permesse da Dio soltanto
contro le anime che Egli ha deciso di innalzare al suo meraviglioso e
ineguagliabile amore; ma non per questo, superato l'ostacolo, hanno la certezza
di giungervi; è capitato Parecchie volte che quelli che erano rimasti saldi di
fronte a quei violenti attacchi, non abbiano poi corrisposto al favore di Dio, e
così, in seguito, sono caduti nella trappola di tentazioni da nulla! Dico questo
perché, se dovesse capitarti di essere tormentata da una tentazione molto forte,
sappi che Dio vuole favorirti in modo tutto speciale e renderti più grande al
suo cospetto; ciononostante devi rimanere umile e guardinga, - e non illuderti
di poter vincere le piccole tentazioni solo perché hai vinto le grandi, se non
rimani fedele alla Maestà divina. Se dunque ti capita di
provare qualche tentazione e anche il piacere che ne consegue, mentre la volontà
rifiuta il proprio consenso, sia alla tentazione che al piacere che
l'accompagna, non turbarti minimamente, perché Dio non è offeso. Quando un uomo è svenuto e
non dà più alcun segno di vita, gli si posa la mano sul cuore e, per tenue che
sia il battito, se ne conclude che è vivo; e con l'aiuto di qualche sostanza
medicamentosa o qualche impacco gli si fanno riprendere le forze e i sentimenti. Allo stesso modo, capita
qualche volta che, per la violenza delle tentazioni, sembra che la nostra anima
sia stata completamente abbandonata dalle proprie forze e, come fosse svenuta,
sembra non dare più segni di vita spirituale e di movimento; se vogliamo
sincerarci di come stiano esattamente le cose, mettiamole la mano sul cuore: se
il cuore e la volontà spiritualmente pulsano ancora, ossia se sono fedeli nel
rifiutare e consentire a seguire la tentazione e il piacere, nessun timore!
Finché nel nostro cuore c'è il movimento del rifiuto, stiamo pur certi che la
carità, vita delle nostre anime, vive in noi, e Gesù Cristo nostro Salvatore
dimora nelle nostre anime anche se nascosto in un angolo. E così, con
l'esercizio assiduo dell'orazione, dei sacramenti e della fiducia in Dio, le
nostre forze ritorneranno e con esse la nostra vita piena e piacevole.
Capitolo VI
IN CHE MODO LA TENTAZIONE E LA DILETTAZIONE
POSSONO ESSERE PECCATO La principessa, di cui
abbiamo parlato, non può nulla contro la proposta disonesta che le viene fatta,
giacché, come abbiamo supposto, le giunge suo malgrado. Se, al contrario, con
qualche civetteria avesse dato motivo alla proposta, con cenni d'intesa a colui
che la corteggia, senza dubbio sarebbe responsabile della proposta; e anche se
ora si comportasse innocentemente, meriterebbe ugualmente biasimo e punizione. Può capitare qualche volta
che la sola tentazione ci metta in peccato, perché ne siamo la causa. Per
esempio, so che se gioco, mi adiro facilmente e bestemmio e che il gioco mi è di
trampolino a quei peccati: io pecco tutte le volte che gioco e sono colpevole di
tutte le tentazioni che mi capiteranno nel gioco. Così pure, se so che certe
conversazioni mi portano alla tentazione e alla caduta, e io mi ci metto
ugualmente, senza dubbio sono colpevole di tutte le tentazioni che vi
incontrerò. Quando la dilettazione che deriva dalla tentazione può essere
evitata, accettarla è sempre peccato nella misura che il piacere che ci si trova
e il consenso che le si dà è più o meno pieno, persistente nel tempo o solo di
breve durata. E’ sempre cosa biasimevole
per la giovane principessa, di cui abbiamo parlato, se non soltanto ascolta la
lurida e disonesta proposta che le viene avanzata, ma, dopo averle prestato
orecchio, vi prende piacere e vi ferma sopra il proprio cuore provandone
contento; benché ella non abbia l'intenzione di consentire all'atto materiale
proposto, cionondimeno acconsente all'adesione spirituale del suo cuore, al
godimento che ne ricava; è sempre disonesto aderire con il cuore o con il corpo
a un proposito contro l'onestà; la disonestà ha la sua sede nell'adesione del
cuore, tanto che senza di quella anche l'adesione del corpo non sarebbe peccato.
Quando dunque sarai tentata a qualche peccato, pensa se hai dato volontariamente
motivo a quella tentazione; in tal caso la tentazione è già peccato, per il
pericolo nel quale ti sei gettata. Questo va detto per quando potevi facilmente
evitare l'occasione e l'avevi prevista, o almeno avresti dovuto prevederla. Ma
se non hai offerto alcun appiglio alla tentazione, in nessun modo ti può essere
imputata a peccato. Quando la dilettazione che
segue la tentazione, poteva essere evitata, e non si è fatto, in qualche modo il
peccato è sempre presente secondo che ci si è soffermati poco o molto, e secondo
il motivo che ha dato origine al piacere che vi abbiamo provato. Una donna che non ha dato
occasione al corteggiamento e tuttavia prende piacere in esso, è ugualmente da
biasimare se il piacere che prende consiste proprio nell'essere corteggiata. Per
esempio, se il galante che vuole corteggiarla, suona divinamente il liuto e lei
ne gode, non perché le fa la corte, ma per l'arte e la dolcezza del suo liuto,
non c'è peccato; sarebbe però molto saggio per lei non rimanere troppo a lungo
su quel piacere, per timore di passare dal piacere della musica a quello del
suonatore! Così pure, se qualcuno mi
propone qualche stratagemma pieno di inventiva e di astuzia, per vendicarmi del
mio avversario, e io non ne godo e non consento alla vendetta proposta, ma mi
compiaccio nell'originalità della trovata, non faccio alcun peccato, anche se è
opportuno che non ci perda troppo tempo a trovarla una bella invenzione; potrei
anche finire col provare un certo piacere nel pensare alla vendetta in sé. Qualche volta rimaniamo
sorpresi da qualche sensazione piacevole che segue immediatamente la tentazione,
prima ancora che ce ne siamo accorti; per lo più è soltanto un leggerissimo
peccato veniale, che potrebbe anche diventare più grave se, dopo che abbiamo
preso coscienza del pericolo, per negligenza ci fermiamo un po' a contrattare
con il piacere, per sapere se dobbiamo accettarlo o se dobbiamo respingerlo;
potrebbe essere anche più grave, se, dopo aver avvertito il pericolo, ci
fermassimo su quello per vera negligenza, senza alcun proposito di liberarcene. Ma quando volontariamente
e deliberatamente abbiamo deciso di godere di tale piacere, anche soltanto
questo proposito, è già di per sé grave peccato, se l'oggetto del nostro piacere
è chiaramente cattivo. E’ molto grave per una
donna coltivare amori peccaminosi anche se ha l'intenzione di mai concedersi
fisicamente all'amante.
Capitolo VII
RIMEDI PER LE TENTAZIONI GRAVI Appena avverti in te
qualche tentazione, fa come i bambini quando scorgono il lupo o l'orso in
campagna; si precipitano immediatamente tra le braccia del papà o della mamma e
se non possono fare altro, strillano chiamandoli in aiuto. Similmente ricorri a
Dio, chiedendogli la sua misericordia e il suo aiuto; è il rimedio che ci
insegna Nostro Signore: Pregate per non entrare in tentazione. Se nonostante tutto, la
tentazione insiste e si accresce, in ispirito corri ad abbracciare la santa
Croce,come se tu vedessi realmente davanti a te Gesù crocifisso; protesta che
non cederai mai alla tentazione e chiedigli aiuto contro la stessa; finché la
tentazione rimarrà, tu insisti nel protestare che mai cederai. Mentre fai queste
proteste e insisti nel negare il tuo consenso, non guardare in faccia la
tentazione; guarda soltanto Nostro Signore; se tu dovessi guardare la
tentazione, soprattutto nei momenti di maggiore intensità, il tuo coraggio
potrebbe anche vacillare. Distrai il tuo spirito con
qualche occupazione buona e lodevole; tali occupazioni entreranno nel tuo cuore,
lo occuperanno e così elimineranno le perverse suggestioni del maligno. Il rimedio sicuro contro
tutte le tentazioni, grandi e piccole, è quello di aprire il proprio cuore e di
dire tutto quello che ci tormenta al nostro direttore spirituale: le tentazioni,
le nostre reazioni, gli affetti. La prima condizione che il maligno impone
all'anima che vuole sedurre, è il silenzio, esattamente come fanno quegli uomini
che tentano di sedurre le donne e le ragazze; per prima cosa impongono loro di
non farne parola con i papà e con i mariti: tutto diverso è il modo di agire di
Dio; nelle sue ispirazioni ci chiede di farlo sapere subito a chi ha la nostra
responsabilità e ai direttori spirituali. Che se poi, dopo tutto
ciò, la tentazione si ostina a tormentarci e a perseguitarci ci resta soltanto
di ostinarci, anche da parte nostra, ) nel protestare di non voler consentire;
perché, come le ragazze non possono essere date a marito finché dicono di no,
così l'anima, per quanto turbata, non sarà ferita finché dice di no! Non discutere con il
nemico e non dargli una sola parola di risposta, tranne quella con la quale lo
fece stare zitto Nostro Signore: Va indietro, Satana, tu adorerai il Signore tuo
Dio e solo a Lui servirai. La donna casta non deve
rispondere una sola parola e non deve guardare in faccia lo spasimante tanto
volgare che ha osato farle proposte disoneste; ma lo deve piantare in asso su
due piedi, e all'istante rivolgere il cuore al proprio sposo e rinnovare il
giuramento di fedeltà a lui promesso, senza perdere tempo in tentennamenti; allo
stesso modo, l'anima devota, vedendosi attaccata da qualche tentazione, non deve
perdere tempo a discutere e a rispondere, ma volgersi a Cristo Gesù suo Sposo,
rinnovargli la sua fedeltà e la promessa di appartenergli sempre.
Capitolo VIII
BISOGNA RESISTERE ALLE PICCOLE TENTAZIONI E’ fuor di dubbio che
bisogna combattere le grandi tentazioni con un coraggio travolgente, e la
vittoria che riporteremo ci sarà di molto aiuto; tuttavia avviene che si tragga
un profitto ancora maggiore nel combattere le piccole; il motivo è intuibile: le
prime sono grandi, le altre sono molte; di modo che si può dire che la vittoria
su queste equivale alla vittoria su quelle. I lupi e gli orsi sono
fuor di dubbio più pericolosi delle mosche, ma, quanto a farci esercitare la
pazienza, le mosche con la loro importunità e la noia che ci arrecano, la
vincono di molto! E’ facile non essere
assassini, ma molto difficile evitare le piccole collere che trovano
continuamente occasioni. t abbastanza facile per un uomo e una donna non cadere
in adulterio, ma non altrettanto facile impedirsi le occhiate, innamorarsi o
fare innamorare, procurare emozioni e piccoli piaceri, dire e ascoltare parole
di civetteria. E’ raro che sia necessario
mettere in guardia il marito o la moglie da un modo di agire spregiudicato che
costituisca pericolo per il corpo; ma non lo è altrettanto quando si tratta di
pericolo per il cuore. E’ abbastanza facile non profanare il letto matrimoniale,
ma non altrettanto non compromettere l'amore matrimoniale; è facile non rubare i
beni altrui, non altrettanto non corteggiarli e non desiderarli; è molto facile
non portare falsa testimonianza in tribunale, non altrettanto non mentire in
conversazione; molto facile non ubriacarsi, non altrettanto mantenersi sobri;
molto facile non desiderare la morte altrui, non altrettanto non desiderargli
qualche accidente; molto facile non disonorare, non altrettanto non nutrire
sentimenti di disprezzo. Si può concludere che le
piccole tentazioni di collera' di sospetto, di gelosia, di invidia, di
antipatia, di stranezza, di vanità, di doppiezza, di affettazione, di astuzia,
di pensieri indecenti, sono abituali anche per coloro che sono già più
incamminati nella devozione e più risoluti! Ecco perché, cara Filotea, è
necessario che ci prepariamo con grande cura e diligenza a questo combattimento;
sii certa che tutte le vittorie che riporterai contro questi piccoli nemici,
saranno tante pietre preziose incastonate nella corona di gloria che Dio ti
prepara in Paradiso. Ecco perché sostengo che,
in attesa di lottare bene e con valore, contro le grandi tentazioni, se
verranno, nel frattempo difendiamoci bene da questi piccoli e deboli attacchi.
Capitolo IX
COME RIMEDIARE ALLE PICCOLE TENTAZIONI Quanto alle piccole
tentazioni di vanità, di sospetto, di tristezza, di gelosia, di invidia, di
passioncelle e simili trabocchetti che, come mosche e moscerini, ci volano
davanti agli occhi e ci pungono ora sulla guancia, ora sul naso, non ci è dato
di liberarci completamente dal loro fastidio; la migliore resistenza che si
possa loro opporre è di non innervosirci; allo stesso modo, le piccole
tentazioni possono darci molto fastidio, ma non possono nuocerci, purché ci sia
sempre in noi la ferma decisione di servire Dio. Disprezza questi piccoli
attacchi, non degnarli nemmeno di un pensiero, anzi lasciali pure ronzare
intorno alle tue orecchie finché ne avranno voglia; che volino pure qua e là
intorno a te, come le mosche; se poi dovessero pungerti o posarsi un attimo sul
tuo cuore, cacciali e basta! Non metterti a combatterli <) a rispondere loro;
compi atti contrari, quelli che vuoi, ma soprattutto di amore di Dio. Se vuoi darmi ascolto, non
intestardirti a voler opporre alle tentazioni che provi, la virtù opposta:
questo sarebbe accettare il confronto. Ma, dopo aver compiuto un atto della
virtù opposta, se hai avuto tempo di inquadrare il genere della tentazione,
tornerai semplicemente con il tuo cuore a fianco di Cristo Gesù crocifisso, e
con un atto di amore gli bacerai i piedi. E’ il mezzo migliore per
vincere il nemico, tanto nelle piccole tentazioni come nelle grandi: l'amore di
Dio contiene in sé tutta la perfezione di tutte le virtù; per questo è il
rimedio migliore contro tutti i vizi. Se in tutte le tentazioni
prendi l'abitudine di ricorrere per principio a questo rimedio, non sarai più
obbligata ad indagare ed esaminare di che tentazione si tratta; ma, con tutta
semplicità, quando ti sentirai turbata, farai ricorso al rimedio sicuro che,
oltretutto, è così temibile per il maligno, il quale quando si accorge che le
sue tentazioni ci spingono all'amore di Dio, smette di tentarci. Ecco quello che volevo
dirti per le piccole ma frequenti tentazioni; chi volesse perdere tempo nei
dettagli, si annoierebbe e non ne ricaverebbe niente!
Capitolo X
COME FORTIFICARE IL CUORE CONTRO LE
TENTAZIONI Ogni tanto dà uno sguardo
alla tua anima per vedere quali sono le passioni che più vi spadroneggiano; una
volta scoperte, imposta la tua vita in modo esattamente contrario nei pensieri,
nelle parole, nelle azioni. Per esempio, se ti senti
portata alla passione della vanità, pensa spesso alla miseria di questa vita
terrena, quanto queste vanità peseranno sulla coscienza nel giorno della morte,
quanto siano indegne di un cuore generoso. Pensa che sono soltanto giochi e
divertimenti per bambini, e altre simili riflessioni. Parla spesso contro la
vanità, e anche se hai l'impressione di farlo malvolentieri, non perdere
occasione per disprezzarla, perché così, almeno per il tuo buon nome, ti
troverai impegnata contro di essa; e a forza di parlarne male, finirai per
odiarla, pur avendo avuto all'inizio per essa dell'affetto. Compi numerosi atti di
abiezione e di umiltà, anche se hai l'impressione di farli controcuore; in
questo modo ti abituerai all'umiltà e indebolirai la vanità; di modo che, quando
giungerà la tentazione, la tua inclinazione non le sarà più di appoggio e avrai
più forza per combatterla. Se sei portata
all'avarizia, pensa spesso alla follia di questo peccato che ci rende schiavi di
quello che è stato creato per il nostro servizio; pensa che al momento della
morte dovrai lasciare tutto, e lasciare i tuoi beni a chi in breve tempo li
dissiperà e al quale quei beni saranno causa di rovina e di dannazione, e altri
simili pensieri. Pronunciati con forza
contro l'avarizia, loda molto il disprezzo del mondo, fatti violenza per
elargire spesso elemosine e carità, e lascia perdere qualche occasione per
accumulare ricchezze. Se hai la tendenza ad
innamorarti e a far innamorare con una certa facilità, pensa spesso quanto sia
pericoloso questo divertimento, sia per te che per gli altri; pensa quanto sia
cosa indegna profanare e impiegare in passatempi il più nobile sentimento della
nostra anima; e quanto sia biasimevole come segno di una estrema leggerezza di
spirito. Parla spesso in favore della purezza e semplicità di cuore, e compi più
che puoi, atti coerenti, evitando le affettazioni e le smancerie. In conclusione, in tempo
di pace, ossia quando le tentazioni del peccato cui vai soggetta non ti
angustiano, compi molti atti della virtù opposta e, se le occasioni si
presentano, va loro incontro; è così che renderai forte il tuo cuore contro la
futura tentazione.
Capitolo XI
L'AGITAZIONE L'agitazione non è una
semplice tentazione, ma una fonte dalla quale e a causa della quale ci vengono
molte tentazioni: per questo te ne parlo un po'. La tristezza è la
sofferenza di spirito che noi proviamo per il male che si trova in noi contro la
nostra volontà, sia che si tratti di un male esteriore, come povertà, malattia,
disprezzo, oppure anche interiore, come ignoranza, aridità, ripugnanza,
tentazione. Quando l'anima avverte in
sé un male, prova contrarietà: questa è la tristezza; subito desidera
liberarsene e cerca il mezzo per disfarsene; fin qui ha ragione, perché
ciascuno, per natura, tende al bene e fugge ciò che reputa male. Se l'anima cerca i mezzi
per liberarsi dal suo male per amore di Dio, li cercherà con pazienza, dolcezza,
umiltà e serenità, aspettando la propria liberazione più dalla bontà e dalla
Provvidenza di Dio che dai propri sforzi, dalle proprie capacità e dalla propria
diligenza. Se invece cerca la propria liberazione per amor proprio, si agiterà e
si altererà nella ricerca dei mezzi, come se dipendesse più da lei che da Dio:
non dico che lo pensi, ma si comporta come se lo pensasse. Se non trova subito quello
che sta cercando, entra in uno stato di grande agitazione ed impazienza, che non
le tolgono il male, ma anzi lo peggiorano; l'anima entra in uno stato di
angoscia e smarrimento senza confini, con un tale cedimento del coraggio e della
forza, che le sembra che il suo male sia senza rimedio. A questo punto la
tristezza, che in partenza era giusta, genera l'agitazione; e l'agitazione in
seguito aumenta la tristezza, il che è molto pericoloso. L'agitazione è uno dei
mali peggiori che possa colpire l'anima, eccettuato il peccato. Allo stesso modo
che le sedizioni e i turbamenti interni di uno Stato lo rovinano completamente e
lo rendono incapace di opporre resistenza agli aggressori esterni, così il
nostro cuore, quando è turbato e agitato dentro di sé, perde la forza di
conservare le virtù che aveva acquistato e, nello stesso tempo, perde anche la
capacità di resistere alle tentazioni del nemico, il quale, come dice il
proverbio, in tal caso, si impegna a fondo per pescare in acque torbide. L'agitazione viene da un
desiderio smodato di liberarci dal male che ci opprime o di acquistare il bene
che speriamo; tuttavia nulla peggiora il male e allontana il bene quanto
l'agitazione e la precipitazione. Gli uccelli rimangono presi nelle reti e nei
lacci, soprattutto perché quando vi si impigliano, si dibattono e si agitano
disperatamente per venirne fuori, e così si inviluppano sempre più. Quando dunque sentirai il
desiderio di essere liberata da qualche male e di pervenire a qualche bene,
prima di tutto mettiti calma e serena, fa calmare il tuo intelletto e la tua
volontà, e poi, con moderazione e dolcezza, insegui pure il sogno del tuo
desiderio, prendendo con ordine i mezzi idonei; quando dico con moderazione, non
intendo dire con negligenza, ma senza precipitazione, senza turbamento e
agitazione; diversamente, invece di raggiungere l'oggetto del tuo desiderio,
rovinerai tutto e ti troverai peggio di prima. La mia anima è sempre
nelle mie mani, Signore, e non ho dimenticato la tua legge, diceva Davide. Rifletti più di una volta
al giorno, ma almeno sera e mattina, se è vero che hai il dominio della tua
anima; esaminati per renderti conto se non te l'abbia sottratta qualche passione
o l'agitazione. Mantieni il cuore ai tuoi ordini, oppure ti è sfuggito di mano
per impegolarsi in qualche passione sregolata di amore, di odio, di invidia, di
ingordigia, di paura, di noia, di gioia? Se per caso si fosse
smarrito, prima di tutto, trovalo! Riportalo con garbo alla presenza di Dio, e
sottoponi di nuovo i tuoi affetti e i tuoi desideri all'obbedienza e alla guida
della sua divina volontà. Dobbiamo comportarci come coloro che temono di perdere
qualche cosa che sta loro molto a cuore e la tengono molto stretta. Seguendo il
grande Re Davide, diremo: Mio Dio, la mia anima è in pericolo, ecco perché la
tengo sempre stretta nella mia mano; e così non ho dimenticato la tua legge. Per piccoli che siano e di
poca importanza, non permettere ai tuoi desideri di provocare agitazione in te;
e sai perché? ai piccoli seguiranno quelli più grandi e quelli più impegnativi e
troveranno il tuo cuore già aperto al turbamento e al disordine. Quando ti accorgerai che
stai per cadere nell'agitazione, raccomandati a Dio e decidi di non fare
assolutamente nulla di quanto pretende da te il desiderio, finché l'agitazione
non sia completamente sopita, a meno che non si tratti di cosa che non può
essere differita; nel qual caso, con un impegno dolce e sereno, devi contenere
la spinta del tuo desiderio, controllandolo e moderandolo nella misura del
possibile, e realizza quello che devi realizzare non seguendo il tuo desiderio,
ma seguendo la ragione. Se puoi manifestare la tua
agitazione -a chi ha la guida della tua anima, o almeno a qualche amico nel
quale hai fiducia, ma che sia devoto, fallo senza esitazione: presto ritroverai
la calma perché la comunicazione delle sofferenze del cuore fa all'anima lo
stesso effetto che il salasso al corpo di chi ha una febbre insistente: è il
rimedio dei rimedi. S. Luigi di Francia diceva
al figlio: " Se hai nel cuore un malessere, dillo subito al tuo confessore o ad
una brava persona, e così il tuo male diverrà leggero per il conforto che ne hai
avuto ".
Capitolo XII
LA TRISTEZZA Dice S. Paolo che la
tristezza secondo Dio opera la penitenza per la salvezza; la tristezza del
mondo, invece, opera la morte. La tristezza può essere quindi buona o cattiva:
dipende dagli effetti che produce in noi. E’ certo che ne fa più di
cattivi che di buoni, perché di fatto i buoni effetti sono soltanto due: la
misericordia e la penitenza; quelli cattivi invece sono sei: l'angoscia, la
pigrizia, lo sdegno, la gelosia, l'invidia, l'impazienza. Il che ha fatto dire
al Saggio: La tristezza ne uccide molti e non giova a nulla; infatti contro due
soli rigagnoli buoni che zampillano dalla sorgente della tristezza, ce ne sono
sei di cattivi! Il nemico si serve della
tristezza per portare le sue tentazioni contro i buoni; da un lato cerca di
rendere allegri i peccatori nei loro peccati, e dall'altro cerca di rendere
tristi i buoni nelle loro opere buone; e come non gli riuscirebbe di attrarre al
male se non presentandolo in modo piacevole, così non potrebbe distogliere dal
bene se non facendolo trovare sgradevole. Il maligno gode nella
tristezza e nella malinconia, perché lui è, e lo sarà per l'eternità, triste e
malinconico; per cui vorrebbe che tutti fossero così! La cattiva tristezza turba
l'anima, la mette in agitazione, le dà paure immotivate, genera disgusto per
l'orazione, assopisce e opprime il cervello, priva l'anima di consiglio, di
proposito, di senno, di coraggio e fiacca le forze. In conclusione, è come un
duro inverno che cancella tutta la bellezza della terra e manda in letargo gli
animali; infatti la tristezza toglie ogni bellezza all'anima e la rende quasi
paralizzata e impotente in tutte le sue facoltà. Filotea, se mai dovesse
capitarti di essere afflitta da questa cattiva tristezza, metti in atto i
seguenti rimedi. Dice S. Giacomo: Se qualcuno è triste, preghi: la preghiera è
il rimedio più efficace perché innalza lo spirito a Dio, nostra unica gioia e
consolazione; nella preghiera poi, serviti di affetti e parole interiori ed
esteriori, che portano alla fiducia e all'amore di Dio, come: 0 Dio di
misericordia, mio buon Signore, Salvatore mio misericordioso, Dio del mio cuore,
mia gioia, mia speranza, mio caro Sposo, Amore dell'anima mia, e simili. Combatti con forza la
tendenza alla tristezza; e anche se hai l'impressione che tutto quello che stai
facendo in quel frangente rimanga distante e freddo, triste e fiacco, non
rinunciare a farlo; il nemico che vuole per mezzo della tristezza far morire le
nostre buone opere, vedendo che non sospendiamo di farle, e che compiute con
sforzo valgono di più, cesserà di tormentarci. Canta dei canti
spirituali; spesso il maligno abbandona il campo di fronte a quest'arma. Un
esempio ci viene dallo spirito maligno che assediava e possedeva Saul, la cui
violenza era dominata soltanto dalla salmodia. E’ cosa buona occuparsi in
atti esteriori e variarli più che possiamo, per distrarre l'anima dall'oggetto
della tristezza, purificare e riscaldare gli spiriti; questo perché la tristezza
è una passione fredda e arida. Compi atti esteriori di
fervore, anche se non ci trovi alcuna attrattiva: abbraccia il Crocifisso
stringendolo al cuore, baciagli i piedi e le mani, alza gli occhi e le mani al
cielo, indirizza la tua Voce a Dio con parole di amore e di fiducia simili a
queste: Il mio Amore è mio e io sono sua. Il mio Amore è come un mazzetto di
mirra che riposa sul mio seno. I miei occhi si posano su di te, o mio Dio, e
dicono: Quando mi consolerai? 0 Gesù, sii Gesù per me; Viva Gesù, e anche la mia
anima vivrà. Chi mi separerà dall'amore del mio Dio? E simili. La disciplina moderata è
buona contro la tristezza, perché questa mortificazione esteriore volontaria,
chiama la consolazione interiore e l'anima, provando dolori dal di fuori, si
distrae da quelli che l'affliggono di dentro. La frequenza alla Santa Comunione
è ottimo rimedio; perché questo pane celeste dà forza al cuore e gioia allo
spirito. Manifesta tutti i tuoi
sentimenti, gli affetti, i pensieri alla tua guida e confessore, con umiltà e
sincerità; cerca la conversazione di persone spirituali e frequentale più che
puoi in tali circostanze. In conclusione, rimettiti
tra le mani di Dio, e preparati a sopportare con pazienza questa fastidiosa
tristezza, come giusta punizione per le tue stupide gioie; e sii certa che Dio,
dopo averti messa alla prova, ti libererà da questo male.
Capitolo XIII
LE CONSOLAZIONI SPIRITUALI E SENSIBILI E COME
BISOGNA COMPORTARSI CON ESSE Dio porta avanti la vita
di questo meraviglioso mondo in un continuo avvicendamento: al giorno segue la
notte, all'autunno, l'inverno, all'inverno la primavera; un giorno non è mai la
monotona ripetizione di un altro; ce ne sono di nuvolosi, di piovosi, di secchi,
di agitati dal vento; tutta questa varietà conferisce all'universo una grande
bellezza. La stessa cosa avviene per
l'uomo, che, secondo gli antichi, è un piccolo mondo; perché non si trova mai
nella stessa condizione, e la sua vita scorre su questa terra come le acque che
scrosciano e ondeggiano in un continuo turbinio di movimenti; e ora lo alzano
verso la speranza, ora lo prostrano nella paura, ora lo spingono verso la destra
della consolazione, ora verso la sinistra dell'afflizione, e non si dà mai un
giorno solo, anzi nemmeno un'ora sola, che sia identica all'altra. Voglio darti un consiglio
fondamentale: dobbiamo sforzarci di conservare una continua ed inattaccabile
uguaglianza di cuore in una simile varietà di situazioni; e benché intorno a noi
tutto muti in continuazione, dobbiamo rimanere saldamente fermi per guardare,
tendere e protendere sempre al nostro Dio. Qualunque rotta prenda la
nave, sia che faccia vela verso ponente o verso levante, verso mezzogiorno o
verso settentrione, qualunque sia il vento che la spinge, l'ago della bussola
sarà sempre rivolto alla bella stella e al polo. Anche se tutto dovesse
capovolgersi, non soltanto intorno a noi, ma anche dentro di noi, nonostante
tutto, per sempre e costantemente, la punta del nostro cuore, il nostro spirito,
la nostra volontà superiore, che è la nostra bussola, deve guardare senza sosta
e tendere stabilmente verso l'amore di Dio suo Creatore, suo Salvatore, suo
unico e supremo bene. E questo indipendentemente dal fatto che la nostra anima
sia nella tristezza o nella gioia, nella dolcezza o nell'amarezza, in pace o nel
turbamento, nella luce o nelle tenebre, nella tentazione o nella serenità, nel
piacere o nel disgusto, nella aridità o nella tenerezza, sia infine che il sole
la bruci o che la rugiada la rinfreschi! Sia che tu viva o tu
muoia, dice l'apostolo, sei in Dio. Chi ci separerà dalla carità e dall'amore di
Dio? Niente mai potrà separarci da quest'amore: né la tribolazione, né
l'angoscia, né la morte, né la vita, né il dolore presente, né il timore degli
eventi futuri, né le arti dello spirito maligno, né la grandezza delle
consolazioni, né la tenerezza, né l'aridità: nulla dovrà mai separarci da questa
santa carità fondata su Gesù Cristo. Questo proposito così
saldo di non abbandonare Dio e il suo tenero amore, è il contrappeso necessario
perché le nostre anime si conservino nella santa uguaglianza in mezzo
all'intreccio delle varie spinte che la natura di questa vita porta con sé. Allo stesso modo che le
api sorprese dal vento in aperta campagna, afferrano dei sassetti per potersi
bilanciare nel volo e non essere facilmente travolte dalla tempesta, la nostra
anima, che ha con forza e decisione abbracciato il prezioso amore di Dio, rimane
salda in mezzo alla varietà e alternarsi di consolazioni e afflizioni, tanto
spirituali che temporali, esteriori e interiori. Ma oltre a questi
insegnamenti di carattere generale, abbiamo bisogno di qualche indicazione
specifica. 1. Ripeto che la devozione
non consiste nella dolcezza, soavità, consolazione e tenerezza sensibile del
cuore, che ci porta alle lacrime e ai sospiri e ci dà una certa gradevole e
sensibile emozione in qualche esercizio di pietà. No, cara Filotea, queste
emozioni e la devozione non sono nemmeno parenti! Ci sono molte anime che
godono di queste tenerezze e consolazioni e che, non per questo, cessano di
essere viziose, e di conseguenza non hanno un vero amore di Dio e, ancor
meno, una vera devozione. Saul, mentre perseguitava a morte il povero Davide,
fuggiasco davanti a lui nel deserto di Engaddi, un giorno penetrò tutto solo in
una caverna in cui era nascosto Davide con i suoi; Davide in quell'occasione
avrebbe potuto ucciderlo molto facilmente, ma gli risparmiò la vita; non solo,
ma non volle nemmeno spaventarlo. Lo lasciò uscire e poi lo chiamò per
dimostrargli in tal modo la propria innocenza e fargli sapere che lo aveva avuto
alla sua mercè. E cosa non fece mai allora Saul per dimostrare che il suo cuore
era commosso di fronte a Davide? Lo chiamò figlio mio, si mise a piangere ad
alta voce, a lodarlo, ad esaltarne la bontà, a pregare Dio per lui, a predirne
la futura grandezza, a raccomandargli i posteri. Come avrebbe potuto manifestare
una maggiore dolcezza e tenerezza di cuore? Ciononostante nulla era cambiato
nella sua anima, e continuò la persecuzione contro Davide, inesorabile come
prima. Ci sono persone che
assomigliano a Saul, che riflettendo sulla bontà di Dio e sulla Passione del
Salvatore, provano momenti di forte commozione e sospirano, versano lacrime,
pregano e rendono grazie con modi molto sensibili. Si direbbe che sono presi da
una fortissima devozione. Ma quando si giunge alla prova, ci si accorge che
assomigliano ai temporali passeggeri di una estate molto calda, allorché cadono
sulla terra grossi goccioloni senza penetrare in profondità e sono utili
soltanto a far crescere funghi; infatti tutte quelle lacrime e tutte quelle
tenerezze cadono su un cuore vizioso e non lo penetrano, per cui non gli sono di
alcun giovamento. Nonostante tutte le apparenze, quella brava gente non si
priverà di una sola lira di quanto possiede dopo averlo accumulato poco
onestamente; non rinuncerà a uno solo degli affetti perversi, a un briciolo dei
propri agi per il servizio del Salvatore sul quale ha pianto. I buoni movimenti
che ha provato, sono soltanto funghi spirituali che, non solo non sono vera
devozione, ma spesso sono soltanto astuzie del maligno, il quale distrae le
anime con queste piccole consolazioni; e così le rende contente e soddisfatte di
modo che non cercano la vera e solida devozione, che consiste in una volontà
costante, decisa, pronta e operante di attuare ciò che sappiamo essere gradito a
Dio. Un bambino piangerà
teneramente se vede assestare un colpo di bisturi alla mamma per un salasso; ma,
se nello stesso tempo, sua madre, per la quale sta piangendo, gli dovesse
chiedere la mela o il cartoccio di confetti che ha in mano, vedresti che non
vuole cederle nulla. Molte delle nostre devozioni sono simili: quando pensiamo
al colpo di lancia che trafisse il cuore di Gesù Cristo Crocifisso, piangiamo
teneramente. Filotea, è cosa ben fatta piangere sulla morte e sulla passione
dolorosa del nostro Padre e Redentore; ma perché non vogliano dargli il nostro
cuore, la mela che @abbiamo in mano e che egli ci chiede con tanta insistenza,
l'unico frutto d'amore che il Salvatore ci chiede? Perché non vogliamo
lasciargli i nostri piccoli affetti, i nostri piccoli piaceri e le
soddisfazioni? Egli vuole strapparcele dalle mani e non ci riesce, perché sono i
nostri confetti e noi ne siamo molto più golosi che della sua grazia celeste. Questi sono sentimenti da
bambini, teneri ma deboli, fantasiosi, ma senza seguito. La devozione non consiste
in queste tenerezze e in questi affetti sensibili, che a volte provengono dalla
natura talmente debole e impressionabile da assorbire tutte le impressioni che
le si vogliono dare. Altre volte vengono dal maligno che per impacciarci nel
cammino provoca la nostra immaginazione alla tensione che ci porta a quei
risultati inutili. 2. Queste emozioni e
dolcezze affettuose, qualche volta possono anche risultare utili perché
provocano nell'anima il desiderio della devozione, danno conforto allo spirito,
aggiungono alla presenza della devozione una santa gioia e una serena allegria
che rende le nostre azioni spigliate e piacevoli anche esteriormente. Questo gusto per le cose
divine faceva esclamare a Davide: 0 Signore, quanto dolci sono le tue parole al
mio palato, sono più dolci del miele alla mia bocca. La più piccola consolazione
che ci viene dalla devozione, in ogni modo, vale più di tutte le gioie del
mondo. Il seno e il latte, ossia
i favori dello sposo divino, per l'anima, sono migliori del vino più pregiato,
ossia dei piaceri della terra: chi li ha assaporati considera tutte le altre
consolazioni fiele e assenzio. Chi mastica erba scitica
(=monocotiledone) ne riceve una tale dolcezza che non prova più né fame né sete;
allo stesso modo coloro ai quali Dio ha concesso la manna celeste delle soavità
e delle consolazioni interiori, non possono più desiderare né ricevere le
consolazioni del mondo; o almeno non possono trovarvi piacere o impegnarvi i
loro affetti. Sono piccoli assaggi delle
dolcezze immortali che Dio concede alle anime che lo cercano; sono zuccherini
che egli porge ai suoi figli più piccoli per invogliarli; sono bevande toniche
che offre loro per sostenerli, e qualche volta sono anticipi delle eterne
ricompense. Si dice che Alessandro
Magno, veleggiando in alto mare, scoprì per la prima volta l'Arabia felice
guidato dai profumi che il vento gli aveva portato; questo diede coraggio sia a
lui che ai suoi compagni. Allo stesso modo anche noi, nel mare di questa vita
terrena, riceviamo dolcezze e soavità che ci fanno pregustare le delizie di
quella Patria celeste alla quale tendiamo ed aspiriamo. ed aspiriamo. 3. Ma, mi dirai, dato che
ci sono consolazioni sensibili buone che vengono da Dio, e ce ne sono
anche di inutili, pericolose e persino dannose, che provengono dalla natura o
anche dal nemico, come potrò distinguere le une dalle altre e riconoscere le
cattive e le inutili in mezzo alle buone? E’ dottrina comune, cara Filotea,
circa gli affetti e le passioni della nostra anima, che le possiamo riconoscere
dai loro frutti. 1 nostri cuori sono alberi, gli affetti e le passioni i rami,
le opere e le azioni i frutti. E’ buono il cuore che ha buoni affetti e sono
buoni gli affetti e le passioni che producono in noi buoni frutti e sante
azioni. Se le dolcezze, le
tenerezze e le consolazioni ci rendono più umili, pazienti, trattabili,
caritatevoli e comprensivi nei confronti del prossimo, più pronti a mortificare
le nostre concupiscenza e le cattive inclinazioni, più costanti nei nostri
esercizi, più docili e disponibili nei confronti di coloro ai quali dobbiamo
obbedire, più semplici nella nostra vita, in tal caso possiamo essere certi,
Filotea, che vengono da Dio; ma se le dolcezze sono tali solo per noi, ci
rendono strani, aspri, puntigliosi, impazienti, cocciuti, orgogliosi,
presuntuosi, duri nei confronti del prossimo e, già pensando di essere
dei santarelli, rifiutiamo di sottometterci alla direzione e alla correzione, si
tratta, fuor di dubbio, di consolazioni false e dannose: un buon albero produce
esclusivamente buoni frutti. 4. Allorché riceviamo
dolcezze e consolazioni, a) dobbiamo umiliarci
profondamente davanti a Dio; stiamo bene attenti a non dire, provando quelle
dolcezze: come sono santa! Filotea, quelli sono doni che non ci rendono
migliori, perché, come ho già detto, la devozione non consiste in questo.
Diciamo invece: Com'è buono il Signore con quelli che sperano in lui, con
l'anima che lo cerca! Chi ha dello zucchero in bocca non può dire che sia la sua
bocca ad essere dolce, ma deve dire che è lo zucchero che è dolce; la dolcezza
spirituale che ci viene data è senz'altro ottima e ottimo anche Dio che ce la
dà, ma non se ne conclude che sia buono anche chi la riceve! b) Riconosciamo di essere
ancora bambini bisognosi di latte e che, se ci vengono date queste zollette di
zucchero, è perché abbiamo ancora lo spirito tenero e delicato, che ha bisogno
di allettamenti e di lusinghe per essere attirato all'amore di Dio. c) Tenendo presente tutto
ciò, in linea di massima, prendiamo l'abitudine di ricevere con umiltà quelle
grazie e quei favori, stimandoli molto grandi, non tanto perché lo sono in se
stessi, ma ancor più perché vengono dalla mano di Dio, che li pone nel nostro
cuore. Proprio come una madre che, per dimostrare affetto al figlio, gli mette
in bocca con la propria mano, una dopo l'altra, le zollette di zucchero e le
caramelle; se il bambino è sensibile apprezza molto di più la dolcezza, la
grazia e la carezza della mamma, che lo zucchero delle caramelle. Vedi, Filotea,
possedere delle dolcezze è molto, ma la dolcezza più grande è sapere che è Dio
con la sua mano amorevole e materna a depositarcele in bocca, nel cuore,
nell'anima, nello spirito. d) Dopo averle
ricevute con molta umiltà, serviamocene attentamente secondo l'intenzione di
Colui che ce le ha date. Perché Dio ci ha dato queste dolcezze? Per renderci
amabili con tutti e pieni di amore verso di Lui. La mamma dà una caramella al
bambino per averne un bacio! E allora baciamo questo Salvatore che ci fa dono di
tante dolcezze. Baciare il Salvatore, lo sai bene, vuol dire obbedirgli,
osservare i suoi comandamenti, fare la sua volontà, seguire i suoi desideri; in
breve: abbracciamolo teneramente con obbedienza e fedeltà. Quando riceviamo
consolazioni spirituali, dobbiamo essere ancora più attenti ad agire bene e ad
umiliarci. e) Ogni tanto, poi, bisogna saper rinunciare a queste
dolcezze, tenerezze e consolazioni; bisogna staccarne il cuore e protestare che,
pur accettandole con umiltà ed amandole, perché è Dio che ce ne fa dono per
attirarci al suo amore, tuttavia non sono quelle che noi cerchiamo, ma soltanto
Dio e il suo santo amore. Non cerchiamo le consolazioni, ma il Consolatore; non
le dolcezze, ma il nostro dolce Salvatore; non le che è la Soavità del cielo e
della sentimento dobbiamo Prepararci a santo amore di Dio, anche se in non
dovessimo mai incontrare alcuna consolazione. Noi vogliamo dire sul Calvario
quello che diciamo sul Tabor: Signore, è bello stare qui con te, sia che io ti
veda sulla Croce, come nella tua Gloria. f) Infine, se ti dovesse
capitare di trovarti in molte consolazioni, tenerezze, lacrime e dolcezze, o
qualche altro favore divino da esse dipendente, ti consiglio di riferirne
fedelmente alla tua guida spirituale, per sapere come devi comportarti e
regolarti, perché sta scritto: Hai trovato il miele? Mangiane soltanto per star
bene!
Capitolo XIV
LE ARIDITA E LE STERILITA’ DELLO SPIRITO Quando ti troverai nelle
consolazioni, cara Filotea, farai dunque come ti ho detto; ma il bel tempo, così
gradevole, non durerà in eterno; anzi qualche volta ti capiterà di sentirti così
vuota e lontana dal sentimento della devozione, che avrai la sensazione che la
tua anima sia una terra deserta, senza frutti, arida, senza sentieri e senza
piste per camminare verso Dio; senza nemmeno un filo d'acqua della sua grazia
per irrigarla. L'aridità è tale che tutto fa temere che l'anima sarà presto
ridotta simile a un terreno totalmente incolto e abbandonato. L'anima che si
trova in questo stato, sinceramente merita compassione, soprattutto quando la
sensazione di aridità è molto profonda; in tal caso l'anima si ciba giorno e
notte di lacrime, proprio come Davide, mentre il nemico, per farla disperare, la
deride con mille angustie e le chiede: Poveretta! e dov'è il tuo Dio? In quale
via lo troverai? Chi potrà darti la gioia della sua santa grazia? Che farai in simili
occasioni, Filotea? Guarda da dove viene il male: spesso siamo noi stessi causa
delle nostre aridità e sterilità. l. Come la madre rifiuta
lo zucchero al figlio soggetto ai vermi, così Dio ci priva delle consolazioni
quando noi ne ricaviamo vuote emozioni e andiamo soggetti ai vermi della
presunzione. Dio mio, hai fatto bene ad umiliarmi! Sì, perché prima che tu mi
umiliassi io ti avevo offeso. 2. Quando trascuriamo di
raccogliere le dolcezze e le delizie dell'amore di Dio nel tempo opportuno, il
Signore le allontana da noi per punire la nostra pigrizia. L'israelita che non
raccoglieva la manna di buon mattino, una volta sorto il sole, non gli era più
possibile, perché si scioglieva. 3. A volte ci adagiamo in
un letto di soddisfazioni sensuali e di consolazioni caduche, come la Sposa del
Cantico dei Cantici. Lo Sposo delle nostre anime bussa alla porta del nostro
cuore, ci invita a ricominciare di nuovo i nostri esercizi spirituali, ma noi
vogliamo mercanteggiare, perché ci dispiace lasciare quelle gioie, e separarci
dalle false soddisfazioni; allora egli passa oltre e ci lascia nella nostra
pigrizia. In seguito poi, quando lo cercheremo, faticheremo molto a trovarlo. Ce
lo meritiamo, perché siamo stati sleali e infedeli al suo amore e abbiamo
rifiutato di viverne l'esperienza per seguire l'amore delle cose del mondo. Se hai la farina d'Egitto,
non puoi avere la manna del cielo! Le api odiano tutti i profumi artificiali; le
soavità dello Spirito Santo non possono convivere con le delizie artificiali del
mondo. 4. La doppiezza e la
finzione nella confessione e nei colloqui spirituali con la propria guida,
provoca l'aridità e la sterilità: dopo che hai mentito allo Spirito Santo,
perché ti meravigli se ti priva della sua consolazione? Tu non vuoi essere
semplice e spontanea come un bambino, e allora non avrai le caramelle destinate
al bambino! 5. Ti sei ben ubriacata
delle gioie mondane, perché ti meravigli allora se le delizie spirituali ti
vengono a nausea? Dice un antico proverbio che le colombe ubriache trovano amare
le ciliege. Ha colmato di beni gli affamati, dice la Madonna, e i ricchi li ha
lasciati a mani vuote. i ricchi di piaceri mondani non possono ricevere quelli
spirituali. 6. Hai conservato bene i
frutti delle consolazioni ricevute. In tal caso ne riceverai delle altre, perché
a colui che ha sarà dato ancora di più ma a quello che ha perso tutto per
propria colpa sarà 'tolto anche quello che non ha; ossia sarà privato anche
delle grazie che gli erano destinate. Osserva come la pioggia dia vita alle
piante che hanno ancora del verde; ma a quelle che non ne hanno Più, toglie
anche la vita che non hanno, perché le fa marcire del tutto. Per molte di queste cause
noi perdiamo le consolazioni devote e cadiamo nell'aridità e sterilità di
spirito; esaminiamo la nostra coscienza per vedere se vi scopriamo manchevolezza
in questo campo. Nota però, Filotea, che non devi fare questo esame con
agitazione e troppo puntiglio; ma dopo aver obiettivamente preso in esame le
eventuali colpe a questo proposito, se scopri che la causa dei male è dentro di
te, ringrazia Dio, perché il male quando se ne scopre la causa, per metà è già
guarito. Se, al contrario, non trovi nulla che, secondo te, possa essere la
causa di questa aridità, non impegnarti in un esame più accurato, ma, con tutta
semplicità, senza scendere a dettagli, fa quello che ora ti dirò: 1. Umiliati profondamente
davanti a Dio, riconoscendo il tuo nulla e la tua miseria: Che cosa ne è di me
quando sono affidata a me stessa? Signore, sono soltanto terra arida, con enormi
crepe da tutte le parti, con una grande sete di pioggia dal cielo, che il vento
dissipa e riduce in polvere. 2. Invoca Dio e domandagli
la sua gioia: Rendimi, Signore, la gioia della tua salvezza. Padre mio, se è
possibile, allontana da me questo calice. Partiti da qui, vento secco, che
inaridisci la mia anima; e tu, brezza gentile di consolazione, vieni e soffia
nel mio giardino; i tuoi buoni affetti spanderanno soavi profumi. 3. Va dal tuo confessore,
aprigli bene il cuore, svelagli tutti i nascondigli della tua anima, accetta i
consigli che ti darà, con grande semplicità e umiltà. Dio ama infinitamente
l'obbedienza, per cui aggiunge spesso efficacia ai consigli che si ricevono da
altri, soprattutto quando si tratta delle guide delle anime, anche se non c'è
nessuna esteriorità apparente; pensa a Naaman: il Signore rese per lui
prodigiose le acque del Giordano, nelle quali Eliseo, senza alcuna ragione
apparente, gli aveva ordinato di bagnarsi. 4. Ma, dopo tutto, niente
è così utile e così fruttuoso, in tali aridità e sterilità, come il non
affezionarsi e attaccarsi al desiderio di essere liberati. Non dico che non
bisogna, con molta semplicità, aspirare alla liberazione; ma dico che non ci si
deve affezionare, anzi bisogna rimettersi con semplicità nelle mani della
Provvidenza di Dio, affinché si serva di noi tra le spine e nel deserto, fin che
gli piacerà. Diciamo a Dio in tale frangente: Padre, se è possibile, allontana
da me questo calice; ma aggiungiamo con grande coraggio: tuttavia sia fatta la
tua volontà e non la mia, e fermiamoci lì, con tutta la calma possibile. Dio
vedendoci in quella santa indifferenza ci consolerà con molte grazie e favori,
come quando vide Abramo deciso a privarsi del suo figlio Isacco. Gli bastò
vederlo indifferente nell'accettare, e lo consolò con una visione molto gradita
e con dolcissime benedizioni. In ogni genere di afflizioni, sia corporali che
spirituali, e nella diminuzione, o addirittura sparizione della devozione
sensibile, che ci può capitare, dobbiamo dire con tutto il cuore e con profonda
sottomissione: Il Signore mi ha dato delle consolazioni, il Signore me le ha
tolte; sia benedetto il suo santo Nome! Se perseveriamo
nell'umiltà, ci colmerà dei suoi deliziosi favori, come fece con Giobbe, che, in
tutte le tribolazioni si espresse con queste parole. 5. Infine, Filotea, tra
tutte le nostre aridità e sterilità, non perdiamo il coraggio, ma aspettiamo con
pazienza, il ritorno delle consolazioni. Continuiamo il nostro abituale modo di
vivere; non tralasciamo per questo motivo nessun esercizio di devozione, anzi,
se ci è possibile, moltiplichiamo le buone azioni; e se non possiamo presentare
allo sposo la marmellata, gli daremo la frutta secca; per lui fa lo stesso, a
condizione che il cuore che gliela offre, sia decisamente risoluto ad amarlo. Quando la primavera è
bella, le api fanno più miele e si occupano meno delle ninfe, perché con il bel
tempo si divertono molto a fare la raccolta sui fiori, tanto che dimenticano di
occuparsi delle ninfe; ma quando la primavera è fredda e nuvolosa, si occupano
di più delle ninfe e fanno meno miele, perché non potendo uscire per fare la
raccolta del polline, occupano il tempo ad accrescere e moltiplicare la loro
stirpe. Capita spesso, Filotea,
che l'anima, trovandosi in una bella primavera di consolazioni spirituali, si
distragga talmente nel desiderio di accumularle e assaporarle, che, per
l'abbondanza delle piacevoli delizie, si occupa molto meno delle opere buone. Al
contrario quando si trova nell'asprezza e nell'aridità spirituale, a misura che
si vede privata dei sentimenti piacevoli della devozione, moltiplica le opere
concrete e interiormente genera più copiose le vere virtù, quali la pazienza,
l'umiltà, l'abiezione di sé, la rassegnazione, l'abnegazione dell'amor proprio. Molti, specialmente le
donne, cadono nel grave errore di credere che il servizio che noi rendiamo a Dio senza piacere, senza
tenerezza di cuore e senza sentimento, sia meno gradito alla Maestà divina; al
contrario, le nostre azioni sono come le rose che, quando sono fresche, sono più
belle, quando invece sono secche emanano un profumo più acuto: lo stesso avviene
per le nostre opere; quelle fatte con tenerezza di cuore piacciono più a noi,
dico a noi, perché noi guardiamo soltanto il nostro piacere; quelle invece
compiute con aridità e sterilità, sono più profumate e hanno più valore davanti
a Dio. Sì, cara Filotea, in tempo di aridità, la volontà ci trascina al servizio
di Dio quasi per forza, e per conseguenza, deve essere più vigorosa e costante
che in tempo di tenerezze. Non vale gran che servire
un principe in tempo di pace, negli agi della corte; ma servirlo nella durezza
della guerra, in mezzo ai torbidi e alle persecuzioni, è un vero segno di
costanza e di fedeltà. La Beata Angela da Foligno
dice che "l'orazione più gradita a Dio è quella che si fa per forza e
costrizione", ossia quella che facciamo, non per il piacere che vi troviamo, o
perché vi siamo portati, ma soltanto per piacere a Dio; ed è la nostra volontà
che ci trascina quasi a forza, facendo violenza alle aridità e alle ripugnanze
che vi si oppongono, Dico la stessa cosa per
ogni sorta di buone opere, perché più noi proviamo contrarietà a compierle, sia
quelle interiori che quelle esteriori, più godono del favore e della stima di
Dio. Nelle virtù, minore è l'interesse da parte nostra e più vi splende in tutta
la sua purezza l'amore di Dio. Facilmente il bambino bacia la mamma che gli
regala lo zuccherino, ma se la bacia dopo che gli ha dato assenzio o fiele,
allora sì che è segno che le vuole veramente molto bene!
Capitolo XV
UN ESEMPIO NOTEVOLE, A CONFERMA E CHIARIMENTO
DI QUANTO E’ STATO DETTO Per dare maggior credito a
quanto ho detto, voglio presentarti un brano molto eloquente della storia di S.
Bernardo; te lo trascrivo prendendolo da un dotto e giudizioso scrittore. Ecco
cosa dice: è cosa ordinaria per quasi
tutti quelli che si pongono al servizio di Dio e non sono ancora esperti
nell'affrontare le privazioni della grazia e le alternanze della vita
spirituale, quando viene loro a mancare il gusto della devozione sensibile, e
quella gradita luce che invita a sollecitare il cammino verso Dio, perdere d'un
colpo il respiro, e cadere nella paura e nella tristezza del cuore. La gente saggia dà questa
spiegazione: la natura ragionevole non può rimanere a lungo affamata e senza
qualche soddisfazione, sia essa celeste o terrestre. Le anime innalzate al di
sopra di se stesse in virtù di piaceri superiori, dimenticano facilmente tutte
le cose sensibili; la s ' tessa cosa avviene quando per disposizione divina
viene loro tolta la gioia spirituale: trovandosi senza consolazioni sensibili, e
non essendo ancora abituate a saper attendere con pazienza il ritorno del vero
sole, provano l'impressione di non essere più in cielo né sulla terra ma sepolte
in una notte senza fine: di modo che, come lattanti che vengono svezzati,
piagnucolano e si lamentano perché non hanno più le mammelle da succhiare e
diventano noiosi e insopportabili, soprattutto a se stessi. Ecco cosa capitò, lungo il
cammino di cui stiamo parlando, a uno dei monaci di nome Goffredo di Peronne, da
poco entrato al servizio di Dio. Trovandosi improvvisamente arido, privo di
consolazioni e preso dalle tenebre interiori, gli ritornarono alla mente gli
amici del mondo, i parenti, le ricchezze lasciate da poco, e fu assalito da una
forte tentazione che non riuscì a nascondere; uno di quelli, con cui era
maggiormente in confidenza, se ne accorse e, avendolo avvicinato con molta
discrezione e parole gentili, gli chiese a tu per tu: " Che cosa ti succede,
Goffredo? Come mai, contrariamente al tuo solito, sei così pensoso e afflitto? "
Rispose Goffredo accompagnando le parole con un profondo sospiro: " Fratello
caro, nella mia vita non sarò mai felice". L'altro, mosso a pietà da tali
parole, spinto da zelo fraterno, corse subito a raccontare tutto al padre comune
S. Bernardo, che, sentendo il pericolo, entrò in chiesa e pregò Dio per lui. Nel
frattempo Goffredo, oppresso da tristezza, poggiata la testa su una pietra, si
addormentò. Dopo un po' entrambi si
alzarono: l'uno dall'orazione con la grazia impettata, l'altro dal sonno, così
contento e sereno, che l'amico si meravigliò molto di un cambiamento così
radicale e improvviso, e non poté trattenersi dal muovergli amichevolmente un
rimprovero per quello che gli aveva risposto prima. Goffredo allora disse: " Se
prima ti ho detto che mai sarei stato felice, ora ti garantisco che non sarò mai
triste! " Questa è stata la conclusione della tentazione di quel devoto monaco,
Filotea; ma voglio farti notare alcune cose in questo racconto: l. Ordinariamente a chi
entra al suo servizio, Dio dà un saggio delle gioie celesti, per far uscire dai
piaceri terreni e incoraggiare a cercare l'amore divino, come una mamma che per
invogliare e attirare il bambino a succhiare la mammella ci mette sopra un po'
di miele. 2. E’ sempre lo stesso
buon Dio che qualche volta, secondo i suoi saggi disegni, ci toglie il latte e
il miele delle consolazioni, per farci divezzare, e insegnarci a mangiare il
pane secco e più solido di una devozione forte, esercitata alle prove del
disgusto e delle tentazioni. 3. Qualche volta, mentre
siamo afflitti da aridità e sterilità, scoppiano terribili burrasche; in tal
caso dobbiamo combattere con costanza le tentazioni, perché quelle non vengono
da Dio, ma dobbiamo sopportare pazientemente le aridità, perché quelle Dio le ha
permesse per esercitarci. 4. Non dobbiamo mai
perderci di coraggio quando siamo afflitti da guai interiori, e non dire come il
buon Goffredo: Non sarò mai felice, perché nella notte dobbiamo aspettare la
luce; viceversa anche nel mezzo del più bel tempo spirituale che possa
capitarci, non bisogna dire: Io non avrò più guai! Dice infatti il Saggio che
nei giorni felici bisogna ricordarsi della sventura. Bisogna sperare nelle
difficoltà e temere nella prosperità, e sia nell'un caso che nell'altro,
umiliarsi. 5. Confidare il proprio
male a qualche amico spirituale che possa aiutarci è un ottimo rimedio. Infine, a conclusione di
questa raccomandazione così necessaria, ti faccio notare che, in questo come del
resto in tutte le cose, il buon Dio e il maligno vogliono esattamente l'opposto:
Dio vuole condurci con le aridità a una grande purezza di cuore, alla totale
rinuncia al nostro interesse personale in tutto ciò che riguarda il suo
servizio, a una perfetta spogliazione di noi stessi; il maligno cerca di
servirsi delle stesse difficoltà per scoraggiarci, farci ritornare ai piaceri
sensuali, e infine renderci tediosi a noi stessi e agli altri, per denigrare e
screditare la santa devozione. Ma se rifletti agli
insegnamenti che ti ho dato, aumenterai di molto la tua perfezione continuando
l'esercizio della devozione anche in mezzo alle afflizioni interiori, sulle
quali non voglio chiudere il discorso senza dire ancora una parola. Qualche volta, la nausea,
la sterilità e l'aridità provengono da indisposizioni fisiche; il che può
capitare per le veglie eccessive, per le fatiche e i digiuni; che ci ammazzano
di stanchezza, ci intontiscono, ci fiaccano e ci gravano anche di altre
infermità. t vero che dipendono dal corpo, ma coinvolgono anche lo spirito, per
lo stretto legame che li unisce. In tali circostanze, bisogna ricordarsi di fare
sempre molti atti di virtù con la punta dello spirito e la volontà superiore;
anche se tutta la nostra anima sembra dormire ed essere presa dal sopore e dalla
stanchezza, non è per questo che gli atti del nostro spirito saranno meno
graditi a Dio; in quei momenti possiamo dire come la Sposa: Dormo, ma il mio
cuore veglia; e, come ho già detto, se è indubitabile che in tali circostanze
c'è meno soddisfazione, è sicuro però che c'è più merito e virtù. In tali situazioni il
rimedio è di rinvigorire il corpo con qualche opportuno trattamento e qualche
distrazione; è per questo che Francesco comandava ai suoi frati di essere
moderati nel lavoro, in modo da non fiaccare il fervore dello spirito. E a proposito di questo
glorioso Padre, una volta fu preso e agitato da una malinconia di spirito così
profonda tanto che non poteva impedirsi di tradirlo nel comportamento. Non
riusciva più a conversare con i suoi religiosi e, se se ne allontanava, era
peggio. L'astinenza e la macerazione della carne lo opprimevano, l'orazione non
gli dava più alcun sollievo. Rimase in quello stato due
anni, tanto che sembrava che Dio lo avesse completamente abbandonato. Alla fine,
dopo aver umilmente sopportato quella rude tempesta, il Salvatore gli ridiede in
un attimo tutta la sua beata serenità. Questo per dirti che i più
grandi servi di Dio sono soggetti a queste burrasche; e noi piccoli tra tutti,
non dobbiamo meravigliarci se qualche cosetta capita anche a noi.
QUINTA PARTE
Contiene esercizi e
consigli per rinnovare l'anima e confermarla nella devozione
Capitolo I
OGNI ANNO BISOGNA RINNOVARE I BUONI PROPOSITI
PER MEZZO DEI SEGUENTI ESERCIZI Il primo punto di questi
esercizi è riconoscere l'importanza dei buoni propositi. La nostra natura umana
facilmente si allontana dai buoni sentimenti per la fragilità e le cattive
inclinazioni della carne, che appesantiscono l'anima e la trascinano
continuamente in basso, se essa non reagisce proiettandosi di frequente in alto
per mezzo di buoni propositi. Proprio come gli uccelli che cadrebbero presto in
terra se non moltiplicassero gli slanci e i colpi d'ala per tenersi in volo. Perciò, cara Filotea, hai
bisogno di rinnovare e ripetere molto spesso i buoni propositi già formulati di
servire Dio; se non farai così correrai il pericolo di ricadere nel tuo primo
stato, o piuttosto diciamo, in uno stato ancora peggiore. Le cadute spirituali
ci precipitano sempre più in basso di quanto non fossimo prima di iniziare il
cammino della devozione. Un orologio, per buono che
sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno, al mattino
e alla sera, e inoltre, almeno una volta all'anno, bisogna smontarlo
completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e
sostituire quelli troppo consunti. La stessa cosa deve fare
chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e
mattina, per mezzo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente
riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve
smontarlo almeno una volta all'anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi,
ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti
che vi scopre. E, allo stesso modo che
l'orologiaio unge con olio speciale gli ingranaggi, le molle e tutte le parti
meccaniche dell'orologio, affinché tutti i movimenti siano più dolci, e la
ruggine abbia meno presa, così la persona devota, dopo aver smontato il proprio
cuore per rinnovarlo, deve ungerlo con i Sacramenti della Confessione e dell'Eucarestia.
Questo esercizio ti farà recuperare le forze indebolite dal tempo, ti riscalderà
il cuore, farà riprendere vigore ai tuoi buoni propositi e rifiorire le virtù
del tuo spirito. Gli antichi cristiani lo
praticavano accuratamente nell'anniversario del Battesimo di Nostro Signore, nel
quale, come dice S. Gregorio vescovo di Nazianzo, rinnovavano la professione e
le promesse proprie di quel sacramento: facciamo così anche noi, cara Filotea,
preparandoci molto volentieri e impegnandoci con molta serietà. Quando hai scelto il tempo
adatto, secondo il parere del tuo padre spirituale, dopo esserti ritirata in
solitudine spirituale e reale, un po' più del solito, farai una, o due, o tre
meditazioni sui punti seguenti, attenendoti al metodo che ti ho indicato nella
seconda parte.
Capitolo II
CONSIDERAZIONI SUL BENEFICIO CHE DIO CI HA
FATTO CHIAMANDOCI AL SUO SERVIZIO, SEGUENDO LA PROMESSA INDICATA NELLA PARTE
PRIMA AL CAPITOLO VENTI
Primo: hai lasciato,
respinto, detestato, messo da parte per sempre il peccato mortale; Secondo: hai dedicato e
consacrato la tua anima, il tuo cuore, il tuo corpo, con tutto ciò che ad essi è
collegato, al servizio di Dio; Terzo: se dovesse
capitarti di cadere in qualche cattiva azione, ti rialzeresti immediatamente con
la grazia di Dio. Non ti sembra che questa
sia una promessa bella, giudiziosa, degna e generosa? Pensa bene, nel tuo
intimo, quanto questa promessa sia santa, ragionevole e desiderabile. 2. Considera a chi hai
promesso: hai promesso a Dio. Se la parola d'onore data agli uomini in cosa
ragionevole ci obbliga strettamente, quanto più quella data a Dio! Signore,
diceva Davide, è a te che il mio cuore ha promesso; il mio cuore ti ha lanciato
questa buona parola; io non la dimenticherò mai. 3. Considera davanti a chi
hai promesso: c'era tutta la corte celeste, la Santa Vergine, San Giuseppe, il
tuo buon Angelo, S. Luigi e tutti ti guardavano e facevano cenni di gioia e di
approvazione alle tue parole e guardavano con occhi pieni di amore il tuo cuore
prostrato ai piedi del Salvatore al cui servizio si stava consacrando. Ci fu
gioia speciale, per quel motivo, nella Gerusalemme celeste, e ora sarà ricordato
quel momento se di cuore rinnoverai la tua promessa. 4. Considera con quali
mezzi hai fatto quella promessa. Quanto fu buono e cortese Dio con te in quella
circostanza! Non fosti invitata con dolci insistenza dello Spirito Santo? Le
corde con le quali Dio tirò la tua barchetta a quel porto di salvezza, furono
soltanto di amore e di carità, ricordi? Ti invogliava con il suo zucchero
divino, con i sacramenti, la lettura, l'orazione. Cara Filotea, tu dormivi e Dio
vegliava su di te e faceva su di te pensieri di pace e meditava per te
meditazioni di amore. 5. Considera in quale
epoca Dio ti ha portato a quella grande promessa; è stato nel fiore degli anni.
Che felicità imparare presto ciò che riusciamo a sapere sempre troppo tardi! S.
Agostino, attirato al servizio di Dio all'età di trent'anni, esclamava: 0 Eterna
Bontà, come ho potuto conoscerti così tardi? Ti vedevo, ma non ci facevo caso! Anche tu potrai dire: 0
eterna Dolcezza, perché non ti ho conosciuto prima? Riconosci però, che nemmeno
ora tu lo meriteresti. Consapevole della grazia che Dio ti fa chiamandoti nella
giovinezza, digli con Davide: Mio Dio, tu mi hai toccato e illuminato fin dalla
mia giovinezza, e per sempre annuncerò la tua misericordia. Se è avvenuto nella
vecchiaia, Filotea, è una grande grazia che, dopo aver abusato della sua grazia
negli anni precedenti, Dio abbia voluto chiamarti prima della morte e abbia
fermato la tua corsa alla rovina, nel tempo in cui, se non fosse intervenuto, ti
saresti resa eternamente infelice. 6. Considera gli effetti
di questa chiamata: penso che troverai in te dei cambiamenti in meglio, se
confronti quello che sei con quello che eri. Non ti sembra una cosa buona saper
parlare con Dio nell'orazione, trovare felicità nella volontà di amarlo, aver
calmato e pacificato molte passioni che ti tormentavano, aver evitato molti
peccati che opprimevano la tua coscienza e, infine, aver fatto la Comunione
tanto più spesso, unendoti così a quella perenne sorgente di grazia? Grandi sono
quelle grazie! Devi pesarle sulla bilancia del cammino verso Dio.
E’ la mano destra di Dio
che ha operato tutto ciò. La mano buona di Dio, dice Davide, ha fatto prodigi,
la destra mi ha sollevato. Non morirò, ma vivrò e racconterò con il cuore, con
la bocca e con le opere le meraviglie della tua bontà, Dopo tutte queste
considerazioni, che, come vedi, ti arricchiscono di santi affetti, devi
concludere semplicemente con un ringraziamento e una preghiera affettuosa per
ricavarne frutto, ritirandoti con umiltà e grande confidenza in Dio,
riservandoti di compiere 10 sforzo di formulare i propositi dopo il secondo
punto di questo esercizio.
Capitolo III
ESAME SUL PROGRESSO FATTO DALLA NOSTRA ANIMA
NELLA VITA DEVOTA Questo secondo punto
dell'esercizio è un po' lungo; non è necessario che tu lo metta in pratica tutto
in una volta, ma piano piano, gradatamente, cominciando, come primo momento, da
ciò che riguarda il tuo comportamento verso Dio; poi, per il secondo, ciò che
riguarda te stessa; il terzo, ciò che riguarda il prossimo e il quarto riservalo
ad una riflessione sulle passioni. Non si richiede, e non è
nemmeno opportuno, che tu li faccia in ginocchio, tranne l'inizio e la fine, che
comprende gli affetti. Gli altri punti dell'esame
li puoi fare utilmente passeggiando, meglio ancora stando a letto, se ti capita
di rimanerci per un po', non mezzo addormentata, ma ben sveglia! Per poter fare
bene l'esercizio devi prima aver letto i punti con attenzione. Tieni presente che tutto
il secondo punto richiede, in linea di massima, tre giorni e due notti,
consacrandovi, beninteso, qualche ora sia del giorno che della notte; perché se
tu dovessi compiere questo esercizio in tempi molto distanti tra loro,
perderebbe in forza e lascerebbe tracce troppo deboli. Dopo ogni punto
dell'esame, terrai nota di ciò in cui hai scoperto di aver mancato o di essere
carente; quali sono i principali squilibri di cui hai sofferto; questo per
risolverti a prendere consiglio, a deciderti e dare coraggio al tuo spirito. Anche se nei giorni in cui
farai questo esercizio e negli altri, non è richiesto che ti isoli completamente
dalle compagnie, tuttavia devi isolarti almeno in parte, soprattutto verso sera,
per poterti coricare prima e prendere il riposo del corpo e dello spirito,
indispensabile per riflettere. Durante il giorno devi
elevare frequenti aspirazioni a Dio, alla Madonna, agli Angeli e a tutta la
Gerusalemme celeste; tutto deve essere fatto con cuore pieno di amore di Dio e
della perfezione della propria anima.
Per cominciare bene questo esame devi dunque:
1. Metterti alla presenza
di Dio. 2. Invocare lo Spirito
Santo: domandagli luce e chiarezza per poterti ben conoscere, come faceva S.
Agostino, che, in ispirito di umiltà, esclamava davanti a Dio: Chi sei tu e chi
sono io? Protesta che non vuoi
prendere nota del tuo progresso per gioire in te stessa, ma per rallegrarti in
Dio; tanto meno per averne gloria, ma per dare gloria a Dio e
ringraziarlo. 3. Se, com'è probabile,
scoprirai di aver fatto progressi insignificanti o addirittura di avere fatto
dei regressi, prometterai che, nonostante tutto, non ti abbatterai e non ti
lascerai intiepidire dallo scoraggiamento e dalla stanchezza di cuore, ma al
contrario, con l'aiuto della grazia di Dio, vuoi prendere più coraggio e più
animo, vuoi umiliarti e porre rimedio ai difetti. Ciò fatto, rifletti con
calma e serenità come ti sei comportata finora con Dio, con il prossimo e con te
stessa.
Capitolo IV
ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI
CONFRONTI DI DIO 1. Qual è l'atteggiamento
del tuo cuore di fronte al peccato mortale? Sei decisamente risoluta a non
commetterlo mai, qualunque cosa ti capiti? E questo proposito, lo hai mantenuto
dal momento che l'hai fatto? il fondamento della vita
spirituale consiste proprio in questo fermo proposito. 2. Qual è l'atteggiamento
del tuo cuore di fronte ai Comandamenti di Dio? Li trovi giusti, dolci, di tuo
gradimento? Figlia mia, a chi ha il gusto sano e lo stomaco in ordine, piacciono
i cibi buoni e ripugnano i guasti. 3. Qual è l'atteggiamento
del tuo cuore di fronte al peccato veniale? ]@ quasi impossibile non commetterne
qualcuno qua e là; ma ce n'è qualcuno al quale ti senti più particolarmente
portata? Peggio ancora, ce n'è forse qualcuno cui sei affezionato? 4. Qual è l'atteggiamento
del tuo cuore di fronte alle pratiche di pietà? Ti piacciono? Le stimi? Non ti
indispettiscono? Non ne sei stanca? Verso quali ti senti attratta e verso quali
no? Ascoltare la Parola di Dio, leggerla, parlarne, meditare, innalzarti a Dio,
confessarti, ricevere consigli spirituali, regolare gli affetti. Quale di queste
azioni ripugna al tuo cuore? Se trovi qualche cosa a cui il tuo cuore si piega
con maggiore difficoltà, ricerca da dove viene questo disgusto, quale ne sia la
causa. 5. Qual è l'atteggiamento
del tuo cuore di fronte a Dio? Piace al tuo cuore ricordarsi di Dio? Ne prova
una gradevole dolcezza? Dice Davide: Mi sono ricordato di Dio e ne ho provato
diletto. Provi nel tuo cuore una certa facilità ad amarlo e una particolare
soddisfazione nell'assaporare questo amore? Non senti rinascerti il cuore nel
pensare all'immensità di Dio, alla sua bontà, alla sua dolcezza? Se ti viene il
pensiero di Dio in mezzo alle occupazioni del mondo e alle vanità, si fa spazio
in te, conquista il tuo cuore? Non hai l'impressione che il tuo cuore si volga
dalla parte di Dio e in un certo modo gli vada incontro? Senza dubbio ci sono
delle anime di questo tipo! Se il marito di una donna
torna da lontano, appena questa donna si accorge del suo ritorno e sente la sua
voce, anche se presa da molte faccende e trattenuta da un affare che non ammette
rinvii, pur nell'assillo delle occupazioni, senza dubbio il suo cuore non sarà
trattenuto e lascerà tutti gli altri pensieri per rivolgersi soltanto al marito.
La stessa cosa avviene per le anime seriamente innamorate di Dio: anche se sono
occupatissime, quando si avvicina loro il pensiero di Dio, dimenticano tutto il
resto, per la gioia che provano al ritorno di questo caro pensiero. Questo è un
ottimo segno. 6. Qual è l'atteggiamento
del tuo cuore di fronte a Gesù Cristo Dio e Uomo? Ti piace vivere vicino a Lui?
Le api sono contente quando possono stare intorno al miele, come le vespe
intorno al putridume! Allo stesso modo le anime buone provano la loro gioia
intorno a Gesù Cristo e provano una profonda dolcezza d'amore nei suoi
confronti; i cattivi invece sono contenti solo nelle vanità. 7. Qual è il comportamento
del tuo cuore nei confronti della Madonna, dei Santi, del tuo buon Angelo? Li
ami fortemente? Hai una speciale fiducia nella loro benevolenza? Ti piacciono le
loro immagini, le loro vite, le loro lodi? 8. Per quello che riguarda
la tua lingua, come parli di Dio? Ti. piace parlarne bene secondo la tua
condizione e le tue capacità? Ti piace cantare cantici spirituali? 9. Quanto alle opere,
rifletti se ti sta a cuore la gloria esteriore di Dio e se ti piace fare qualche
cosa in suo onore; coloro che amano Dio, infatti, amano anche il decoro della
sua casa. 10. Riesci a scoprire in
te di avere lasciato qualche affetto e rinunciato a qualche cosa per Dio? E’ un segno sicuro d'amore
privarsi di qualche cosa in favore di chi amiamo. Finora che cosa hai lasciato
per amore di Dio?
Capitolo V
ESAME DEL NOSTRO STATO NEI CONFRONTI DI NOI
STESSI 1. In che modo vuoi bene a
te stesso? Non ti ami un po' troppo come abitante di questo mondo? Se è così,
avrai il desiderio di rimanere sempre qui, e avrai molta cura di mettere radici
su questa terra; ma se ti vuoi bene per il Cielo, avrai il desiderio di lasciare
questo basso mondo quando piacerà a Dio, o almeno lo accetterai! 2. Conservi un buon ordine
nell'amore per te stesso? Quello che ci rovina è essenzialmente l'amore
disordinato per noi stessi. L'amore ordinato esige che vogliamo più bene
all'anima che al corpo; che, più di ogni altra cosa, abbiamo il desiderio di
acquistare la virtù, che teniamo più in considerazione l'onore di Dio che quello
terreno che passa. Il cuore ordinato dice spesso in se stesso: Cosa diranno gli
Angeli se penso la tal cosa? Non si chiederà: Cosa diranno gli uomini? 3. Che genere di amore hai
per il tuo cuore? Non ti inquieti di doverlo servire nei suoi malanni? Tu lo
devi aiutare e farlo aiutare quando lo tormentano le sue passioni, e lasciare
tutto per quello. 4. Che cosa pensi di
essere davanti a Dio? Niente senza dubbio! Per una mosca sentirsi nulla di
fronte a una montagna non è grande umiltà; lo stesso si dica per una favilla o
una scintilla di fronte al sole; l'umiltà consiste nel non sentirsi superiori
agli altri e nel non pretendere di essere stimati dagli altri. A che punto sei a
questo proposito? 5. Quanto alla lingua, non
ti capita di vantarti o per un verso o per l'altro? Non ti elogi un po' quando
parli di te? 6. Quanto alle azioni, non
prendi dei piaceri contrari alla tua salute? Voglio dire: piaceri sciocchi e
inutili, troppe veglie senza scopo e simili.
Capitolo VI
ESAME DELLO STATO DELLA NOSTRA ANIMA NEI
CONFRONTI DEL PROSSIMO Bisogna amare il marito o
la moglie con un arinore dolce e sereno, fermo e costante; per prima cosa deve
essere così perché è Dio che lo vuole e lo comanda. Lo stesso vale per i
genitori e i figli, per gli amici, ciascuno al suo posto. In generale, qual è il tuo
comportamento nei confronti del prossimo? Lo ami cordialmente per amore di Dio?
Per saperlo con certezza, devi richiamare alla tua mente certa gente noiosa e
sempre col broncio; è proprio in quel caso che sei chiamata a dar prova del tuo
amore di Dio verso il prossimo. Ancor più, poi, nei confronti di chi ti fa del
male, o con fatti o con parole. Esamina bene il tuo cuore
per vedere se è sincero nei loro confronti e se sei molto contrariata nel
doverli amare. Sei pronta a parlar male
del prossimo, soprattutto di quelli con i quali c'è antipatia? Fai del male al
prossimo, sia direttamente che indirettamente? Per poco che tu ci rifletta con
serenità, te ne accorgerai facilmente.
Capitolo VII
ESAME SUGLI AFFETTI DELLA NOSTRA ANIMA Mi sono dilungato su
questi punti, il cui esame ci dà modo di conoscere il progresso spirituale
compiuto; l'esame dei peccati lasciamolo alle confessioni di coloro che non si
danno alcun pensiero di progredire. Tuttavia bisogna lavorare
su ciascuno di questi punti con calma, riflettendo sulle situazioni nelle quali
si è trovato il nostro cuore a partire dal momento della nostra decisione.
Pensiamo anche agli errori commessi di un certo peso. Ma, per abbreviare il
tutto, dobbiamo restringere l'esame alla ricerca delle nostre passioni; e se ci
angustia prendere in considerazione così accuratamente i dettagli come ho detto,
possiamo procedere anche in un altro modo e chiederci chi siamo stati noi e in
che modo ci siamo comportati: - nel nostro amore verso
Dio, verso il prossimo, verso noi stessi; - nell'odio verso il
peccato che alberga in noi, verso il peccato che si trova negli altri. Dobbiamo
operare per sterminarli entrambi; - nei nostri desideri
circa i beni terreni, i piaceri e gli onori; - nel timore dei pericoli
di peccare e dei rovesci di fortuna: si temono troppo questi e poco quelli; - nella speranza molto
facilmente riposta nel mondo e nelle creature, e troppo poco in Dio e nelle cose
eterne; - nella tristezza, se essa
è eccessiva per cose vane; - nella gioia, se è eccessiva per cose che non la
meritano. Quali sono infine gli
affetti che tengono legato il nostro cuore? Quali passioni lo occupano? In che
cosa particolarmente si è rovinato? Attraverso le passioni dell’anima,
saggiandole una dopo l'altra, si può riconoscere il suo stato: proprio come un
suonatore di violino che pizzica tutte le corde, e accorda quelle che trova
stonate o tendendole o allentandole; allo stesso modo, dopo aver saggiato
l'amore, l'odio, il desiderio, il timore, la speranza, la tristezza e la gioia
della nostra anima, se non le troviamo accordate con l'aria che vogliamo
suonare, che è la gloria di Dio, potremo accordarle con la grazia di Dio e il
consiglio del nostro padre spirituale.
Capitolo VIII
AFFETTI DA COMPIERE DOPO L'ESAME Dopo aver serenamente
preso in considerazione ogni punto dell'esame, e preso coscienza del tuo stato,
passerai agli affetti in questo modo. Ringrazia Dio per il
piccolo miglioramento che hai trovato in te dal momento della promessa iniziale,
e riconosci che è stata soltanto la sua misericordia che l'ha operato in te e
per te. Umiliati fortemente
davanti a Dio, riconosci che se il progresso è stato limitato, è solo per colpa
tua: sei tu che non hai corrisposto con fedeltà, coraggio e costanza alle
ispirazioni, illuminazioni e movimenti che ti ha dato nell'orazione e in altri
momenti. Promettigli di lodarlo per
sempre per le grazie che ti ha concesso, per farti uscire dal dominio delle tue
inclinazioni e compiere questo piccolo passo avanti. Domandagli perdono delle
infedeltà e delle slealtà con le quali hai corrisposto.
Offrigli il tuo cuore perché ne prenda possesso in modo totale.
Supplicalo che ti dia la forza di una fedeltà assoluta. Invoca i Santi: la Santa
Vergine, il tuo Angelo, il tuo Patrono, S. Giuseppe e altri cui sei devota.
Capitolo IX
CONSIDERAZIONI ADATTE A RINNOVARE 1 BUONI
PROPOSITI Dopo aver portato a
termine l'esame, e aver parlato con qualche degna guida spirituale dei difetti e
dei relativi rimedi, prenderai le considerazioni seguenti, facendone una al
giorno in forma di meditazione. Vi consacrerai il tempo abituale dell'orazione e
quanto alla preparazione e agli affetti, userai lo stesso metodo che hai
impiegato nelle meditazioni della prima Parte. Quindi, prima di ogni altra cosa,
ti metterai alla presenza di Dio, chiederai la sua grazia per collocarti
stabilmente nel suo santo amore e nel suo servizio.
Capitolo X
PRIMA CONSIDERAZIONE: IL VALORE DELLE NOSTRE
ANIME Considera la nobiltà e il
valore della tua anima, che ha un intelletto che può conoscere tutto il mondo
visibile, non solo, ma anche l'esistenza degli angeli e del paradiso; conosce
l'esistenza di un Dio supremo, buono e ineffabile; conosce che c'è un'eternità e
conosce anche quello che serve per vivere con dignità in questo mondo, per
unirsi poi agli angeli in paradiso e per godere di Dio per l'eternità. La tua anima in più è
dotata di una volontà nobilissima che è in grado di amare Dio e non può odiarlo
in se stesso. Osserva com'è generoso il
tuo cuore. Niente di corrotto riesce ad attirare e a far posare le api, che si
posano soltanto sui fiori; allo stesso modo il tuo cuore può trovare il suo
riposo solo in Dio. Nessuna creatura può appagarlo. Pensa pure ai divertimenti
preferiti e più forti che in altri tempi hanno occupato il tuo cuore, e dovrai
sinceramente ammettere che erano carichi di ansia molesta, di pensieri pungenti,
di preoccupazioni inopportune, in mezzo a cui il tuo povero cuore era veramente
smarrito. Quando il nostro cuore
corre verso le creature, lo fa con precipitazione, pensando di poter appagare i
propri desideri; ma appena le ha incontrate, si accorge di dover ricominciare
perché niente lo accontenta; Dio non permette che il nostro cuore trovi un luogo
dove riposare, come la colomba uscita dall'arca di Noè; in tal modo sarà
costretto a tornare a Dio da cui era partito. Il nostro cuore, di natura sua, è
meraviglioso! Perché allora, contro la sua volontà, vogliamo costringerlo a
servire le creature? Devi dire: Anima mia, tu
che sei in grado di capire e di volere Dio, perché ti vuoi perdere in cose
minori? Puoi tendere all'eternità, perché allora vuoi contentarti degli attimi?
Era un motivo di rimpianto del figliuol prodigo: avrebbe potuto vivere da
signore alla mensa di suo padre, e non aveva da mangiare a quella delle bestie! Anima mia, tu sei
fatta per Iddio, sarai infelice se ti accontenti di meno! Innalza fortemente la tua
anima con queste considerazioni, ricordale che è eterna e fatta per l'eternità;
dalle coraggio a questo proposito.
Capitolo XI
SECONDA CONSIDERAZIONE: IL PREGIO DELLE
VIRTU’ Pensa che soltanto la
devozione e le virtù sono in grado di dare la felicità alla tua anima su questa
terra; guarda come sono belle! Metti a confronto le virtù e i vizi per
convincertene: pensa, per esempio, alla soavità della Pazienza a confronto con
la vendetta; la dolcezza, a confronto con l'ira e l'amarezza; l'umiltà a
confronto con l'arroganza e l'ambizione; la generosità contro l'avarizia, la
bontà contro l'invidia, la morigeratezza contro gli eccessi! Le virtù esercitate hanno
un pregio unico: rallegrano l'anima con una dolcezza e una soavità che non ha
l'uguale; i vizi, invece, la lasciano stanca e disorientata. E allora perché non
vogliamo metterci all'opera per raggiungere queste dolcezze? Prendiamo i vizi: se uno
ne ha pochi, non è felice; se ne ha molti, è infelice del tutto; per le virtù,
invece, chi ne ha poche, è già in parte felice e questa felicità aumenta con le
virtù. La vita devota è bella,
dolce, gradevole e soave: addolcisce le tribolazioni e rende soavi le
consolazioni. Senza di lei il bene è male, i piaceri sono carichi di agitazione,
di confusione, di cedimenti. Chi conosce la devozione
può dire a buon diritto con la Samaritana: Signore, dammi di quell'acqua! Questa
invocazione torna spesso in Santa Teresa e in S. Caterina da Genova, anche se in
circostanze diverse.
Capitolo XII
TERZA CONSIDERAZIONE: L'ESEMPIO DEI SANTI Considera l'esempio dei
Santi di ogni genere: hanno fatto di tutto per amare Dio ed essere suoi devoti.
Guarda i Martiri così decisi nei loro propositi; pensa a quali tormenti hanno
sofferto per rimanere fedeli! ma soprattutto quelle incantevoli e meravigliose
donne, più splendide dei gigli per candore, più rosse delle rose per amore, le
une a dodici, le altre a tredici, quindici, venti, venticinque anni, e che hanno
sofferto innumerevoli torture, piuttosto che venir meno alla loro promessa, non
solo quanto alla professione di fede, ma anche per affermare la devozione: le
une hanno preferito la morte alla perdita della verginità, le altre l'hanno
preferita piuttosto che lasciare il servizio dei sofferenti, o di consolare i
dubbiosi, seppellire i morti. Veramente in tali circostanze, il sesso debole ci
ha dato una lezione di forza e di costanza. Pensa a tanti santi
Confessori: con quanta forza hanno disprezzato il mondo, come sono stati
irremovibili nei loro propositi: niente li ha distolti. Li avevano abbracciati
senza riserva e li hanno mantenuti senza eccezioni! Ricordi cosa dice S.
Agostino di sua madre S. Monica? Con quanta fermezza aveva portato avanti il
disegno di servire Dio nel matrimonio e nella vedovanza! E ricordi cosa dice S.
Girolamo della sua cara figlia Paola? E sempre in mezzo a difficoltà senza
numero. ad ostacoli sempre nuovi! Che cosa non riusciremo a
fare sorretti da simili Patroni? Erano come siamo noi, lo facevano per lo stesso
Dio, per mezzo delle stesse virtù: e perché non potremo fare anche noi la stessa
cosa, secondo la nostra condizione e la nostra vocazione, per tener fede ai
nostri propositi e alla nostra promessa?
Capitolo XIII
QUARTA CONSIDERAZIONE: L'AMORE DI GESFJ
CRISTO PER NOI Pensa all'amore con il
quale Gesù Cristo Nostro Signore ha tanto sofferto in questo mondo e
particolarmente nell'orto degli Olivi e sul monte Calvario: quell'amore
riguardava te! Per mezzo di tutte quelle fatiche e quelle sofferenze Egli
otteneva da Dio Padre buoni propositi e promesse per il tuo cuore, e con lo
stesso mezzo otteneva anche ciò che ti è necessario per mantenere, nutrire,
rinforzare e portare a compimento quei propositi. E tu, proposito, come sei
prezioso, poiché sei figlio di una madre così importante come la Passione del
Salvatore! Quanto deve volerti bene la mia anima, poiché sei stato così caro al
cuore del mio Gesù! Salvatore dell'anima mia, sei morto per acquistarmi i miei
propositi, fammi la grazia di morire piuttosto che lasciarli perdere! Vedi, mia
cara Filotea, è certo che il cuore del nostro caro Gesù vedeva il tuo
dall'altare della Croce e l'amava; in forza di quell'amore otteneva per lui
tutti i beni che avrà per sempre, tra i quali i propositi. Sì, cara Filotea, noi
tutti possiamo dire come Geremia: Signore, prima che esistessi mi hai guardato e
chiamato per nome; in quanto la sua divina Bontà ha preparato nel suo amore e
nella sua misericordia tutti i mezzi generali e specifici della nostra salvezza,
e quindi anche i nostri buoni propositi. Questo è certo: come una
donna incinta prepara la culla, la biancheria, le fasce e prevede anche una
balia per il figlio che spera avere, benché ancora non sia venuto al mondo, così
Nostro Signore, che porta in seno te e vuole generarti alla salvezza e farti sua
figlia, sull'albero della croce prepara quanto ti è necessario: la tua culla
spirituale, la tua biancheria e le fasce, la tua nutrice e quanto ti è
necessario alla felicità. E sono tutti i mezzi, le inclinazioni, le grazie con
cui vuole attirare la tua anima alla perfezione. Dio mio, come dovremmo
imprimere profondamente in noi tutto questo! E’ mai possibile che io
sia stata amata con tanta dolcezza dal Salvatore, tanto che ha pensato a me
personalmente anche in tutte le piccole circostanze attraverso le quali mi ha
attirato a sé? Quanto dobbiamo dunque amare, avere caro e impiegare bene tutto
questo per il nostro bene! t veramente meraviglioso: il cuore pieno d'amore del
mio Dio pensava a Filotea, l’amava e le procurava mille mezzi di salvezza, come
se non avesse avuto alcun'altra anima al mondo cui pensare; proprio come il sole
che mentre illumina un angolo della terra, lo inonda di luce come se non
rischiarasse nient'altro, ma solo quell'angolo. Nostro Signore, infatti, pensava
e si prendeva cura di tutti i suoi figli e pensava a ciascuno di noi come se non
avesse dovuto pensare a nessun altro. S. Paolo dice: Mi ha amato
e si è donato a me; è come se dicesse: per me soltanto, come se non avesse fatto
nulla per tutto il resto. Questo, Filotea, deve
essere impresso nella tua anima, per avere caro e nutrire il tuo buon proposito
che è costato così caro al cuore del Salvatore!
Capitolo XIV
QUINTA CONSIDERAZIONE: L'AMORE DI DIO PER NOI Considera l'amore eterno
che Dio ti ha portato, perché già prima che Nostro Signore Gesù Cristo, in
quanto uomo soffrisse in Croce per te, la sua divina Maestà, nel suo immenso
amore, ti inseriva nei suoi disegni e ti amava
immensamente. Ma quando ha cominciato ad
amarti? Da quando ha cominciato ad essere Dio. E quando ha cominciato ad essere
Dio? Mai, perché lo è sempre stato, senza inizio e senza fine, e così ti ha
sempre amato dall'eternità; ti stava preparando le grazie e i favori che poi ti
ha donato. Lo fa dire al Profeta: Ti ho amato (parla anche a te), con una carità
senza fine; ti ho attirato a me perché avevo compassione di te. Ha pensato anche a
spingerti a fare il buon proposito di servirlo. Quali meravigliosi propositi
sono questi se Dio stesso li ha pensati, meditati, progettati dall’eternità!
Quanto devono essere cari e preziosi. Quanto dovremmo essere disposti a soffrire
piuttosto che perderne un briciolo soltanto! Nemmeno se tutto il mondo dovesse
perire, perché il mondo intero vale meno di un'anima e un'anima non vale nulla
senza i suoi buoni propositi! Capitolo XV
AFFETTI GENERALI SULLE
PRECEDENTI CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONE DELL'ESERCIZIO 0 cari e buoni propositi,
voi siete il bell'albero della vita che Dio ha piantato di sua mano al centro
del mio cuore e il Salvatore vuole irrigare con il suo sangue per farlo
fruttificare; preferisco morire mille volte che permettere che un ventaccio
qualunque ti sradichi. No, né la vanità, né le
delizie, né le ricchezze e nemmeno le tribolazioni mi strapperanno dal mio
proposito. Sei tu Signore, che l'hai
piantato dopo aver conservato dall'eternità questo bell'albero per il mio
giardino: quante anime non sono state favorite in questo modo! E come potrò io mai
umiliarmi abbastanza vinto dalla tua misericordia? 0 belli e santi propositi, se
io vi conservo, voi conserverete me; se vivete nella mia anima, la mia anima
vivrà in voi. Vivete dunque, per sempre, o propositi, siete eterni nella
misericordia del mio Dio; rimanete e vivete eternamente in me; che io non vi
abbandoni mai! Dopo questi affetti devi
precisare i mezzi idonei a mantenere questi buoni propositi e devi promettere di
volertene servire fedelmente; l'orazione frequente, i sacramenti ' le buone
opere, l'emendamento dalle colpe scoperte nel secondo punto, l'eliminazione
delle cattive occasioni, l'osservanza dei consigli che ti verranno dati in
proposito. Fatto ciò, come per
riprendere fiato e forze, prometti mille volte che sarai perseverante nei tuoi
propositi e, come se tu avessi il cuore, l'anima e la volontà in mano, dedica,
consacra, sacrifica, immola quest'ultima a Dio, promettendo di non volerla più
riprendere, ma di abbandonarla nelle mani della sua divina Maestà per seguire in
tutto e ovunque i suoi Comandamenti. Prega Dio che ti rinnovi
completamente, che benedica la tua rinnovata promessa e la fortifichi; invoca la
Vergine, il tuo Angelo, S. Luigi e altri Santi. In questo clima di
commozione del cuore va ai piedi del tuo padre spirituale, accusati delle
principali colpe che avrai scoperto di aver commesso dopo la confessione
generale' e ricevi l’assoluzione come avevi fatto la prima volta, pronuncia
davanti a lui la promessa e firmala e infine unisci il tuo cuore rinnovato al
suo Principe e Salvatore, nel Santissimo Sacramento dell'Eucaristia.
Capitolo XVI
I RICORDI DA CONSERVARE DOPO QUESTO ESERCIZIO Il giorno in cui avrai
fatto questo rinnovamento e in quelli che seguiranno, dovrai ripetere spesso con
il cuore e con la bocca quelle ardenti parole di S. Paolo, di S. Agostino, di S
. Caterina da Genova e altri: No, non mi appartengo più; sia che viva, sia che
muoia, appartengo al mio Salvatore; non sono più io e non ho più niente di mio:
il mio io è Gesù, il mio possesso è essere sua; o mondo, tu sei sempre lo
stesso; anch'io sono sempre stata la stessa; ma d'ora in poi non sarò più me
stessa. No, non saremo più noi stessi. perché il nostro cuore sarà cambiato e il
mondo che ci ha ingannato tante volte, rimarrà ingannato in noi questa volta,
perché, accorgendosi solo poco a poco del mutamento avvenuto in noi, penserà che
noi siamo sempre degli Esaù, mentre siamo dei Giacobbe. Bisogna che questi
esercizi penetrino il cuore, e quando lasciamo la riflessione e la meditazione,
dobbiamo tornare ai nostri affari e alle conversazioni con moderazione, per non
versare subito il liquore dei nostri buoni propositi; quel liquore deve permeare
e penetrare bene tutte le parti dell'anima, ma il tutto sempre senza sforzo né
dello spirito, né del corpo.
Capitolo XVII
RISPOSTA A DUE OBIEZIONI CHE POSSONO ESSERE
MOSSE A QUESTA INTRODUZIONE Cara Filotea, il mondo ti
dirà che questi esercizi e questi consigli sono così numerosi che chi volesse
osservarli dovrebbe tralasciare qualunque altra occupazione. Cara Filotea, se
facessimo qualche altra cosa, faremmo sempre abbastanza, perché faremmo ciò che
dovremmo fare in questo mondo! Non vedi dov'è l'inganno?
Se si dovessero fare questi esercizi tutti i santi giorni, a dir il vero ci
occuperebbero completamente, ma si richiede di metterli in pratica in tempi e in
luoghi opportuni, secondo le circostanze. Pensa quante Leggi ci sono nei Digesti
e nel Codice e che devono essere osservate; ma va da sé che ciascuna va
osservata secondo le circostanze e non che si debbano osservare tutte insieme e
tutti i giorni. Del resto Davide, carico
di affari molto importanti, praticava esercizi di pietà in numero molto maggiore
di quanti non te ne abbia indicato io. S. Luigi Re, ammirevole sia in pace che
in guerra, e che amministrava la giustizia e trattava gli affari con molta
oculatezza, ascoltava due Messe tutti i giorni, diceva Vespri e Compieta con il
Cappellano, faceva la meditazione, visitava gli ospedali, tutti i venerdì si
confessava e si dava la disciplina, ascoltava spesso la predicazione, teneva di
frequente conferenze spirituali; con tutto ciò non perdeva una sola occasione
per operare il bene pubblico e vi si impegnava con solerzia e la sua corte era
magnifica e splendida come non era mai stata con i suoi predecessori. Fa dunque con coraggio
questi esercizi come te li ho indicati, e Dio ti darà tempo ed energia per
compiere tutti i doveri del tuo stato; ti assicuro che lo farà anche se dovesse
fermare il sole come fece per Giosuè. Facciamo sempre abbastanza quando Dio
lavora con noi. Si dirà che io do per
scontato quasi ovunque che la mia Filotea abbia il dono dell'orazione mentale; è
chiaro invece che non tutti l'hanno, per cui questa Introduzione non potrebbe
servire a tutti. E’ vero, l'ho dato per scontato, e so anche che non tutti hanno
il dono dell'orazione mentale; ma è altrettanto vero che tutti possono averlo,
magari appena abbozzato: è sufficiente che abbiano delle buone guide e che
abbiano voglia di impegnarsi per acquistarlo visto che la cosa merita.
Se si dovesse trovare
qualcuno totalmente sprovvisto di questo dono a tutti i livelli, ciò che penso
possa capitare soltanto molto di rado, il saggio padre spirituale indicherà
all'interessato il modo di rimediare alla lacuna applicando maggiore attenzione
nella lettura e nell'ascolto delle riflessioni che ho suggerito nelle
meditazioni.
Capitolo XVIII
TRE ULTIMI E IMPORTANTI CONSIGLI PER QUESTA
INTRODUZIONE Il primo giorno di ogni
mese rinnova la promessa che si trova nella prima parte, dopo la meditazione, e
ad ogni momento prometti di volerla mantenere, e dì con Davide: Mai, per tutta
l'eternità, dimenticherò le tue giustificazioni, mio Dio, perché in quelle mi
hai dato la vita. E quando avvertirai qualche cedimento nella tua anima, prendi
in mano la tua promessa, prostrati con grande spirito di umiltà e
pronunciala con tutto il cuore e proverai un grande sollievo. Fa aperta professione di
voler essere devota; non ti dico di essere devota, ma di volerlo essere, e non
vergognarti degli atti comuni che si richiedono per condurci all'amore di Dio.
Ammetti con franchezza che ti sforzi di meditare, che preferiresti morire che
peccare di nuovo gravemente, che vuoi frequentare i sacramenti e seguire i
consigli del tuo direttore, anche se non e sempre necessario farne il nome, e
questo per molte ragioni. Questa franchezza nel
confessare che vogliamo servire Dio e che ci siamo consacrati al suo amore con
speciale affetto è molto gradita alla divina Maestà la quale non vuole che
abbiamo vergogna di Lui e della Croce; e poi respingi le molte carezze che il
mondo vorrebbe farti per tirarti dalla parte opposta; il nostro buon nome ci
obbliga a continuare. I filosofi si proclamavano
filosofi per poter essere lasciati vivere da filosofi, noi ci dobbiamo
presentare come persone desiderose della devozione perché la gente ci lasci
vivere devotamente. Se qualcuno ti dice che si
può vivere devotamente senza praticare questi consigli e questi esercizi, non
dire che non è vero, ma rispondi amabilmente che la tua infermità è tale che
richiede aiuti maggiori e sostegni che agli altri non sono necessari. Infine, carissima Filotea,
ti scongiuro per tutto ciò che c'è di più sacro in Cielo e sulla terra, per il
battesimo che hai ricevuto, per il seno che ha allattato Gesù Cristo, per il
cuore caritatevole con il quale ti ha amato, per le viscere della misericordia
nella quale speri, continua a perseverare in questo felice cammino della vita
devota. I nostri giorni scorrono,
la morte è alle porte. " La tromba, dice S. Gregorio di Nazianzo, suona la
ritirata; ciascuno si prepari perché il giudizio è vicino ". La madre di
S. Sinforiano al figlio che veniva condotto al martirio, gridava: " Figlio,
figlio mio, ricordati della vita eterna; guarda il Cielo e pensa a Colui che vi
regna; ben presto avrà fine la breve corsa di questa vita ". Filotea, tu dirai la
stessa cosa: guarda il Cielo e non lasciarlo per la tetra; guarda l'inferno e
non gettarti in esso per gli attimi che fuggono; guarda Gesù Cristo, non
rinnegarlo per alcuna cosa al mondo; quando la fatica della vita devota ti
sembrerà dura, canta con S. Francesco:
Tutta la pena mi è diletto Viva Gesù, al quale, con
il Padre e lo Spirito Santo sia onore e gloria, ora e sempre, nei secoli dei
secoli.
Amen!
BIOGRAFIA
François nacque nel
castello di Thorens, in Savoia (Francia), da una famiglia di antica nobiltà, e
morì a Lione il 28 dicembre 1622. Primogenito di Francesco signore di Boisy e di
Francesca di Sionnaz, ricevette un'accurata educazione, coronata dagli studi
universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Ma proprio nel corso della
sua frequentazione accademica divennero preminenti i suoi interessi teologici,
fino alla scelta della vocazione sacerdotale. Si offerse subito al
vescovo di Ginevra per una missione difficile e delicata, nella città eletta da
Calvino a modello esemplare del suo esperimento di Riforma. Francesco si fece
semplice con i semplici, pronto a discutere di teologia con i protestanti,
desideroso di introdurre alla "vita devota" le anime disposte a donarsi
totalmente a Cristo, preoccupandosi di rendere la vita spirituale alla portata
dei laici. Divenne a sua volta
vescovo di Ginevra, ma fu costretto a risiedere nella sua Annecy,
nell'impossibilità di raggiungere la sua sede episcopale monopolizzata dai
riformati. Nel corso della sua missione di predicatore, conobbe a Digione
Giovanna Francesca Frèmiot de Chantal, e dalla devota corrispondenza con la
nobil donna doveva scaturire la fondazione dell'Ordine della Visitazione. Francesco, apprezzato
direttore di spirito, aveva elaborato una sua via per attrarre le anime a Dio,
mediante una benignità e una dolcezza, che giungeva anche all'ascetismo, fidando
nelle forze della volontà umana sorretta dalla grazia divina. Dichiarato santo nel
1665, fu proclamato dottore della Chiesa nel 1877 e patrono dei giornalisti
cattolici nel 1923.
Da: http://members.xoom.virgilio.it:80/ikthys/Libri_elettr/Filotea.htm
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