in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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Altri brani tratti dalla Guida Spirituale di Miguel de Molinos (da mistica.info)

 

Fra i molti testi dimenticati della spiritualità di ogni tempo, c’è sicuramente questo di Miguel de Molinos di cui abbiamo parlato nella pagina relativa al Quietismo. Riportiamo la breve biografia, tratta dal sito:

  • Si tratta sicuramente del rappresentante più famoso del quietismo, nonostante la difficoltà, da parte della storiografia moderna, di ricostruire il suo profilo più vero. Miguel de Molinos Zuxia nasce il 29 giugno 1628 a Muniesa (Teruel) in Spagna. Educato alla fede cristiana, a diciotto anni si trasferisce a Valencia e intraprende la carriera ecclesiastica grazie ad un benefattore, Bernardo de Murcia, il quale gli permette di studiare nel collegio gesuitico di San Paolo della stessa città.

  • Ordinato sacerdote fra il 1649 e il 1652 esercita come cappellano di alcune religiose e in alcune missioni popolari. Il 26 ottobre 1663 si reca a Roma per occuparsi della causa di beatificazione del ven. Francisco Jerónimo Simón de Rojas morto nel 1612 e lì comincia ad acquistare fama di esperto direttore spirituale. La sua fama penetra negli ambienti più esclusivi della Città eterna e sfrutta valide amicizie nella Curia romana. Al fine di mettere a tacere le voci e le accuse sui suoi insegnamenti e sulle sue pratiche spirituali, pubblica nel 1675 la sua opera fondamentale, la Guía espiritual

  • Il Santo Uffizio lo accusa di pericolose deviazioni e di gravi errori e per questo viene detenuto e incarcerato nel giugno del 1685. Due anni più tardi, alla fine del processo canonico, i suoi libri e la sua dottrina vengono condannati con la bolla Coelestis Pastor del 20 novembre 1687. Molinos effettua una solenne ritrattazione e il Santo Uffizio lo condanna al carcere perpetuo. Muore il 29 dicembre 1696.

Non sempre è possibile disporre di questi testi in modo adeguato, almeno in lingua italiana. Infatti, il libro che presento l’ho acquistato in una libreria antiquaria reperita grazie ad Internet, dopo numerosi e spesso inutili tentativi di ricerca. Si tratta della versione pubblicata dalla UTET di Torino nel 1935. In rete, come accennato nella pagina web (www.mistica.info/unquieti.htm), esiste una sola versione in lingua inglese. Propongo di seguito alcuni passaggi del libro (dal capitolo I e II del Libro I), di cui alcuni estratti sono già stati pubblicati nella pagina del quietismo Sono sicuro che la lettura di questo breve estratto affascinerà.

 

* * * * *

 

Devi sapere che la tua anima è il centro, la dimora e il regno di Dio; ma perché il gran Re riposi in questo trono della tua anima, devi cercare di tenerla pura, quieta, vuota e pacifica. Pura da colpe e difetti, quieta di timori, vuota di affetti, desideri e pensieri e pacifica nelle tentazioni e tribolazioni. Devi, dunque, tenere sempre in pace il cuore per conservare puro questo vivo tempio di Dio, e con retta e pura intenzione devi operare, pregare, obbedire e sopportare senza sorta di fastidio quanto il Signore voglia inviarti. Poiché è certo che, per il bene della tua anima e per il tuo spirituale profitto, egli deve permettere all’invidioso nemico di turbare questa città di quiete e questo trono di pace con tentazioni, suggestioni e tribolazioni e, per mezzo delle creature, con penose molestie e grandi persecuzioni.

Resti costante e pacifico il tuo cuore in qualsiasi turbamento che ti causino queste tribolazioni. Rifugiati là dentro per vincerle, perché quella è la divina fortezza che ti difende, ti protegge e per te guerreggia. Se un uomo possiede una sicura fortezza non si sgomenta anche se lo perseguitino i nemici, perché, rifugiandosi in essa, li lascerà scornati e vinti.

Il Castello forte per trionfare dei tuoi nemici visibili e invisibili e di tutte le insidie e le tribolazioni è dentro la tua anima stessa, perché ivi risiede il divino aiuto e il sovrano soccorso: rifugiati là dentro e tutto resterà quieto, sicuro, pacifico e sereno.

Tuo principale e continuo esercizio dev’essere il pacificare questo trono del tuo cuore, perché riposi in esso il sovrano Re. Il modo di pacificarlo è di rifugiarti in te stesso per mezzo del raccoglimento interiore. Tutta la tua difesa dev’essere la preghiera e il raccoglimento amoroso nella divina presenza.

Quando ti vedrai più combattuto, ritirati in quella regione di pace, ove troverai la tua fortezza. Quando più pusillanime, raccogliti in quel rifugio della preghiera, unica arma per debellare il nemico e sedare i tuoi tormenti. Non devi allontanarti da essa nella bufera fin quando – novello Noè – non attinga la tranquillità, la sicurezza e la serenità e fin quando la tua volontà non diventi rassegnata, devota, pacifica e animosa.

Finalmente, non ti dar pena, né scoraggiarti nel riconoscerti pusillanime; torna ad acquietarti ogni qual volta ti turbi, perché questo divino Signore vuole da te soltanto, per riposare nella tua anima ed elevarvi un ricco trono di pace, che cerchi dentro il tuo cuore, per mezzo del raccoglimento interiore e con l’aiuto della sua divina grazia, il silenzio nel tumulto, la solitudine nella folla, la luce nelle tenebre, l’oblio nell’ingiuria, il vigore nella codardia, il coraggio nel terrore, la resistenza nella tentazione, la pace nella guerra e la quiete nel tormento.

Ti troverai come tutte le altre anime che il Signore chiama verso il cammino interiore, piena di confusione e di dubbi, perché nella preghiera ti è venuta meno la conversazione. Ti sembrerà che Dio più non t’aiuta come prima, che non è per te l’esercizio della preghiera, che perdi il tempo, perché non puoi, anche con sforzo, fare un solo discorso come eri abituato a fare.

Quali tristezze e perplessità ti causerà questa mancanza di conversazione? E se in questa occasione non hai un padre spirituale provato nel cammino mistico, in te aumenterà la pena e in lui la confusione. Giudicherà che la tua anima non è ben disposta, e che per la sicurezza della tua coscienza hai bisogno di una generale confessione e da ciò non si caverà altro che la confusione d’entrambi. Oh, quante anime sono chiamate al cammino interiore e, in cambio di guidarle e spingerle innanzi, i padri spirituali, poiché non comprendono, le raffrenano nel corso e le rovinano!

Devi, perciò, persuaderti, per non tornare indietro quando ti manchi il discorso della preghiera, che quella è la tua più grande felicità, perché è chiaro segno che il Signore vuole farti procedere con fede e silenzio in sua divina presenza, il cui sentiero è il più utile e il più facile. Perché con la semplice vista o con l’amorosa dimostrazione di rispetto verso Dio, l’anima si presenta come un umile mendico davanti al suo Signore o come un bimbo ingenuo si getta nel soave e sicuro seno della sua amata madre.

Non solo questa preghiera è la più facile, ma anche la più sicura, perché è libera delle operazioni dell’immaginazione, soggetta sempre agli inganni del demonio e ai movimenti dell’umore malinconico e dei discorsi, nei quali l’anima facilmente si distrae, e con la speculazione s’ingarbuglia guardando se stessa.

Volendo Dio ammaestrare il suo capo Mosè e dargli le tavole di pietra con la divina legge scritta, lo chiamò su le falde del monte e in quel momento, stando Dio in lui, il monte restò tenebroso, circondato da oscure e dense nubi, e Mosè ozioso, senza sapere né poter discutere di nulla. Dopo sette giorni ordinò a Mosè di salire sulla cima del monte, ove gli si manifestò glorioso e lo riempì di grande consolazione.

Così agl’inizi, quando Dio vuole con straordinari mezzi condurre l’anima alla scuola delle divine e amorose conoscenze della legge interiore, la fa camminare tra tenebre e aridità per avvicinarla a sé, perché la Divina Maestà conosce molto bene che non sono mezzi per giungere a essa e comprendere i divini documenti la propria industria e il ragionamento, bensì la rassegnazione e il silenzio.

Quale grande esempio ci dette il Patriarca Noè! Dopo che tutti lo ebbero ritenuto pazzo e dopo essere stato in mezzo a un indomito mare, traboccato su tutto il mondo, senza né vele né remi, circondato da feroci animali, entro la chiusa arca, camminò sospinto dalla sola fede, senza sapere né intendere ciò che Dio voleva fare di lui.

Ciò che più deve importarti, o anima redenta, è la pazienza e il non abbandonare le pratiche della preghiera, anche se non puoi discutere; avanza con ferma fede e con santo silenzio, morendo in te stessa con tutte le tue naturali tendenze, perché Dio è chi è e non si cambia, né può errare, né volere altra cosa che il tuo bene. È chiaro che chi è sul punto di morire debba per forza sentirlo; ma come è bene impiegato il tempo in cui l’anima è morta, muta e rassegnata alla divina presenza, per ricevere senza imbarazzo le divine influenze!

Dei beni divini i sensi non sono capaci; perciò, se tu vuoi essere felice e savio, taci e credi, sopporta ed abbi pazienza, confida e cammina, perché più t’interessa il tacere e il lasciarti trarre dalla divina mano, di quanti beni vi sono nel mondo. E quantunque ti sembri che tu non faccia niente e te ne stia oziosa – restandotene così muta e rassegnata – è infinito il frutto.

Guarda il piccolo giumento bendato che gira la ruota del molino, che sebbene non veda né sappia quel che fa, molto lavora a macinare il grano, e quantunque lui non lo gusti, il suo padrone ne ricava guadagno e gusto.

Chi non giudicherà che in tanto tempo che la semenza sta sotto la terra, non sia già perduta? E poi si vede spuntare, crescere e moltiplicare. Allo stesso modo opera Dio nell’anima quando la priva della considerazione e del discorso; poiché, mentre essa pensa di non far niente e di essere perduta, si trova col tempo cresciuta, distaccata e perfetta, senza avere giammai sperata tanta fortuna.

Cerca dunque di non affliggerti, né volgerti indietro, anche se non puoi discorrere nella preghiera; soffri, taci e mettiti alla divina presenza; persevera nella costanza e confida nella tua infinita bontà, perché ti deve dare la fede tenace, la vera luce e la divina grazia. Cammina come alla cieca, bendata, senza pensare né discutere; abbandonati nelle sue mani amorose e paterne, senza voler far altra cosa che il suo divino beneplacito.

È comune sentire di tutti i Santi che hanno trattato dello spirito, e di tutti i maestri mistici, che l’anima non può giungere alla perfezione e all’unione con Dio per mezzo della meditazione e del discorso; perché ne trarrà profitto solo per cominciare il cammino spirituale fino a raggiungere un’abitudine di propria conoscenza della bellezza della virtù e della bruttezza del vizio. Tale abitudine, nell’opinione di Santa Teresa, può ottenersi in sei mesi e, secondo quella di San Bonaventura, in due.

Oh, quale compassione bisogna avere per quasi infinite anime che dal principio alla fine della loro vita si dedicano alla sola meditazione, facendosi violenza per discorrere, quantunque Dio le privi del ragionamento per portarle in altro stato e verso una preghiera più perfetta!

E così rimangono, dopo molti anni, imperfette, e al principio, senza far progressi, né dare nemmeno un passo nel cammino dello spirito, rompendosi la testa con la composizione del luogo, con la lezione dei punti, immaginazioni e forzati discorsi, cercando Dio di fuori, mentre lo tengono dentro di sé.

Di ciò si lamentò Sant’Agostino nel tempo in cui Dio lo conduceva verso il mistico cammino, dicendo a Sua Maestà: «Io errai, Signore, come l’agnello sperduto, cercandoti con industriose parole fuori, mentre tu eri dentro di me; molto lavorai cercandoti fuori di me e tu hai la tua dimora nel mio cuore  e io ti desidero e anelo per te. Girai per le strade e le piazze della città di questo mondo cercandoti e non ti trovai, perché cercavo malamente fuori ciò che era in me stesso».

Vedasi il dottore angelico San Tommaso che, essendo in tutti i suoi scritti così circospetto, sembra si burli di coloro che vanno sempre cercando Dio al di fuori per mezzo del discorso, mentre l’hanno presente in se stessi: «Grande cecità ed enorme sciocchezza – dice il Santo, – v’è in alcuni che sempre cercano Dio, continuamente sospirano per Dio, desiderano frequentemente Dio e chiamano e invocano ogni giorno Dio nell’orazione, essendo essi stessi – secondo l’Apostolo – tempio vivo di Dio e sua vera dimora, essendo la loro anima il seggio e il trono di Dio, in cui continuamente riposa. Chi, dunque, se non uno sciocco cerca di fuori lo strumento sapendo che lo tiene chiuso in casa? O chi si conforta col cibo che desidera e non gusta? Tale è la vita di alcuni giusti; sempre cercando e mai godendo, e in tal modo tutte le loro opere sono meno perfette».

È noto che Cristo, Signore nostro, insegnò a tutti la perfezione e vuole sempre che tutti siano perfetti, specialmente gli ignoranti e i semplici. Chiaramente manifestò questa verità quando elesse per il suo apostolato i più ignoranti e piccoli, dicendo al suo Eterno Padre: Mi confesso e ti ringrazio, oh, Padre Eterno! perché celasti questa divina scienza ai savi e agli accorti e la manifestasti ai semplici e ai piccoli. Ed è certo che costoro non possono attingere la perfezione per mezzo di acute meditazioni e sottili considerazioni; ma sono adatti, come i più dotti, a poter giungere alla perfezione per i trasporti della loro volontà, dove essa principalmente consiste.

Insegna San Bonaventura a non pensare a nessuna cosa e neanche a Dio, perché è imperfezione creare forme, immagini e specie, per sottili che siano, così della volontà come della bontà, trinità e unità, e anche della stessa essenza divina; perché tutte queste specie e immagini, quantunque appariscano deiformi, non sono giammai Dio, il quale non ammette immagine né forma alcuna.

È necessario non pensare qui niente delle creature, degli angeli, né dello stesso Dio, perché questa sapienza e perfezione non nasce dalla meditazione sottile, ma dal desiderio e dall’affetto della volontà. Non può il Santo parlare con maggiore chiarezza, e ti inquieterai tu e vorrai trascurare anche la preghiera, perché non puoi o non sai discorrere in essa, potendo avere buona volontà, buon desiderio e pura intenzione.

Se sui figli dei corvi, abbandonati dai genitori, che li ritennero degenerati vedendoli senza il piumaggio nero, Iddio opera con la sua rugiada perché non periscano, che cosa farà Egli con le anime redente, quantunque non possano parlare né discutere, se credono, confidano e schiudono la bocca verso il cielo, manifestando il loro bisogno? Non è più certo dunque che la divina bontà deve provvedervi dando loro l’alimento necessario?

È chiaro ch’è un gran martirio e non piccolo dono di Dio – trovandosi l’anima privata dei gusti sensibili che aveva – avanzare con la sola santa fede attraverso le nebbiose e deserte strade della perfezione. Ma non si può giungere a essa se non attraverso questo penoso ma sicuro mezzo, e perciò cerca di essere costante e di non volgerti indietro, benché ti spunti il ragionamento nella preghiera; credi allora con fermezza, taci con quiete e persevera con pazienza, se desideri essere felice e giungere all’unione divina, alla eccelsa quiete e suprema pace interiore.

 

 

Da: http://www.mistica.info/unsuggest02.htm

 

 

 

 

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