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Altri brani tratti dalla Guida Spirituale di Miguel de Molinos (da mistica.info)
Fra i molti testi dimenticati della spiritualità di ogni tempo, c’è sicuramente questo di Miguel de Molinos di cui abbiamo parlato nella pagina relativa al Quietismo. Riportiamo la breve biografia, tratta dal sito:
Non sempre è possibile disporre di questi
testi in modo adeguato, almeno in lingua italiana. Infatti, il libro che
presento l’ho acquistato in una libreria antiquaria reperita grazie ad
Internet, dopo numerosi e spesso inutili tentativi di ricerca. Si tratta della
versione pubblicata dalla UTET di Torino nel
* * * * *
Devi sapere che la tua anima è il
centro, la dimora e il regno di Dio; ma perché il gran Re riposi in questo
trono della tua anima, devi cercare di tenerla pura, quieta, vuota e pacifica.
Pura da colpe e difetti, quieta di timori, vuota di affetti, desideri e
pensieri e pacifica nelle tentazioni e tribolazioni. Devi, dunque, tenere
sempre in pace il cuore per conservare puro questo vivo tempio di Dio, e con
retta e pura intenzione devi operare, pregare, obbedire e sopportare senza
sorta di fastidio quanto il Signore voglia inviarti. Poiché è certo che, per
il bene della tua anima e per il tuo spirituale profitto, egli deve permettere
all’invidioso nemico di turbare questa città di quiete e questo trono di pace
con tentazioni, suggestioni e tribolazioni e, per mezzo delle creature, con
penose molestie e grandi persecuzioni.
Resti costante e pacifico il tuo cuore in
qualsiasi turbamento che ti causino queste tribolazioni. Rifugiati là dentro
per vincerle, perché quella è la divina fortezza che ti difende, ti protegge e
per te guerreggia. Se un uomo possiede una sicura fortezza non si sgomenta
anche se lo perseguitino i nemici, perché, rifugiandosi in essa, li lascerà
scornati e vinti.
Il Castello forte per trionfare dei tuoi
nemici visibili e invisibili e di tutte le insidie e le tribolazioni è
dentro la tua anima stessa, perché ivi risiede il divino aiuto e il
sovrano soccorso: rifugiati là dentro e tutto resterà quieto, sicuro, pacifico
e sereno.
Tuo principale e continuo esercizio dev’essere
il pacificare questo trono del tuo cuore, perché riposi in esso il sovrano Re.
Il modo di pacificarlo è di rifugiarti in te stesso per mezzo del
raccoglimento interiore. Tutta la tua difesa dev’essere la preghiera e il
raccoglimento amoroso nella divina presenza.
Quando ti vedrai più combattuto, ritirati
in quella regione di pace, ove troverai la tua fortezza. Quando più
pusillanime, raccogliti in quel rifugio della preghiera, unica arma per
debellare il nemico e sedare i tuoi tormenti. Non devi allontanarti da essa
nella bufera fin quando – novello Noè – non attinga la tranquillità, la
sicurezza e la serenità e fin quando la tua volontà non diventi rassegnata,
devota, pacifica e animosa.
Finalmente, non ti dar pena, né
scoraggiarti nel riconoscerti pusillanime; torna ad acquietarti ogni qual
volta ti turbi, perché questo divino Signore vuole da te soltanto, per
riposare nella tua anima ed elevarvi un ricco trono di pace, che cerchi dentro
il tuo cuore, per mezzo del raccoglimento interiore e con l’aiuto della sua
divina grazia, il silenzio nel tumulto,
la solitudine nella folla, la luce nelle tenebre, l’oblio nell’ingiuria, il
vigore nella codardia, il coraggio nel terrore, la resistenza nella
tentazione, la pace nella guerra e la quiete nel tormento.
Ti troverai come tutte le altre anime che
il Signore chiama verso il cammino interiore, piena di confusione e di dubbi,
perché nella preghiera ti è venuta meno la conversazione. Ti sembrerà che Dio
più non t’aiuta come prima, che non è per te l’esercizio della preghiera, che
perdi il tempo, perché non puoi, anche con sforzo, fare un solo discorso come
eri abituato a fare.
Quali tristezze e perplessità ti causerà
questa mancanza di conversazione? E se in questa occasione non hai un padre
spirituale provato nel cammino mistico, in te aumenterà la pena e in lui la
confusione. Giudicherà che la tua anima non è ben disposta, e che per la
sicurezza della tua coscienza hai bisogno di una generale confessione e da ciò
non si caverà altro che la confusione d’entrambi. Oh, quante anime sono
chiamate al cammino interiore e, in cambio di guidarle e spingerle innanzi, i
padri spirituali, poiché non comprendono, le raffrenano nel corso e le
rovinano!
Devi, perciò, persuaderti, per non
tornare indietro quando ti manchi il discorso della preghiera, che quella è
la tua più grande felicità, perché è chiaro segno che il Signore vuole farti
procedere con fede e silenzio in sua divina presenza, il cui sentiero è il
più utile e il più facile. Perché con la semplice vista o con l’amorosa
dimostrazione di rispetto verso Dio, l’anima si presenta come un umile mendico
davanti al suo Signore o come un bimbo ingenuo si getta nel soave e sicuro
seno della sua amata madre.
Non solo questa preghiera è la più
facile, ma anche la più sicura, perché è libera delle operazioni
dell’immaginazione, soggetta sempre agli inganni del demonio e ai
movimenti dell’umore malinconico e dei discorsi, nei quali l’anima facilmente
si distrae, e con la speculazione s’ingarbuglia guardando se stessa.
Volendo Dio ammaestrare il suo capo Mosè
e dargli le tavole di pietra con la divina legge scritta, lo chiamò su le
falde del monte e in quel momento, stando Dio in lui, il monte restò
tenebroso, circondato da oscure e dense nubi, e Mosè ozioso, senza sapere né
poter discutere di nulla. Dopo sette giorni ordinò a Mosè di salire sulla cima
del monte, ove gli si manifestò glorioso e lo riempì di grande consolazione.
Così agl’inizi, quando Dio vuole con
straordinari mezzi condurre l’anima alla scuola delle divine e amorose
conoscenze della legge interiore, la fa camminare tra tenebre e aridità per
avvicinarla a sé, perché
Quale grande esempio ci dette il
Patriarca Noè! Dopo che tutti lo ebbero ritenuto pazzo e dopo essere stato in
mezzo a un indomito mare, traboccato su tutto il mondo, senza né vele né remi,
circondato da feroci animali, entro la chiusa arca, camminò sospinto dalla
sola fede, senza sapere né intendere ciò che Dio voleva fare di lui.
Ciò che più deve importarti, o anima
redenta, è la pazienza e il non abbandonare le pratiche della preghiera, anche
se non puoi discutere; avanza con ferma fede e con santo silenzio, morendo in
te stessa con tutte le tue naturali tendenze, perché Dio è chi è e non si
cambia, né può errare, né volere altra cosa che il tuo bene. È chiaro che chi
è sul punto di morire debba per forza sentirlo; ma come è bene impiegato il
tempo in cui l’anima è morta, muta e rassegnata alla divina presenza, per
ricevere senza imbarazzo le divine influenze!
Dei beni divini i sensi non sono capaci;
perciò, se tu vuoi essere felice e savio, taci e credi, sopporta ed abbi
pazienza, confida e cammina, perché più t’interessa il tacere e il lasciarti
trarre dalla divina mano, di quanti beni vi sono nel mondo. E quantunque ti
sembri che tu non faccia niente e te ne stia oziosa – restandotene così muta e
rassegnata – è infinito il frutto.
Guarda il piccolo giumento bendato che
gira la ruota del molino, che sebbene non veda né sappia quel che fa, molto
lavora a macinare il grano, e quantunque lui non lo gusti, il suo padrone ne
ricava guadagno e gusto.
Chi non giudicherà che in tanto tempo che
la semenza sta sotto la terra, non sia già perduta? E poi si vede spuntare,
crescere e moltiplicare. Allo stesso modo opera Dio nell’anima quando la priva
della considerazione e del discorso; poiché, mentre essa pensa di non far
niente e di essere perduta, si trova col tempo cresciuta, distaccata e
perfetta, senza avere giammai sperata tanta fortuna.
Cerca dunque di non affliggerti,
né volgerti indietro, anche se non puoi discorrere nella preghiera; soffri,
taci e mettiti alla divina presenza; persevera nella costanza e confida nella
tua infinita bontà, perché ti deve dare la fede tenace, la vera luce e la
divina grazia. Cammina come alla cieca, bendata, senza pensare né discutere;
abbandonati nelle sue mani amorose e paterne, senza voler far altra
cosa che il suo divino beneplacito.
È comune sentire di tutti i Santi che
hanno trattato dello spirito, e di tutti i maestri mistici, che l’anima non
può giungere alla perfezione e all’unione con Dio per mezzo della meditazione
e del discorso; perché ne trarrà profitto solo per cominciare il cammino
spirituale fino a raggiungere un’abitudine di propria conoscenza della
bellezza della virtù e della bruttezza del vizio. Tale abitudine,
nell’opinione di Santa Teresa, può ottenersi in sei mesi e, secondo quella di
San Bonaventura, in due.
Oh, quale compassione bisogna avere per
quasi infinite anime che dal principio alla fine della loro vita si dedicano
alla sola meditazione, facendosi violenza per discorrere, quantunque Dio le
privi del ragionamento per portarle in altro stato e verso una preghiera più
perfetta!
E così rimangono, dopo molti anni,
imperfette, e al principio, senza far progressi, né dare nemmeno un passo nel
cammino dello spirito, rompendosi la testa con la composizione del luogo, con
la lezione dei punti, immaginazioni e forzati discorsi, cercando Dio di
fuori, mentre lo tengono dentro di sé.
Di ciò si lamentò Sant’Agostino nel tempo
in cui Dio lo conduceva verso il mistico cammino, dicendo a Sua Maestà: «Io
errai, Signore, come l’agnello sperduto, cercandoti con industriose parole
fuori, mentre tu eri dentro di me; molto lavorai cercandoti fuori di me e tu
hai la tua dimora nel mio cuore e io ti desidero e anelo per te. Girai per le
strade e le piazze della città di questo mondo cercandoti e non ti trovai,
perché cercavo malamente fuori ciò che era in me stesso».
Vedasi il dottore angelico San Tommaso
che, essendo in tutti i suoi scritti così circospetto, sembra si burli di
coloro che vanno sempre cercando Dio al di fuori per mezzo del discorso,
mentre l’hanno presente in se stessi: «Grande cecità ed enorme sciocchezza –
dice il Santo, – v’è in alcuni che sempre cercano Dio, continuamente sospirano
per Dio, desiderano frequentemente Dio e chiamano e invocano ogni giorno Dio
nell’orazione, essendo essi stessi – secondo l’Apostolo – tempio vivo di Dio e
sua vera dimora, essendo la loro anima il seggio e il trono di Dio, in cui
continuamente riposa. Chi, dunque, se non uno sciocco cerca di fuori lo
strumento sapendo che lo tiene chiuso in casa? O chi si conforta col cibo che
desidera e non gusta? Tale è la vita di alcuni giusti; sempre cercando e
mai godendo, e in tal modo tutte le loro opere sono meno perfette».
È noto che Cristo, Signore nostro,
insegnò a tutti la perfezione e vuole sempre che tutti siano perfetti,
specialmente gli ignoranti e i semplici. Chiaramente manifestò questa verità
quando elesse per il suo apostolato i più ignoranti e piccoli, dicendo al suo
Eterno Padre: Mi confesso e ti ringrazio, oh, Padre Eterno! perché celasti
questa divina scienza ai savi e agli accorti e la manifestasti ai semplici e
ai piccoli. Ed è certo che costoro non possono attingere la perfezione per
mezzo di acute meditazioni e sottili considerazioni; ma sono adatti, come i
più dotti, a poter giungere alla perfezione per i trasporti della loro
volontà, dove essa principalmente consiste.
Insegna San Bonaventura a non pensare a
nessuna cosa e neanche a Dio, perché è imperfezione creare forme, immagini e
specie, per sottili che siano, così della volontà come della bontà, trinità e
unità, e anche della stessa essenza divina; perché tutte queste specie e
immagini, quantunque appariscano deiformi, non sono giammai Dio, il quale non
ammette immagine né forma alcuna.
È necessario non pensare qui niente delle
creature, degli angeli, né dello stesso Dio,
perché questa sapienza e perfezione non nasce dalla meditazione sottile, ma
dal desiderio e dall’affetto della volontà. Non può il Santo parlare con
maggiore chiarezza, e ti inquieterai tu e vorrai trascurare anche la
preghiera, perché non puoi o non sai discorrere in essa, potendo avere buona
volontà, buon desiderio e pura intenzione.
Se sui figli dei corvi, abbandonati dai
genitori, che li ritennero degenerati vedendoli senza il piumaggio nero, Iddio
opera con la sua rugiada perché non periscano, che cosa farà Egli con le anime
redente, quantunque non possano parlare né discutere, se credono, confidano e
schiudono la bocca verso il cielo, manifestando il loro bisogno? Non è più
certo dunque che la divina bontà deve provvedervi dando loro l’alimento
necessario? È chiaro ch’è un gran martirio e non piccolo dono di Dio – trovandosi l’anima privata dei gusti sensibili che aveva – avanzare con la sola santa fede attraverso le nebbiose e deserte strade della perfezione. Ma non si può giungere a essa se non attraverso questo penoso ma sicuro mezzo, e perciò cerca di essere costante e di non volgerti indietro, benché ti spunti il ragionamento nella preghiera; credi allora con fermezza, taci con quiete e persevera con pazienza, se desideri essere felice e giungere all’unione divina, alla eccelsa quiete e suprema pace interiore.
Da: http://www.mistica.info/unsuggest02.htm
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