"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Erudito poliglotta del mito e del sacro, di yoga e sciamani, scrittore e
saggista
Nacque in Romania Morì nell'86 a Chicago. Una figura controversa, che fu vicino
alla Guardia di Ferro filonazista. A Bucarest frequentava Ionesco e Cioran
Il 13 marzo di cent´anni fa nasceva a Bucarest Mircea Eliade. Fin dall´infanzia
i genitori spostano il compleanno al 9 marzo. Al suo nome di battesimo non
corrispondeva infatti alcun patrono nel calendario ortodosso, sicché la famiglia
decise di festeggiare il giorno 9, che non era consacrato a nessun santo
particolare bensì ai Quaranta Martiri uccisi a Sebaste durante le persecuzioni
di Luciano.
Studioso del mito e delle religioni, esperto di yoga e sciamanesimo, di
occultismo ed esoterismo, romanziere fecondo, saggista dall´erudizione
prodigiosa e a suo agio in otto lingue, Eliade è stato tra le intelligenze più
acute e versatili del Novecento. Ma l´intelligenza è un dono di dèi invidiosi,
un dono avvelenato: il confine che la separa dall´ottusità è mobile.
«Che uomo straordinario sono!», annota il trentaquattrenne intellettuale nel suo
Jurnalul din Portugalia, l´inedito diario dei cinque anni, dal 1941 al 1945,
trascorsi come consigliere culturale all´ambasciata rumena di Lisbona (in Italia
sarà pubblicato da Bollati Boringhieri). Il giovane Eliade, all´epoca ancora
sconosciuto al grande pubblico europeo, passa parte delle sue giornate a
rileggere alcune sue pagine e si paragona ai grandi della letteratura: «La mia
capacità di comprendere e percepire tutto ciò che appartiene alla sfera
culturale è illimitata … Comunque sia, i miei orizzonti intellettuali sono più
vasti di quelli di Goethe». Il 15 luglio 1943 annota con ineffabile
disinvoltura: «Mi rendo conto che dopo Eminescu [il poeta nazionale rumeno], la
nostra razza non ha mai più conosciuto una personalità tanto (...) potente e
tanto dotata quanto la mia».I diari integrali saranno desecretati solo nel 2018,
ma tutto fa pensare che l´autocritica non appartenesse al pur vastissimo
repertorio di Eliade. Né che egli sia mai guarito dalla megalomania di cui
evidentemente andava affetto. A quattordici anni aveva già pubblicato il suo
primo racconto: Come ho scoperto la pietra filosofale. In un successivo Romanzo
dell´adolescente miope (1923) elabora la quasi umiliante scoperta della propria
sessualità. Qualche anno dopo, in Gaudeamus (1928), entrano in scena la
femminilità e l´amore, e per converso il concetto di «virilità», mutuato
dall´adorato Papini, autore di Maschilità. Il suo io è superalimentato
dall´ambizione e da una «religione della volontà» fatta di astinenza e
disciplina (dormiva cinque ore per non sottrarre tempo allo studio).
Iscrittosi nel 1925 a Lettere e Filosofia dell´università di Bucarest, emerge
come leader della giovane «Generazione», un gruppo di intellettuali
anticonformisti che aspira a rinnovare la tradizione rumena. Tra gli altri
«latini d´Oriente» ci sono Cioran (che nel 1986 gli dedicherà uno dei suoi
superbi Exercises d´admiration), Ionesco, Costantin Noica e Mihail Sebastian, un
ebreo a lui molto caro.
Nel 1927 e 1928 visita l´Italia, avendo alle spalle una serie di letture rapaci
che mettono le ali alla sua passione per nostra cultura (documentata
esaurientemente da Roberto Scagno per Jaca Book). Su tutti Papini ed Evola, a
proposito del quale scriverà un testo, Il fatto magico, andato perduto.
Dopo la laurea su La filosofia italiana da Marsilio Ficino a Giordano Bruno,
alla fine del 1928, parte alla volta dell´India per studiare la filosofia
orientale con Surendranath Dasgupta. Vi rimane fino al dicembre del 1931,
imparando il sanscrito e raccogliendo materiali, conoscenze ed esperienze che lo
segnano profondamente. C´è anche una storia d´amore con Maitreyi, la figlia di
Dasgupta, nella cui casa a Calcutta era andato ad abitare. La ragazza è la
protagonista dell´omonimo romanzo, che Eliade pubblica in Romania nel 1933. Sarà
un grande successo, che trasfigura Maitreyi in un simbolo dell´immaginario
rumeno.
Incrinatisi i rapporti con Dasgupta, viaggia nell´Himalaya occidentale
soggiornando nell´ashram di Shivananda e facendosi iniziare allo yoga. Nel
contempo lavora alla tesi di dottorato, che discute a Bucarest nel ‘33 e
pubblica a Parigi nel ‘36 con il titolo Yoga, saggio sulle origini della mistica
indiana. Un libro che lo lancerà come autore di culto quando lo yoga si
diffonderà in Occidente.
Dal 1933 al 1940 è di nuovo a Bucarest come assistente di Nae Ionescu, il
leggendario maestro della giovane Generazione. Ionescu lo avvicina alla Guardia
di Ferro, l´organizzazione di estrema destra capeggiata da Codreanu.
Costui era convinto, tra l´altro, che gli ebrei cospirassero per fondare una
nuova Palestina tra il Mal Baltico e il Mar Nero, e il suo vice, Ion Mota, aveva
tradotto in rumeno I protocolli dei Savi di Sion. Eliade non era antisemita, ma
all´epoca si lasciò intruppare. Il diario che l´amico ebreo Sebastian tenne fra
il 1935 e il 1944, pubblicato nel 1996, è un´accorato lamento per il
comportamento ambiguo di Eliade. Che è tutto preso dalle sue carte: pubblica
vari saggi (tra cui Oceanografia e Il mito della reintegrazione), romanzi (tra
cui Ritorno dal Paradiso, La luce che si spegne, i due volumi Huliganii),
un´importante rivista di studi mitologici, Zalmoxis, che richiamerà l´attenzione
di Carl Schmitt ed Ernst Jünger.
Alla fine della guerra si trasferisce a Parigi dove, aiutato da Dumézil, insegna
all´Ecole des Hautes Etudes. Il Trattato di storia delle religioni (1949) lo
consacra come massimo studioso del fenomeno religioso su scala mondiale. Ostile
al metodo positivistico e storicista, Eliade riprende la prospettiva aperta da
Rudolf Otto e sviluppa uno studio comparativo del sacro e delle sue
manifestazioni, le «ierofanie». La sua non è una storia bensì una morfologia del
sacro, le cui forme appaiono e si ripetono nel tempo, con le feste, e nello
spazio, con i «centri del mondo», riattualizzando miti primordiali. Per lui il
mito non è affatto arcaico né fuori gioco. Si è piuttosto ritirato negli
interstizi della modernità, dove si tratta di scovarlo. Contro la presunta
superiorità dell´uomo moderno sui «primitivi».
Nel 1950 è invitato da C.G. Jung al primo incontro di «Eranos» ad Ascona. Nel
1956 passa a insegnare alla Divinity School di Chicago, dove rimarrà fino alla
morte (avvenuta il 22 aprile 1986 per un ictus). Dal 1960 al 1972 dirige con
Ernst Jünger una straordinaria rivista di storia delle religioni, Antaios.
Intanto seguita a pubblicare a ritmo martellante un´infinità di lavori,
culminati nella grande Storia delle credenze e delle idee religiose (1976-1983).
È anche candidato al Nobel per la letteratura.
Purtroppo, un dettaglio ne stoppa l´apoteosi, e gli schizza addosso una macchia
infamante. Un dettaglio biografico, sul quale la sua intelligenza si incaglia e
si rovescia in ottusità.
Nel 1972 lo storico Theodor Lavi (pseudonimo di Lowenstein), in base al diario
ancora inedito di Sebastian e ad altre testimonianze, rivela su Toladot, una
piccola rivista dell´emigrazione rumena in Israele, che Eliade era stato vicino
alla Guardia di ferro. Eliade fa finta di nulla, cerca di sbarazzarsi del suo
passato come un serpente della sua pelle. Ma la notizia fa il giro del mondo, in
Italia è ripresa da Furio Jesi. Un suo viaggio a Gerusalemme nella primavera del
1973 dev´essere annullato in extremis, tra lo sconcerto dell´amico Gershom
Scholem. Nei suoi diari, silenzio.
Da quel momento Eliade adopera la sua intelligenza per dissimulare e insabbiare.
Cerca coperture, si stringe ad amici insospettabili, come Paul Ricoeur e lo
scrittore ebreo Saul Bellow. Quest´ultimo diventa suo intimo, ma nel romanzo
Ravelstein inscena il dubbio che lo tormenta. Il protagonista, alias Allan Bloom,
mette in guardia l´amico narratore da Radu Grielescu, alias Eliade: è stato «un
seguace di Nae Ionescu che fondò la Guardia di Ferro», avverte, un jew-hater che
denunciò «la sifilide ebraica che contagiava la raffinata civiltà balcanica»,
«ti strumentalizza» per «rifarsi una verginità». Il tarlo del sospetto non
soffocherà la compassione, e ai funerali di Eliade Bellow prenderà la parola per
dire il suo dolore e la sua compassione.
È difficile giudicare del caso Eliade. Come è difficile giudicare di Heidegger,
Carl Schmitt o Céline. Certo, la loro opera non può più essere letta solo in
chiave scientifica o letteraria, separandola dalla biografia. Eppure, la loro
vita mediocre non basta a oscurare la grandezza dell´opera che ha generato. Ci
chiediamo: perché intellettuali di tale statura si sono ostinati a tacere il
loro passato? La verità è che gli uomini sono molto meno uguali di quello che
dicono, e molto più di quello che pensano.
È probabilmente questa saggezza che ha indotto perfino il regista Francis
Coppola a rendere omaggio a Eliade. Il suo nuovo film, Youth without Youth,
prende spunto da un omonimo racconto di Eliade (Tinerete fara tinerete): un
settantenne professore, colpito da un fulmine, diventa più giovane anziché più
vecchio, attirando l´attenzione dei servizi segreti. Il professore deve scappare
attraverso vari paesi fino in India… Anche questa singolare fortuna è un
dettaglio in cui si nasconde il buon Dio, e ci avverte che l´opera di Eliade
rimane un capitolo inevitabile della storia intellettuale del Novecento, un
passaggio obbligato per capirne le convulsioni.