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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Prefazione di Ernesto de Martino alla prima edizione italiana del Trattato di storia delle religioni di Mircea Eliade


 

* Da Μ. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Einaudi, Torino 1954, pp. VII-X.

 

 

 L'idea di una storia delle religioni - cioè di una storia universale che abbracci tutte le religioni della Terra - dovrebbe comportare, nella sua più ingenua formulazione, un quadro completo della vita religiosa dell'umanità dalle origini sino a oggi. Ε di fatto questo ambizioso piano di una completa genealogia temporale delle forme religiose è stato in passato perseguito da numerosi studiosi, sia che la storia delle religiosi fosse concepita in termini evoluzionistici, cioè come, passaggio dalle forme più elementari e rozze a quelle via via semιpre più complesse ed elevate, sia che si tentasse di riadattare l'idea di evoluzione e di sequenza genealogica nel quadro confessionale della rivelazione primitiva e della sua successiva degenerazione per effetto del peccato. Ne risultarono una serie di ricostruzioni largamente ipotetiche, nelle quali la successione genealogica era variamente determinata e atteggiata: come punto di partenza della serie fu assunto ora il naturismo, ora l'animismo, ora il preanimisιno e la credenza nella magia, ora il totemismo, e ora infine il cosiddetto monoteismo primitivo, dal quale per degenerazione e oscuramento si sarebbero prodotti„ nel corso della storia, le forme naturistiche, manistiche e magiche. Proprio il carattere ipotetico di queste costruzioni, che ruinavano l'una dopo l'altra, fece cadere in discredito la stessa pretesa di una storia universale delle religioni. Si finì col riconoscere che erano certamente possibili e utili ai fini della consultazione e come sussidio per la ricerca i repertori panoramici (come la Encyclopaedia of Religion and Ethics,

o Die Religion in Geschicbte and Gegenwart) o i manuali che allineavano in monografie di vari specialisti le varie religioni della terra (come il Lebrbuch der Religionsgeschicbte dello Chantepie de la Saussaγe), ma si abbandonò come impossibile per il suo stesso assunto un'opera che abbracciasse in un unico processo unitario dispiegantesi nel tempo la sterminata varietà delle religioni umane. Non già che questa impossibilità fosse ragionata teoreticamente, come potremmo fare noi in Italia per la nostra familiarità con la critica storicistica della stessa pretesa di una storia universale delle religioni: l'abbandono di fatto di una genealogia temporale di tutte le religioni della storia umana si accompagnò piuttosto alla constatazione della fragilità di tutte le varie ricostruzioni genealogiche e soprattutto alla acquistata persuasione (per merito della scuola storico-culturale in etnologia) che gli stessi dati di fatto smentiscono il presupposto di una serie di fasi di vita religiosa attraverso le quali tutta l'umanità sarebbe solidalmente passata.

Da questa crisi - che è ancora in corso - è nato da una parte un rinnovato impulso alle ricerche monografiche su singole religioni nel quadro di determinate civiltà umane, e dall'altra un tentativo di dar nuova vita alla tipologia delle forme religiose. L'indirizzo tipologico ha accompagnato quasi fin dal suo inizio lo studio scientifico della vita religiosa, cercando di guadagnare un suo proprio posto nel quadro delle cosiddette «scienze religiose». Ma questa più antica tipologia, malgrado la sua pretesa di costituirsi come scienza autonoma, era in sostanza una classificazione delle manifestazioni del sacro, e come tale aveva il valore didattico e pratico di tutte le classificazioni. Un ben più complesso significato culturale spetta invece alla nuova tipologia, nella quale confluiscono vari temi dell'inquieto irrazionalismo moderno: come, per esempio, la insoddisfazione per il mero filologismo della storiografia positivistica, il bisogno di capire la vita religiosa, l'accentuazione del carattere sostanzialmente irrazionale della esperienza del sacro, il tentativo di rivendicare a questa esperienza la sua autonomia nel quadro della vita spirituale, il riflesso della problematica esistenzialistica più religiosamente impegnata, e infine la psicologia del profondo dello Jung.

Il Traité d'histoire des religions di Mircea Eliade appartiene senza dubbio a questo nuovo indirizzo tipologico così sensibile ai temi

culturali dell'irrazionalismo contemporaneo: e perciò meglio gli converrebbe il titolo di tipologia (a di fenomenologia) piuttosto che quello di storia. Secondo l'Eliade lo storico delle religioni si occupa di fatti che, per quanto inseritϋ nel flusso del divenire, manifestano un comportamento che trascende in larga misura il comportamento storico dell'essere umano. Al fondo delle varie religioni operano sempre gli stessi «archetipi», cioè le stesse immagini e gli stessi simboli fondamentali, nei quali si esprime la condizione umana come tale, al di là di tutte le epoche e di tutte le civiltà. In tal modo, secondo l'Eliade,la pretesa religiosa di evadere dalla storia, e di risolverla nella ripetizione rituale degli archetipi, ha in certo senso un valore ontologico effettivo: lo storico e il fenomenologo della religione almeno in un punto si confondono con l'uomo religioso in atto, nel senso che confermano l'aspirazione religiosa fondamentale, cioè la evasione dalla storia. Dal punto di vista dello storicismo (nel significato che questa parola ha assunto da noi) è facile muovere a questa impostazione dell'Eliade la obiezione radicale che tutte le pretese di evadere dalla storia, e in particolare quelle connesse con l'esperienza del sacro, sono appunto mere pretese, destituite di valore ontologico, e pertanto lo storico delle religioni ha il compito di rigenerare mentalmente quelle pretese, risolvendole senza residuo nella loro reale genesi storica e nel significato e nella funzione che spetta loro nel quadro della storia umana. È senza dubbio vero che l'uomo impegnato nella esperienza del sacro crede di ripetere modelli mitici, ma lo storico non può reduplicare tale esperienza appellandosi alla teoria degli archetipi, ma al contrario ha il compito di narrarci come e perché siano nati nella storia umana certi archetipi o immagini o simboli, che si sono via via depositati nel cosiddetto subconscio.

Tuttavia, per quanto lo storicismo più conseguente possa sollevare queste e altre obiezioni alle tesi dell'Eliade, è certo che l'incontro e il dialogo con lavori d'indirizzo fenomenologico nel campo della vita religiosa può giovare a precisare la polemica antinaturalistica, e soprattutto a impegnare l'orientamento storicistico della nostra cultura nazionale in una dimensione nella quale esso non si è esercitato ancora abbastanza, cioè nel mondo suggestivo dei fenomeni religiosi e della storia del sacro. Se non vogliamo correre il rischio di lasciar irrigidire la polemica storicistica nella sem-

plice conservazione e amministrazione dei risultati ottenuti e nella semplice esegesi rabbinica della «filosofia dello spirito», è necessario entrare in intenso rapporto polemico con tutte le istanze antistoricistiche e irrazionalistiche della cultura contemporanea, facendo subire allo storicismo la prova salutare di questo rapporto. L'indirizzo fenomenologico-religioso in generale, e il Traité di Mircea Eliade in particolare, ci offrono una opportunità di questo genere: ed è in questo senso che la sua lettura può giovare non solo agli specialisti ma anche a tutti coloro che sono interessati alla difesa e all'incremento del nostro patrimonio umanistico.

 

 

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