"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Mercoledì 12 febbraio 1941, nella sala "Comedia" del Teatro Nazionale di
Bucarest (diretto all'epoca dal romanziere Liviu Rebreanu) andava in scena la
prima di Iphigenia, dramma in tre atti e cinque quadri che Eliade aveva scritto
alla fine dell'autunno 1939. L'opera fu diretta dal regista Ion Sahighian e
musicata da N. Buicliu; la parte della protagonista venne affidata ad Aura
Buzescu. Tra febbraio e marzo, si ebbero dieci rappresentazioni, alle quali
Eliade non poté esser presente, perché si trovava all'estero da diversi mesi. Le
notizie che pervennero all'autore circa il successo del dramma non furono
esaltanti: "Mi si disse -scrive Eliade nelle sue Memorie- che mancavo di 'vigore
drammatico', il che probabilmente è vero. Se Iphigenia ha qualche merito,
bisogna cercarlo altrove"1.
Il testo dattiloscritto del dramma, custodito alla Biblioteca del Teatro
Nazionale, fu pubblicato da Mircea Handoca nel 19742; ma già nel 1951 era uscita
in Argentina, a cura di un gruppo di esuli romeni, un'edizione ciclostilata del
testo, cui Eliade aveva apportato lievi modifiche formali3. L'edizione argentina
recava una dedica "alla memoria di Haig Acterian e Mihail Sebastian" e conteneva
una prefazione dell'Autore, nella quale si legge: "Pubblico con gioia, ma anche
con una stretta al cuore, quest'opera giovanile, che piaceva tanto, quando fu
scritta, ai miei amici Haig Acterian, Mihail Sebastian, Constantin Noica ed Emil
Cioran. Due degli amici migliori -Acterian e Mihail Sebastian- non sono più tra
noi. Dedico loro questo testo, che tutti insieme abbiamo amato nel crepuscolo
della nostra giovinezza".
Mihail Sebastian non si era recato alla prima di Iphigenia. "Avrei avuto
l'impressione di assistere a una riunione di cuib4", scrive nel suo Diario il
drammaturgo ebreo. Questo sospetto gli viene confermato da una telefonata di
Nina Mares, la moglie di Eliade, la quale gli dice che l'opera ha avuto un
grande successo e che proprio per questo teme che possa essere vietata dalle
autorità. Da una ventina di giorni, infatti, il generale Antonescu ha instaurato
la dittatura militare e sta cercando di liquidare il Movimento Legionario.
Mihail Sebastian si reca dunque ad assistere a una successiva rappresentazione
del dramma, ed annota: "Grande insuccesso, uno dei più grandi insuccessi del
Nazionale!" Ma aggiunge anche: "Sembrava molto più interessante di quanto, per
quel che ricordo, non mi era sembrata quando l'avevo letta. In compenso, lo
spettacolo è grossolano, privo di stile, privo di nobiltà"5.
In quegli stessi giorni, Petru Comarnescu (1905-1970) affidava anche lui alle
pagine del proprio Diario una annotazione sul lavoro teatrale di Eliade; ma il
giudizio di Comarnescu risulta alquanto diverso da quello di Sebastian.
"Ifigenia di Mircea Eliade, -scrive- rappresentata al Teatro Commedia (il
Nazionale è in restauro in seguito al terremoto), è molto debitrice ad Euripide
e Racine, a parte il sogno di Ifigenia e la sua posizione, con cui Eliade vuole
ricordare Codreanu. Montaggio grandioso, interpretazione di bravi attori, come
Aura Buzescu (Ifigenia) e Mihai Popescu (Achille). Hanno stili diversi di
recitazione. Aura Buzescu è statica e lirica, Mihai è irruente, impetuoso,
esplosivo, esteriore"6.
Norman Manea, un autore che a detta del suo contribule Heinrich Böll "più di
ogni altro [più di Kafka, Musil e Schulz] merita di essere conosciuto in tutto
il mondo"7, scriverà mezzo secolo dopo: "Nel 1982, anno nero per via della
dittatura di destra e comunista [sic: droitière communiste] di Ceausescu,
assistetti a una rappresentazione dell'opera di Eliade Iphigenia al teatro
nazionale di Bucarest. L'opera era stata rappresentata per la prima volta nel
1941, un altro anno nero, e poi pubblicata in romeno nel 1951 sulla stampa di
destra argentina, il cui proprietario era un romeno espatriato [sic]8. E'
innegabile che nel 1941 le tensioni fuori dal teatro, lo stato d'animo degli
spettatori, le loro paure, il loro disgusto, la loro prostrazione e la loro
disperazione erano in sintonia con il lavoro teatrale, in un malessere estremo,
in una specie di esaltazione della morte 'sublime' per una 'causa' gloriosa"9.
Nemmeno a Eugen Weber è sfuggito il rapporto che intercorre tra lo spirito
legionario e il tema centrale dell'Ifigenia eliadiana. "In alcune osservazioni
introduttive alla sua commedia [sic] Iphigenia (Valle Hermoso 1951), -scrive
Weber- il professor Mircea Eliade spiega come jertfa, il sacrificio, sia una
concezione arcaica che egli ha già discussa in un'opera del tempo di guerra,
Commenti alla leggenda di Mastro Manole (Bucarest 1943). Ifigenia dona la vita
per aprire la strada ad un esercito; Manole, il mastro costruttore di una
vecchia leggenda romena, sacrifica la sua sposa perché la chiesa che costruisce
possa rimanere salda. Il sacrificio umano portato a compimento per far sì che
qualcosa come una costruzione duri o resista è equivalente al trasferimento
mistico dell'anima dal corpo mortale in una nuova costruzione: non solo è data
un'anima alla costruzione, ma la vittima è rivestita con un nuovo corpo,
glorioso e più durevole. Per Manole, questo corpo sarà il monastero che egli
costruisce. Per Ifigenia, sarà la guerra di suo padre Agamennone e la vittoria
contro l'Asia e Troia"10.
Ma tra i fratelli spirituali dell'Ifigenia di Eliade non c'è soltanto Mastro
Manole: c'è anche il pastorello della ballata popolare di Mioria [L'agnellina].
Lo fa opportunamente notare Mircea Handoca, il quale osserva che "la visione
d'insieme, le valenze e i significati che lo scrittore attribuisce al mito [si
collocano] in uno spazio spirituale mioritico"11 e attrae l'attenzione su queste
parole di Ifigenia: "... Come cadono gli astri al mio sposalizio! E il murmure
dell'acque, e lo stormir degli abeti, e il gemito della solitudine: tutto è così
come l'ho conosciuto..." In effetti, il tema della morte come sposalizio è
dominante nelle ultime parole di Ifigenia: "Ricordati, -dice l'eroina eliadiana
ad Agamennone- è sera di nozze. Adesso, da un momento all'altro, sarò sposa...
Perché tutti hanno fatto silenzio e non si odono più i canti sonori delle
vergini? [...] Ma perché non si sentono i canti nuziali? Perché i convitati non
intreccian ghirlande di splendidi fiori, e la sposa è rimasta con l'abito triste
del giorno? [...] Portatemi il velo di sposa!" Sono parole essenzialmente
analoghe a quelle del pastorello di Mioria: "Di' loro soltanto - che mi son
sposato - con una bella regina, - la sposa del mondo; - che al mio sposalizio -
caduta è una stella". Studiando la ballata della Pecorella veggente, Eliade dirà
che "la morte assimilata a un matrimonio è [un motivo folclorico] arcaico e
affonda le sue radici nella preistoria"12. Ma questo motivo d'origine
preistorica diventa un elemento importante della spiritualità legionaria: "La
morte, solo la morte legionaria - è per noi lo sposalizio più caro tra tutti",
dice l'inno del Movimento, scritto dal poeta Radu Gyr. E un altro poeta
legionario, Dumitru Leontieç, riprenderà il medesimo motivo in Mioria legionara
[L'agnellina legionaria]: "di' a mia madre - [...] che passeggio per le nubi -
con i Nicadori - e con i Decemviri, - ché anche loro sono sposi [...]"13.
"Due possenti motivi di mistica della morte -leggiamo in un saggio di Z. Barbu-
accendevano l'animo dei legionari. Uno è quello indigeno tradizionale che
costituisce il tema centrale di una delle più note ballate romene, Mioria, dove
l'eroe in pericolo di morte riesce a vincere la paura paragonando la morte a un
matrimonio in cui egli stesso è lo sposo e sua sposa è la natura. Si è detto
spesso che questo era l'atteggiamento 'tipico' dei rumeni verso la morte. Ancora
più forte è l'altro motivo, la resurrezione e la vittoria che si conquistano
attraverso la morte secondo la mitologia cristiana"14. Al riduzionismo implicito
nel richiamo alla "mitologia cristiana" vi sarebbe da obiettare; comunque, qui
importa notare come anche questo secondo motivo, la conquista della vittoria
attraverso la morte, sia chiaramente attestato in Iphigenia. L'eroina non sarà
sacrificata come la moglie di Mastro Manole, murata viva nel muro dell'edificio.
"La mia anima -dice nell'imminenza del sacrificio- non rimarrà chiusa entro le
mura di un palazzo, come in un corpo di pietra. La mia anima non farà durare
nessuna costruzione innalzata da mano d'uomo". La vita postuma e la vittoria di
Ifigenia si realizzeranno in un evento assai più grandioso. Alla vista delle
fiamme del rogo che brucerà il suo corpo, essa pronuncia queste parole:
"Guardate! Il mio sepolcro non sarà nella terra! L'anima di Ifigenia farà sì che
trionfi e duri qualcosa di molto maggior valore, di un altro mondo! L'anima di
Ifigenia darà vita a una grande guerra, a un sogno lontano! Là mi troverete
sempre, nelle vostre azioni eroiche, nel vostro sogno più prezioso, Troia". Col
suo sacrificio, spiega Eliade stesso, "Ifigenia sopravvive in quel 'corpo
mistico' che era il sogno di Agamennone: la guerra contro l'Asia, la conquista
di Troia"15.
Eugen Weber, come si è visto più sopra, cita i Commenti alla leggenda di Mastro
Manole nell'edizione del 194316; ma già nell'anno accademico 1936-'37, come
supplente del prof. Nae Ionescu, Eliade aveva tenuto un corso sulla leggenda,
ponendone in luce la "valorizzazione della morte rituale, l'unica morte
creativa"17. E di questo "mito centrale della spiritualità del popolo romeno"18
egli aveva visto una nuova manifestazione nella morte sacrificale di Moa e Marin.
"La morte volontaria di Ion Moa e Vasile Marin -scriveva infatti Eliade- ha un
significato mistico: sacrificio per la cristianità [...] Ion Moa, il crociato
ortodosso, partì coraggiosamente, con la pace nel cuore, per sacrificarsi per la
vittoria del Salvatore"19.
Data questa sua indiscutibile conformità con l'ideale legionario del sacrificio
generatore di vittoria, possiamo dire che la versione eliadiana della storia di
Ifigenia costituisca un uso strumentale del mito greco? O, per dirla con Furio
Jesi, una "tecnicizzazione del mito", cioè una di quelle "pseudoepifanie del
mito provocate deliberatamente in vista di determinati interessi", che Károly
Kerényi distingue nettamente dalle "epifanie genuine del mito, assolutamente
spontanee e disinteressate"20? Nemmeno Jesi, nemico giurato di Eliade e della
Guardia di Ferro, lo avrebbe potuto sostenere in perfetta coerenza con se
stesso, poiché fu proprio lui a contrapporre le "trovate" del fascismo italiano
ai rituali legionari, "rituali nel vero senso della parola"21. D'altra parte,
Eliade fa quello che secondo il punto di vista di Jesi non è possibile: vale a
dire, riattualizza il mito. E ciò, nel senso definito da queste parole di
Handoca: "Si potrebbe addirittura parlare di un'autoctonizzazione dell'antica
leggenda, assunta dall'autore romeno nei suoi valori originari, e non
modernizzata. Mircea Eliade ritorna alle fonti del mito, ad archetipi che si
sono successivamente manifestati in una varietà di espressioni artistiche"22.
Per rendersi conto di ciò, sarà sufficiente notare come la dottrina del
sacrificio generatore di vittoria sia chiaramente attestata nella tragedia di
Euripide. "Io -dice l'Ifigenia euripidea- vengo a dare ai Greci una salvezza
apportatrice di vittoria. Portatemi via, io sono l'espugnatrice della città di
Ilio e dei Frigi"23. Non è dunque senza una qualche ragione che François Jouan
ha equiparato alla "deuotio"24 dei Romani il sacrificio dell'Ifigenia euripidea.
Devotio, come è noto, era nella religione romana quella particolare forma di
votum per cui il comandante immolava se stesso al fine di conseguire la vittoria
in battaglia. "Forza e vittoria" (vim victoriamque) chiede agli dèi il console
Decio Mure, al contempo offerente e vittima sacrificale25. Questa concezione
dell'autosacrificio che sprigiona forza e produce vittoria riecheggia in Racine,
il quale fa dire alla sua Ifigenia: "La sentenza del destino vuole che la vostra
felicità sia frutto della mia morte. Pensate, signore, pensate alle mèssi di
gloria che la Vittoria offre alle vostre mani valorose. Quel campo glorioso, al
quale voi tutti aspirate, se il mio sangue non lo innaffia, è sterile per voi.
[...] Già Priamo impallidisce; già Troia in allarme paventa il mio rogo"26.
Ma tra tutte le espressioni artistiche ispirate dal mito, quella che in modo più
fedele ed efficace lo riattualizza è certamente l'Iphigenia di Eliade. E non
poteva non essere così, perché l'autore romeno fu testimone della devotio di una
generazione intera, respirò un'atmosfera satura di spirito sacrificale e
raccolse personalmente dichiarazioni che manifestavano una disposizione
spirituale "ifigeniaca". Si rileggano alcuni brani delle sue Memorie: "Codreanu
credeva alla necessità del sacrificio, pensava che ogni nuova persecuzione
avrebbe solo potuto purificare e rafforzare il Movimento [...] Senza dubbio
Codreanu è morto, come tanti altri legionari, convinto che il suo sacrificio
avrebbe affrettato la vittoria del Movimento. [...] Puiu Gârcineanu mi ripeteva
[...] che lo scopo supremo del Movimento non era neanche più la redenzione
individuale mediante un eventuale martirio, ma 'la resurrezione della nazione'
realizzata grazie a una 'saturazione di torture e di sacrifici cruenti'. La sola
smentita massiccia che sia stata data al famoso luogo comune circa la non
religiosità del popolo romeno (l'unico popolo cristiano che non ha dei santi, ci
veniva continuamente ricordato) è provenuta dal comportamento di alcune migliaia
di Romeni nel 1938-1939, nelle prigioni e nei campi di concentramento,
perseguitati o liberi che fossero"27.
Fu questo, dunque, lo scenario della riattualizzazione del mito di Ifigenia. Ma,
se tale mito conobbe tra il 1939 e il 1941 una "epifania genuina e spontanea",
quale fu il ruolo specifico di Eliade? La risposta ci viene discretamente
suggerita dall'autore stesso, che il 16 marzo 1974 scrive nel Diario: "Strana
coincidenza: ho ricevuto Iphigenia [ed. "Manuscriptum"] mentre scrivevo una
novella i cui personaggi sono giovani attori che stanno ripetendo un dramma
intitolato Incognito la Buchenwald, un dramma enigmatico, di cui il lettore
distingue a fatica l'argomento e il genere; ma, agli occhi dei personaggi e
soprattutto di Ieronim Thanase (il direttore di scena della mia novella Uniforme
de general), mirava soprattutto alla trasformazione magico-spirituale di tutto
l'uditorio"28.
Incognito la Buchenwald [Incognito a Buchenwald] e Uniforme de general [Uniformi
di generale] rappresentano una fase particolare della narrativa eliadiana:
quella in cui lo spettacolo teatrale viene visto come una forma di rivelazione e
di esercizio spirituale. Questo tema si ritrova anche nella novella Adio
[Addio], che secondo Nicolae Steinhardt "è un'elegia legionaria"29, nonché nel
romanzo Nou[sprezece trandafiri [Diciannove rose], nel quale abbiamo creduto di
scoprire accenni criptici all'esperienza legionaria dell'autore30. Quanto a
Ieronim Thanase, il personaggio delle due novelle citate da Eliade nel brano di
Diario riportato più sopra, egli riapparirà in Nou[sprezece trandafiri, con
certe caratteristiche (paralizzato, circondato da giovani discepoli) che ne
fanno una sorta di... Julius Evola in versione romanzesca, più o meno come il
"dottor J.E." di Secretul doctorului Honigberger [Il segreto del dottor
Honigberger]. Eliade, dunque, dice che Ieronim Thanase mira alla "trasformazione
magico-spirituale" dell'uditorio; in altre parole, vuole riportare il teatro
tragico alla sua funzione catartica. Partito da posizioni idealiste ma assertore
della necessità di andare al di là dell'idealismo, Thanase insegna che ciascun
evento storico non va solo capito e giustificato, ma va soprattutto inteso come
un segno e deve perciò essere decifrato, "giacché ogni evento, ogni vicenda
quotidiana comporta un significato simbolico, illustra un simbolismo
primordiale, metastorico, universale..."31.
E' evidente che nel personaggio Ieronim Thanase non c'è soltanto Julius Evola,
ma c'è lo stesso Mircea Eliade, l' "evoliano" Eliade degli anni trenta, sicché
quanto vien detto circa l'azione spirituale che Thanase vuole esercitare sul
pubblico vale anche per l'autore di Iphigenia. L'azione "magico-spirituale" di
quest'ultimo si svolge secondo il paradigma della grande tradizione tragica,
perché, "suscitando pietà e paura, opera la purificazione [katharsis] di tali
sentimenti"32. Ma in tal modo la stessa funzione catartica assegnata alla
tragedia viene a inserirsi nella strategia spirituale legionaria: quella che
Corneliu Codreanu indicò più d'una volta ricorrendo a termini e a immagini
corrispondenti ad una vera e propria "grande guerra santa".
1. M. Eliade, Mémoire II 1937-1960. Les moissons du solstice, Gallimard, Paris
1988, p.58.
2. M. Eliade, Ifigenia, in "Manuscriptum" (Bucarest), a. V, n. 1 (1974). Con una
breve presentazione di M. Handoca, Mitul jertfei creatoare [Il mito del
sacrificio creatore]. Pagine non numerate. La grafia Ifigenia è soltanto nel
titolo; nel testo si trova regolarmente la forma Iphigenia. - "Il 13 marzo, ho
ricevuto la rivista Manuscriptum, nella quale Mircea Handoca ha pubblicato
Iphigenia, un lavoro teatrale scritto nel 1939, l'unico mio lavoro teatrale che
sia stato rappresentato (al Teatro nazionale di Bucarest nell'inverno 1941). Ma
io non lo vidi mai, perché nell'aprile 1940 ero stato nominato addetto culturale
presso la nostra legazione di Londra" (M. Eliade, Fragments d'un journal II.
1970-1978, Gallimard, Paris 1981, p. 177).
3. M. Eliade, Iphigenia, Cartea Pribegiei, Valle Hermoso 1951. Le nostre
traduzioni dei brani della tragedia sono state eseguite sul testo di questa
edizione.
4. Cuib, "nido", è la "cellula" dell'organizzazione legionaria.
5. M. Sebastian, Jurnal (inedito), cit. in: C. Ungureanu, Mircea Eliade si
literatura exilului [Mircea Eliade e la letteratura dell'esilio], Viitorul
Românesc, Bucuresti 1995, p. 140.
6. P. Comarnescu, Romanul generaiei mele [Il romanzo della mia generazione], in
România si Europa. Studii si articole selectionate si coordonate de J.C. Dr[gan
[La Romania e l'Europa. Studi ed articoli selezionati e coordinati da J.C. Dr[gan],
"Revista Fundaiei Dragan" (Roma), n. 10, maggio 1993, p. 459.
7. Il singolare apprezzamento per l'ingegnere ebreo emigrato dalla Bucovina a
New York è riportato su un risguardo di Un paradiso forzato di N. Manea,
Feltrinelli, Milano 1984.
8. Si tratta, ovviamente, di un'allucinazione di Manea. In realtà, l'edizione
argentina di Iphigenia fu "scritta a macchina e stampata da Grigore Manoilescu,
con l'aiuto di Andrei Coman", come si legge nel colophon del fascicolo
ciclostilato. Quanto ai potenti mezzi economici dell'editore, lo stesso Mircea
Eliade scriveva sul periodico "Românul" nel dicembre 1951: "Talvolta arrivano
degli operai dall'anima angelica e donano i loro averi affinché si possano
stampare i versi e le prose dei nostri sognatori o dei nostri veglianti; è il
caso di quell'operaio che sta in Argentina, Ion M[rii, il quale ha donato
all'editore di Cartea Pribegiei tutto quello che aveva risparmiato in un anno e
mezzo di lavoro (Ion M[rii, primo membro d'onore della Società degli Scrittori
Romeni, quando ritorneremo a casa...)".
9. N. Manea, Mircea Eliade et la Garde de Fer, in "Les Temps Modernes", n. 549,
aprile 1992, p. 113. Preferiamo tradurre dal testo francese, perché la versione
apparsa su "Linea d'ombra", n. 93, maggio 1994 (Felix culpa. Mircea Eliade, il
fascismo e le infelici sorti della Romania) è alquanto inesatta. Su questo
articolo di Manea, cfr. Ph. Baillet, Prefazione a: C. Mutti, Le penne
dell'Arcangelo, Barbarossa, Milano 1994, p. 6.
10. E. Weber, Romania, in: H. Rogger e E. Weber, The European Right. A
Historical Profile, Berkeley and Los Angeles, The University of California
Press, 1965, pp. 524-525. Cfr. M. Eliade, Commenti alla leggenda di Mastro
Manole, in I riti del costruire, Jaca Book, Milano 1990, p. 90. "Il riferimento
dello storico americano cercava di spiegare, con la persistenza di un nucleo
ancor vivo di tradizioni popolari, quell'ansia di autosacrificio che guidò il
Movimento nel primo periodo della sua esistenza fino all'instaurazione della
dittatura di re Carol II (1938)" (R. Scagno, Libertà e terrore della storia.
Genesi e significato dell'antistoricismo di Mircea Eliade, Print centro copyrid,
Torino 1982, p. 20). Ci si consenta di osservare che Iphigenia fu scritta nel
dicembre 1939 e rappresentata nel 1941, sicché non dovette proprio essersi
estinta nel 1938 quell' "ansia di autosacrificio" che Roberto Scagno
correttamente indica come caratteristica del Movimento legionario.
11. M. Handoca, Mitul jertfei creatoare, cit.
12. M. Eliade, La pecorella veggente, in Da Zalmoxis a Gengis-Khan, Ubaldini,
Roma 1975, p. 208.
13. D. Leontieç, Prin mlaçtini çi furtuni [Attraverso paludi e tempeste], Dacia,
Rio de Janeiro 1969, p. 84.
14. Z. Barbu, Romania, in: AA. VV., Il fascismo in Europa, a cura di S.J. Woolf,
Laterza, Bari 1968, p. 183.
15. M. Eliade, Iphigenia, cit., p.11.
16. M. Eliade, Comentarii la legenda Meçterului Manole, Bucuresti 1943; nuova
ed. in Meçterul Manole, Iasi 1992. Ed. it. in I riti del costruire, cit.
17. M. Eliade, I riti del costruire, cit., p.5.
18. Ibidem.
19. M. Eliade, Ion Moa çi Vasile Marin [Ion Moa e Vasile Marin], "Vremea", 472,
24 gennaio 1937.
20. F. Jesi, Mito, Isedi, Milano 1973, p. 107.
21. F. Jesi, Cultura di destra, Garzanti, Milano 1979, p. 32.
22. M. Handoca, Mitul jertfei creatoare, cit.
23. " soterìan Hellesi dosous' erchomai nikeforon". )/Agete me tan Iliou kai
Frugon heleptolin" (Iphig. Aulid., 1473-1476).
24. F. Jouan, Notes complémentaires, in: Euripide, Iphigénie à Aulis, Les Belles
Lettres, Paris 1983, p. 152.
25. T. Livio, Ab Urbe condita, VIII, 9.
26. "Et les arrêts du sort - Veulent que ce bonheur soit un fruit de ma mort. -
Songez, Seigneur, songez à ces moissons de gloire - Qu'à vos vaillantes mains
présente la Victoire. - Ce champ si glorieux, où vous aspirez tous, - Si mon
sang ne l'arrose, est stérile pour vous. [...] Déjà Priam pâlit. Déjà Troie en
alarmes - Redoute mon bûcher" (Iphigénie, 1535-1540, 1549-1550).
27. M. Eliade, Mémoire II 1937-1960. Les moissons du solstice, cit., pp. 35-40.
28. M. Eliade, Fragments d'un journal II. 1970-1978, cit., ibidem.
29. N. Steinhardt, Jurnalul fericirii [Il diario della felicità], Dacia, Cluj
1994, p. 368.
30. C. Mutti, Mircea Eliade e la Guardia di Ferro, Edizioni all'insegna del
Veltro, Parma 1989, pp. 47-55.
31. M. Eliade, Diciannove rose, Jaca Book, Milano 1987, p. 83.
32. Arist., Poeth. 1449 b.