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TAIJIQUAN
1. Disegnare... con creatività ma senza esagerazioni Disegnare il serpente
aggiungendo le zampe. Quest’espressione letteraria cinese nasce dalla seguente
storiella: "un tizio disegnò un serpente che, tutto sommato, era
abbastanza bello. Preso dall’euforia e dall’eccessivo compiacimento di sé,
pensò di abbellirlo ancora di più aggiungendogli anche le zampe... Ma non era
più la stessa cosa!" In alcuni casi poi, si percepisce chiaramente un’esasperata ricerca dell’estetica o della tecnica come arte marziale, della perfezione atletica o della speculazione filosofica, dell’appartenenza a una rigida tradizione o dell’inquadramento sincretistico nella corrente New Age. Ma una rondine non fa primavera (prendo in prestito questa espressione italiana perché mi piace molto). Naturalmente non è così per la maggior parte dei praticanti anche qui in Italia. 2. L’importanza delle contraddizioni Spesso mi chiedono: "Ma che cosa è esattamente il taijiquan?". Alcuni lo praticano perché è arte marziale, altri lo praticano proprio perché non lo è. A mio modesto parere è proprio questa contraddizione la ragione del suo fascino e della sua vitalità. Insistere su un aspetto o sull’altro vuol dire non tenere in considerazione la storia e lo sviluppo del taijiquan. Ma più importante ancora è non tenere in considerazione la sua dinamica che è tutta basata sulle contraddizioni. Mi viene da pensare alla contraddizione feconda tra lo yin e lo yang che è la causa e, al tempo stesso, la conseguenza delle diecimila cose della vita. Il taijiquan è il frutto delle contraddizioni tra la durezza e la morbidezza, tra la visione globale e la visione del particolare, tra la continuità nel tempo dilatato e la totalità in un istante, tra il pieno e il vuoto, ecc. Da questo gioco delle contraddizioni nascono quelle caratteristiche della dinamica delle "figure", ad esempio: il principio della immediata alternanza, l’appoggio vero e finto dei piedi, la focalizzazione e il moto a spirale delle forze, il costante coinvolgimento del torace e dell’addome nel respiro, la scioltezza delle spalle e la forza gravitazionale dei gomiti, la sintesi della "figura" nella decisione dello sguardo, la distinzione delle otto forze e così via. Sono dinamiche recuperate da un ramo delle antiche arti marziali noto come Neijiaquan, cioè stile interno o tecniche di combattimento basate sulla convinzione interiore più che sulla concentrazione esteriore, sul dominio di sé più che sulle sollecitazioni delle proprie forze, sulla forza nascosta nella morbidezza più che sulla potenza evidenziata nei colpi, sulle curve neutralizzanti più che sulla rigidità devastante, sull’altra persona come soggetto dell’incontro più che sull’altro come oggetto dello scontro. Come si vede, c’è più coltivazione "interiore" attraverso il corpo che costruzione del corpo attraverso volontà forzata. Se ciò è un’arte marziale, il suo modo lento e calmo dell’allenamento è soprattutto un ottimo metodo di yangsheng, ovvero "nutrire la vita", cioè un insieme di metodologie per prolungare la vita o per migliorare la sua qualità. Questo consiste nel miglioramento delle strutture (come i legamenti, le articolazioni, i fasci muscolari ecc.) e delle funzioni (come la circolazione, la digestione, il metabolismo, la respirazione ecc.) e contemporaneamente (perché no?) anche un miglioramento dell’equilibrio della freschezza mentale. È riduttivo, quindi, vedere il taijiquan come una pura arte marziale o come una semplice ginnastica danzata con tanti cerchi e tante curve liberamente fantasiose. È forse divertente, ma non è utile, se non si comprende l’importanza delle contraddizioni. D’altra parte, il nome stesso è una contraddizione: taiji è un concetto cosmico-filosofico che richiama l’idea di pace, di armonia e di vita; mentre quan sta per "pugno" cioè potenza e violenza. Anche la storia del suo sviluppo è una contraddizione: da quell’arte marziale nobile, difficilissima e riservata a pochissimi ad una disciplina della salute per chiunque, anche per i malati. Quindi, anche i praticanti stessi sono una contraddizione, ma una contraddizione che va vista necessariamente nell’ottica costruttiva della fecondità tra lo yin e lo yang - cioè l’incontro delle diversità - e nell’ottica positiva della libertà dell’uomo. 3. Chi l’ha inventato Un’altra discussione piuttosto comune è quella sulle origini del taijiquan. Si cita spesso il nome di Zhang Sanfeng come il fondatore, ma questo non è esatto. Probabilmente anche qui c’è il condizionamento del nome taoista taiji, e Zhang era un importante e mitico personaggio del taoismo che ha sicuramente detto molte cose sull’esercizio del corpo. Ma taijiquan si riferisce storicamente a un tipo di arte marziale ben preciso. Per quanto riguarda le teorie e le leggende taoiste legate al taijiquan, interessanti ma forse anche fantasiose e comunque non documentabili, ci sono molti libri facilmente reperibili. Qui vorrei accennare a coloro che hanno avuto a che fare con la nascita del taijiquan nella sua forma iniziale e nei suoi vari stili di oggi. A cavallo dell’ultimo periodo della dinastia Ming e l’inizio della dinastia Qing, nel 17° secolo, cominciarono a svilupparsi in modo sistematico e "scientifico" - perché richiesto dalle truppe imperiali - tutte le tradizioni delle tecniche di combattimento. Tra queste, vi erano soprattutto quelle dello "stile interno" (nel senso che le forze e le caratteristiche di una tecnica venivano "interiorizzate" o sviluppate internamente al punto tale da sembrare debole esternamente). Tra i personaggi di quell’epoca spiccano: - Chen Wangting, un
generale dell’impero Ming. Setacciò quel lavoro di sistemazione delle
arti marziali dei suoi predecessori e unendolo alle sue caratteristiche
personali, e aggiungendovi poi anche i concetti della medicina tradizionale
cinese, creò una serie di tecniche denominate taijiquan. Era un genio e
fortissimo nei combattimenti, e questa tecnica, oggi è chiamata taijiquan
stile Chen. Lo si può considerare il capostipite di tutti gli stili di taijiquan.
Deluso degli ultimi anni della dinastia Ming, Chen alla fine
insegnò solo ai membri della sua famiglia, per cui questa scuola rimase
nascosta per lungo tempo. Più tardi ancora emerse Yang Dengfu (1883-1936), terza generazione della famiglia Yang. Perfezionò questo stile e a Beijing era il Numero Uno, ha gettato le basi delle Wushuguan, praticamente le prime palestre pubbliche di arti marziali. È per questo motivo, che ancora oggi quando si dice genericamente taijiquan si intende lo stile yang, perché è il più diffuso. 4. Ultimi eroi Dalla decadenza della dinastia Qing all’inizio della Repubblica, la Cina ha vissuto un periodo importante di svolta storica, non solo per il cambiamento all’interno del paese ma anche per il contatto "ravvicinato" con le potenze straniere, soprattutto quelle occidentali. Con l’introduzione delle armi da fuoco, le arti marziali non erano più una specialità privilegiata dei militari. C’erano tuttavia ancora i famosi leitai, una specie di ring pubblici dove i campioni si combattevano rischiando la morte, per un problema di sfide, di onore, di conflitti personali ecc. Salivano sul leitai anche gli esperti stranieri. Anzi, in quell’epoca di dominio delle potenze occidentali erano proprio gli stranieri (europei ma anche giapponesi) che lanciavano le sfide. In alcuni casi erano delle sfide accompagnate dalla dimostrazione della maggiore statura o della maggiore muscolatura dei campioni stranieri, e condite anche da insulti verso i cinesi considerati come un popolo di "fumatori d’oppio". Naturalmente, quando si tocca l’onore di un popolo o di una nazione, e per di più in casa propria, anche le persone che volevano rimanere nell’anonimato venivano allo scoperto. Inoltre, questi stranieri, che dimostravano la durezza e la potenza muscolare, erano proprio un "pane" allettante per le tecniche morbide della scuola "stile interno". Qui sotto, riporto un breve elenco di personaggi storici. Sono una parte di quegli ultimi eroi sicuramente dotati di grande personalità che, per le loro imprese memorabili di combattimento sul leitai contro gli stranieri o gli stessi sfidanti cinesi sono citati sui libri di storia delle arti marziali cinesi e alcuni di loro (Sun e Wu) sono divenuti anche i fondatori dei rispettivi stili di taijiquan.
5. Il taijiquan dei giorni nostri I personaggi sopra raffigurati possono essere considerati gli ultimi esperti che hanno applicato l’arte marziale "dal vivo" (e non simulata) e per cause riconosciute nobili, perché dopo, anche la storia politico-sociale della Cina, insieme a quella del mondo, cambiò. Non c’erano più condizioni ambientali che richiedessero o permettessero i veri combattimenti. Pertanto anche la storia del taijiquan ebbe una svolta. Col tempo venne sempre più concepito come una disciplina di yangsheng. Tutto il patrimonio delle arti marziali, di cui il taijiquan è una specialità, viene ora conservato e studiato solo nelle accademie nazionali di wushu, dove si entra fin dalla tenera età per diventare poi diplomati dello sport o artisti dell’Opera di Pechino. Il taijiquan come arte marziale, infatti, è richiesto più fuori dalla Cina che nella Cina stessa. Il taijiquan, dopo un lungo periodo di "vagabondaggo" tra la popolazione dell’immensa Cina, ha bisogno ora di una risistemazione e codificazione ufficiale perché nel frattempo è divenuto anche una disciplina molto apprezzata dalla medicina. Vengono così riconosciuti 5 stili fondamentali. Attualmente sono già ben codificate ufficialmente le varie sequenze antiche e moderne dei 4 stili principali.
Da: http://www.tuttocina.it/fdo/taijiquan.htm
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