in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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GIORNATE ZEN DI SAVONA

23 e 24 giugno 2001

dirette da Sengyo Van Leuven


Sabato 23 giugno 2001
Zazen delle  8.30

Durante zazen continuate a concentrarvi sulla vostra postura. Inclinate il bacino in avanti, estendete la colonna verso l’alto, rientrate il mento, spingete con la testa verso il soffitto e con le ginocchia verso il suolo. In particolare concentratevi sulla verticalità della vostra schiena, non lasciate che il vostro corpo penda in avanti. La postura non deve essere né troppo tesa né troppo rilasciata. Quando la postura è in equilibrio la respirazione diventa calma e si approfondisce. Invece di seguire i nostri pensieri seguiamo la nostra respirazione. Dobbiamo essere attenti ad andare fino al fondo dell’espirazione. A quel momento lo spirito può diventare chiaro, l’agitazione mentale si calma e possiamo lasciar passare i pensieri. Le emozioni si calmano e possiamo ritrovare uno spazio libero in noi, al di là di tutti i nostri condizionamenti.

]

Nel corso dei due giorni di pratica che passeremo insieme continuerò con l’insegnamento del Maestro Dogen nel Bendowa. Nella sesta domanda è chiesto perché i buddhisti conoscono solo zazen nella postura seduta, che è una delle quattro posture possibili: cioè camminare, essere in piedi, essere allungati ed essere seduti.

Dogen risponde che questo è il metodo trasmesso e che dunque non bisogna cercare altrove. Le altre posture sono state tutte provate dai Buddha, che hanno trasmesso solo la postura seduta e dunque non è necessario per noi stessi provare nuovamente le diverse posture. Non si tratta di inventare nuovamente la ruota, ma di approfittare dell’esperienza di coloro che ci hanno preceduto. In più, dice Dogen, un grande Maestro ancestrale ha detto della postura seduta: essere seduti in zazen è la porta tranquilla e gioiosa del Dharma, dunque essere seduti è il metodo più efficiente, il tipo di condotta più adatto per realizzare la Via. E’ la condotta nella quale siamo maggiormente in pace, perché smettiamo ogni lotta. Siamo solo seduti, e lasciamo cadere ogni nostra preoccupazione, non c’è più bisogno di combattere con il nostro karma, con le nostre emozioni, con i nostri condizionamenti. Siamo in pace con noi stessi e con l’ambiente che ci circonda. In ultimo Dogen sottolinea che la postura seduta non è stata praticata solo da un Buddha, da un Patriarca, ma da tutti i Buddha e i Patriarchi che hanno praticato zazen nella postura seduta. Possiamo sperimentare da noi che zazen non ha tutta la sua profondità, la sua pace, la sua forza, se dobbiamo praticarlo seduti su una sedia, ad esempio per motivi temporanei di salute. Se possiamo assumere la postura con le gambe incrociate, la pratica accede a un altro livello. E’ difficile spiegarlo con le parole, ma possiamo farne l’esperienza.

Talvolta in alcune scuole per una preoccupazione di facilità viene detto che si può fare meditazione non importa in quale postura, basta che sia confortevole, soprattutto per non stancarsi, per non compiere uno sforzo. Ma allora molto presto ci perdiamo nei nostri sogni e zazen non ha assolutamente la stessa forza, la stessa energia. Si esce dalla meditazione un po’ addormentati, con una mancanza totale di energia. Se invece diamo tutta la nostra energia alla postura di zazen, tutto il nostro essere sarà riempito dall’energia, dalla pace, dalla gioia. In questo modo ci ritroviamo nel pieno dell’autentica vita ed è questo che ci riempie di gioia, che ci dà le risorse e l’energia per poter continuare. E’ dando il massimo possibile che possiamo ricevere i meriti e l’energia di zazen.

Detto ciò, occorre precisare che zazen non è limitato alla postura seduta. La pratica della Via non consiste soltanto nel sedersi sul proprio zafu. Si dice che l’autentica pratica della Via comincia al di là del trave del dojo, nei comportamenti della nostra vita quotidiana. Ma la pratica di zazen diventa la fonte, il punto d’appoggio, affinché le altre posture diventino anche loro l’occasione per praticare la Via. A partire dalla nostra postura seduta di zazen, nella pace e nella gioia, possiamo prolungare, portare questa pace, questa gioia nella vita quotidiana, nella pratica dell’Ottuplice Sentiero o delle Sei Paramita. In zazen le gambe incrociate, la schiena diritta, tutte le pratiche sono riunite. E’ la postura della gioia, nella quale il corpo e lo spirito possono diventare leggeri.


Sabato 23 giugno 2001
Zazen delle 18.00

Per favore, non perdete il vostro tempo. Immergetevi completamente, corpo e spirito, nella pratica di zazen. Non continuate col vostro spirito ordinario che sta riflettendo, che sta pensando. Smettete di sviluppare i vostri pensieri, di alimentare i vostri sentimenti, di fare un cinematografo nella vostra testa. Ritornate alla pratica pura di zazen, che è solo shikantaza e hishiryo. Non seguite i vostri pensieri. Divenite completamente unità con la vostra postura seduta, dimenticando ogni scopo personale ritrovate lo spirito mushotoku e così allontanate ogni macchia dalla vostra pratica.

]

Nella domanda seguente del Bendowa l’interlocutore dice: nessuno può raggiungere la Via del Buddha attraverso zazen, ma una volta che ha compreso, che ha realizzato la Via, perché continuerebbe a praticare zazen, quale profitto può trarre dalla pratica di zazen? Nella sua risposta Dogen si mostra inizialmente scioccato, poi spiega a lungo l’unità della pratica realizzazione, della pratica senza macchia. E dice: nel Buddhadharma la pratica e l’esperienza sono assolutamente uguali, la pratica è fondata sulla realizzazione, ma non bisogna aspettare una realizzazione al di fuori della pratica.
Quando pratichiamo realmente lo zazen puro la realizzazione è immediata. Poiché la realizzazione è inclusa nella pratica, è illimitata. Poiché la pratica è inclusa nella realizzazione, è l’essenza senza inizio.

Distinguere, dividere pratica e realizzazione è macchiare la pratica. E’ per questo che i Buddha e i Patriarchi hanno sempre insegnato a non abbandonare la pratica. Che si sia un discepolo avanzato o un principiante, bisogna studiare la Via attraverso zazen.

Quando Dogen era in Cina interrogò molti Maestri, capi di grandi templi. Tutti gli risposero in sostanza che pratica e realizzazione non costituiscono due stadi distinti. Poi Dogen conclude la sua risposta con una frase del Maestro Eno che dice: pratica e realizzazione non sono inesistenti, ma non bisogna macchiarle. Poi con un altro Maestro che diceva: coloro che vedono la Via la mettono in pratica.

Praticare è la parola chiave. Sempre mettere in pratica. E questo significa che nulla è mai acquisito. Anche nello stato stesso del risveglio, noi dobbiamo praticare. A questo proposito Yuno Sensei dice: ciò di cui abbiamo sempre bisogno è di continuare a praticare l’insegnamento. Non è sufficiente capire con la nostra testa, ma viverlo, incarnarlo attraverso il proprio corpo: è il senso della Via del Buddha. E là dove questa comprensione si attualizza più direttamente è in zazen. Praticare lo zazen puro, senza macchia, è praticare il risvegli immediato, che è il ritorno all’autentica condizione normale.

Questo vuol dire che noi siamo ciò che pratichiamo, istante dopo istante. Se pratichiamo un furto siamo un ladro, se andiamo in collera siamo dei collerici, se ci lasciamo invadere dalle nostre ansietà siamo degli ansiosi, e perdiamo tutte le capacità. Allora occorre sempre ritornare alla concentrazione sul corpo. Rientrate in contatto col vostro corpo, con la vostra respirazione, e segnate qui un momento di riposo, di assestamento, un tempo di sosta, prima di agire automaticamente.

Entrare in contatto con la nostra espirazione, espirare, consente di staccarci dai condizionamenti che ci fanno agire automaticamente, e questo crea la libertà di seguire la Via del Mezzo. Non agire automaticamente, né reprimere le proprie azioni, i propri sentimenti, ma vederli, e poi scegliere come agire. Se arriviamo a segnare questo tempo di sosta, possiamo portare la pratica nella vita quotidiana e agire per il bene di tutti. Possiamo scegliere di fare il bene e non il male. E di non creare cattivo karma attraverso i nostri errori.

Sensei continua dicendo: nell’istante in cui si pratica zazen al di là di qualunque spirito di ottenimento, al di là di voler afferrare o abbandonare alcunché, al di là di ogni calcolo, allora questo zazen diventa immediatamente realizzazione dell’autentica libertà. Yuno Sensei spiega che è una trasmissione da noi stessi a noi stessi. Nessun altro, all’infuori di noi, può realizzare ciò. Qualcun altro può mostrarci la direzione, insegnare la pratica, ma la possiamo realizzare solo attraverso noi stessi.

Anna ha portato le amarene. Per conoscerne il gusto bisogna mangiarle. Non possiamo conoscerne il gusto semplicemente guardandole.


Domenica 24 giugno 2001
Zazen delle 8.30

Abbiate cura della postura, inclinate bene il bacino avanti per consentire alle ginocchia di premere al suolo, per essere bene ancorati al suolo. Questo dona una grande stabilità alla postura. A partire da una buona inclinazione del bacino possiamo raddrizzare la colonna vertebrale in modo naturale, senza bisogno di utilizzare una forza muscolare esagerata. Rientrate il mento e dirigete il vostro sguardo verso il suolo. Lo sguardo è posato davanti a sé senza che fissi alcunché. Rimane vasto e ampio e vede tutto. Questo sguardo ha influenzato il nostro stato d’animo e il nostro spirito e diventa in questo momento vasto e illimitato. Diventa limpido, chiaro, leggero. Aperto e pronto ad accogliere tutto ciò che si presenta davanti a noi. A mano a mano che lo spirito si calma e l’agitazione mentale cade, la respirazione si approfondisce e possiamo veramente lasciare scivolare l’espirazione sotto l’ombelico. Con questa respirazione profonda e ampia tutto il corpo si rigenera con una nuova energia. E’ molto importante in zazen sperimentare questa unità del corpo e dello spirito e diventarne coscienti sino al più piccolo dettaglio.

]

Nella decima domanda del Bendowa si parla della separazione del corpo e dello spirito e l’interlocutore esprime il punto di vista nel quale si afferma che il corpo perisce perché è nato e che lo spirito sarebbe permanente; in questo modo si potrebbe sfuggire al samsara, al ciclo della vita e della morte.

Dogen risponde che non si tratta assolutamente del Dharma del Buddha, bensì di una eresia. Dire che il corpo è mortale e che lo spirito è eterno non corrisponde al ragionamento giusto. Corpo e spirito sono originariamente una sola realtà non separata. L’essere umano ha spesso la tendenza a separare le cose e molte religioni sono basate sulla separazione tra corpo e spirito. Ma le scienze oggi ritornano e sempre più partono da una idea olistica, da un’idea per la quale c’è se non una totale unità, una forte interdipendenza tra corpo e spirito e anche con il mondo e l’ambiente che ci circonda.

Quando pratichiamo zazen sperimentiamo interamente l’unità corpo-spirito e siamo completamente al di là da ogni separazione. Se il corpo si muove lo spirito diventa agitato, quando il corpo è stabile lo spirito si calma e diventa stabile. Il corpo e lo spirito in unità cercano costantemente la postura giusta, l’equilibrio. In zazen siamo in pace con tutto e con tutti. Siamo in pace e non cerchiamo né di afferrare né di respingere alcunché, e c’è una totale accettazione della realtà così com’è.

Anche la separazione tra la vita e la morte scompare. Abbandoniamo il linguaggio abituale, i suoi concetti. Per vivere la realtà così com’è, al di là di tutte le divisioni, i concetti, ma inglobando totalmente tutto e tutte le contraddizioni, vediamo tutto con un unico sguardo. Così in quel momento sperimentiamo profondamente l’unità tra corpo e spirito.

Possiamo capire che sarebbe stupido e contraddittorio dire che corpo e spirito sono unità mentre il corpo è in vita e invece separati dopo la morte. Nella vera pratica prendiamo coscienza che il nirvana è vissuto nella vita e nella morte, che non siamo separati e che tutto è unità. Non si tratta più di voler sfuggire al samsara, non vogliamo più eliminare la vita e la morte e non ci sono opposizioni tra nirvana e samsara, ma sono completamente unità.

Nella nostra società la morte, la vecchiaia, la malattia, sono molto spesso allontanate dalla nostra visione. Nei grandi stabilimenti e molto spesso al di fuori del centro città, sono delle gabbie dorate costruite in modo da proteggere le persone dalla sofferenza, un po’ come faceva il padre del Buddha costruendo differenti palazzi affinché suo figlio non fosse in contatto con la vecchiaia, con la miseria, con la malattia. Viviamo in una società in cui si coltiva il perseguimento dei propri piaceri, dei desideri, delle soddisfazioni, e nella quale la vecchiaia, la malattia, la morte, sono considerati come degli scacchi, invece di essere una parte normale dell’esistenza.

Se vogliamo nascondere questi fattori della nostra vita quotidiana, questa diventa sterile, senza ampiezza, senza odore, artefatta. Bisogna integrare vita e morte e smettere di voler trovare un falso conforto dicendo che lo spirito continua a vivere e si reincarna. Fare zazen è abbandonare tutti i propri attaccamenti che riducono la nostra esistenza ad un artifizio e che creano sofferenza, che fanno aumentare la paura per il cambiamento, per l’impermanenza, per la morte. Durante zazen siete nel cuore stesso della vita. Vivete l’essenziale della vostra vita. Non un piacere furtivo, ma una scelta profonda che riempie tutto il nostro essere. Se abbiamo vissuto una vita piena, con l’essenziale, abbiamo fatto tutto il bene, poiché in zazen tutti i precetti, tutte le paramita, sono unificati.

Possiamo lasciar cadere la paura della morte, poiché in zazen, nell’assoluto, d’istante in istante moriamo e nasciamo, e non c’è più differenza tra vita e morte. Non c’è più bisogno di aver paura delle conseguenze sulle nostre vite successive. Fare il bene, senza temere più le conseguenze di eventuali cattive azioni. Se facciamo delle cattive azioni si crea paura della morte. Se le lasciamo cadere, se facciamo solo il bene, il bene nei confronti degli altri e del mondo circostante, un tale essere non ha più paura della morte.


24 giugno 2001
Zazen delle 11.00

Estendete bene la colonna vertebrale. Concentratevi sullo spingere verso il cielo con la testa e verso la terra con le ginocchia. Rientrate il mento. La postura di zazen deve essere energica, non fiacca, non addormentata né insaccata, ma ben risvegliata.

]

Nella undicesima domanda che viene posta al Maestro Dogen nel Bendowa è chiesto se è assolutamente necessario a coloro che si consacrano alla pratica di zazen osservare strettamente i precetti.

Dogen risponde affermativamente, dicendo che osservare i precetti e avere un comportamento giusto è la regola dello zen e la caratteristica di tutti i Buddha e i Patriarchi. Ma aggiunge che anche coloro che non hanno ancora ricevuto i precetti o li hanno spezzati, non sono allontanati dai meriti di zazen.

Dunque osservare i precetti è necessario, ma non sono una primizia di zazen. E’ possibile cominciare subito la pratica di zazen senza aspettare di aver realizzato tutti i precetti, né bisogna abbandonare la pratica se si trasgredisce a uno o più precetti. I precetti sono una guida nella nostra vita e gli effetti della loro osservanza facilitano la pratica di zazen. I precetti non sono regole di morale sociale che implicano punizioni quando vengono trasgrediti. Sono degli obiettivi verso i quali dobbiamo andare. I precetti danno un senso alle nostre azioni nella vita quotidiana e sono in stretta interdipendenza con la pratica di zazen. Attraverso la nostra pratica di zazen comprendiamo i precetti sempre più profondamente e la loro osservanza diventa sempre più facile.

I dieci precetti che sono trasmessi durante l’ordinazione sono: non uccidere, non rubare, non mentire, non avere cattiva sessualità, cioè una sessualità che non esprima rispetto profondo per l’altro, non usare droghe, non essere avari, o collerici, e infine non calunniare i Tre Tesori, che sono il Buddha, il Dharma e il Sangha. Tutti questi precetti costituiscono il comportamento giusto e insieme con la giusta meditazione e la giusta comprensione, cioè la saggezza, formano i tre pilastri dell’insegnamento del Buddha.

Yuno Sensei spiega che i precetti sono insegnati in quanto espressione della saggezza e della compassione del Buddha, non solo come regole o proibizioni, ma piuttosto come espressione positiva dell’armonia con la nostra autentica natura che si realizza nella pratica di zazen. Insegna che bisogna vedere i precetti trasmessi come una lampada che illumina la nostra vita, per trasformare il nostro karma e non per colpevolizzarci.

Nella sua compassione il Buddha ha trasmesso questi precetti affinché noi li pratichiamo per alleggerire il nostro karma e per evitare azioni che lo appesantiscano. Se facciamo un errore non c’è bisogno di affondare, non è un peccato il fatto di trasgredire un precetto, ma è un errore di cui dobbiamo prendere coscienza.

A volte trasgredire un precetto può essere l’occasione di approfondire il suo significato. Vediamo gli effetti negativi della sua non-osservanza: per esempio essere disturbati nella propria pratica oppure vedere che abbiamo creato sofferenza intorno a noi.

Bisogna rimanere duttili in rapporto ai precetti per poter progredire. Se vogliamo seguirli in modo stretto e rigido, non considerandoli come una guida ma come delle restrizioni, diventano degli attaccamenti che implicano una intolleranza che a sua volta crea rifiuto per coloro che spezzano i precetti e che diventano in ultimo degli ostacoli alla liberazione.

E’ molto importante seguire questa Via del Mezzo; non vivere i precetti come qualcosa di ingombrante che ci impedisce di muoverci liberamente, seguendo il corso degli avvenimenti. Non si tratta nemmeno di seguire senza freni i propri desideri, i propri attaccamenti. I precetti sono là per mostrarci i nostri attaccamenti e i nostri condizionamenti. Non dobbiamo seguire i due estremi, ma vedere ciò che nasce in noi, nel comportamento, poi non sopprimerlo né svilupparlo, ma solo osservare che un certo aspetto dei nostri comportamenti fa parte di noi.

Non colpevolizzandoci, non seguendolo, creare la libertà di agire nel rispetto dei precetti. Non per avere dei meriti, ma perché l’osservanza dei precetti crea il bene per gli altri. Attraverso la nostra pratica di zazen sperimentiamo la nostra unità con tutto l’universo e diventa impossibile non osservare i precetti; ancora una volta non per il nostro bene, ma per rispetto per gli altri, per una compassione che aumenta; e finalmente i precetti diventano il nostro atteggiamento fondamentale nei confronti della vita. Senza giudizio nei confronti degli altri, poiché colui che è seduto in zazen osserva tutti i precetti.


Domenica 24 giugno 2001
Zazen delle 14.00

Durante zazen non sviluppate la pratica rispetto al vostro spirito, ma concentratevi maggiormente sulla pratica con il corpo. Abbandonate i pensieri che sorgono e tornate costantemente in contatto col vostro corpo, rimanete vigilanti, mantenete la verticalità della vostra schiena, estendete bene la colonna vertebrale e concentratevi su una espirazione profonda. Lasciate passare i pensieri. Concentratevi con un solo spirito, e a quel momento la Via si realizzerà. Non portate avanti lo spirito dispersivo. Concentrarsi con un solo spirito è alla portata di tutti.

]

E’ proprio il soggetto che si affronta nella domanda seguente del Bendowa: chi può praticare? Risposta: zazen non è riservato a una elite, tutti possono praticare la Via del Buddha in zazen.

Nel dojo il dirigente di una grande impresa pratica accanto al disoccupato e non c’è differenza tra i due. Lo scienziato è accanto allo spazzino, il principiante è accanto al monaco anziano e nell’istante della pratica di zazen, nell’Assoluto del loro Risveglio, non c’è differenza. Non ha alcuna importanza quale sia il loro livello di intelligenza, di classe o status sociale. L’uno non realizzerà la Via prima dell’altro. Solo praticare il Bendo, praticare la Via con tutto il proprio cuore.

Per il Maestro Dogen non esistono esseri umani incapaci di entrare nella Via. La Via non è riservata a una minoranza, ma è destinata a tutti gli esseri, quale che sia la loro età, il loro sesso, la loro cultura, la loro storia personale, con una famiglia o scapoli, monaci o laici. Il Maestro Dogen offre l’esempio di persone che non avevano abbandonato la loro famiglia, che non sono diventati monaci e che avevano una forte, grande occupazione sociale e che hanno tuttavia praticato assiduamente la Via in zazen ottenendo una grande realizzazione. E’ per mostrare che l’attività sociale non è una scusa per non praticare. E’ solo una questione di decisione, di volontà nel praticare o no. Se si ha la ferma convinzione di voler praticare zazen si trovano le possibilità per farlo. A quel punto si determina l’organizzazione necessaria per liberare il vostro orario per poter andare al dojo. Se vogliamo realmente, con tutto il nostro cuore, praticare, allora gli affari sociali, quelli familiari, si organizzano attorno alla pratica, e i propri affari rimangono al di fuori del dojo e non interferiscono con zazen.

Se vogliamo veramente praticare eliminiamo il superfluo dalla nostra vita, è togliendo del tempo ai piaceri che poi consacriamo la pratica di zazen, ad esempio il superfluo può essere guardare la tv, guardarla è spesso una perdita di tempo, che sarebbe meglio sostituire praticando zazen; o perché non riposarsi veramente, ciò che è a volte molto utile.

Yuno Sensei dice: se seguiamo il Dharma del Buddha tutto diventa l’occasione per praticare la Via: la vita professionale, la vita familiare, differenti attività sono altrettante occasioni per concentrarci su ciò che dobbiamo fare, facendolo con una grande attenzione, una grande vigilanza. Essendo presenti qui e ora, e dimenticando noi stessi in una attività generosa, non per la propria riuscita personale, ma come fuse, come servizio reso alla comunità. E questa è la vera rivoluzione necessaria per rendere il nostro mondo migliore. E’ una rivoluzione interiore, con la quale non entriamo nel sistema sociale stabilito che trascina se stesso in una spirale viziosa verso il basso.

Dogen dà il consiglio di cercare l’insegnamento di un vero Maestro e di considerare la vostra situazione, guardando l’esempio di coloro che malgrado una grossa occupazione e grazie alla loro forte determinazione praticano la Via e ottengono il Risveglio. Gli affari del mondo sociale non sono un ostacolo al Buddhadharma, ma sono le sue caratteristiche che generano molto facilmente gli attaccamenti. Anche all’interno di un monastero è possibile introdurre il sistema del mondo sociale con tutti gli attaccamenti, se non si è molto vigilanti. E il Risveglio del Buddha non dipende dal numero delle ore che si passano a fare zazen, ma dal cambiamento radicale di stato d’animo. Cioè non dipendere più da ciò che ordinariamente ci crea attaccamento, come i beni materiali, una bella carriera, uno status sociale, e nemmeno l’addizione di meriti spirituali. Distaccarsi da tutto ciò e sviluppare lo spirito mushotoku anche nel mezzo di una situazione molto mercantile, non essere più animati dalla differenza e dalla separazione tra sé e gli altri, dal proprio desiderio di una riuscita sociale e personale. Non solo si può raggiungere il Risveglio pur rimanendo nel mondo, ma si può contribuire a questo mondo positivamente, donando ad esso degli antidoti per i veleni che autogenera, ma solo se manteniamo lo spirito puro del mondo di zazen.

Se pratichiamo zazen con lo scopo di voler cambiare il mondo, questo non ha più nulla a che vedere con il Dharma del Buddha. Bisogna praticare lo zazen che Kodo Sawaki definiva buono per nulla. Lo zazen che non serve a nulla è quello che comincia a servire a qualche cosa.


MONDO

(domande e risposte)

—Il mio problema personale è questo: sono quello che una volta si poteva definire un materialista. E’ una definizione che non mi piace troppo perché di solito gli si attribuisce un che di dogmatico. Diciamo che sono scettico e non riconosco, non mi convince nessun’altra realtà rispetto a quella in cui sto vivendo e che percepisco attraverso i miei organi di senso, magari in modo distorto. Allora, a questo punto, è legittimo che io intraprenda la Via dello zen? Dico subito che lo zazen mi dà un punto di equilibrio, e naturalmente accetto l’eticità del buddhismo, però non vado più in là. In altri termini, posso capire che il karma agisca nell’ambito della nostra vita individuale, ma non mi pongo il problema di un qualcosa che vada al di là di questa nostra esistenza individuale.

Inizialmente, per ciò che riguarda la prima parte della domanda, trovo molto legittimo che lei intrapenda la Via del Buddha. La Via del Buddha è per tutti, indipendentemente da qualsiasi etichetta lei voglia dare a se stesso. La sua vita è anche la sua pratica, e nessuno ha da giudicare. E come diceva lei stesso, zazen porta un equilibrio nella sua vita, ed è proprio durante zazen che può trovare l’unità tra ciò che chiama materialismo e lo spiritualismo che vive pienamente durante zazen.

E’ unire i due aspetti, così come facciamo gassho, unire la mano sinistra con la mano destra, il materiale con lo spirituale, e inchinarci. Abbandonare il proprio ego, abbandonare l’attaccamento ai propri concetti, ai concetti che abbiamo a proposito di noi stessi. Morire a noi stessi, morire alle idee precostituite che abbiamo a proposito di ciò che siamo. Se lei abbandona le sue idee su lei stesso, se non vi rimane attaccato, allora va al di là di ciò. In questo modo potrà scoprire la sua autentica vita, il suo autentico sé, ciò che lei è autenticamente, e là una nuova vita può apparire. Ed è proprio in quel momento che si produce quella rivoluzione interiore di cui parlavo prima. Trovo legittimo e anche necessario che lei intraprenda la Via del Buddha.

(pausa) In questo momento ho dimenticato la seconda parte della domanda.

—Era relativa al karma, che nel mio caso posso ammettere che agisca nell’ambito della mia vita individuale, ma dato che non credo a qualcosa che prosegua al di là di questa esistenza, questo non è in contrasto con….?

Ha ragione nel credere che non ci sia qualche cosa che persiste al di là di noi stessi, non c’è un sé che perdura, non c’è un’anima che persiste, che va di corpo in corpo, c’è il karma, e il karma non è qualche cosa che possiamo afferrare. Il karma proviene dalle azioni, e ogni azione ha una reazione, una reazione che va ben al di là della nostra vita materiale, personale. L’azione che facciamo nella nostra vita, qui, molto spesso ha i propri effetti ben al di là della nostra morte. Ma non ha nemmeno bisogno di credere a questo. La cosa più importante per lei, e per ciascuno di noi, è di preoccuparci della nostra vita qui e ora. Non dobbiamo preoccuparci delle nostre vite anteriori o delle vite che verranno: la nostra vita qui e ora è l’unica che conta. Le azioni che facciamo ora sono le più importanti. Non in visione di ottenere un buon karma futuro, ma già nel momento in cui prendiamo coscienza della sua esistenza ora. Prendiamo coscienza che ci sono degli elementi in noi che fanno sì che possiamo reagire in un modo piuttosto che in un altro. Cioè che siamo condizionati dal nostro karma; può essere il modo nel quale siamo stati allevati, ad esempio, il modo in cui abbiamo vissuto per tutta la nostra vita, i contatti, le relazioni che abbiamo avuto, i problemi di salute che abbiamo avuto, che cambiano. Se ne prendiamo coscienza, compiremo delle azioni che eviteranno di appesantire la nostra situazione.

Ha avuto una crisi cardiaca?

—Sì, è vero.

—Avrà sicuramente cambiato delle cose nella sua vita. E questo è occuparsi della propria vita e del proprio karma qui e ora.

Lei ha avuto una crisi cardiaca, e questo dipende dallo stato delle sue coronarie. Ora mangerà meno grassi, prenderà delle medicine per il colesterolo, dei vasodilatatori, e tutto con una grande coscienza dell’urgenza, della necessità di prendere questi medicinali, proprio per non aggravare il proprio caso. E questa è la cosa più importante.

E poi occuparsi del proprio karma in questa stessa vita, non con lo scopo di prolungare la propria vita o di avere delle vite migliori.

Se pratichiamo una via spirituale, e lei lo fa venendo al dojo, svilupperà le sue azioni in vista di benefici che possono esserci per gli altri. Si eserciterà piuttosto a fare il bene per gli altri e a non creare il male intorno a lei stesso.

Non si deve preoccupare delle sue vite successive, perché non la riguardano. Lei vive una certa vita, con certi aspetti, che sono il risultato di talune azioni del passato, e farà in modo che questi risultati non si appesantiscano, che non siano per lei, ma per gli altri. Quello che fa ora avrà un effetto più tardi, è la legge del karma.

Se crede nel karma nella sua vita personale, qui e ora, questo karma viene da qualche parte, ci sono cose della sua vita che non può capire se non analizzando le condizioni, ma che sono sicuramente l’effetto di azioni che sono state commesse. Questa energia che va, che perdura, che crea delle reazioni, che trova dentro. Allo stesso modo le azioni che farà creeranno dell’energia, degli effetti, che andranno al di là di lei stesso.

Ad esempio, una cosa molto banale, molto concreta: se lei da una grossa somma a un orfanotrofio, improvvisamente tutti questi bambini che avevano un karma negativo, legato al fatto che fossero orfani, vedono oscillare il loro karma, perché lei ha permesso che questi bambini abbiano una buona educazione, che possano imparare un buon mestiere, che possano sbocciare, perché lei ha regalato del denaro a questa organizzazione che si occupa di loro. Le sue azioni renderanno i loro effetti al di là della sua morte, non capiranno come è successo questo, ma c'è un effetto e questa buona azione per lei stesso, se è la sua ultima volontà, perdura e condiziona quello che seguirà, per un altro insieme di cinque skanda che si riuniranno a quel momento.

Non riguarda lei, perché non c’è niente in lei che abbia un’esistenza assoluta, è tutto nel relativo; questa relatività non cessa, non finisce con la sua morte personale, corporea, ma va ben al di là. E’ molto difficile spiegare e capire il karma, ma la cosa più importante è concentrarsi sulle proprie azioni del qui e ora, fare il bene per gli altri, evitare di fare il male, e seguire il Dharma del Buddha. E’ apparentemente molto semplice, ma non è assolutamente così facile. Non posso che augurarle di continuare la pratica, unire insieme il suo materiale ed il suo spirituale, e di trovare la forza e la saggezza di tagliar corto con i suoi condizionamenti karmici, di cambiare completamente il suo sguardo interiore, e attraverso ciò le sue azioni.


—Si dice in tanti libri che lo zen aiuta a manifestare la nostra energia. Quando faccio zazen invece a me capita l’opposto, cioè mi svuoto completamente dell’energia. Quando ho cominciato a meditare, pensavo fosse una cosa passeggera, ma adesso sono più di due anni, ed è una cosa piuttosto sistematica. In particolare ho grande difficoltà a tenere gli occhi aperti, spesso passo diversi minuti ad occhi chiusi, altrimenti le palpebre iniziano ad aprirsi e chiudersi, quindi riesco a concentrarmi veramente per pochi istanti. Quindi volevo un consiglio su come comportarmi con la pratica.

—Puoi consultare un ottico, per prima cosa, forse i tuoi occhi sono troppo secchi, e a quel punto si ha la tendenza a chiuderli perché fanno troppo male. Prima di tutto è il caso di escludere questa possibilità. Se si è molto concentrati con gli occhi, davanti allo schermo, nei libri, allora i tuoi occhi possono essere stanchi, quindi prima di tutto occorre controllare gli occhi. Poi, per quanto riguarda il fatto di dirigere la propria energia in zazen, non capisco bene che cosa vuoi dire con questo.

—Semplicemente che dopo aver meditato, mi ritrovo spesso molto più stanco di prima.

—Spesso zazen fa uscire la fatica che abbiamo accumulato nella nostra vita sociale; nella vita sociale probabilmente non vi facciamo attenzione, perché continuiamo, andiamo avanti, come degli schiavi. Invece, quando prendiamo il tempo di sederci di fronte al muro, di rientrare in contatto con noi stessi, sentiamo molto la fatica del corpo, perché siamo in contatto col nostro corpo e col nostro spirito.

Se sei così stanco è perché c’è bisogno che tu rallenti la tua vita sociale, professionale. In secondo luogo puoi concentrarti di più su una espirazione lunga e profonda, che va fin sotto l’ombelico, e al tempo stesso estendere bene la colonna vertebrale. A quel momento tutte le energie del corpo si rimettono a circolare, e quindi siamo pieni, riempiti dall’energia. Ma se siamo stanchi, siamo stanchi: bisogna riposarsi. Possiamo tentare di andare sempre avanti, ma come dicevo prima a volte è molto utile fermarsi, riposarsi. Rientrare in contatto con la tua vera vita, col tuo corpo, il tuo spirito. Facendo zazen, o partecipando a giornate di zazen, o a sesshin. Non è zazen che ti stanca, non è che la tua pratica è falsa, ma è proprio per scoprire l’autentico stato del tuo corpo e del tuo spirito. E’ una fortuna che tu possa praticare, puoi renderti conto dello stato del corpo e dello spirito e trarne le conseguenze.

Sono sicuro che zazen ti darà dell’energia e che quando ti sentirai stanco non sarà a causa di zazen. Ma in questo momento ti rendi conto di questo perché è il tuo corpo che è veramente stanco, e lo puoi rigenerare attraverso una espirazione lunga e profonda, donando tutta l’energia che hai ancora in te alla pratica col corpo, e il tuo corpo e il tuo spirito allora si rigenereranno e diventeranno molto più forti.


Domenica 24 giugno 2001
Zazen delle 16.30

Durante zazen continuate a concentrarvi bene sulla vostra postura. Tenete bene la schiena dritta, tutta la colonna vertebrale è estesa verso l’alto. La nuca è tesa, e spingiamo il cielo con la sommità del capo, rientrando bene il mento. Il bacino è inclinato in avanti, e le ginocchia toccano il suolo. Le spalle e il basso ventre sono rilasciati, e abbandoniamo egualmente tutte le tensioni inutili. Inspiriamo ed espiriamo profondamente e non lasciamo che il nostro spirito ristagni su alcunché.

Realizzare uno spirito che non dimora su nulla è un punto molto importante nella pratica di zazen. Non seguite una credenza, un dogma, ma sperimentate la realtà di ogni istante così com’è. Nessun dubbio intorno alla vostra pratica e all’insegnamento trasmesso.

Talvolta alcuni pensano che è un grande peccato di non poter praticare nell’epoca del Buddha Shakyamuni, del Maestro Dogen o del Maestro Deshimaru per quelli che non l’hanno conosciuto. Pensano che l’insegnamento fosse più forte, la pratica più autentica. Pensano che questi grandi maestri fossero una garanzia per raggiungere rapidamente e solidamente il Risveglio e che ai nostri tempi tutto ciò non sia più possibile. Ma sono persone che vivono nel passato, nei rimpianti, e dimenticano l’istante presente. Vivono in un dubbio eterno sulla qualità degli insegnanti di oggi.

La pratica di zazen, del Dharma del Buddha, è stata correttamente trasmessa, senza deviazioni, da maestro a discepolo. Se pratichiamo profondamente e sinceramente, riceviamo questa trasmissione i shin den shin, attraverso la pratica stessa, della quale possiamo fare l’esperienza solo da noi stessi. Fare distinzioni tra epoche nelle quali la pratica era pura e altre, nelle quali la pratica sarebbe corrotta e in declino, non ha a che vedere con l’autentico insegnamento del Grande Veicolo.

Dogen dice che il Mahayana dichiara che tutti coloro che praticano ottengono il Risveglio. E continua dicendo: la più forte ragione secondo questa legge corretta direttamente trasmessa, è che quanti entrano nella religione, quanti spogliano il proprio corpo, ricevono egualmente il godimento dei Tre Tesori. Dogen conclude nello stesso stile del Buddha Shakyamuni, che esortava sempre i discepoli a fare l’esperienza da loro stessi e a non credere ciecamente alle dottrine.

Il Dharma del Buddha non può essere afferrato con concetti astratti, ma deve essere l’attuale realtà del qui e ora, come la pratica di zazen con tutto il proprio cuore. L’autentico sé è quello che vive qui e ora, il sé non esiste come un’entità sostanziale, ma è in perpetuo cambiamento. Il vero sé non è qualcosa di fisso: anche se viviamo in questo istante, questo tempo presente diventa tempo passato nello spazio di un battito di ciglia e scompare. Il sé del futuro non esiste ancora, perché viene sempre proprio dopo questo istante presente.

Questo punto del qui e ora, questo tempo presente, è il momento eterno, nel quale il tempo non esiste. E’ il punto del nulla, è come il riflesso in uno specchio, che scompare nello spazio di un istante. Questo è l’autentico sé, che è universale e in unità con tutto e tutti.

Dunque, in ultimo, tutto è nell’abbandono totale ed effettivo nell’istante presente. Allora la sola vera domanda che un discepolo deve porsi è come praticare, e poi praticare la Via con tutta la vostra energia in zazen. E guardatevi dal lasciare che il vostro spirito si attacchi a un sapere superficiale o parziale. Non cercate di rinchiudere la vita nei concetti, ma accontentatevi di essere semplicemente e totalmente attenti a ciò che è presente. Concentratevi su una espirazione lunga e profonda, così il vostro mentale si calmerà e si chiarirà, e potrete osservarvi così come siete, senza giudizi, senza dualità, senza voler afferrare, solo lasciar passare.


 

Annotazione kusen:
              Andrea Borsato
              Elena Ciocca
              Silvia Frisia
              Mauro Peretti

Trascrizione kusen:
               Mauro Peretti
Traduzione:
               Maresa Di Noto

 

 

Da: http://www.geocities.com/m_pignata/dojo/sengyo01.html

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