in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si puņ ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca č addormentato, chi cerca č un accattone"
(Yun Men)

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RISULTATI PRATICI

DELLA MEDITAZIONE VIPĀSSANĀ

Discorso del Ven. Rewata Dhamma

 

I nostri atti mentali, verbali e fisici hanno origine nella mente. Ogni volta che avviene un contatto fra gli organi di senso e gli oggetti esterni - come forme visibili, odori, suoni, sapori e sensazioni tattili - all'interno del corpo nasce una sensazione, da cui si originano reazioni che sono causa di nuove azioni. Perciņ, se si riesce a controllare la mente, si riesce a controllare anche l'azione, quindi il karma.

Il Buddha disse che i nostri corpi sono composti di trilioni e trilioni di minuscole particelle, pił piccole degli atomi, che si rinnovano continuamente. Queste particelle sorgono e svaniscono milioni di volte ad ogni istante; nello stesso modo anche i nostri pensieri sorgono e svaniscono trilioni di volte a ogni secondo. Anche gli scienziati concordano sul fatto che il corpo umano, in condizioni normali, si rinnova continuamente. Quando queste particelle (o kalāpa, come le chiamņ il Buddha) entrano in collisione fra loro, nasce la sensazione. Noi la chiamiamo sensazione reale o sottile. Durante la pratica della meditazione vipāssanā, se la concentrazione č abbastanza buona, siamo in grado di osservare queste minuscole particelle nascere e svanire, e cosģ possiamo controllare la mente prima dell'effettuarsi d'ogni azione. Perciņ il Dhammapada (v. 103) dice:

«Non chi vince mille volte mille uomini in battaglia, ma colui che conquista la propria mente č un vero vincitore».

Per questo motivo la prontezza dell'attenzione č il pił importante oggetto di meditazione nel buddismo theravāda. La meditazione buddista theravāda si divide in due branche principali: samātha, o concentrazione, e vipāssanā, o purificazione. Lo scopo del samātha (o samādhi) č quello di farci assorbire completamente nella meditazione. Lo scopo della vipāssanā č di farci capire la vera natura della mente e della materia. Il samātha č sempre stato diffusamente praticato dagli asceti in India, prima e dopo il Buddha. Il Buddha stesso lo praticņ prima del risveglio, e conseguģ grazie ad esso tutti e quattro gli stadi della concentrazione fino al pił profondo, ma si avvide che lo stato di tranquillitą che otteneva in questo modo non era duraturo. Il Buddha, infatti, cercava un modo per porre termine alla sofferenza una volta per tutte. Infine scoprģ questa via incominciando ad osservare in se stesso la natura della mente e della materia e con questo sistema riuscģ a conseguire la veritą ultima: lo stato di nirvāna. La meditazione samātha va bene solo per eliminare le impuritą pił grosse. Con la vipāssanā, invece, possiamo sradicare le impuritą pił sottili, o sankhāra, create dalle nostre azioni passate o presenti.

La parola sankhāra ha molti significati, ma in questo contesto possiamo tradurla con «condizionamenti mentali". Il Buddha insegnņ a comprendere la vera natura delle cose tramite l'osservazione dei cinque componenti che formano la mente e il corpo. Cosģ facendo, ci mettiamo in condizione di percepire le tre qualitą di tutta l'esistenza condizionata, e cioč: 1) anicca, o impermanenza; 2) dukkha, o insoddisfacenza; e 3) anattā, o insostanzialitą. I cinque componenti sono: forma o materia, sensazione o emozione, percezione, formazioni mentali e coscienza. Questi cinque componenti tutti insieme costituiscono ciņ che noi chiamiamo un essere vivente, la cui qualitą č l'impermanenza e che, a causa di quest'impermanenza, sperimenta sofferenza. Non c'č alcun'altra essenza, o qualitą, che sperimenti questa sofferenza oltre questi cinque componenti che chiamiamo «io».

Secondo la filosofia buddista, perciņ, c'č la sofferenza, ma non c'č nessun sofferente, cosģ come ci sono gli atti, ma non l'autore. In breve, possiamo dire che i cinque componenti sono la mente e la materia (nāma e rūpa), e che lo scopo della meditazione vipāssanā č di capire la vera natura di questa mente-e-materia: per questa ragione i quattro oggetti della pratica sono rispettivamente: corpo, sensazioni, coscienza e pensieri. Quando s'incomincia a praticare la meditazione per la prima volta non č necessario osservare subito questi quattro oggetti contemporaneamente. Ma praticando con regolaritą l'osservazione d'uno degli oggetti, si arriva presto a comprendere anche gli altri tre.

Dal momento che il corpo e le sue sensazioni sono pił facili da osservare, la maggior parte dei maestri preferisce partire da questi. Solitamente s'incomincia contemporaneamente con la concentrazione sul respiro e sulle sensazioni del corpo, anche se, tradizionalmente, la concentrazione sul respiro č considerata il primo oggetto della meditazione samātha. Essa puņ tuttavia essere usata per lo sviluppo dell'insight. Per la pratica della meditazione vipāssanā non č necessario raggiungere gli stadi pił profondi di concentrazione, ma per capire la vera natura del pensiero e della materia bisogna, per prima cosa, conseguire uno stadio che chiameremo concentrazione d'accesso (upacāra samādhi), perché solo una mente concentrata puņ osservare la realtą e sperimentarla.

Osservando regolarmente il respiro, il meditante giunge a comprendere la natura dei processi fisici e mentali. Se poi presta attenzione alle sensazioni del corpo, arriva a comprendere non solo la natura della mente e della materia, ma anche la natura dei quattro elementi che costituiscono il corpo: gli elementi di Terra (l'intera gamma del peso, dalla leggerezza alla pesantezza), gli elementi d'Acqua (gli elementi della coesione, dei legami), gli elementi di Fuoco (l'intera gamma della temperatura, dal caldo fino al freddo) e gli elementi d'Aria (l'intera gamma del movimento). Anche la natura di questi elementi č impermanente. Comprendere la natura delle cose significa comprendere che sono tutte impermanenti (anicca), insoddisfacenti (dukkha) e prive di essenza (anattā).

Tramite questa comprensione si giunge a comprendere la veritą ultima o nirvāna. Questo č lo scopo principale della meditazione buddista theravāda. Allo stesso modo, se facciamo delle nostre sensazioni e formazioni mentali un oggetto di meditazione, possiamo raggiungere la medesima comprensione. La meditazione vipāssanā č un metodo che se propriamente applicato comprende tutto il Nobile Ottuplice Sentiero insegnato dal Buddha. Il sentiero ha tre aspetti: moralitą (sila), concentrazione (samādhi) e saggezza, introspezione o purificazione (pańńa). Molte persone, in passato e nell'epoca presente, hanno tratto beneficio dal Nobile Ottuplice Sentiero, che č ugualmente benefico per monaci e laici, giovani e vecchi, uomini e donne..., per tutti gli esseri umani appartenenti a qualunque casta, classe e comunitą, paese, professione, religione o gruppo linguistico.

Nel sentiero non c'č nessuna meschina restrizione settaria. Esso č adatto a tutti gli esseri umani di tutti i tempi, di tutti i luoghi. Č universale come tutte le sofferenze della vita: la nascita, la vecchiaia, la malattia, la morte, il trovarsi con persone e situazioni sgradevoli, la separazione da persone e situazioni gradevoli, non avere ciņ che si desidera, affanni, angustie, lamenti. Tutte queste forme di disagio fisico e mentale sono universalmente percepite come sofferenza o dolore. Quando si applica la tecnica della vipāssanā all'aviditą, all'ira, alla paura, alla gola, all'infatuazione, alla gelosia, all'inimicizia, all'odio, all'egoismo e alle altre emozioni e passioni, si acquisisce la capacitą di annullare tranquillamente tutte queste cose.

Alla base della meditazione buddista c'č l'osservanza dei cinque precetti (pańcasīla), e cioč: astinenza dall'uccisione, dal furto e dalla menzogna, da una sessualitą disordinata e da sostanze inebrianti. Non importa se si siano o no osservati questi precetti prima di incominciare la pratica. L'importante č che, nal momento in cui si comincia, si cominci anche ad osservare i precetti. Essi sono necessari, perché queste cinque azioni distruttive e autodistruttive sono il frutto dei nostri errori mentali nonché la causa profonda dei mali dai quali cerchiamo di liberarci.

Al giorno d'oggi si soffre sempre pił per certi mali, come la tensione nervosa, l'affaticamento, l'emicrania, l'eccessiva pressione sanguigna... o come infelicitą, perenne insoddisfazione, instabilitą mentale. c'č perciņ bisogno di raccogliere le forze spirituali. C'č bisogno di una tecnica che aiuti ad affrontare la vita con serenitą, e che possa essere utilizzabile subito, nelle varie condizioni in cui ci si viene a trovare di giorno in giorno. Con la pratica della meditazione vipassana, non solo ci si libera di questi inconvenienti nervosi, ma si sperimenta anche un certo grado di vera felicitą in questa stessa vita. Dunque, come si pratica la meditazione? Si incomincia osservando i cinque precetti e praticando la concentrazione della mente. Come oggetto per la concentrazione si prende il respiro, rivolgendo l'attenzione alle narici e a ogni passaggio dell'aria in ingresso o in uscita.

Č necessario, in questa fase, capire la differenza che passa fra questo esercizio e la pratica del pranayama nello yoga indł. Nel pranayama il respiro č controllato, regolato, mentre in questa pratica dell'ānāpāna buddista si osserva il respiro naturale, cosģ com'č. Il termine ānāpāna, infatti, significa consapevolezza del respiro che viene e che va. Inoltre, nella pratica indł dello yoga si attribuisce molta importanza al modo in cui ci siede, mentre per la pratica dell'ānāpāna buddista qualsiasi posizione, purché non troppo comoda né troppo scomoda, va bene. Quando si concentra con continuitą l'attenzione sul respiro all'ingresso delle narici, la coscienza diviene gradualmente sempre pił acuta e consistente. Se, mentre si sperimenta la sensazione tattile del fiato nelle narici e nel naso, appare qualche altra sensazione nel naso o nelle sue prossimitą, si concentra l'attenzione anche su di quella. Sono molti i tipi di sensazioni che possono insorgere, come, per esempio, dolore, pizzicore, formicolio, pulsazioni o fremiti, calore, tepore, freddo e cosģ via. Qualunque sia la  sensazione che si sperimenta, va esaminata. Alcune possono essere semplicemente frutto d'autosuggestione o d'immaginazione, ma il maestro sarą d'aiuto nel distinguere la realtą dall'immaginazione.

Dopo questa fase, s'incomincia a osservare le sensazioni lungo tutto il corpo, dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa. Questo č ciņ che č chiamato vipāssanā, che in realtą significa osservare le cose in modo corretto, nella giusta prospettiva, per vedere le cose come realmente sono e non solo come sembrano. La vipāssanā insegna ad essere osservatori distaccati delle sensazioni fisiche e delle emozioni mentali. Il meditante impara ad accettare tutte le sensazioni, piacevoli e spiacevoli, senza alcuna reazione, cioč con serenitą, o equilibrio o intelligenza. In questo modo, la vipāssanā č una tecnica efficacissima e, nello stesso tempo, assai semplice, per liberarsi dalla fatica mentale e dalle frustrazioni che sono cosģ comuni al giorno d'oggi.

Come risultato della continua pratica, il meditante impara ad aver coscienza delle sensazioni in modo completamente distaccato, senza desiderio o avversione, e continuando nell'osservazione distaccata, a notare come le sensazioni vadano e vengano. Incomincerą a rendersi conto che tutte le sensazioni, piacevoli o spiacevoli, sono impermanenti e caduche. Il desiderio si fa meno forte e allora si puņ vedere che le sensazioni spiacevoli sono effettivamente spiacevoli, mentre quelle avvertite come piacevoli diventano anch'esse motivo di sofferenza quando scompaiono, a causa dell'attaccamento che si nutre per loro. Il desiderio diminuisce ulteriormente mentre si penetra pił profondamente nella realtą del corpo e si scopre che ogni cosa dentro di esso č in uno stato di flusso continuo; che non c'č nulla nel corpo o nella mente che possa essere chiamato «io» o «mio» e che il mondo del corpo e della mente č falso, illusorio e privo d'essenza.

Comprendendo questo, il meditante sviluppa automaticamente un atteggiamento di distacco. In questo modo, basandosi sull'esperienza delle sensazioni, si arriva a comprendere che il desiderio č la causa prima d'ogni sofferenza. Per sradicare questo desiderio, bisognerebbe praticare regolarmente la vipāssanā. L'obiettivo principale della vipāssanā č la comprensione della veritą ultima, il nirvāna, ma se la vipāssanā diventa uno stile di vita, si riesce a raggiungere un pił alto grado di felicitą e pace mentale anche qui, in questa vita. A mano a mano che si sradicano le impuritą, si consente alla purezza di mettā, karunā, muditā ed upekkhā di svilupparsi.

Mettā significa amore, amore puro, benevolenza, amore universale, infinito o senza limiti. Ci sono vari tipi d'amore fra gli esseri umani. C'č l'amore dei genitori per i figli, quello del marito per la moglie, quello della moglie per il marito, l'amore fraterno, l'amore fra uomo e donna, quello fra parenti ed amici. Ma nessuna di queste forme č mettā, amore puro. Esse sono tutte radicate nella brama (lobha), nel desiderio (upādāna) e nell' ignoranza (moha).

Karunā significa compassione, pura compassione, infinita o compassione senza limiti. Esistono molti tipi di compassione. Se il nostro prossimo o i nostri cari soffrono, in noi nasce la compassione: incominciamo a condividere la loro miseria e il loro dolore a causa dell'affetto che nutriamo per loro. Ma se a soffrire č qualcun altro, per il quale non abbiamo attaccamento, allora non sentiamo compassione, non sentiamo la sua miseria come nostra. Questa non č karunā, infinita compassione. Similmente, se le persone a noi care sono felici e fortunate, ci sentiamo felici per loro a causa del nostro affetto. Anche questa non č muditā, gioia compartecipe, perché č radicata nell'ignoranza.

Muditā significa pura gioia compartecipe, infinita gioia compartecipe, per tutti gli esseri, conosciuti e sconosciuti, senza alcuna discriminazione.

Upekkhā significa equanimitą. Č un perfetto, incontrollabile equilibrio della mente, saldamente basato sull'insight. Nella misura in cui ci si riesce a liberare dall'attaccamento se stessi (l'«io» e il «mio») tanto pił ci si ritrova colmi d'equanimitą. L'equanimitą č il pił importante dei quattro stati sublimi (mettā, karunā, muditā e upekkhā). Ma ciņ non significa che la serenitą sia superiore all'amore, alla compassione e alla gioia compartecipe: l'uno comprende gli altri e viceversa. Finché nell'intimo saremo impuri o contaminati, non potremo dare questo amore puro agli altri esseri. Questo amore si trova oscurato o bloccato dalle nostre impuritą. Ma, una volta che si č incominciato a purificarsi con la meditazione vipāssanā, nella misura in cui l'impuritą sarą stata rimossa, si sarą proporzionalmente capaci di mettā verso gli altri.

Signore e Signori, grazie infinite per avermi ascoltato con tanta pazienza e attenzione. Spero che ora abbiate la possibilitą di praticare la meditazione vipāssanā per il vostro bene, e possa la vera felicitą essere con tutti voi.

 

 

 

Da: http://www.risveglio.net/corsi/corso_vipassana.html

 

 

 

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