I Veda sono la creazione di una
antica struttura mentale intuitiva e simbolica alla quale la mente successiva
dell'uomo, fortemente intellettualizzata e governata da un lato dall'idea
razionale e da concezioni astratte, dall'altro dai fatti della vita e della
materia accettati per come essi si presentano ai sensi ed all'intelligenza senza
ricercare in essi alcun significato divino o mistico, abbandonandosi
all'immaginazione come gioco della creatività estetica piuttosto che come
possibilità di apertura delle porte della verità e confidando nei suoi
suggerimenti solo quando essi sono confermati dalla ragione o dall'esperienza
fisica, esclusivamente consapevole di intuizioni prudentemente
intellettualizzate e recalcitrante verso la maggior parte delle altre, è
cresciuta totalmente estranea.
Non è perciò sorprendente che i Veda siano diventati incomprensibili alle nostre
menti tranne che nel loro aspetto linguistico più esteriore e conosciuti inoltre
molto imperfettamente per l'ostacolo costituito da una lingua antica e non
pienamente compresa, e che si siano fatte le più inadeguate interpretazioni per
ridurre questa grande creazione di una mente umana giovane e splendida a uno
scarabocchio pasticciato e mutilato, a un pot-pourri incoerente di assurdità di
un'immaginazione primitiva tesa a complicare ciò che altrimenti sarebbe l'assai
semplice, uniforme e comune testimonianza di una religione naturalistica che
rispecchiava solo e solo poteva servire i rozzi e materialistici desideri di una
barbara mentalità di vita.
I Veda divennero poi, per l'idea scolastica e ritualistica di preti indù e dei
Pandit, niente di più che un libro di mitologia e di cerimonie sacrificali; gli
studiosi europei, ricercando in essi solo ciò che era di un qualche interesse
razionale - la storia, i miti e le nozioni religiose popolari di una razza
primitiva - hanno tuttavia fatto il torto peggiore ai Veda e insistendo su una
interpretazione totalmente esteriore li hanno spogliati ancor di più del loro
interesse spirituale e della loro bellezza e grandezza poetica. Ma così non era
per i Rishi vedici o per i grandi veggenti e pensatori che li seguirono e
svilupparono dalle loro intuizioni luminose e pregnanti una propria,
meravigliosa struttura di pensiero e parola costruita su una rivelazione
spirituale e un'esperienza senza precedenti. I Veda furono per questi antichi
veggenti il Mondo che scopriva la Verità rivestendo di immagini e di simboli i
significati mistici della vita.
Fu una scoperta e uno svelarsi divini della potenza della parola, della sua
misteriosa capacità di rivelazione e di creazione, non la parola
dell'intelligenza logica, razionale o estetica, ma quella di una ritmica
espressione intuitiva e ispirata, il mantra.
Immagine e mito vennero liberamente usati, non come un indulgere
all'immaginazione ma come simboli e parabole viventi di cose estremamente reali
per chi le pronunciava e che non potevano trovare altrimenti la loro forma
espressiva più intima e originale, e l'immaginazione stesa diventava
l'officiante sacro di realtà più grandi di quelle che incontrano e trattengono
l'occhio e la mente limitati dalle suggestioni esterne della vita e
dell'esistenza materiale.
Questa era la loro concezione del poeta sacro, una mente visitata da qualche più
alta luce e dalle sue forme in idea e parola, un veggente e un uditore della
Verità, kavayah satyastrutayah.
I poeti dei versi vedici non contemplavano la propria funzione come è immaginata
dagli studiosi moderni, essi non si consideravano una sorta di stregoni
compositori di inni e di formule magiche al vertice di una rozza e barbara
tribù, ma veggenti e pensatori, rsi dhira.
Questi cantori furono convinti di possedere una alta verità mistica ed occulta,
pretesero di essere i latori di un linguaggio idoneo a una conoscenza divina, e
parlarono esplicitamente delle loro forme espressive come di parole segrete che
dichiarano il proprio significato pieno solo al veggente, kavaye nivaanani
vacamsi. E per quelli che vennero dopo di loro i Veda furono libri di
conoscenza, e proprio della conoscenza suprema, una rivelazione, una grande
espressione di eterna e impersonale verità quale vista ed udita nell'esperienza
interiore di pensatori ispirati e semidivini.
Le più insignificanti circostanze delle cerimonie sacrificali per le quali gli
inni furono scritti sostenevano un potere significante simbolico e psicologico,
come era ben noto agli autori degli antichi Brahmana.
I versi sacri, ciascuno in se stesso tenuto ad essere pieno di un significato
divino, furono intesi dai pensatori delle Upanishad come le profonde e pregnanti
parole originarie delle verità che essi cercavano, e la più alta legittimazione
che poterono dare alle loro espressioni sublimi fu una citazione dei loro
predecessori con la formula tad esa rcabhyukya, "questa è la parola che fu
pronunciata nel Rig Veda".
Ma il semplice buonsenso dovrebbe dirci che coloro che furono così vicini, in
tutti i sensi, ai poeti originali, dovevano possedere una migliore possibilità
di fare propria almeno la verità essenziale sulla questione e ci suggerisce la
forte probabilità che i Veda furono realmente ciò che pretendono di essere, la
ricerca verso una conoscenza mistica, la prima forma del costante tentativo
della mente indiana, al quale essa è sempre stata fedele, di guardare aldilà
delle apparenze del mondo fisico e, attraverso la propria esperienza interiore,
alla divinità, ai poteri, all'immanenza dell'uno del quale i saggi parlano in
molti modi - la famosa frase nella quale i Veda esprimono il loro più centrale
segreto, ekam sad vipra bahudha vadanti.
Il carattere più vero dei Veda può essere meglio compreso esaminandoli in
qualsiasi punto e interpretandoli chiaramente in relazione alle loro frasi ed
immagini. Se li leggiamo per quello che sono senza nessuna falsa traduzione in
ciò che pensiamo dovrebbero avere detto dei barbari primitivi, troveremo invece
una poesia sacra suprema e potente nelle sue parole e nelle sue immagini,
sebbene in altro genere di linguaggio e di fantasia creativa rispetto a quelli
che noi oggi prediligiamo e apprezziamo, profonda e sottile nell'esperienza
psicologica e stimolata da un'anima di visione ed espressione profondamente
partecipe.
I poeti dei Veda possedevano una mentalità diversa dalla nostra, il loro uso
delle immagini è di un genere peculiare e una antica tendenza della loro
capacità visiva dona un profilo strano alle loro espressioni.
Il fisico ed i mondi fisici furono ai loro occhi una manifestazione, una duplice
e varia, e tuttavia connessa e omogenea rappresentazione di divinità cosmiche,
la vita interiore ed esteriore dell'uomo una divina relazione con gli dèi, e
dietro ogni realtà esisteva il solo Spirito od Essere del quale gli dèi erano
nomi e personalità e poteri.
Queste divinità furono ad un tempo signori della Natura fisica e delle sue forme
e dei suoi principi; i loro dèi, i loro corpi e gli intimi poteri divini con le
loro corrispondenti condizioni ed energia sono innati nel nostro essere psichico
perché‚ essi sono i poteri spirituali dell'universo, i guardiani della verità e
dell’immortalità, i figli dell'infinito e ciascuno di essi è anche nella sua
origine e nella sua realtà ultima lo Spirito supremo che evidenzia uno dei suoi
aspetti.
La vita dell'uomo fu per questi veggenti una realtà combinata di verità e
menzogna, un movimento dal mortale all'immortale, da una commistione di luce e
di oscurità allo splendore di una verità divina la cui dimora è al di sopra,
nell'infinito ma che può essere costruita nell'anima e nella vita dell'uomo, una
battaglia tra i figli della luce e quelli della notte, l'ottenimento di un
tesoro, della vera ricchezza, la ricompensa garantita dagli dèi all'uomo
guerriero, un'avventura ed un sacrificio; e di questa realtà essi parlarono
all'interno di un sistema stabilito di immagini prese dalla Natura e dalla
circostante vita guerriera, pastorale e agricola della gente ariana, centrato
intorno al culto del fuoco, all'adorazione dei poteri viventi della natura e
alla cerimonia del sacrificio.
Ogni dettaglio dell'esistenza profana e del sacrificio erano simboli nella loro
vita e nelle loro attività, nella loro poesia, non simboli morti o metafore
artificiali, ma viventi e potenti suggestioni, controparti di realtà interiore.
Ed essi usarono inoltre nella loro espressione un corpo stabilito e tuttavia
variato di altre immagini e uno splendido tessuto di mito e parabola, immagini
che diventavano parabole, parabole che diventavano miti, miti che restavano
comunque immagini, e tuttavia tutte queste cose costituivano per essi, in un
modo che può essere compreso di un certo genere di esperienze psichiche, realtà
effettive.
Il fisico scioglieva le sue ombre negli splendori dello psichico, lo psichico
cresceva nella luce dello spirituale e non esisteva alcuna linea netta di
divisione in questi passaggi, ma una fusione naturale e una compenetrazione
delle loro suggestioni e dei loro colori.
E' evidente che una poesia di questo genere, composta da uomini con questo
genere di visione o immaginazione, non può essere né interpretata né giudicata
dai modelli di una ragione e di un gusto fedeli ai soli canoni dell'esistenza
fisica. L'invocazione "Appari o lampo di luce e vieni a noi!" evoca ad un tempo
il fenomeno dell'ascendere e del bagliore del potente fuoco sacrificale
sull'altare fisico e un corrispondente fenomeno psichico, la manifestazione di
una fiamma redentrice di un potere e una luce divina dentro di noi.
Il critico schernisce la sfrontata e audace e per lui mostruosa immagine nella
quale Indra figlio della terra e del cielo crea il proprio padre e la propria
madre; ma se ricordiamo che Indra è lo spirito supremo in uno dei suoi aspetti
eterni e immortali, creatore del cielo e della terra, divinità cosmica generata
tra il mondo fisico e quello mentale per ricostruire i loro poteri nell'uomo,
vedremo come l'immagine non sia solo una efficace ma una vera e rivelatrice
rappresentazione, e per la tecnica vedica poco importa se fa violenza alla
nostra immaginazione dal momento che esprime una più grande realtà come nessuna
altra avrebbe potuto con la stessa consapevole attitudine e la stessa vivida
forza poetica.
Il toro e la Vacca dei Veda, gli splendenti pastori del Sole celati nella grotta
sono creature abbastanza strane per la mente fisica, ma non appartengono alla
terra e nella loro sfera sono ad un tempo immagini e realtà effettive piene di
vita e di significati. E' in questo modo che, dall'inizio alla fine, dobbiamo
comprendere e riconoscere la poesia vedica secondo il proprio spirito, la
propria visione e la verità psichicamente naturale, anche se per noi estranea e
sovrannaturale, delle sue idee e delle sue immagini.
I poeti vedici sono maestri dalla tecnica consumata, i loro ritmi sono scolpiti
come carri degli dèi e portati da grandi e divine ali di suono ad un tempo
concentrati e dilatati, ampi nel movimento e sottili nella modulazione, il loro
discorso è lirico per intensità ed epico per elevazione, un'espressione di
grande potere, pura e intrepida e dallo splendido profilo, dall'effetto diretto
e incisivo, pienamente profusa di senso e di suggestione così che ogni singolo
verso esiste allo stesso tempo come cosa definita ed autonoma e come ampia
connessione tra ciò che è venuto prima e quanto lo segue. Una sacra tradizione
sacerdotale fedelmente osservata diede loro sia forma che significato, ma questo
significato consisteva nelle più profonde esperienze psichiche e spirituali
delle quali l'anima dell'uomo è capace e raramente o mai le forme degeneravano
in convenzione, poiché‚ ciò che dovevano trasmettere era vissuto interiormente
da ogni poeta e rinnovato in espressione nella propria mente attraverso le
sottigliezze e le maestrie della visione individuale. Le voci dei più grandi
veggenti, Vishwamitra, Vamadeva, Dirghtamas, e molti altri, toccano le più alte
vette e latitudini di una poesia mistica e sublime ed esistono poemi come l'Inno
della creazione che si innalzano in tremenda chiarezza alle sommità di pensiero
sulle quali si muovono costantemente, con una maggiore ampiezza di respiro, le
Upanishad.
La mente dell'antica India non sbagliò nel riallacciare tutta la sua filosofia,
la religione e le realtà essenziali della sua cultura a questi poeti-veggenti,
poiché la futura spiritualità del suo popolo è contenuta in nuce o
nell'espressione originaria.
E' una grande cura e un corretto comprendere gli inni vedici come forma di
letteratura sacra che ci aiuta a vedere il primo sviluppo non solo delle
idee-guida che hanno governato la mente dell'India, ma dei suoi tipi
caratteristici di esperienza spirituale, della sua forma mentale immaginativa,
del suo temperamento creativo e del genere di forme significanti con le quali
essa ha costantemente rappresentato il suo sguardo verso se stessa, la realtà,
la vita e l'universo.
Esiste in gran parte della letteratura lo stesso genere di ispirazione e di
espressione che vediamo nell'architettura, nella pittura e nella scultura.
Il suo primo aspetto è un senso costante dell'infinito, del cosmico, di realtà
viste come parte della visione cosmica o da questa influenzate, dirette a favore
o contro l'ampiezza dell'uno e dell'infinito; la sua seconda peculiarità è una
tendenza a vedere e interpretare la propria esperienza spirituale con una grande
ricchezza di immagini mutuate dal piano psichico interiore oppure in immagini
fisiche tramutate dall'azione di un significato, un'impronta, una volontà di
immagine psichici; e la sua terza inclinazione è ad immaginare la vita terrestre
spesso amplificata, come nel Mahabharata e nel Ramayana, o altrimenti raffinata
nelle trasparenze di una più vasta atmosfera, accompagnata da un significato più
grande di quello terrestre o comunque presentata sullo sfondo dei mondi
spirituali e psichici e non solo nella propria separata immagine.
Lo spirituale, l'infinito è vicino e reale e gli dèi sono reali e i mondi
ulteriori non tanto al di là quanto immanenti alla nostra esistenza.
LE UPANISHAD
Le Upanishad sono l'opera
suprema del pensiero indiano, e che sia effettivamente così, che l'altissima
espressione della personalità del proprio genio, la loro sublime capacità
poetica, la loro enorme capacità creativa in pensiero e in parola, non siano un
capolavoro letterario o poetico della mente ordinaria, ma un ampio flusso di
rivelazione spirituale per questo carattere profondo e diretto, è un fatto
significativo, prova di una mentalità unica e di una non comune inclinazione
dello spirito.
Le Upanishad sono nello stesso tempo profonda scrittura religiosa, in quanto
testimonianza delle più assolute esperienze spirituali, documenti di una
filosofia rivelatrice e intuitiva di luce, potere e ampiezza inesauribili e, sia
in prosa che in metrica, poemi spirituali di una assoluta, infallibile
ispirazione costante nel linguaggio, straordinaria per ritmo ed espressione.
E' la manifestazione di una mente nella quale filosofia e religione e poesia
sono diventate una cosa sola, perché‚ questa religione non termina in un culto
né è limitata ad una aspirazione di tipo etico-religioso, ma si innalza verso
una scoperta infinita di Dio, del Sé, della nostra più alta e totale realtà
spirituale e di esseri viventi e descrive un'estasi di luminosa conoscenza e
un'estasi di partecipe e compiuta esperienza; questa filosofia non è un'astratta
speculazione intellettuale intorno alla Verità o una delle strutture
dell'intelligenza logica, ma una verità vista, esperimentata, vissuta, posseduta
dalla mente e dall'anima più profonda nella gioia di esprimere una sicura
scoperta e possesso, e questa poesia è opera di una concezione estetica
innalzata oltre il suo ambito ordinario per esprimere la meraviglia e la
bellezza della più rara autocoscienza spirituale e della più profonda, ispirata
Verità del Sé e di Dio e dell'universo.
Qui lo spirito intuitivo e l'intima esperienza psicologica dei veggenti vedici
perviene a un culmine supremo in cui lo Spirito, come è detto in un passaggio
della Katha Upanishad, svela la sua più vera essenza, rivela la parola esatta
della sua autoespressione e apre alla mente la vibrazione di ritmi che, ripetuti
all'ascolto spirituale sembrano sostanziare l'anima e porla, ricolma e compiuta,
sulle sommità dell'autoconoscenza.
Le Upanishad sono stata la sorgente riconosciuta di varie e profonde filosofie e
religioni che da esse sono poi scorse in India come i grandi fiumi dalla culla
himalayana rendendo fertili la mente e la vita degli uomini e hanno mantenuto
viva la sua anima lungo il grande procedere dei secoli ritornando costantemente
ad esse per la rivelazione, mai mancando di dare nuova illuminazione, fontana di
inesauribili acque di vita.
Il Buddismo con tutti i suoi sviluppi fu solo una riaffermazione, sebbene da un
nuovo punto di vista e con nuovi termini di definizione e di ragionamento
intellettuale, di un aspetto di questa esperienza e la portò così modificata
nella forma, ma appena nella sostanza, attraverso tutta l'Asia e a occidente
verso l'Europa.
Le idee contenute nelle Upanishad possono essere ritrovate in molto del pensiero
di Pitagora e Platone e costituiscono la parte più profonda del Neo Platonismo e
dello Gnosticismo con tutte le loro importanti conseguenze sul pensiero
filosofico occidentale, e il Sufismo le ripete soltanto in un altro linguaggio
religioso.
La parte più consistente della metafisica tedesca è in sostanza poco più che uno
sviluppo intellettuale di grandi realtà meglio spiritualmente comprese da questo
antico sapere, e il pensiero moderno le sta rapidamente assorbendo con una
ricettività sempre più essenziale, viva ed intensa che promette una rivoluzione
tanto nel pensiero filosofico quanto in quello religioso; ora esse filtrano
grazie a varie influenze indirette, ora si esprimono in modi aperti e diretti.
Quasi non esiste una grande idea filosofica che non possa trovare forza o una
nuova origine o indicazioni in queste antiche scritture, le speculazioni,
secondo un certo punto di vista, di pensatori che non avevano miglior passato o
miglior base culturale al loro pensiero di una rozza, primitiva, naturalistica
ed animistica ignoranza.
E persino le più ampie generalizzazioni della scienza si ritrovano costantemente
applicabili alla verità delle formule della natura fisica già scoperta dai saggi
indiani nel loro originale, nel loro più vasto significato, nella più profonda
verità dello spirito.
E tuttavia queste opere non sono speculazioni filosofiche di genere
intellettuale, analisi di tipo metafisico che cercano di definire nozioni, di
selezionare idee e di distinguere quante tra di loro sono vere, di logificare la
verità o aiutare altrimenti la mente nelle sue inclinazioni intellettuali per
mezzo del ragionamento dialettico e nel suo concetto di proporre una soluzione
definitiva dell'esistenza nella luce di questa o di quella idea della ragione e
di osservare tutte le cose da quel solo punto di vista, in quel fuoco e in
quella determinata prospettiva.
Le Upanishad non avrebbero potuto avere una vitalità così perenne, esercitare
una influenza così sicura, produrre tali risultati o vedere oggi le loro
asserzioni autonomamente confermate in altri ambiti di ricerca e attraverso
metodi completamente diversi, se fossero state opere di quel genere.
E' perché‚ questi veggenti videro la Verità piuttosto che semplicemente
pensarla, la rivestirono anzi di una forte sostanza di intuizione e di immagine
rivelatrice, ma una sostanza di trasparenza ideale attraverso la quale noi
guardiamo verso l'illimitato, è perché essi compresero in profondità le cose
nella luce del Sé e le videro con la visione dell'infinito, che le loro parole
rimangono sempre vive e immortali, di un significato inesauribile, di una
immancabile autenticità, un fine convincente che è nello stesso tempo un
infinito inizio della verità, alle quali tutte le nostre ricerche quando
terminano di nuovo approdano e alle quali l’umanità costantemente ritorna nelle
sue menti e nelle sue epoche di più profonda visione.
Le Upanishad sono il Vedanta, un libro di conoscenza ad un più alto grado
persino dei Veda, conoscenza nel più profondo senso indiano del termine, Jnana.
Non un semplice pensare e considerare attraverso l'intelligenza, non il
ricercare e il cogliere una forma mentale della verità con la mente razionale,
ma un vederla nell'anima ed un vivere totale in essa grazie al potere
dell'essere interiore, un possesso spirituale attraverso una sorta di
identificazione con l'oggetto della conoscenza, è Jnana.
E poiché è solo attraverso una conoscenza integrale del Sé che questo genere di
conoscenza diretta può essere resa completa, fu questo che i saggi vedantini
cercarono di conoscere, di penetrare e di vivere nell’identità.
E attraverso questo sforzo essi giunsero facilmente a comprendere che il S‚ in
noi è una cosa sola con il Sé universale di tutte le cose e ancora che questo Sé
non è che Dio e il Brahman, un Essere o una Esistenza trascendenti, ed essi
videro, sentirono, vissero nella più intima verità di tutte le cose
dell'universo e nella più intima verità dell'esistenza interiore ed esteriore
dell'uomo grazie alla luce di questa sola e unificante visione.
Le Upanishad sono inni della conoscenza del Sé dell'universo e di Dio.
Le grandi formule di verità filosofiche di cui esse abbondano non sono astratte
generalizzazioni intellettuali, realtà che possono rischiare ed illuminare la
mente ma che non vivono e non spingono l'anima ad ascendere, ma sono ardori e
luci di una illuminazione intuitiva e rivelatrice, raggiungimento e comprensione
della sola Esistenza, della Divinità trascendente, del divino e universale Sé,
scoperta della sua relazione con le cose e le creature di questa grande
manifestazione cosmica.
Canti di un ispirato sapere, essi emanano come tutti gli inni un tono di
aspirazione ed estasi religiose, non del genere scarsamente profondo proprio a
un sentimento religioso minore, ma innalzato, al di là del culto e di forme
particolari di devozione, verso l'universale Ananda del Divino che ci raggiunge
attraverso l'avvicinamento e l’identità con l'autocosciente Spirito universale.
E sebbene principalmente concernenti la visione interiore e non direttamente
l'agire umano esteriore, tutte le più importanti etiche del Buddismo e
dell'Induismo posteriore sono tuttavia ancora della stessa vita e del
significato delle verità alle quali essi danno forma espressiva e forza e
tuttavia esiste qualcosa più grande di qualunque precetto etico e norma mentale
di virtù, l'ideale supremo di una azione spirituale fondata sull’identità con
Dio e con tutti gli esseri viventi.
Perciò anche quando sono morte le forme del culto vedico, le Upanishad sono
rimaste viventi e creative ed hanno potuto generare le grandi religioni
devozionali e sostenere la duratura concezione indiana del Dharma.
Le Upanishad sono la creazione di una mente rivelatrice e intuitiva e nella sua
illimitata esperienza; la loro sostanza, la struttura, l'espressione, il
linguaggio figurato e le dinamiche sono determinati e contrassegnati da questo
carattere originale.
Queste verità supreme e onnipervadenti, queste visioni di unità, del Sé e di un
essere divino universale sono proiettate in frasi concise e monumentali che le
portano immediatamente di fronte alla visione dell'anima e le rendono presenti e
imperative per la sua aspirazione e la sua esperienza e sono espresse in brani
poetici pieni di potere rivelatore e di una concezione suggestiva che scopre
l'intero infinito attraverso un'immagine finita.
L'uno è là rivelato ma ha anche dischiuso i suoi innumerevoli aspetti, e
ciascuno guadagna pieno significato attraverso l'ampiezza dell'espressione e
trova, come in una spontanea autoscoperta, il suo posto e la sua coordinazione
attraverso l'illuminante esattezza di ogni parola e dell'intera frase. Le più
vaste verità metafisiche e le più sottili distinzioni dell'esperienza
psicologica sono raccolte all'interno del movimento ispirato e rese
immediatamente chiare per la mente che osserva e colmate di infinite suggestioni
per lo spirito che conosce.
Esistono frasi particolari, singoli distici, brevi passaggi che contengono in se
stessi l'essenza di una vasta filosofia e tuttavia ciascuno di essi viene
pronunciato come un lato, un aspetto, una parte dell'infinita autoconoscenza.
Tutto è di una concisione raccolta e ricca di idee e tuttavia perfettamente
lucida e luminosa, tutto di una infinita compiutezza.
Un pensiero di questo genere non può seguire il lento, prudente e prolisso
sviluppo dell'intelligenza logica.
Il brano, la frase, il distico, il verso e persino il mezzo verso segue quello
che precede con un intervallo determinato pieno di un significato inespresso, un
silenzio che echeggia tra loro, un pensiero che viene trasmesso in una
suggestione totale ed è implicito alla cadenza stessa ma che la mente è lasciata
libera di elaborare a proprio vantaggio, e questi intervalli di silenzio
significante sono ampi, la cadenza di questo pensiero come i passi di un Titano
che cammina tra rocce distanti su acque infinite.
Si trova una perfetta totalità, una estesa correlazione di parti tra loro
armoniche nella struttura di ogni Upanishad; ma il tutto è trattato al modo di
una mente che vede in uno sguardo masse di verità e si arresta per estrarre solo
la parola necessaria da un silenzio compiuto.
Il ritmo nel verso o la cadenza della prosa scolpiscono l'idea e l'espressione.
Le forme metriche delle Upanishad sono costituite da quattro semiversi ciascuno
chiaramente definito, versi che sono generalmente completi e dotati di senso,
semiversi che presentano due pensieri o parti distinte di un pensiero che sono
unite e si completano reciprocamente, e la cadenza sonora segue un principio
corrispondente, ciascun passo conciso e marcato della chiarezza del proprio
intervallo, colmo di ritmi echeggianti che permangono a lungo a vibrare
nell'ascolto interiore; ciascun passo è come un'onda dell'infinito che porta in
se stessa interi la voce e il suono dell'oceano.
E' un genere di poesia, parola della visione, ritmo dello spirito, che non è più
stato scritto, né prima né dopo.
Il linguaggio figurato delle Upanishad si è in larga parte sviluppato dal genere
di linguaggio figurato dei Veda e sebbene esso solitamente preferisca la svelata
chiarezza di una immagine direttamente illuminante, a volte esso usa gli stessi
simboli in un modo che è profondamente simile allo spirito e all'aspetto meno
tecnico del metodo di quel simbolismo più antico.
E' in larga misura questo elemento non più afferrabile dal nostro modo di
pensiero che ha sconcertato certi studiosi occidentali e li ha fatti affermare
che queste scritture sono una combinazione delle più alte speculazioni
filosofiche con i primi goffi balbettii della mente bambina dell’umanità.
Le Upanishad non rappresentano uno scostamento rivoluzionario dalla mente vedica,
dal suo temperamento e dalle sue idee fondamentali, piuttosto una continuazione
e uno sviluppo e in una certa misura un ampliamento nel senso di una resa in
aperta espressione di tutto ciò che fu tenuto nascosto nel discorso simbolico
dei Veda come un mistero e un segreto.
Esse iniziano a raccogliere il linguaggio figurato e i simboli rituali dei Veda
e dei Brahmana e a trasformarli in modo da esprimere un senso interiore e
mistico che serve come una sorta di punto di partenza psichico per la propria
filosofia, più evoluta e più puramente spirituale. Esiste un grande numero di
passaggi specialmente nelle Upanishad in prosa che sono interamente di questo
genere ed azione, in un modo recondito, oscuro e persino incomprensibile per il
pensiero moderno, con il senso psichico di idee allora comuni nella mente
religiosa vedica, la distinzione tra i tre generi di Veda, i tre mondi e altri
soggetti simili; ma, conducendo come fanno nel pensiero delle Upanishad a più
profonde verità spirituali, questi brani non possono essere scartati come
infantili aberrazioni dell'intelligenza privi di senso e di ogni rintracciabile
rapporto con il più alto pensiero nel quale essi culminano. Al contrario
troviamo che essi possiedono un significato sufficientemente profondo quando
riusciamo a penetrare il loro significato simbolico.
Questo significato si mostra in una ascesa psicofisica a una conoscenza
psicospirituale per la quale noi useremmo oggi termini più intellettuali, meno
concreti e immaginativi, ma che è ancora valida per coloro che praticano lo yoga
e riscoprono i segreti del nostro essere psicofisico e psicospirituale.
Passaggi tipici di questo genere di espressione peculiare di verità psichiche
sono la spiegazione di Ajatashatru del sonno e dei sogni o i brani della Prashna
Upanishad sul principio vitale e le sue azioni, o ancora quelli in cui l'idea
vedica della lotta tra déi e demoni è ripresa e guadagna il suo significato
spirituale e le divinità vediche, più chiaramente che nel Rig o nel Sama Veda,
sono caratterizzate e invocate per la loro funzione interiore e per il loro
potere spirituale.
Le Upanishad abbondano di passaggi che sono ad un tempo poesia e filosofia
spirituale, di chiarezza e bellezza assolute, ma nessuna traduzione priva delle
suggestioni e dei solenni e sottili e luminosi echi di senso delle parole e dei
ritmi originali, può dare alcuna idea del loro potere e della loro perfezione.
In altri le più sottili verità psicologiche e filosofiche sono espresse in modo
completamente sufficiente senza mancare di una perfetta bellezza
nell'espressione poetica e sempre in modo tale da vivere nella mente e
nell'anima e non essere semplicemente offerte alla comprensione intelligente.
C'è in alcune delle Upanishad in prosa un altro elemento di vivido racconto e
tradizione che ci restituisce, sebbene solo in brevi visioni fugaci, il quadro
di quella animazione e di quel movimento di ricerca spirituale e di passione
verso la più alta conoscenza che hanno reso possibili le Upanishad.
Le scene del mondo antico rivivono davanti a noi in alcune pagine, i saggi che
siedono nei boschi pronti ad esaminare e ammaestrare chi si presenta, prìncipi e
dotti Bramini e grandi proprietari terrieri alla ricerca della conoscenza, il
figlio del re nel suo carro e il figlio illegittimo della serva, ricercando ogni
uomo che avrebbe potuto portare in se stesso l'idea della luce e la parola della
rivelazione, le tipiche figure simboliche e personalità Janaka e la sottile
mente di Ajatashatru, Raikwa del carro, Yoinavalka soldato della verità, calmo
ed ironico, che prende con entrambe le mani senza alcun attaccamento i beni del
mondo e le ricchezze spirituali e lascia alla fine tutti i suoi averi per
peregrinare come un asceta senza casa, Krishna figlio di Devaki che udì una sola
parola della Rishi Gora e conobbe immediatamente l'Eterno, gli Ashram, le corti
di re che furono anche ricercatori e conoscitori spirituali, le grandi assemblee
sacrificali dove i saggi si incontravano e confrontavano la loro conoscenza.
Così noi vediamo come nacque l'anima dell'India e come scorse questo grande
canto delle origini nel quale essa si levò in volo dalla terra verso i supremi
cieli dello spirito.
I Veda e le Upanishad non sono solo la bastevole sorgente della filosofia e
della religione indiana, ma di tutta l'arte, la poesia e la letteratura indiana.
Fu l'anima, il temperamento, lo spirito ideale in essi formato ed espresso che
costruì in seguito le grandi filosofie, edificò la struttura del Dharma,
testimoniò la sua eroica gioventù nel Mahabharata e nel Ramayana, si
intellettualizzò infaticabilmente nell'epoca classica della sua maturità,
produsse così tante intuizioni originali nella scienza, creò un così ricco
fervore di esperienze estetiche, vitali e sensibili, rinnovò la sua essenza
spirituale e psichica nei Tantra e nei Purana, si gettò nella magnificenza e
nella bellezza delle linee e del colore, scolpì e fuse il suo pensiero e la sua
visione nelle pietre e nel bronzo, si riversò in nuovi canali di autoespressione
nei linguaggi successivi e ora dopo una lunga eclissi riemerge sempre identico
nella diversità e pronto per nuova vita e nuova creazione.
La fissata concezione fondamentale del Vedanta è che là esiste in qualche luogo
- e non potremmo non trovarla - accessibile all'esperienza o all'autorivelazione
anche se negata alla ricerca puramente intellettuale, una verità sola
onnicomprensiva e universale nella luce della quale l'intera esistenza si trova
rivelata e chiarita nella sua natura e nel suo fine.
Questa esistenza universale, con tutta la moltitudine della sua realtà e la
diversità delle sue forze, è una in sostanza ed origine; ed esiste una quantità
non conosciuta, X o Brahman, alla quale essa può venire ridotta, perché‚ da lui
è originata e in lui e attraverso di lui persiste. Questa quantità non
conosciuta è chiamata Brahman.
Ma intanto i veggenti dell'antica India avevano completato, nei loro esperimenti
e sforzi di disciplina spirituale e di conquista del corpo, una scoperta che
nella sua importanza per il futuro della conoscenza umana oscura le intuizioni
di Newton e Galileo; persino la scoperta del metodo induttivo e sperimentale
nella Scienza non è risultato così fondamentale; perché‚ essi penetrarono sino
ai suoi processi ultimi il metodo dello yoga e attraverso il metodo dello yoga
si elevarono al culmine di una triplice realizzazione.
Essi compresero dapprima come una realtà l'esistenza, al di sotto del flusso e
della molteplicità delle cose, di quella suprema Unità e immutabile stabilità
che era stata sino ad allora ipotizzata solo come una teoria necessaria, una
inevitabile generalizzazione.
Giunsero a comprendere che quello è la sola realtà e tutti i fenomeni non sono
che le sue apparenze e le sue sembianze, che quello è il vero sé di tutte le
cose e i fenomeni non sono che le sue vesti e i suoi ornamenti.
Essi impararono che quello è assoluto e trascendente e perché assoluto e
trascendente, perciò eterno, immutabile, indiminuibile e indivisibile.
E guardando allo sviluppo passato del pensiero, compresero che questa era anche
la meta alla quale li avrebbe condotti il puro ragionamento intellettuale.
Poiché‚ ciò che è nel Tempo deve nascere e morire; ma l’Unità e la Stabilità
dell'universo sono eterne e devono perciò trascendere il Tempo.
Ciò che è nello Spazio deve crescere e diminuire, possedere parti e relazioni,
ma l’Unità e la Stabilità dell'universo non sono diminuibili, non sono
aumentabili, sono indipendenti dalla modificazione delle proprie parti e non
toccate dal mutarsi delle loro relazioni, e devono perciò trascendere lo Spazio;
e se trascendono lo Spazio non possono possedere parti, perché‚ lo spazio è la
condizione della divisibilità materiale; la divisibilità deve perciò essere,
come la morte, un'apparenza e non una realtà.
Infine ciò che è soggetto alla Causalità è necessariamente soggetto al
Cambiamento; ma l’Unità e la Stabilità dell'universo sono immutabili, identiche
a ciò che furono negli eoni trascorsi e a ciò che saranno gli eoni futuri e
devono perciò trascendere la Causalità.
Questa fu dunque la prima realizzazione ottenuta attraverso lo Yoga,
nityonityanam, l'Eterno Uno nella moltitudine transitoria.
Allo stesso tempo essi compresero una verità interiore - una verità
sorprendente; compresero che il sé trascendente e assoluto dell'universo
costituiva anche il sé degli esseri viventi, anche il sé dell'uomo, l'essere
supremo tra quelli che abitano il piano materiale sulla terra.
Il Purusha, l'io conscio nell'uomo che aveva sconcertato i Sankhyas, si è
rivelato nella sua realtà ultima esattamente identico a Prakriti, la sorgente
apparentemente non conscia della realtà; la non- coscienza di Prakriti, come
molto altro, si è dimostrata un'apparenza, non una realtà perché‚ dietro ogni
forma inanimata una intelligenza conscia all'opera è, agli occhi dello yogi,
luminosamente autoevidente.
Questa fu dunque la seconda realizzazione ottenuta attraverso lo Yoga,
cetanascetananam, la Coscienza una nella moltitudine delle coscienze.
Infine alla base di queste due realizzazioni se ne trova una terza, la più
importante per la nostra umanità, cioè che il sé trascendente in ogni uomo è
così completo perché‚ esattamente identico al sé trascendente dell'universo;
perché il trascendente è indivisibile e il senso dell’individualità separata non
è che una delle apparenze fondamentali dalle quali la manifestazione
dell'esistenza fenomenica perpetuamente dipende.
In questo modo l'Assoluto, che sarebbe altrimenti aldilà di ogni conoscenza,
diventa conoscibile; e l'uomo che conosce il suo intero sé conosce l'intero
universo.
Questa stupenda verità è per noi rinchiusa nelle due famose formule del Vedanta,
"so ham", Egli ed io, e "aham brahma asmi", io sono il Brahman, l'eterno.
Basata su queste quattro grandi verità, nytonityanam, cetanascetanam, so ham,
aham brahma asmi, come su quattro possenti pilastri la suprema filosofia delle
Upanishad ha eretto il suo fronte tra le più lontane stelle.
I TANTRA
Osserviamo innanzitutto che
esiste tuttora in India un notevole sistema yogico che è per sua natura
sintetico e parte da un grande principio centrale della Natura, da una grande
forza dinamica della Natura; ma si tratta di uno yoga distinto, non di una
sintesi di altre scuole. Questo sistema è la via del Tantra.
A causa di qualcuno dei suoi sviluppi, il Tantra è caduto in discredito fra
coloro che non sono tantrici; ciò principalmente a causa degli sviluppi del suo
sentiero della mano sinistra, il Vama Marga, che non pagò di superare la dualità
della virtù e del peccato, invece di sostituirli con una spontanea rettitudine
dell'agire, è sembrato costituirsi come metodo di auto-indulgenza, di libera
immortalità sociale. Tuttavia, all'origine il Tantra fu un ampio e potente
sistema basato su concezioni che erano almeno parzialmente vere.
Anche la sua duplice divisione tra i sentieri della mano destra e della mano
sinistra, Dakshina Marga e Vama Marga, trovò origine in una sicura e profonda
intuizione. Nell'antico senso simbolico dei termini Dakshina e Vama, si trattava
della distinzione tra la via della conoscenza e la via dell'ananda, la natura
dell'uomo che si liberava attraverso un esatto discernimento dei poteri e delle
attività delle proprie energie, elementi e potenzialità e la natura nell'uomo
che si liberava attraverso invece la gioiosa accettazione dei poteri e delle
attività delle proprie energie, elementi e potenzialità. Ma in entrambe le vie
vi fu alla fine un oscurarsi dei principi, una deformazione simbolica e una
caduta.
Se comunque abbandoniamo anche qui i metodi e le pratiche attuali e ricerchiamo
il principio centrale, troviamo come prima cosa il fatto che il Tantra si
differenzia espressamente dai metodi yoga di tipo vedico. In un certo senso,
tutte le scuole che abbiamo sin qui esaminato sono vedantiche nella loro
concezione; la loro forza è nella conoscenza, il loro metodo è nella conoscenza,
sebbene essa non sia sempre discernimento attraverso l'intelletto ma possa
invece essere conoscenza del cuore espressa nell'amore e nella fede o conoscenza
della volontà che si sviluppa attraverso l'azione. In tutte il Signore dello
yoga è il Purusha, l'anima consapevole che conosce, osserva, attrae, dirige. Ma
nel Tantra è piuttosto Prakriti, l'anima natura, l'energia, la forza volontà
esecutrice dell'universo.
Fu scoprendo ed applicando i segreti più intimi di questa forza volontà, il suo
metodo, il suo Tantra, che lo yogi tantrico perseguì gli scopi della sua
disciplina, conoscenza profonda, perfezione, liberazione, beatitudine.
Invece di ritirarsi di fronte alla Natura manifestata e alle sue difficoltà,
egli le affrontò, se ne impadronì e le vinse.
Ma alla fine, come è nella tendenza generale di Prakriti, lo yoga tantrico perse
gran parte dei suoi principi nei suoi meccanismi e divenne un oggetto di formule
e azioni occulte ancora potenti quando rettamente usate ma cadute della
chiarezza del loro concetto originario.
Abbiamo in questa concezione tantrica centrale un aspetto della verità,
l'adorazione dell'energia, della Shakti, come sola forza effettuale per ogni
realizzazione. Cogliamo l'altro estremo nella concezione vedantica della Shakti
come potere illusionistico e nella ricerca del silenzioso e immobile Purusha
come mezzo di liberazione dagli inganni prodotti dall'energia creatrice. Ma
nella concezione integrale l'anima integrale, l'anima conscia rappresenta il
Signore, l'anima natura la sua energia esecutrice. Il Purusha è della natura di
Sat, conscia autoesistenza pura ed infinita; Shakti o Prakriti sono della natura
di Chit, il potere della conscia autoesistenza pura ed infinita del Purusha. La
relazione tra i due si trova tra i poli del riposo e dell'azione. Quando
l'energia è assorbita nella beatitudine del conscio autoesistere, c'è riposo;
quando il Purusha si espande nell'azione della sua energia, c'è attività,
creazione e gioia o Ananda del divenire. Ma se l'Ananda è il creatore e la causa
di ogni divenire, il suo metodo è Tapas o la forza della coscienza del Purusha
che è propria alla sua infinita potenzialità di esistenza e che da essa produce
verità ideali, o vere idee, Vijana, le quali derivando da una onnisciente e
onnipotente autoesistenza, possiedono la certezza del proprio compimento e
contengono in se stesse la natura e la legge del proprio divenire nei termini
della mente, della vita e della materia.
La finale onnipotenza di Tapas e l'infallibile compimento delle idee sono il
fondamento reale di ogni yoga.
La disciplina tantrica è per sua natura una sintesi. Si è impadronita della
grande verità universale che esistono due poli dell'essere la cui unità
essenziale è il segreto dell'esistenza, Brahman e Shakti, Spirito e natura, e
che la natura è potere dello spirito o, piuttosto, spirito come potere. Elevare
la natura nell'uomo a manifesto potere dello spirito è il suo modo di procedere,
ed è l'intera natura che essa raduna verso la conversione spirituale. Include
tra i suoi strumenti gli energici processi hathayogici e specialmente l'apertura
dei centri nervosi ed il passaggio attraverso di essi della Shakti risvegliata
nel suo procedere verso l'unione con il Brahman, lo sforzo più sottile della
purificazione, meditazione e concentrazione rajayogici, l'azione della forza di
volontà, il potere motore della devozione, la chiave della conoscenza. Ma essa
non si arresta al riuscito assemblaggio delle differenti facoltà di questi yoga
specifici. In due direzioni essa amplia attraverso la sua azione sintetica
l'ambito del metodo yogico.
Dapprima, pone fermamente le proprie mani su molte delle cause principali
dell'azione, del desiderio e delle qualità umane e le assoggetta a una
disciplina intensiva con il dominio spirituale dei propri impulsi come primo
scopo e la loro elevazione a un livello spirituale più prossimo al divino come
realizzazione finale.
Ancora, essa include tra gli obiettivi del suo yoga non soltanto la liberazione,
che è la preoccupazione onnidominante dei sistemi specifici, ma una gioia
cosmica del potere dello spirito, che gli altri metodi possono accettare strada
facendo incidentalmente, in parte o casualmente, ma che evitano di considerare
come movente o come scopo. Si tratta di un sistema più audace e più vasto. Nel
metodo di sintesi che siamo andati seguendo, è stata perseguita un'altra idea di
principio che deriva da un differente punto di vista circa le possibilità dello
yoga.
Questa parte dal metodo del Vedanta per giungere agli obiettivi del Tantra. Nel
metodo tantrico la Shakti è ciò che più importa, divenendo la chiave per la
scoperta dello spirito; in questo metodo di sintesi l'anima è ciò che più
importa, divenendo il segreto per il procedere della Shakti. Il metodo tantrico
parte dal fondo e compie gradualmente la propria ascesa verso l'alto sino alla
vetta; perciò il suo accento iniziale è sull'azione della Shakti risvegliata nel
sistema nervoso del corpo e nei suoi centri; l'aprirsi dei sei loti è l'aprirsi
dell'estensione del potere dello spirito.
La nostra sintesi considera l'uomo come spirito in una mente molto più che come
spirito in un corpo e presume in lui la capacità di iniziare da quel livello, di
spiritualizzare il proprio essere attraverso il potere dell'anima sulla mente
aprendosi direttamente a una più alta forza di esistenza spirituale e di
perfezionare attraverso questa forza superiore così posseduta e attivata
l'intera sua natura. Per questa ragione il nostro accento iniziale è caduto
sull'utilizzo dei poteri dell'anima nella mente e sul ruotare della triplice
chiave della conoscenza, delle opere e dell'amore nelle serrature dello spirito;
si può fare a meno dei metodi hathayogici, sebbene non ci siano obiezioni al
loro uso parziale; quelli rajayogici verranno inclusi solo come elemento
informale.
Giungere per la via più breve al più ampio sviluppo del potere e dell'essere
spirituale e divinizzare attraverso di esso un natura liberata nell'intera sfera
del vivere umano è il movente che ci ispira.
Lo scopo iniziale comune a ogni yoga è emendare l'anima dell'uomo dalla sua
attuale ignoranza e limitazione, liberarla nell'essere spirituale, unirla al
supremo sé e al Divino. Ma generalmente ciò diviene non solo l'obiettivo
iniziale, ma quello complessivo e finale: la gioia dell'esistenza spirituale
esiste, ma o nella dissoluzione dell'uomo e dell'individuale nel silenzio dell'autoesistenza
o su un piano più alto in un'altra esistenza.
Il sistema tantrico fa della liberazione lo scopo finale, ma non il solo;
ricerca sul suo cammino una piena perfezione e gioia per il potere, la luce e la
beatitudine spirituali nell'esistenza umana, e possiede anche una visione
dell'esperienza suprema nella quale la liberazione, l'agire cosmico e la
beatitudine sono unificate in un annullamento finale di tutti gli opposti e le
dissonanze. Questa è la più ampia visione delle nostre potenzialità spirituali
dalla quale anche noi partiamo, ma aggiungendo un accento diverso che genera un
significato più completo. Noi consideriamo lo spirito nell'uomo non solamente
come un essere individuale in cammino verso una trascendente unità con il
Divino, ma come un essere universale capace di identità con il Divino in tutte
le anime e in tutta la natura e portiamo questa più vasta concezione sino alle
sue estreme conseguenze.
La liberazione individuale dell'anima dell'uomo e la gioia identità con il
Divino in un essere, in una coscienza e in una beatitudine spirituali, devono
sempre costituire il primo obiettivo dello yoga; il suo puro piacere unità
cosmica del divino diviene un obiettivo secondo; ma aldilà di questo ne appare
un terzo, la realizzazione del significato unità divina con tutti gli esseri
attraverso la compassione e la partecipazione agli intenti del divino
nell’umanità.
I Rishi vedici non realizzarono mai la supermente sul piano terrestre o forse
nemmeno vi tentarono. Essi cercarono di elevarsi individualmente al piano
supermentale, ma non riuscirono a farlo discendere e a renderlo parte permanente
della coscienza terrestre. Esistono persino versi delle Upanishad nei quali si
allude al fatto che è impossibile varcare le porte del Sole (il simbolo della
supermente) e conservare un corpo terrestre. E' per questo fallimento che lo
sforzo spirituale dell'India terminò nel Mayavada.
Il nostro yoga è un duplice movimento di ascesa e di discesa; si sale a livelli
di coscienza sempre più alti, ma allo stesso tempo si fa discendere il loro
potere non solo nella mente e nella vita, ma da ultimo anche nel corpo. E il
livello supremo, quello a cui sono rivolti i suoi sforzi, è la supermente.
Solo quando questa può essere fatta discendere la trasformazione divina diventa
possibile nella coscienza terrestre.
Il Veda e il Vedanta sono un aspetto dell'unica Verità; il Tantra, con la sua
enfasi sulla Shakti, è un altro; in questo yoga si comprendono tutti gli aspetti
della verità, non nelle forme sistematiche che gli sono state attribuite in
precedenza, ma nella loro essenza, e li si conduce al più perfetto e alto
significato. Ma il Vedanta si occupa maggiormente dei principi e delle
concezioni fondamentali della conoscenza divina e perciò molto del suo sapere e
delle sue esperienze spirituali è stato integralmente riportato nell'Arya.
Il Tantra si occupa maggiormente di forme, processi e poteri strutturati; tutto
ciò non poteva essere assunto semplicemente com'era, perché lo yoga integrale ha
necessità di sviluppare le proprie forme e metodi; ma l'ascesa della
consapevolezza attraverso i centri nervosi e altro della conoscenza tantrica
stanno dietro il processo di trasformazione al quale attribuisco così tanta
importanza, anche la verità che niente può essere realizzato se non attraverso
la forza della Madre.
Il processo della salita della Kundalini risvegliata attraverso i centri
nervosi, come anche la purificazione di questi centri è una conoscenza di tipo
tantrico.
Nel nostro yoga non esiste un processo forzato di purificazione ed apertura dei
centri; n‚ una salita di Kundalini ottenuta attraverso un determinato processo.
Viene usato un altro metodo; esiste tuttavia l'ascesa della consapevolezza, da
ed attraverso i differenti livelli sino a raggiungere la più alta coscienza
situata al di sopra; esiste l'apertura dei centri e dei piani (mentale, vitale,
fisico) che questi centri comandano; esiste inoltre quel discendere che è la
chiave principale della trasformazione spirituale. Perciò esiste, come ho detto,
una conoscenza di tipo tantrico dietro il processo di trasformazione di questo
yoga.
Da:
http://www.lamelagrana.net/letture5/aurobindo.html
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