"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
U.G.: Non sentirai mai
il gusto della morte, perché non c’è morte per te: non puoi sperimentare la tua
propria morte. Sei nato forse? La vita e la morte non possono essere separate:
non avrai alcuna possibilità di venire a conoscenza dell’istante in cui l’ una
inizia e l’altra finisce. Puoi sperimentare la morte di un altro ma non la tua.
La sola morte è la morte fisica; non c’è morte psicologica.
Perché hai tanta paura della morte?
La struttura che ti permette di sperimentare non può concepire un avvenimento
che non potrà sperimentare. Si aspetta anzi di presiedere alla propria
dissoluzione, e quindi si domanda a cosa potrebbe assomigliare la morte – tenta
di proiettare il sentimento di quello che potrebbe essere di non sentire niente.
Ma per poter anticipare un’esperienza futura, la tua struttura ha bisogno di
sapere, cioè di una esperienza passata simile che può richiamare alla mente
per riferimento.
Non puoi ricordare cosa provavi quando non esistevi prima di nascere, non puoi
ricordare la tua nascita, e così non hai una base per proiettare la tua futura
non-esistenza. Per tutto il tempo che eri consapevole di vivere, sapevi di
esserci e quindi hai la sensazione dell’eternità. Per giustificare questo senso
di eternità, la tua struttura comincia a convincersi che ci sarà una vita dopo
la morte – il paradiso, la reincarnazione, la metempsicosi e cose del genere.
Cosa pensi che si reincarni? Dov’è questa tua anima? Puoi gustarla, toccarla,
mostrarmela? Cosa c’è all’interno di te che va al cielo? Che cosa? Dentro di te
c’è solo paura.
Che cosa ti impedisce di essere nello stato naturale? Non fai che allontanarti
costantemente da te stesso. Vuoi essere felice ora e per sempre. Sei
insoddisfatto dalle tue esperienze quotidiane e così ne desideri di nuove e
diverse. Vuoi migliorarti, cambiarti. Cerchi qualcosa al di fuori per essere
qualcosa di diverso da quello che sei ora. E’ proprio questo che ti porta via da
te stesso.
La società ti ha messo davanti l’ideale dell’uomo perfetto. In qualunque cultura
tu sia nato, ti hanno imbevuto di dottrine e tradizioni che ti insegnano come
comportarti. Ti hanno detto che mediante alcune pratiche potrai eventualmente
ottenere uno stato raggiunto dai saggi, dai santi e salvatori dell’umanità. In
tal modo cerchi di controllare la tua condotta, i tuoi pensieri per essere
qualcuno di non naturale.
Tutti noi viviamo in una “sfera del pensiero ‘’. I tuoi pensieri non
appartengono a te, ma a tutti. Ci sono solo pensieri, ma tu crei un
contro-pensiero, il pensatore, col quale leggi ogni pensiero. Il tuo
sforzo di controllare la vita ha creato un movimento secondario di pensiero
all’interno di te e che chiami “IO”. Questo movimento di pensiero all’interno è
parallelo al movimento della vita, ma ne siamo isolati ed esso non potrà mai
toccare la vita. Tu sei una creatura vivente, eppure passi tutta la vita
all’interno di questo movimento parallelo ed isolato del pensiero. Ti tagli
fuori dalla vita e questo non è naturale.
Lo stato naturale non è uno “stato senza pensieri” – questo è una burla che dura
da millenni fatta ai poveri Indù. Non sarai mai senza pensieri finché il corpo
non sarà un cadavere. Pensare è necessario per sopravvivere. Ma in quello stato
il pensiero smette di soffocarti e cade nel suo ritmo naturale. Non c’è più un
“io “ che legge i pensieri credendo siano i suoi!
Hai mai osservato questo movimento parallelo del pensiero? I libri di grammatica
ti diranno che “io “ è il pronome della prima persona al singolare, il soggetto;
ma non è questo che vuoi sapere. Puoi osservare quella cosa che chiami “io”? E’
molto difficile da afferrare. Guardalo adesso, sentilo, toccalo e dimmi. Come lo
guardi? E cos’è quella cosa che sta guardando quello che tu chiami “io”?
Questo è il nocciolo del problema: quello che sta guardando ciò che chiami “io”
è...l’ “io”! Sta creando un’illusoria divisione di se stesso in soggetto ed
oggetto e riesce a continuare grazie a questa divisione. Quello che gli
interessa è continuare ad esistere. Finché vorrai capire questo “io” o
cambiarlo in qualcosa di spirituale, santo magnifico, quell’ “io” continuerà. Se
invece non gli farai niente di tutto questo, se ne andrà.
Come fai a capire questo? Per praticità ho fatto un’asserzione:” Quello che stai
osservando non è differente da chi osserva.” Cosa fai con un’asserzione come
questa? Che strumento hai a disposizione per capire un’asserzione così illogica,
senza senso, irrazionale come questa? Cominci dunque a pensare. Ma con il
pensiero non capirai mai. Stai traducendo quello che dico dal punto di vista di
quello che già conosci, come traduci qualunque altra cosa, perché vuoi
cavarne qualcosa. Quando smetti di fare questo, ciò che rimane è quello che sto
descrivendo. L’assenza di quello che stai facendo, cioè lo sforzo di capire o di
cambiare te stesso – è lo stato che descrivo.
C’è un aldilà? Non sei interessato alle faccende quotidiane e a ciò che ti
circonda, allora hai inventato un aldilà o l’eterno o Dio la Verità, la Realtà,
l’illuminazione o che so ancora e poi ti sei messo a cercarli.
Può anche non esserci un aldilà. Non ne sai nulla in fondo; qualunque cosa tu
sappia è perché te l’hanno raccontato o quello che ne sai già. In tal modo stai
proiettando questa conoscenza; e qualunque conoscenza tu abbia sull’aldilà è
esattamente quello che sperimenterai. La conoscenza crea l’esperienza e
l’esperienza rafforza la conoscenza. Quello che conosci non sarà mai l’aldilà. Qualunque cosa tu sperimenti non è
l’aldilà. Se c’è un aldilà, questo movimento dell’ “io” deve essere assente.
L’assenza di questo movimento è probabilmente l’aldilà, ma l’aldilà non potrà
mai essere sperimentato da te; solo se l’ “io” non c’è, è possibile. Perché ti
ostini a voler sperimentare qualcosa che non si può sperimentare?
Devi sempre riconoscere quello che hai davanti, altrimenti tu non ci sei.
All’istante in cui “traduci”qualcosa, l’ ”io “ è presente. Osservi qualcosa e
riconosci che è una borsetta, una borsetta rossa. Il pensiero, mentre traduce,
interferisce con la sensazione. Perché interferisce il pensiero? E cosa puoi
farci tu? Appena guardi qualcosa, quello che appare in te è la parola “borsetta”
oppure “panchina” o ” l’uomo canuto seduto davanti a te”. Questo continua sempre
e sempre, non fai che ripetere a te stesso tutto il tempo. E se non fai quello,
ti preoccupi di qualcos’altro:”Sarò in ritardo in ufficio”. Sia pensi a qualcosa
che non ha alcun rapporto con il modo in cui funzionano i sensi in quel momento,
sia osservi e racconti a te stesso:”Questa è una borsetta rossa”e così in
continuazione – è tutto quello che c’è. La parola “borsetta” ti separa da ciò
che stai guardando e questo crea un “io”, altrimenti non c’è alcuno spazio tra i
due.
Ogni volta che un pensiero nasce, tu nasci. Quando il pensiero sparisce,
sparisci anche tu. Ma l’ “io” non lascia andare il pensiero e ciò che dà
continuità a questo “io”, è il pensiero. In realtà non c’è nessun’entità
permanente in te, nessuna totalità di pensieri ed esperienze. Pensi che ci sia
qualcuno che pensa i tuoi pensieri, qualcuno che prova i tuoi sentimenti – ecco
l’illusione. Posso dire che è un’illusione, ma tu non puoi dire altrettanto.
Le emozioni sono più complesse, ma è lo stesso processo. Perché ti racconti che
sei in collera o invidioso di qualcuno o che il sesso ti tormenta? Non parlo di
soddisfare o non soddisfare. C’è una sensazione in te e poi affermi che sei
depresso o infelice, gioioso, bramoso, invidioso. Quest’etichetta crea
l’entità fittizia che sta traducendo la sensazione. Quello che nomini “io”
non è altro che la parola “borsetta rossa” , “panchina”,” lampadina”,
“arrabbiato”, “felice”, ecc. Stai mettendo le cellule cerebrali a dura prova in
un’attività inutile e continua, tale da distruggere l’energia che è a
disposizione. Quest’attività ti esaurisce.
Questo modo di etichettare è necessario se devi comunicare con qualcuno o con te
stesso. Tuttavia tu comunichi con te stesso tutto il tempo. Perché mai? La sola
differenza tra te e la persona che parla da sola ad alta voce è che non parli a
voce alta. Non appena cominci a parlare a voce alta, ecco che arriva lo
psichiatra. Il fatto che sei in uno stato estatico o in un incredibile silenzio,
significa che ne sei cosciente. Devi conoscere un oggetto per poterlo
sperimentare. Questa conoscenza non è nulla di meraviglioso o di metafisico:
“panchina”,” borsetta rossa” è la conoscenza che è stata introdotta in te da
qualcun altro, che a sua volta l’ ha saputo da un altro. Non è la tua
conoscenza.
Puoi forse sperimentare una cosa tanto semplice come la panchina davanti a te?
No, tu sperimenti solo la conoscenza che hai dell’oggetto. Una conoscenza che
viene dall’esterno. Tu pensi i pensieri della società, provi i sentimenti della
società e sperimenti le esperienze della società. Non esiste un’esperienza
nuova.
Dunque tutto quello che un uomo ha pensato o provato deve uscire dal tuo
sistema. Tuttavia tu sei il prodotto di quella conoscenza – è tutto quello che
sei. Cos’è il pensiero? Tu non lo sai affatto; tutto quello che sai è
quello che ti hanno raccontato. Che cosa ne puoi fare? Controllarlo, plasmarlo,
frenarlo? Stai cercando tutto il tempo di farne qualcosa, perché qualcuno ti ha
detto che devi cambiare questo o quello, mantenere i pensieri buoni ed eliminare
quelli cattivi. I pensieri sono pensieri; non sono né buoni né cattivi.
Finché vorrai fare qualcosa con quel materiale, stai pensando. Volere e
pensare non sono cose differenti. Voler capire significa che c’è un
movimento di pensiero: stai aggiungendo slancio a quel movimento e gli dai
continuità.
I sensi funzionano in modo innaturale in te perché li usi per ottenere qualcosa.
Perché ottenere qualcosa? Soltanto perché vuoi dar continuità al tuo “io”.
Tu proteggi quella continuità. Il pensiero è un meccanismo di protezione:
protegge l’ “io” a spese di qualcosa o di qualcun altro. Qualunque cosa nasca
dal pensiero è distruttiva: alla fine distruggerà te e la tua specie.
E’ il meccanismo ripetitivo del pensiero che ti sfinisce. Allora che fare? – è
tutto quello che puoi chiedere. Questa è l’unica domanda e qualunque risposta io
o chiunque altro possa darti, aggiunge slancio a quel movimento di pensiero. Non
puoi farci niente. Ha lo slancio di milioni di anni. Sei totalmente indifeso e
non puoi essere cosciente di questa impotenza.
Se pratichi un sistema di controllo della mente, automaticamente l’ ”io” è
presente ed attraverso questo esso può continuare. Hai mai meditato seriamente?
Se mediti sul serio, finisci al manicomio. E non puoi neanche praticare la
consapevolezza di ogni istante. Tu non puoi essere consapevole: tu e la
consapevolezza non potete coesistere. Se tu potessi restare non fosse che un
secondo, in uno stato di consapevolezza, una volta nella vita, la continuità
sarebbe sradicata, l’illusione della struttura pensante , l’ “io crollerebbe e
tutto cadrebbe nel proprio ritmo naturale. In quello stato non sai che cosa stai
osservando – questa è consapevolezza. Se riconosci quello che osservi, ecco di
nuovo che sperimenti quello che sai.
Non so cosa sia che spinga una persona verso il proprio stato naturale e non
un’altra. Forse è scritto nelle cellule. E’ senza causa. Non è un atto di
volontà da parte tua, non puoi farlo accadere. Puoi sicuramente aver sfiducia in
un uomo che ti racconta come ci è arrivato. Una cosa è sicura ed è che non può
conoscere se stesso e non può comunicartelo. La funzionalità del corpo sarà
diversa senza l’interferenza del pensiero eccetto quando è necessario comunicare
con qualcuno. Come in gergo pugilistico si suole dire: “devi gettare la spugna”,
devi essere totalmente impotente. Nessuno ti può aiutare e nemmeno tu lo puoi.
Questo stato non ti interessa: tu sei solo interessato alla continuità. Vuoi
continuare, forse ad un livello diverso e funzionare in altre dimensioni, ma
devi pur continuare in qualche modo. Non lo prenderesti nemmeno con una pertica.
Questo liquiderebbe quello che chiami “io” tutto quanto, il superiore,
l’inferiore, l’anima, l’atman, il conscio ed il subconscio, tutto quanto. Arrivi
ad un certo punto e dici: “Ho bisogno di tempo” ed ecco la sadhana (pratica
religiosa) e poi dici anche “Domani capirò “. La struttura è nata dal tempo e
funziona nel tempo, ma non finisce per mezzo del tempo. Se non capisci ora,
non capirai domani. Cosa c’è da capire? Non puoi capire quello che sto dicendo.
E’ un esercizio futile da parte tua, paragonare il mio modo di funzionare con il
tuo. Non posso comunicarlo, non è necessario e tanto meno un dialogo. Quando l’
“io” non c’è, quando la domanda non c’è, quello che rimane è la comprensione.
Sei finito. Te ne vai. Non andrai più da nessuno che descriva il suo stato o a
far domande sulla comprensione.
Quello che cerchi non esiste. Ti piacerebbe calpestare un suolo incantato con
visioni beatifiche di una trasformazione di un ego inesistente, verso uno stato
evocato da frasi che ti affascinano. Questo invece ti porta lontano dal tuo
stato naturale – è un movimento che ti allontana da te stesso. Essere se stesso
richiede grande intelligenza. Tu sei “benedetto” da questa intelligenza: nessuno
può dartela e nessuno te la può togliere. Colui che le permette di esprimersi è
un uomo naturale.
Domanda: Questo stato lei lo chiama “calamità”?
U.G.:Vedi, la gente crede che la cosiddetta “illuminazione” o
realizzazione o come vuoi chiamarla, (non mi piacciono quelle parole) sia
qualcosa di estatico, che ti renda per sempre felice, uno stato di beatitudine
tutto il tempo – ecco cosa s’immagina la gente. Quando però una cosa del genere
capita a qualcuno, egli realizza che non c’è alcuna base per una simile cosa.
Quindi dal punto di vista dell’uomo che si aspetta una felicità perenne, una
beatitudine eterna o quello che vuoi di permanente, è una calamità. Perché egli
prevede un certo avvenimento, mentre quello che gli succede non ha niente a che
fare con esso. Non c’è alcuna relazione tra quello che immagina e la situazione
che c’è. Quindi dal punto di vista dell’uomo che si aspetta qualcosa di
permanente, è una calamità – è in quel senso che io uso quella parola. Ecco
perché dico spesso che se io potessi darti solo una vaga idea di cosa si tratta,
non lo toccheresti neanche con una pertica di 4 metri. Fuggiresti da questo
stato perché non è quello che vuoi. Quello che vuoi non esiste, lo vedi.
Allora la domanda seguente è:”Allora perché tutti quei saggi parlano di
“beatitudine perenne”, di “vita eterna” ecc. ecc. ? Non sono interessato a tutto
questo. Ma l’immagine che hai di quello, non ha alcuna relazione con quello di
cui sto parlando, lo stato naturale. Quindi la domanda se qualcuno è
illuminato o meno, non m’interessa perché non esiste affatto l’illuminazione.