"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
"Ora che Genaro ha quasi fatto l'uovo forse
ti racconterà del suo primo incontro con l'alleato", insisté don Juan. «Forse», rispose don Genaro senza
interesse. Lo supplicai di raccontare. Don Genaro si alzò in piedi, si stirò
le braccia e la schiena e le sue ossa scricchiolarono. Poi si rimise a sedere. "Ero giovane quando ho affrontato per
la prima volta il mio alleato", disse alla fine. "Ricordo che era presto nel
pomeriggio. Ero nei campi dall'alba e stavo tornando a casa. A un tratto
l'alleato uscì da dietro un cespuglio e mi sbarrò la strada, mi era stato ad
aspettare e mi invitava a lottare con lui. Mi preparai a voltargli le spalle per
andarmene, ma mi venne in mente che ero abbastanza forte per affrontarlo, però
avevo paura; un brivido mi corse per la spina dorsale e il collo mi diventò
rigido come un pezzo di legno. A proposito, questo è sempre il segno che sei
pronto, voglio dire, quando ti si indurisce il collo ". Si sbottonò la camicia e mi mostrò la
schiena. Irrigidì i muscoli del Collo, del dorso e delle braccia. Notai la sua
superba muscolatura. Era come se il ricordo dell'incontro avesse risvegliato
tutti i muscoli del suo torso. «In una simile situazione», continuò,
«devi sempre chiudere la bocca". Si volse a don Juan e disse: "Non è
così? ». «Sì», rispose calmo don Juan. "La
scossa dello scontro con l'alleato è così forte che ci si potrebbe staccare la
lingua con un morso o farsi saltare i denti. Il corpo deve essere diritto e ben
saldo e i piedi devono afferrare il terreno”.. Don Genaro si alzò in piedi e mi mostrò
la posizione giusta: il corpo leggermente flesso alle ginocchia e le mani
penzoloni ai fianchi con le dita appena ripiegate. Sembrava rilassato e tuttavia
ben saldo sul terreno. Rimase in quella posizione per un istante, e quando
pensai che stesse per mettersi a sedere guizzò improvvisamente in avanti con un
salto stupendo, come se avesse avuto delle molle attaccate ai talloni. Il suo
movimento fu così improvviso che ricaddi sulla schiena, ma mentre cadevo ebbi la
chiara impressione che don Genaro avesse afferrato un uomo, o qualcosa con la
forma di un uomo. Mi ritirai su a sedere. Don Genaro
conservava ancora una tremenda tensione in tutto il corpo, poi rilassò
bruscamente i muscoli e si rimise seduto al suo posto. "Carlos ha appena visto il tuo alleato,
proprio ora», osservò don Juan in tono indifferente, «ma è ancora debole ed è
caduto». "Davvero?»,'mi chiese don Genaro con
aria ingenua dilatando le narici. Don Juan lo assicurò che l'avevo visto. Don Genaro balzò ancora in avanti con
una tale forza che io caddi sul fianco. Aveva eseguito il suo salto così
rapidamente che non riuscivo davvero a capire come avesse fatto a balzare in
piedi a quel modo da seduto per proiettarsi in avanti. Scoppiarono tutti e due a ridere
rumorosamente e quindi don Genaro cambiò la sua risata in un ululato
indistinguibile da quello di un coyote. "Non pensare che per affrontare il tuo
alleato dovrai balzare bene come Genaro", mi disse don Juan in tono di
avvertimento. «Genaro salta così bene perché ha il suo alleato che lo aiuta.
Tutto quello che devi fare è restare ben saldo sul terreno per sostenere l'urto.
Devi stare in piedi proprio nella posizione in cui era Genaro prima di saltare,
poi devi balzare in avanti e afferrare l’alleato». «Prima deve baciare il suo medaglione»,
interloquì don Genaro. Don Juan, con finta severità, disse che
non avevo medaglioni. "E i suoi taccuini?", insisté don
Genaro. «Deve fare qualcosa dei suoi taccuini; li deve posare da qualche parte
prima di saltare, altrimenti potrebbe usarli per picchiare l’alleato". “Accidenti!", esclamò don Juan in tono
di sorpresa apparentemente genuino. «Non ci avevo mai pensato. Scommetto che
sarebbe la prima volta che un alleato è buttato a terra con un taccuino». Quando le risate di. don Juan e
l'ululato da coyote di don Genaro si placarono eravamo tutti di ottimo umore. "Che è successo quando avete afferrato
il vostro alleato, don Genaro? », chiesi. "È stata una scossa molto forte», disse
don Genaro dopo un momento di esitazione. Sembrava che avesse esitato per dare
ordine ai suoi pensieri. «Non avevo mai immaginato che sarebbe
stata una cosa simile», proseguì. « È stato qualcosa, qualcosa, qualcosa... che
non riesco a dire. Dopo che l'ho afferrato abbiamo incominciato a girare.
L'alleato mi ha fatto roteare, ma io non l'ho lasciato andare. Abbiamo girato
per l'aria con una tale velocità e forza che non riuscivo più a vedere niente,
tutto era offuscato. Abbiamo continuato a girare ancora, ancora, ancora. A un
tratto ho sentito che ero di nuovo coi piedi per terra. Mi sono guardato:
l'alleato non mi aveva ucciso, ero tutto di un pezzo, ero me stesso! Allora ho
saputo che ero riuscito, finalmente avevo un alleato. Mi sono messo a saltare
per la felicità. Che sensazione! Che sensazione era quella! «Poi ho guardato in giro per sapere
dove ero. I dintorni mi erano sconosciuti. Pensai che l'alleato mi avesse
trasportato per aria e lasciato cadere molto lontano da dove avevamo
incominciato a girare. Mi orientai, pensai che la mia casa dovesse essere a est,
perciò mi avviai in quella direzione. Era ancora presto, l'incontro con
l'alleato non era stato troppo lungo. Quasi subito trovai un sentiero e vidi un
gruppo di uomini e donne venire verso di me. Erano indiani, pensai che fossero
indiani mazatec. Mi circondarono e mi chiesero dove andavo. “Torno a casa a
Ixtlan”, risposi. “Ti sei perduto?”, chiese uno. “Sì”, risposi, “perché?”.
“Perché ixtlan non è da quella parte, è nella direzione opposta. Ci andiamo
anche noi”, disse un altro. “Vieni con noi”, dissero tutti. “Abbiamo del cibo!” Don Genaro si interruppe e mi guardò
come se aspettasse una mia domanda. «E allora, che è successo?», chiesi.
"Siete andato con loro?». «No, non ci sono andato», rispose.
"Perché non erano reali. L'ho saputo nell'istante in cui mi sono venuti
incontro. Nella loro voce, nel loro atteggiamento amichevole, c'era qualcosa che
li tradiva, specialmente quando mi hanno offerto di andare con loro. Perciò sono
fuggito. Mi hanno chiamato e supplicato di tornare. Le loro invocazioni
diventavano ossessionanti, ma continuai a fuggire». "Chi erano?", chiesi. «Gente", rispose seccamente don Genaro.
«Tranne che non erano reali ". "Erano come apparizioni", spiegò don
Juan, "come fantasmi". «Dopo aver camminato per un pò",
riprese don Genaro, «acquistai più fiducia. Sapevo che Ixtlan era nella mia
direzione. E quindi vidi due uomini venire verso di me per il sentiero, anche
loro sembravano indiani mazatec. Avevano un asino carico di legna da ardere.
Mentre mi passarono accanto borbottarono “Buon pomeriggio”. “Buon pomeriggio”, risposi continuando
a camminare. Non mi fecero caso e se ne andarono per la loro strada. Rallentai
il passo e mi girai casualmente a guardarli. Si allontanavano senza curarsi di
me, sembravano reali. Li rincorsi urlando: 'Aspettate! Aspettate!'. «Trattennero l'asino e si fermarono ai
due lati dell'animale, come per proteggere il carico. "Mi sono perduto in queste montagne”,
dissi loro. “Da che parte è lxtlan”?. Indicarono nella loro direzione. “Sei
molto distante”, disse uno di loro. “ È dall'altra parte di queste montagne. Ti
ci vorranno quattro o cinque giorni per arrivarci”. Poi si voltarono e ripresero
a camminare. Sentii che erano indiani veri e li pregai di lasciarmi andare con
loro. «Camminammo insieme per un po' e quindi
uno di loro prese il fagotto del cibo e me ne offrì. Rimasi impietrito. Nel modo
in cui mi avevano offerto il cibo c'era qualcosa di terribilmente strano. Il mio
corpo si era spaventato, perciò balzai indietro e incominciai a fuggire. I due
mi dissero che se non andavo con loro sarei morto sulle montagne e cercarono di
esortarmi a seguirli. Anche le loro suppliche erano molto assillanti, ma fuggii
con tutte le mie forze. «Continuai a camminare. Sapevo di
essere nella direzione giusta per Ixtlan e che quei fantasmi cercavano di
attirarmi fuori della mia strada. «Ne incontrai otto; dovevano aver
saputo che la mia determinazione era incrollabile. Restavano sul fianco della
strada e mi guardavano con occhi imploranti. Molti di loro non dicevano una
parola; le loro donne, invece, erano più audaci e mi supplicavano. Alcuni
mostrarono anche del cibo e altre mercanzie che presumibilmente avrebbero dovuto
vendere, come innocui mercanti sul margine della strada. Non mi fermai e non li
guardai. «Nel tardo pomeriggio arrivai a una
valle che mi sembrò di riconoscere, aveva qualcosa di familiare. Pensai di
esserci già stato, ma se era così ero davvero a sud di Ixtlan. Incominciai a
cercare dei segni per orientarmi e correggere la mia direzione quando vidi un
ragazzetto indiano che pascolava le capre. Aveva forse sette anni ed era vestito
come me alla sua età, anzi mi ricordava me stesso quando pascolavo le due capre
di mio padre. "Lo osservai per un po'; il ragazzetto
parlava da solo, proprio come facevo io, poi parlò alle capre. Da quel che
sapevo sulle capre capivo che era veramente bravo: era preciso e attento, non
viziava le sue capre ma non era nemmeno crudele. "Decisi di chiamarlo. Quando gli parlai
a voce alta balzò in piedi, scappò su un ciglione e mi guardò da dietro alle
rocce. Sembrava pronto a fuggire disperatamente. Mi piacque, sembrava spaventato
e tuttavia trovava ancora il tempo di radunare le sue capre lontano dalla mia
vista.
"Gli parlai a lungo; dissi che mi ero perduto e non sapevo la strada per Ixtlan.
Gli chiesi il nome di quella località e rispose che era quella che pensavo.
Questo mi fece molto felice, capii che non ero più perduto e meditai sulla forza
che aveva dovuto avere il mio alleato per trasportare tutto il mio corpo così
lontano in meno di un batter d'occhio. «Ringraziai il ragazzetto e incominciai
ad allontanarmi. Il ragazzo uscì dal suo nascondiglio e radunò le capre in un
sentiero quasi invisibile. Il sentiero sembrava condurre giù nella valle.
Chiamai il ragazzo che non fuggì. Mi avviai verso di lui ma quando gli arrivai
molto vicino saltò nei cespugli. Lo elogiai per la sua cautela e incominciai a
interrogarlo. "Dove porta questo sentiero?”, chiesi.
“Giù”, rispose. “Dove vivi?”. “Laggiù”.”Ci sono molte case laggiù”?. “No, solo
una”. “Dove sono le altre case?”. Il ragazzo indicò l'altro lato della valle con
indifferenza, come fanno i ragazzi della sua età. Poi si incamminò giù per il
sentiero con le sue capre. "Aspetta”, gli dissi. “Sono molto
stanco e ho fame, portami dai tuoi”. "Non ho nessuno”, rispose, e le sue,
parole mi fecero sobbalzare. Non so perché, ma la sua voce mi fece esitare. Il
ragazzetto, notando la mia esitazione, si fermò e mi parlò. 'In casa mia non c'è
nessuno”, disse. “Mio zio è andato via e sua moglie è nei campi. C'è molto cibo,
moltissimo. Vieni con me”. "Mi sentii quasi triste, anche il
ragazzetto era un fantasma. Il tono della voce e la sua premura l'avevano
tradito. I fantasmi erano là intorno per prendermi ma io non, avevo paura. Ero
ancora intorpidito dall'incontro con l'alleato. Volevo arrabbiarmi con l'alleato
o coi fantasmi, ma non so come non mi riusciva di andare in collera come al
solito, perciò rinunciai. Allora volli sentirmi triste, perché il ragazzetto mi
era piaciuto, ma non ci riuscii, perciò rinunciai anche a quello. «Improvvisamente mi resi conto che
avevo un alleato e i fantasmi non potevano farmi nulla. Seguii il ragazzetto giù
per il sentiero. Altri fantasmi stavano in agguato e cercarono di farmi cadere
nei precipizi, ma la mia volontà era più forte di loro. Dovevano averlo sentito,
perché smisero di molestarmi. Dopo un po' si limitarono a piazzarsi sul mio
sentiero; di quando in quando qualcuno di loro balzava verso di me, ma lo
fermavo con la mia volontà. E allora smisero completamente di infastidirmi». Don Genaro rimase a lungo in silenzio. Don Juan mi guardò. "Che è successo poi, don Genaro?»,
chiesi. «Ho continuato a camminare", dichiarò. Sembrava che avesse terminato la sua
storia, che non ci fosse più nulla da aggiungere. Gli chiesi perché il fatto che gli
offrissero cibo gli aveva fatto capire che si trattava di fantasmi.
Non rispose. Lo interrogai ulteriormente chiedendo se era costume degli indiani
mazatec negare di avere cibo, o interessarsi pesantemente di questioni di cibo.
Disse che l'aveva capito dal tono delle voci, dalla loro premura nell'attirarlo
e dal modo in cui i fantasmi parlavano del cibo; e che lo sapeva perché il suo
alleato lo aiutava. Affermò che da solo non avrebbe mai notato quella
particolarità. «Quei fantasmi erano alleati, don
Genaro?», chiesi. «No. Erano gente». «Gente? Ma se avete detto che erano
fantasmi". "Ho detto che non erano più reali. Dopo
il mio incontro con l'alleato nulla era più reale». Rimanemmo a lungo in silenzio. "Qual è stato il risultato finale di
quell'esperienza, don Genaro?", domandai alla fine. "Risultato finale?» «Voglio dire, come e quando siete
finalmente arrivato a Ixtlan?». Scoppiarono tutti e due a ridere
contemporaneamente. «Così per te quello sarebbe il
risultato finale», osservò don Juan. "Allora diciamo così: nel viaggio di Genaro
non c'era nessun risultato finale, non ci sarà mai nessun risultato finale,
Genaro è ancora in viaggio per Ixtlan!». Don Genaro mi lanciò uno sguardo
penetrante e girò il capo per guardare in lontananza, verso sud. «Non arriverò mai a lxtlan», disse. La sua voce era ferma ma lieve, quasi
un mormorio. "Eppure nei miei pensieri... nei miei
pensieri qualche volta sento che mi manca solo un passo per arrivarci. Ma non ci
arriverò mai. Nel mio viaggio non trovo nemmeno i segni familiari che sono
abituato a riconoscere. Nulla è più lo stesso». Don Juan e don Genaro si guardarono,
nei loro occhi c'era qualcosa di triste. "Nel mio viaggio a Ixtlan incontro solo
fantasmi viaggiatori", disse don Genaro sottovoce. Guardai don Juan, non avevo capito
quello che aveva voluto dire don Genaro. "Tutti coloro che Genaro incontra nel
suo viaggio verso Ixtlan sono soltanto esseri effimeri», spiegò don Juan. «Tu,
per esempio, tu sei un fantasma. I tuoi sentimenti e la tua premura sono quelli
della gente. Per questo Genaro dice che nel suo viaggio verso Ixtlan incontra
solo fantasmi viaggiatori». Improvvisamente capii che il viaggio di
don Genaro era una metafora. «Allora il vostro viaggio a Ixtlan non
è reale», dissi. "È reale!», interloquì don Genaro. «”I
viaggiatori non sono reali”. Indicò don Juan con un cenno del capo e
disse enfaticamente: «Lui è il solo che è reale. Il mondo è reale solo quando
sono con lui. Don Juan sorrise. «Genaro ha raccontato la sua storia a
te», disse, "perché ieri tu hai fermato il mondo, e perché pensa anche che hai
visto, ma sei un tale sciocco che non lo sai nemmeno tu. Continuo a dirgli che
sei strano e che presto o tardi vedrai. In ogni caso, nel tuo prossimo incontro,
se per te ci sarà una seconda volta, dovrai lottare con l'alleato e domarlo. Se
sopravvivi alla scossa, e ne sono sicuro perché sei forte e vivi come un
guerriero, ti ritroverai vivo in un paese sconosciuto. Allora, come è naturale
per tutti noi, la prima cosa che vorrai fare sarà prendere la via del ritorno a
Los Angeles, ma non c'è via di ritorno a Los Angeles. Quello che hai lasciato là
è perduto per sempre. Allora, naturalmente, sarai uno stregone, ma non avrà
importanza; in un momento come quello l'importante per tutti noi è il fatto che
tutto ciò che amiamo, odiamo o desideriamo è rimasto alle nostre spalle.
Tuttavia i sentimenti di un uomo non muoiono né cambiano, e lo stregone prende
la via del ritorno sapendo che non arriverà mai, sapendo che nessun potere sulla
terra, nemmeno la sua morte, lo porterà al posto, alle cose, alle persone che
amava. Questo ti ha detto Genaro». La spiegazione di don Juan fu come un
catalizzatore; l'intero peso della storia di don Genaro mi colpì all'improvviso
quando incominciai a collegare la sua storia alla mia vita. "E le persone che amo?», chiesi a don
Juan. "Che accadrebbe di loro? ». «Saranno tutte lasciate alle tue
spalle», rispose. «Ma non c'è un modo per ritrovarle?
Potrei recuperarle e portarle con me?". «No. Il tuo alleato girerà con te, con
te soltanto, in mondi sconosciuti". "Ma potrei tornare a Los Angeles, non è
vero? Potrei prender l'autobus o l'aeroplano e andarci. Los Angeles sarebbe
ancora lì, non è vero? ». «Sicuro», rispose don Juan ridendo. «E
anche Manteca e Temecula e Tucson ». «E Tecate», aggiunse don Genaro con
grande serietà. "E Piedras Negras e Tranquitas», disse
don Juan sorridendo. Don Genaro aggiunse altri nomi e così
fece don Juan, e tutti e due si misero a enumerare una serie di nomi di città e
cittadine tra i più ridicoli e incredibili. «Quando girerai con l'alleato cambierai
la tua idea del mondo", disse don Juan. «Quell'idea è tutto, e quando cambia, il
mondo stesso cambia». Mi ricordò che una volta gli avevo
letto una poesia e volle che gliela recitassi. Me ne accennò qualche parola e
subito ricordai di avergli letto alcune poesie di Juan Ramon Jimenez. Quella che
intendeva in particolare don Juan si intitolava El Viaie Definitivo (Il viaggio
definitivo). La recitai.
... e me ne andrò. Ma gli uccelli
rimarranno, cantando: e il mio giardino rimarrà, col suo
albero verde, col suo pozzo d'acqua.
Molti pomeriggi i cieli saranno azzurri e
placidi,
e le campane sul campanile rintoccheranno
come rintoccano questo pomeriggio.
Le persone che mi hanno amato moriranno,
e ogni anno la città si rinnoverà. Ma il mio spirito vagherà sempre
nostalgico nello stesso recondito angolo del mio
giardino fiorito.
« È questo il sentimento di cui parla
Genaro», disse don Juan. "Per diventare uno stregone un uomo deve essere
appassionato. Un uomo appassionato ha sulla terra cose che gli appartengono e
cose che gli sono care, se non altro il sentiero che percorre.
«Nella sua storia Genaro ti ha detto
precisamente questo. Genaro ha lasciato la sua passione a Ixtlan: la sua casa,
la sua gente, tutte le cose a cui teneva. E ora vaga nei suoi sentimenti; e
qualche volta, come ha detto, quasi arriva a Ixtlan. Tutti noi l'abbiamo in
comune: per Genaro è Ixtlan, per te sarà Los Angeles, per me ... ».
Non volevo che don Juan mi dicesse di se
stesso e lui si interruppe come se mi avesse letto nel pensiero. Don Genaro singhiozzò e parafrasò i
primi versi della poesia. «Sono andato via. E gli uccelli sono
rimasti, cantando». Per un istante sentii un'indescrivibile
ondata di agonia e solitudine avvolgerci tutti e tre. Guardai don Genaro e seppi
che, essendo un uomo appassionato, doveva aver avuto nel suo cuore tanti legami,
tante cose a cui teneva e che aveva abbandonato. Ebbi la chiara sensazione che
in quel momento la forza della sua rievocazione stesse per franare e don Genaro
fosse lì lì per scoppiare in lacrime. Distolsi gli occhi in fretta. La
passione di don Genaro, la sua suprema solitudine, mi facevano piangere. Guardai don Juan, mi fissava. . «Si può sopravvivere sul sentiero della
conoscenza solo vivendo come un guerriero», disse. « “Perché l'arte del
guerriero consiste nell'equilibrare il terrore dell'esser uomo con la meraviglia
dell'esser uomo”!.. Li guardai fisso tutti e due, uno alla
volta. I loro occhi erano limpidi e calmi. Avevano evocato una marea di
nostalgia opprimente, e quando sembrava che fossero sul punto di scoppiare in
lacrime appassionate ne avevano trattenuto l'ondata. Per un istante pensai di
vedere. Vidi la solitudine dell'uomo come un'onda gigantesca pietrificata di
fronte a me, trattenuta dal muro irresistibile di una metafora. La mia tristezza era così prepotente
che mi sentii euforico, li abbracciai. Don Genaro sorrise e si alzò in piedi.
Anche don Juan si alzò e mi posò delicatamente la mano sulla spalla. "Ti lasciamo qui», disse. «Fai quello
che pensi sia giusto. L'alleato ti aspetterà al limite di quella pianura». Indicò una buia valle in lontananza. "Ma se non senti che è la tua ora, non
andare all'appuntamento», continuò. «Non si guadagna nulla forzando le cose. Se
vuoi sopravvivere devi essere limpido come il cristallo e mortalmente sicuro di
te". Don Juan si allontanò senza guardarmi,
ma don Genaro si voltò un paio di volte e ammiccando e muovendo il capo mi
incitò ad andare avanti. Li guardai finché scomparvero in lontananza, poi mi
avviai verso la macchina, misi in moto e me ne andai. Sapevo che non era ancora
la mia ora.