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Vivere senza sforzo (Jiddu Krishnamurti)
Per la maggior parte di noi, tutta la vita si basa su uno sforzo, su una forma o l'altra di volizione. Non riusciamo a concepire un'azione senza volizione, senza sforzo. La nostra vita sociale, economica, e quella cosiddetta spirituale consistono in una serie di azioni finalizzate, che culminano sempre in certi risultati. E noi pensiamo dunque che uno sforzo sia essenziale, indispensabile. Ma cosa ci spinge a fare sforzi? Non è forse, in parole povere, il desiderio di conseguire un risultato, di diventare qualcosa, di raggiungere un obiettivo? Se non ci impegniamo in qualcosa, temiamo di ristagnare. Abbiamo un'idea del fine che ci sforziamo costantemente di raggiungere; e quello sforzo è divenuto parte della nostra vita. Se vogliamo trasformare noi stessi, se desideriamo produrre in noi un cambiamento radicale, facciamo uno sforzo tremendo per eliminare le vecchie abitudini, per resistere alle influenze solite dell'ambiente circostante e così via. Dunque, siamo abituati a questa serie di sforzi allo scopo di trovare o raggiungere qualcosa, anzi, più in generale, allo scopo di vivere. Ma un simile sforzo non è forse tutto frutto dell'attività del sé? Non è forse lo sforzo un'attività egocentrica? Se lo sforzo nasce dal centro del sé, finisce inevitabilmente per produrre ulteriore conflitto, confusione, infelicità. E tuttavia, continuiamo a fare uno sforzo dopo l'altro. Pochissimi tra noi si rendono conto del fatto che l'attività egocentrica propria dello sforzo non serve a risolvere alcun problema; al contrario, acuisce la nostra confusione, infelicità, sofferenza. Sappiamo che è così, eppure continuiamo a sperare di riuscire in qualche modo a superare l'attività egocentrica insita nello sforzo, l'azione della volontà. Credo che comprenderemo il significato della vita se comprendiamo cosa significa fare uno sforzo. Attraverso lo sforzo si realizza forse la felicità? Avete mai provato a essere felici? E' impossibile, non è così? Ci si sforza di essere felici, ma la felicità non arriva mai. La gioia non si ottiene sopprimendo, controllando o soddisfacendo i desideri. Potete dare libero sfogo ai vostri desideri' ma alla fine resta l'amarezza.
Potete sopprimerli o tenerli sotto controllo,
ma il conflitto è sempre in agguato. Ma possono l'amore e la comprensione nascere dal conflitto? Credo sia molto importante chiarire cosa intendiamo per lotta, conflitto o sforzo.
Lo sforzo non costituisce forse una lotta per
cambiare ciò che è in ciò che non è, oppure in ciò che dovrebbe essere o
dovrebbe diventare? In altri termini, lottiamo costantemente per evitare di
affrontare ciò che è, o cerchiamo di allontanarcene, oppure ci sforziamo di
trasformarlo o modificarlo. Un individuo veramente contento è colui che
comprende ciò che è e attribuisce ad esso il giusto significato. Quella è la
vera letizia; non dipende dal possesso di un numero maggiore o minore di
oggetti, ma dalla comprensione totale del significato di ciò che è; e ciò si può
verificare soltanto quando si riconosce ciò che è, quando se ne è consapevoli,
non quando si cerca di modificarlo o cambiarlo. Sto parlando soltanto di quella lotta che è psicologica e che finisce sempre per prevalere sulle questioni tecniche. Si può edificare con la massima cura una splendida società, utilizzando le infinite conoscenze che la scienza ci ha fornito. Ma fin tanto che il conflitto e la lotta psicologici non vengono compresi, e le implicazioni e le dinamiche psicologiche non vengono superate, la struttura della società è destinata a crollare, come è accaduto più volte nel corso della storia. Lo sforzo è una distrazione da ciò che è. Nel momento in cui accetto ciò che è, la lotta cessa. Qualunque forma di lotta o di conflitto è sintomo di distrazione; e la distrazione, che si identifica con lo sforzo, sussiste inevitabilmente fin tanto che psicologicamente coltivo il desiderio di trasformare ciò che è in qualcosa di diverso. Innanzitutto dobbiamo essere liberi di percepire il fatto che la gioia e la felicità non si realizzano mediante uno sforzo. La creazione nasce dallo sforzo o piuttosto dalla cessazione dello sforzo? Quand'è che si scrive, si dipinge o si canta? Quand'è che si crea? Non c'è dubbio: quando non ci si sforza di farlo, quando si è completamente aperti, quando a tutti i livelli si è in comunicazione totale, completamente integrati. Solo allora c'è gioia e si può dunque cantare o comporre una poesia o dipingere o dare forma a qualcosa. Il momento della creazione non nasce dalla lotta. Forse, se afferriamo la questione della creatività, saremo in grado di comprendere cosa intendiamo per sforzo. La creatività è il risultato di uno sforzo? Siamo consapevoli nei momenti in cui siamo creativi? Oppure la creatività è una sensazione di totale dimenticanza di sé, quella che si prova quando non c'è tumulto, quando si è del tutto inconsapevoli del movimento del pensiero, quando c'è solo completezza, pienezza, ricchezza dell'essere? E' tale stato il frutto di un travaglio, una lotta, un conflitto, uno sforzo? Non so se avete mai notato che, quando si fa qualcosa con facilità, rapidamente, non c'è sforzo, ogni traccia di lotta è assente; ma poiché le nostre vite sono per lo più una sequenza di battaglie, conflitti e lotte, non riusciamo a immaginare una vita, uno stato dell'essere, in cui ogni contrasto sia pienamente acquietato.
Per comprendere questo stato dell'essere
privo di contrasti, questo stato di esistenza creativa, è certo che bisogna
esaminare l'intero problema dello sforzo. Per sforzo intendiamo la lotta per
autorealizzarsi, per diventare qualcosa, non è così? Sono questo e voglio
diventare quello; non sono quello, e voglio diventarlo. Nel diventare "quello" è
implicito il contrasto, la battaglia, il conflitto, la lotta. In questa lotta la
nostra preoccupazione principale è, inevitabilmente, l'autorealizzazione
attraverso il conseguimento di un fine; noi la cerchiamo in un oggetto, in una
persona, in un'idea, e ciò richiede una costante battaglia, lo sforzo di
diventare, di realizzare. Dunque, lo sforzo ci appare inevitabile; ma mi chiedo
se lo sia davvero: è proprio inevitabile lottare per diventare qualcosa? Da cosa
ha origine tale lotta? Dovunque ci sia desiderio di autorealizzazione, in
qualunque misura e a qualunque livello, c'è, per forza di cose, lotta. Ma cosa succede se non si fa alcuno sforzo per fuggire? Si vive con quella solitudine, quel vuoto; e nell'accettare il vuoto si scopre che ciò fa emergere uno stato creativo che non ha nulla a che fare con la lotta, con lo sforzo. Lo sforzo sussiste solo fin tanto che cerchiamo di evitare la solitudine, il vuoto interiore, ma quando ci soffermiamo a osservare tale solitudine, quando accettiamo ciò che è senza evitarlo, scopriamo che a quel punto si realizza uno stato dell'essere in cui ogni contrasto è pienamente acquietato, uno stato che è creatività, e non il risultato di una lotta. Quando si ha comprensione di ciò che è - il vuoto, l'inadeguatezza interiore - , quando si vive con quella inadeguatezza e la si comprende appieno, ecco realizzarsi la realtà creativa, l'intelligenza creativa che sola porta felicità. Perciò l'azione, così come la conosciamo, è in realtà reazione, un divenire incessante che è negazione, evitamento di ciò che è. Ma quando si ha consapevolezza del vuoto senza alternative, senza condannare o giustificare, allora nella comprensione di ciò che è ecco realizzarsi l'azione, e tale azione è l'essere creativo. Comprenderete questo se avrete consapevolezza di voi stessi in azione. Osservatevi mentre agite, non solo esternamente seguite il movimento dei vostri pensieri e sentimenti Quando avrete raggiunto la consapevolezza di tale movimento, vi accorgerete che il processo di pensiero, che comprende anche sentimento e azione, si basa su un'idea di divenire. Questa sorge soltanto quando c'è un senso di insicurezza, che a sua volta emerge quando si è consapevoli del vuoto interiore. Se siete consapevoli dei processi del pensiero e del sentimento, vi accorgerete che c'è una costante battaglia in corso, uno sforzo per cambiare, per trasformare, per alterare ciò che è. E' questo lo sforzo per diventare qualcosa, e diventare qualcosa è un tentativo diretto di evitare ciò che è. Attraverso l'autoconoscenza, attraverso la costante consapevolezza, scoprirete che la lotta, la battaglia, il conflitto del diventare, conducono al dolore, alla sofferenza e all'ignoranza. Solo se siete consapevoli della vostra inadeguatezza interiore e convivete con essa senza infingimenti, accettandola pienamente, scoprirete una straordinaria tranquillità, una tranquillità che non è costruita, artificiale, ma che accompagna la comprensione di ciò che è. Solo in quello stato di tranquillità c'è l'essere creativo.
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