"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Ogni epoca ha visto nascere, tra le pieghe della sua
storia, alcuni uomini straordinari a cui l’esistenza ha dato il compito di far
compiere un balzo alla consapevolezza e all’evoluzione generale, ed ogni volta
questi uomini vengono mitizzati proprio per l’impulso di novità che apre
nuovi spazi alla coscienza umana. George Ivanovitch Gurdjieff è sicuramente uno
di questi uomini strordinari. Provate a pensare all’effetto che poteva
produrre, agli inizi del 900, incontrare un uomo al di fuori dagli schemi di
pensiero corrente, ma decisamente attivo e carismatico. Se un qualsiasi uomo del
2000 tornasse in quell’epoca, incontrerebbe persone spesso molto semplici, con
un livello di suggestionabilità altissimo, che gli permetterebbe di muoversi ed
arricchirsi con estrema facilità, e proprio questo accadde a Gurdjieff che era
fuori dagli schemi morali dell’epoca. Gurdjieff era un uomo evoluto, che
attraverso l’esplorazione e l’esperienza in varie culture era uscito dagli
schemi che normalmente ingabbiano gli esseri umani. L’uomo è come un foglio
bianco, su cui l’ambiente, la società incidono delle linee precise. Sul
foglio di Gurdjieff vi erano sicuramente molte incisioni e soprattutto lui ne
era divenuto il responsabile consapevole. Per l’uomo della strada il Maestro
(colui che è “risvegliato”) deve rispecchiare un canone: essere un puro, un
asceta al di sopra delle tentazioni di questo mondo, soffrire in miseria ecc..
ecc... Per molti il Maestro è uno schermo dove proiettare automaticamente tutte
le aspettative e le angosce. Se pensassimo di vedere Gurdjieff quasi come un
santo-asceta commetteremmo un errore madornale. Quando Gurdjieff arriva nell’
occidente della Russia Imperiale la rivoluzione è già nell’aria, c’è
sentore di cambiamento e di trasformazione. Egli non ha assolutamente scrupoli
nello sfruttare questi uomini inconsapevoli per procurarsi agi e ricchezze,
“come rubare le caramelle ad un bimbo addormentato”. Mi piace pensare a
Gurdjieff come ad un uomo che lungo il suo viaggio di consapevolezza si
risveglia in un mondo che dorme e in maniera unica, senza retorica ne moralismi
cerca di svegliarlo in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo. Egli era Maestro di
se stesso, ed era divenuto inevitabilmente portatore di consapevolezza. Forse
non è stato un caso che G. nascesse nel 1866 (?) ad Alexandropol nell’Armenia
Russa, in uno di quegli spazi di contatto e di attrito tra varie religiosità,
sia orientali che occidentali, dove culture diverse si mischiavano nel commercio
e nelle guerre, una zona di frontiera, dove un padre prudente non registrava la
nascita del proprio figlio. Il padre Ioannas Giorgiades era un ricco allevatore,
ma anche un “ashok” poeta-bardo che amava raccontare uno straordinario
repertorio di miti e leggende tramandate da generazioni, era anche un uomo duro,
consapevole che il suo primogenito doveva sopravvivere in un ambiente duro,
ostile, dove il debole facilmente soccombeva. L’infanzia di Gurdjieff dovette
essere decisamente dura, in inverno veniva svegliato all’alba, doveva lavarsi
all’aperto con acqua gelida e correre nudo, in estate invece per abituarlo ad
essere sempre attento e vigile gli si facevano maneggiare dei serpenti; neanche
il sonno era per lui un rifugio visto che veniva spesso svegliato nel cuore
della notte. Il periodo della sua formazione sino all’età di 19 anni lo vede
dibattersi in un ambiente culturale intriso di contraddizioni. Per molti anni
egli è influenzato dal suo tutore il decano Borsh, con cui studia medicina e
ingegneria. Cristianesimo e Islamismo, progresso occidentale e tradizionalismo
orientale, intrighi politici e idealismo liberale, raziocinio ed eventi
paranormali, è in questo coacerbo di culture che la mente particolarmente
attenta di George Ivanovitch comincia a farsi delle domande; che significato vi
è in tutta la creazione? Che connessioni vi sono tra gli strati di vita
organica su questo pianeta e le forze planetarie e universali? L’uomo è un
caso della creazione, oppure questa sua complessità unica e queste sue
straordinarie potenzialità latenti gli danno un ruolo unico e insospettato in
questa dinamica evolutiva? Forse da questo inizia l’avventura Gurdjieff o
forse all’inizio a spingerlo furono le aspettative di un giovane intelligente
che voleva “vivere” e non rimanere intrappolato nella miseria che a quei
tempi faceva ovunque parte della quotidianità. Dall’estate del 1885 si può
decisamente dire che Gurdjieff inizia il suo cammino iniziatico di Ricercatore.
Siamo ancora in una fase storica in cui molte antiche conoscenze, ancora a
portata di mano, erano spesso sottovalutate e non sfruttate. Il suo viaggio di
ricerca inizia a Costantinopoli per studiare i dervisci Mevlevi e Bektaschi. Con
altri compagni di viaggio, scavando “casualmente” tra le rovine
dell’antica città di Ani, trovano le tracce della scuola esoterica di
saggezza chiamata “La Confraternita di Sarmoung” ipoteticamente sviluppatesi
nel 2500 a.C. in Babilonia. Nel Kurdistan scoprono una mappa dell’ Egitto
pre-sabbia, poi proseguono per Alessandria e Il Cairo. Visitano Tebe,
l’Abissinia e le rovine di Babilonia in Iraq. Nel periodo che va dal 1890 al
1910 grazie alla sua fenomenale capacità di sopravvivenza e probabilmente anche
con agganci politici, Gurdjieff viaggia in lungo e in largo per l’Asia
studiando e sperimentando, prima assieme ad un mitico gruppo di “cercatori
della Verità”, poi da solo. Studia nel ritrovato, dopo lunghe ricerche,
monastero di Sarmoung (da qui le famose Danze Sacre), esplora il deserto del
Gobi, studia la magia persiana e le tecniche ipnotiche. Non si fa certamente
scrupolo nel 1901 di diventare un agente dello Zar per entrare in Tibet, allora
zona di attrito tra due potenze imperialiste, quella Russa e quella Inglese,
probabilmente per trovare nuove discipline di consapevolezza, ma certamente
anche per trovare ricchezze e possibilità di guadagno in quei mitici territori
di cui all’epoca si parlava come la terra dell’oro. Troviamo Gurdjieff in
Tibet più volte e per lunghi periodi, era probabilmente in zona quando il 5
luglio del 1903 il colonnello Francis Younghusband la invade penetrando
dall’India. Assite al massacro dei Tibetani da parte degli Inglesi a Guru e
alla successiva conquista di Lhasa. La leggenda narra che in questi frangenti
assistendo alla morte di un Lama iniziato e quindi alla perdita di una
straordinaria saggezza, Gurdjieff decidesse di combattere la suggestionabilità
e l’isterismo delle masse che causano le guerre. Questa decisione non gli
impedisce comunque di continuare la sua vita decisamente violenta e di
imbattersi per ben tre volte “incidentalmente” in un proiettile. Durante
questi anni di ricerche non viene risparmiato, vista l’epoca, da alcune
pesanti malattie, non ultima l’idropisia che lo costringe ad andarsene dal
Tibet. Solo la sua tempra fortissima e l’uso cosciente delle proprie energie
gli permettono di sopravvivere. Molte altre volte durante la sua lunga esistenza
egli mette alla prova le sue capacità psicofisiche, come accade nel pauroso
incidente automobilistico occorsogli nell’estate del 1924 in Francia. Tutto si
può dire di Gurdjieff ma certamente non che fosse un santo, o per lo meno non
nell’accezione comune del termine. Era un uomo intelligente e sveglio, che in
maniera determinata aveva lavorato sulla propria consapevolezza attingendo da
varie tradizioni non rimanendo mai invischiato in una visione limitata, ma
utilizzando tutto in una visione complessa e armonica. Gurdjieff è stato
probabilmente il primo Ricercatore dell’era moderna a creare una sintesi tra
Oriente e Occidente. Egli era un uomo del nostro tempo, e dal suo “qui ed
ora” cominciò ad elaborare metodi per risvegliare l’essere umano dalla sua
meccanicità, per far riemergere nell’individuo potenzialità latenti. La sua
visione era decisamente in anticipo sul suo tempo, egli era spietatamente chiaro
nella sua analisi. Diceva: “non c’è progresso di nessun tipo... la forma
esterna cambia. L’essenza invece non cambia... La civiltà moderna è basata
sulla violenza, sulla schiavitù e sulle belle parole”. Parlava delle
popolazioni come di masse ipnotizzate, guidate da uomini ugualmente ipnotizzati
che hanno come occupazione principale la reciproca distruzione condizionati da
slogan assurdi. In questo stato di cose egli vedeva chiaramente l’inevitabilità
della guerra, tutti gli accordi, le utopie, le leghe di Nazioni i trattati di
pace, tutte le “soluzioni” trovate in superfice non avrebbero cambiato
nulla. Il vero cambiamento deve essere dato dalla trasformazione spirituale
dell’uomo, dal suo risveglio, dalla sua consapevolezza. Gurdjieff non amava i
compromessi, aveva una visione netta, non addolcita da false retoriche
sentimentali. Gurdjieff invita all’osservazione dell’Universo per quello che
è non per quello che si vuole o che si crede sia, e descrive le energie
cosmiche come un continuo processo di cambiamento e distruzione reciproca, un
principio universale ed inevitabile di mantenimento reciproco. Per Gurdjieff se
un uomo vive inconsapevolmente e meccanicamente la vita, la sua morte non sarà
altro che alimento meccanico di questo stato di cose; ma se lavora costantemente
alla sua consapevolezza, cercando il risveglio egli può liberarsi anche durante
la vita ed “elaborare un anima che può sopravvivere alla morte”. La scelta
è mangiare o essere mangiato. E’ la stessa tensione evolutiva presente in
grandi Maestri del passato come Buddha o Cristo, ma posta in maniera cruda ed
essenziale. Anche per Gurdjieff l’obbiettivo era lo stesso, ma il metodo
doveva essere per forza diverso unico e adatto all’uomo di quel periodo. I
veri Maestri sono così, essi trovano dei metodi adatti a quel momento, metodi
che devono per forza di cose essere innovativi. Non si può rimanere legati ad
un momento evolutivo di 2000 anni prima. La sintesi della sua ricerca lo aveva
fatto diventare inevitabilmente un Maestro quale che sia stata la molla
dell’inizio, egli si era trasformato lungo la strada, nell’alchimia della
coscienza, con la conoscenza. Da avventuriero l’esistenza lo aveva trasformato
in un uomo consapevole, in questa situazione diventa molto difficile far finta
di niente e non prendersi le proprie responsabilità; passare da una visione
limitata ad una universale crea decisamente qualche cambiamento in un essere
umano. A questo punto, con una consapevolezza formata ed una visione d’insieme
che pochi suoi contemporanei avevano, Georges Ivanovitch Gurdjieff arriva nel
1912 a Mosca ed inizia a sintetizzare e a divulgare queste sue conoscenze in un
sistema coesivo impiegando una terminologia originale e a suo modo scientifica,
dando informazioni sulla legge delle ottave e sulla tavola degli idrogeni.
Gurdjieff, è molto legato alla danza e alla musica, li vede come strumenti di
armonizzazione e consapevolezza, mette in scena infatti a Pietrogrado un suo
balletto “The struggle of the magicians”. Nell’istruzione dei suoi allievi
la danza avrà sempre un ruolo predominante, come mezzo per unire diversi
livelli di divisione interiore, le sue ricerche in oriente con i sufi e nel
monastero di Sarmough lo portano all’elaborazione di un metodo adatto ai suoi
contemporanei occidentali. Nel 1915 Gurdjieff incontra a Mosca Ouspensky. Un
incontro del destino. Ouspensky era uno uomo di grande cultura, uno scrittore
famoso, conosceva le lingue e fu indubbiamente un ottimo tramite per il pensiero
di Gurdjieff in occidente. Nel 1917 quando la rivoluzione bolscevica porta Lenin
al potere Gurdjieff si rifugia a Essentuki vicino al Mar Nero dove inizia a
sperimentare il suo “laboratorio di consapevolezza” con un ristretto circolo
di allievi. Qui si inizia a vedere la quintessenza del lavoro di Gurdjieff il
lavoro sull’attenzione quale sfida alla comprensione, il lavoro determinato e
consapevole del ricercatore su se stesso per uscire dall’automatismo e dalla
meccanicità. Egli direziona il lavoro sull’attenzione nel contesto di una
convincente fenomenologia della consapevolezza. Nel 1920 dopo incredibili
peripezie per sfuggire alla guerra civile, riesce ad imbarcarsi per
Costantinopoli e da qui inizia la grande opera di Gurdjieff in occidente, il 24
novembre tiene a Berlino la sua prima conferenza europea. Nel frattempo
Ouspensky in Inghilterra aveva divulgato, a suo modo, il lavoro di Gurdjieff
raccogliendo attorno a se numerosi allievi. Quando finalmente questi allievi
ebbero modo di incontrare Gurdjieff nel febbraio del 1922 nacque in alcuni di
loro un sentimento profondo nei confronti di questo Maestro, tanto che proprio
dall’Inghilterra arrivò un consistente aiuto economico che gli permise di
acquistare il suo luogo più famoso: la Prieuré des Basses Loges a
Fontainbleu-Avon, una grande tenuta. La Prieuré rappresenta un punto nevralgico
nella diffusione dei metodi Gurdjieffiani. La grande capacità di combinare
affari, anche al di fuori degli schemi tradizionali gli diede in qualche maniera
la possibilità di portare avanti il suo lavoro sulla consapevolezza; tutta la
vita di Gurdjieff è punteggiata di situazioni connesse al denaro. Alla Prieurè
fonda una grande Casa di Studi dove comincia un intenso lavoro sulle Danze Sacre
e sulla sperimentazione personalizzata dell’Attenzione con diversi allievi. In
questi anni prima della seconda guerra mondiale vissero e lavorarono accanto a
lui persone di tutti i tipi: c’erano artisti, scrittori, pittori, matematici,
filosofi, architetti, musicisti e gente semplice. Fece anche diversi viaggi
negli Stati Uniti, per procurarsi denaro fresco, ma anche per dare vita ad un
movimento di ricercatori molto aggressivo e costruttivo. La guerra lo coglie a
Parigi dove si è trasferito in un piccolo appartamento in Rue des Colonel Rènard
al numero 6, dopo aver perso tutto in varie vicende economiche. Si rifiuta di
abbandonare Parigi quando le truppe Tedesche la occupano. Durante
l’occupazione lasciato da solo, egli comincia a muoversi come in un mercato
Armeno, senza distinzione politica facendo affari con tutti. Lo vediamo
proliferare con il mercato nero, ed anche, grazie alle sue capacità, aiutare
tantissime persone in difficoltà. Nel piccolo appartamento di Gurdjieff, vi è
una dispensa fornitissima ed una intelligente raccolta di quadri. George.
Ivanovitch. Gurdjieff. muore il 29 ottobre 1949. Gli ultimi anni della sua vita
lo vedono come al solito molto attivo e propositivo, continua a riunire i suoi
allievi unendo quelli francesi agli inglesi e agli americani, acquista nuovi
spazi per la creazione di centri. In questi anni lavora molt , istruendo gruppi
di allievi con la danza, sia come metodo di risveglio per il danzatore che come
mezzo di trasmissione di conoscenza oggettiva.
Uno degli ultimi atti della vita di Gurdjieff e forse
l’apoteosi del suo lavoro furono “I racconti di Belzebù al suo piccolo
nipote”, un libro sintesi dei suoi insegnamenti, un messaggio contro
l’ipnosi di massa. Gurdjieff era consapevole della fragilità dei messaggi
lasciati alla libera interpretazione, ed anche della dinamica trasformazione
delle situazioni. Egli ha senza dubbio influenzato la cultura occidentale di
questo fine millennio, il suo messaggio è un seme per il risveglio cosciente
dell’uomo. Chi ama il messaggio di questo Maestro, deve far suo l’impulso
del ricercatore e lavorare con determinazione ed elasticità al proprio
risveglio, mantenendo desta la propria Attenzione nel “qui ed ora”.
Gurdijeff si definiva un Maestro di danza. La danza per
Gurdjieff non è solo una rappresentazione ma un insieme di movimenti sincronici
che davano all’esecutore uno strumento di conoscenza di attenzione, di
coscienza. Arte come mezzo per arrivare allo sviluppo armonioso dell’uomo. Le
Danze Sacre come tecniche di consapevolezza, attraverso il movimento per creare
un centro di coordinamento fra i vari livelli che compongono l’uomo: centro
fisico, intellettuale, emozionale. Lo scopo è creare un “centro di gravità
permanente” ed un linguaggio interiore che permettesse al
Danzatore-Ricercatore di sviluppare l’Attenzione. In alcuni movimenti il
centro di gravità è il corpo, per passare poi alla mente e al sentimento,
segue la mente e il corpo assieme, il corpo e il sentimento, sentimento, mente e
corpo. Il settimo movimento è il coordinamento di questi tre centri nello
sviluppo dell’attenzione alla meccanicità dell’uomo. I movimenti delle
danze sacre ed anche le musiche di accompagnamento ricalcano la dinamica delle
Leggi Universali. Esse racchiudono specifiche conoscenze, idee religiose e
filosofiche. Per riassumere, i movimenti delle danze hanno due precisi
obbiettivi: lo studio e lo sviluppo. Nelle danze che Gurdjieff mise in scena non
vi era il concetto di arte come la concepiamo normalmente, e cioè soggettiva, a
qualcuno può piacere e dare un’emozione a un altro produrre un effetto
diverso. Egli parlava di arte oggettiva, matematica, fatta per essere compresa
da tutti nella medesima maniera, a patto di conoscerne l’esatta chiave di
lettura.
Le danze e le musiche di Gurdjieff viste e ascoltate in
maniera inconsapevole sono di una noia mortale, trovandone la chiave di lettura
esse sono invece dei messaggi precisi, scritti attraverso la totalità
dell’essere umano per portare esecutore e spettatore alla consapevolezza.