INTERVISTA:
Domanda 1
L'immersione
totale nello schermo e nel computer del soggetto può implicare che la realtà
possa scomparire in un generico non-luogo?
Risposta
Sì, certo, la realtà è già scomparsa in certo modo, ma perché essa in fin
dei conti, non è mai altro che l'effetto di uno stimolo, di un modello. C'è
un modello di realtà, un principio di realtà, che è stato costruito e che si
può scomporre molto rapidamente. E' in effetti una sorta di costruzione
quella che si è sgretolata sotto la spinta delle tecnologie moderne, delle
nuove tecnologie in particolare. Ciò che viene chiamata la realtà virtuale
ha senza dubbio un carattere generale e in qualche modo ha assorbito, si è
sostituita alla realtà nella misura in cui nella virtualità tutto è il
risultato di un intervento, è oggetto di varie operazioni. Insomma tutto si
può realizzare di fatto, anche cose che in precedenza si opponevano l'una
all'altra: da una parte c'era il mondo reale, e dall'altra l'irrealtà,
l'immaginario, il sogno, eccetera. Nella dimensione virtuale tutto questo
viene assorbito in egual misura, tutto quanto viene realizzato,
iper-realizzato. A questo punto la realtà in quanto tale viene a perdere
ogni fondamento, davvero si può dire che non vi siano più riferimenti al
mondo reale. E infine tutto vi si trova in qualche modo programmato o
promosso dentro una superformula, che è quella appunto del virtuale, delle
tecnologie digitali e di sintesi. Accade effettivamente che a un certo punto
il reale ci sta pur sempre di fronte, e noi ci confrontiamo con esso, mentre
con il virtuale non ci si confronta. Nel virtuale ci si immerge, ci si tuffa
dentro lo schermo. Lo schermo è un luogo di immersione, ed ovviamente di
interattività, poiché al suo interno si può fare quel che si vuole; ma in
esso ci si immerge, non si ha più la distanza dello sguardo, della
contraddizione che è propria della realtà. In fondo tutto ciò che esisteva
nel reale si situava all'interno di un universo differenziato, mentre quello
virtuale è un universo integrato. Di certo qui le care vecchie
contraddizioni fra realtà e immaginazione, vero e falso, e via dicendo,
vengono in certo modo sublimate dentro uno spazio di iper-realtà che ingloba
tutto, ivi compreso un qualcosa che sembrava essenziale come il rapporto fra
soggetto e oggetto. Voglio dire che nella dimensione virtuale non c'è più né
soggetto né oggetto, ma entrambi, in via di principio, sono elementi
interattivi. Parlo in termini un po' approssimativi perché non appartengo
completamente a questo mondo, non ne faccio parte, ma in ogni caso posso
parlarne nonostante tutto, e mi sembra di vedere determinate cose che
succedono al suo interno. In questo universo il soggetto non ha più una sua
posizione propria, una condizione vera, in quanto soggetto, di un sapere o
di un potere o di una storia. C'è invece un'interazione, che vuol dire in
fin dei conti uno svolgimento o un riavvolgimento di tutte le azioni
possibili. Nella realtà virtuale tutto è effettivamente possibile, ma la
posizione del soggetto è pericolosamente minacciata, se non eliminata.
Domanda 2
Lei sostiene
che nel futuro tutto potrà accadere in un mondo che sarà frutto di
operazioni vituali e non avrà più bisogno di uno spazio reale e simbolico.
In che tipo di mondo avranno luogo le cose?
Risposta
Non mi è possibile descriverlo. E' una dimensione di cui in definitiva si ha
un presentimento attraverso vari indizi. Non saprei. In termini di spazio
non si ha molto di più delle fantasie della fantascienza, che però offrono
immagini di uno spazio fantastico. Tutta la fantascienza ci ha abituato in
qualche maniera a concepire altri spazi con coordinate differenti,
multi-spazi, e via dicendo. In relazione al tempo questo è molto più
difficile da immaginare, ma in ogni modo si ha l'idea di manipolare il tempo
reale. In effetti, il tempo virtuale è il tempo reale e d'altronde è del
tutto paradossale e ambiguo il fatto che si chiami tempo reale il tempo
proprio della virtualità, il quale non è più in alcun modo il tempo della
realtà, quello cioè che in ogni caso scandisce la durata dello sviluppo fra
passato, presente e futuro. Nessuna di queste tre categorie di tempo ha più
valore: il tempo reale è l'istantaneità dell'operazione, è il tempo stesso
dell'operazione, e perciò ciascuna operazione ha in un certo senso un tempo
proprio, che però non corrisponde più a una cronologia. In effetti non c'è
più una memoria, non c'è più la possibilità né di prevedere il futuro in
funzione dei dati della realtà, per l'appunto, né tanto meno di contemplare
una memoria vivente di ciò che ha avuto luogo, perché nel tempo reale non
esiste più la dimensione storica, né tutto quanto si svolge nella storia,
nel tempo al cui interno esisteva la storia. Tutto ciò non è più reperibile
o recuperabile a livello di tempo reale, e questo pone numerosi problemi in
quanto proprio ora, alla fine del ventesimo secolo, siamo impegnatissimi a
tentare di recuperare tutta la storia del Novecento, di comprendere cosa ne
sia stato, e regolare i conti sospesi, fare un bilancio. In effetti non ci
si riesce, si cerca di resuscitare tutto ma senza successo, poiché ormai non
siamo più nel tempo storico ma in una diversa dimensione temporale: quella
del tempo reale, e il tempo reale è privo di coordinate, per così dire. E
dunque probabilmente non è l'unico, può non essere il modello definitivo, e
saremo noi a stabilirlo, ma in ogni caso esso rappresenta comunque una
rottura del senso del tempo, questo è certo. In relazione allo spazio si ha
l'impressione che esso si moltiplichi nel mondo virtuale, che si abbia la
capacità di abbracciare tutti gli spazi possibili; per quanto riguarda il
tempo, al contrario, si percepisce una contrazione straordinaria, la quale
fa sì che tutto si riduca all'istante dell'operazione che avviene in quel
momento particolare, e che subito dopo non vi sia più ricordo. Beninteso,
dico questo non per nostalgia di un oggetto perduto, anche se da un punto di
vista esistenziale l'abbiamo effettivamente perduto, ma in base a termini
dettati da una situazione diversa, del tutto originale, della quale però non
abbiamo i mezzi per poterne prefigurare compiutamente le conseguenze.
Domanda 3
Lei ha
descritto il mito della caverna di Platone come chiave di interpretazione
del conflitto fra reale e virtuale. Ce ne può parlare?
Risposta
L'immagine di Platone è diversa in quanto si riferisce alla figura di una
nascita, di qualcosa di irreale in quanto ombra di qualcosa, ma tuttavia il
mito parla comunque dell'essere. Ci sono ombre che si muovono in circolo e
noi non siamo che il riflesso di un'altra sorgente, che esiste altrove, una
fonte luminosa dinanzi alla quale però si interpone un corpo, e le ombre
sfilano. Nel mondo virtuale, invece, direi che non ci sono né apparenze né
essere, non esistono ombre giacché l'essere è trasparente, in un certo senso
questo è il dominio della trasparenza totale. Noi siamo perciò come
attraversati in qualche modo dai messaggi, dall'informazione, dai megahertz
o che so io, da tutto quel che si vuole, poiché noi stessi siamo trasparenti
all'interno della realtà virtuale, non abbiamo più un ombra. La nostra, se
si vuole, è tipicamente l'epoca dell'uomo che ha perduto l'ombra. La famosa
frase, "egli ha smarrito la sua ombra", è una metafora che sta a indicare
che abbiamo perso l'opacità, e in fondo l'essere stesso, lo spessore
dell'essere, la sua profondità. Al contempo si è perduto anche il
significato che l'ombra aveva un tempo, vale a dire la negatività, la morte.
Del resto è vero che di fatto ci troviamo dentro a un sistema che si
prefigge di eliminare la morte, nel quale non ci dovrà più essere nulla di
negativo, come la fine dell'esistenza e l'ombra. Un sistema totalmente
operativo e positivo al cui interno noi saremo tutti trasparenti,
comunicativi, interattivi. In questo ambito, perciò, non credo ci sia una
scena in cui compaiono queste ombre platoniche. Non so in che contesto ne
avevo parlato, ma in ogni caso non sussiste alcun rapporto fra le due
immagini se non di contrapposizione, non vi sono analogie.
Domanda 4
Nel suo
libro "Il delitto perfetto" troviamo la ricostruzione di un delitto, ovvero
la morte della realtà e lo sterminio delle illusioni ad opera dei media e
delle nuove tecnologie. Ci vuole parlare di questo libro?
Risposta
È difficile parlare di un libro o del tema in esso affrontato. A proposito
del titolo, si è trattato in effetti dell'uccisione della realtà, e più
ancora che della realtà, a mio parere, delle illusioni. Voglio dire che la
perdita più grave è senz'altro quella dell'illusione, vale a dire di una
parte diversa del nostro rapporto con l'esistente. Il concetto di realtà è
relativamente recente, contiene un sistema di valori solo da poco
consolidatosi. Per contro, mi sembra che l'illusione sia parte integrante
dell'organizzazione simbolica del mondo, ed è perciò assai più dinamica. È
l'illusione vitale di cui parla Nietzsche, costituita da apparenze,
fantasie, e tutto ciò che può essere la forma di una proiezione, come una
scena diversa da quella della realtà. E mi pare che essa sia stata
completamente eliminata da questa operazione del virtuale che, in parole
semplici, io chiamo "delitto" ma che in fondo non è che una metafora un poco
esagerata e forse persino non troppo giusta, nella misura in cui non si
tratta in realtà di un crimine o di un assassinio in senso simbolico. Quando
Nietzsche diceva "Dio è morto", ad esempio, intendeva identificare con
l'uccisione di Dio una rivoluzione positiva, se così posso esprimermi,
mentre nell'altro caso non abbiamo un omicidio ma una eliminazione, una
scomparsa, un annullamento, cosa alquanto più grave. Quanto all'aggettivo
"perfetto", esso denota come il vero delitto, come sto per dire, consista
nella perfezione, perché vuol dire che è quest'ultima il risultato finale.
Questo universo reale, imperfetto e contraddittorio, pieno di negatività, di
morte, viene depurato, lo si rende "clean", pulito; lo si riproduce in
maniera identica ma dentro a una formula perfetta. Così avremo bambini
perfetti grazie alla manipolazione genetica, avremo un pensiero perfetto
grazie all'intelligenza artificiale, e così via. La perfezione è dunque
questo ideale in certo modo perverso che rappresenta il vero delitto. A mio
avviso, insomma, il delitto consiste nella perfezione di questa specie di
modello ideale che si vuole sostituire alla realtà e al contempo
all'illusione.
Domanda 5
La sua
posizione nei confronti dei media è estremamente critica: quali sono, a suo
avviso, i rischi maggiori per una società dell'informazione come la nostra?
Risposta
Sì, il mio atteggiamento è di critica, e certamente lo difendo in quanto è
quello sperimentato più a lungo nel tempo, e si richiama un po' all'eredità
del pensiero critico; in fondo, tutto il pensiero critico tradizionale non
può che essere anti-mediatico, non può che muovere obiezioni ai media.
Anch'io ho formulato una sorta di critica radicale, ma è ormai talmente nota
che non vale la pena tornarci sopra ancora una volta. In qualche modo è vero
che i media fanno il loro lavoro e sono un elemento essenziale nella
strategia del delitto perfetto, in un certo modo ne fanno parte: ma questo è
ancora troppo semplice. Io direi invece che la mia è piuttosto una posizione
ironica in rapporto ai media. I media si frappongono in maniera tale fra la
realtà e il soggetto, che, mi pare, non ci sono più interpretazioni
possibili in quanto l'informazione rende l'accadimento incomprensibile.
L'evento storico non si sa più cosa sia quando passa attraverso i media, in
breve si ha una transustanziazione di questo tipo in tutto ciò che i media
fanno, così che ne risulta quel che io chiamerei una simulazione, un
simulacro, e perciò non esiste più né il vero né il falso: non si sa più
quale sia il principio della verità. Questo è certamente un dato importante;
ma infine, c'è davvero bisogno della verità? In fin dei conti, l'obiettivo
dei media non è stato forse di eliminare effettivamente il principio morale
e filosofico della verità, per installare al suo posto una realtà
completamente ingiudicabile, una situazione di incertezza che, se si vuole,
può ben essere immorale e difficile da sopportare, ma che in certo modo è
ironica? Se guardiamo alla cosa con ironia, scopriamo che i media si sono
dedicati a smontare questo principio di verità, autorità e certezza che
rappresenta del resto, bisogna dire, il fondamento di tutta una civiltà dal
carattere autoritario e moralmente rigoroso. Dunque i media svolgono anche
questa funzione di scomposizione, e si possono interpretare nell'altro
senso. Allo stesso modo tutta la tecnica in generale, non solo i media, ma
gli strumenti tecnici, le macchine, eccetera, sono in certo senso anch'essi
dei mezzi per togliere realtà al mondo, e inoltre, come ho detto, per
instaurare una sorta di incertezza, di gioco, e finalmente di amoralità
delle cose. E forse in tal modo essi ci liberano dal dovere di attenerci ai
principi di verità, di obiettività, e di tutti i princìpi su cui è fondata
la nostra morale. Tutto questo, evidentemente, è per noi destabilizzante,
non c'è alcun dubbio, ma è sempre la stessa storia: da una parte si perde,
in misura enorme, ma se si sa affrontare la situazione in una certa
prospettiva si può pervenire a un'interpretazione ironica, nel senso che
l'ironia può ispirare una visuale totalmente relativizzata e destabilizzata.
Si può perdere, certamente, ma forse si possono anche trovare nuove regole
per giocare. Sono perciò radicalmente critico contro i media nel quadro del
sistema dei valori umanistici, ossia quello che noi conosciamo e che è
nostro: a questo livello bisogna essere assolutamente critici e addirittura
spietati. Se però si affronta la questione diversamente, e ci si pone al di
là della fine, al di là di quel principio, in un eventuale altro universo,
allora non si può dire: può darsi che i media, la tecnica, eccetera non
siano che operatori di qualcosa che non so descrivere, di un gioco, di
ironia, non so.
Domanda 6
Qual è, se
c'è, a suo avviso, la vera seduzione di Internet?
Risposta
La seduzione? Beh, io non ho mai parlato di seduzione a proposito di
Internet, e mi stupirei se l'avessi fatto. A mio parere non ve n'è traccia,
in alcun modo, poiché la seduzione in ogni caso suppone appunto una
relazione, un rapporto a due; quale che ne sia il carattere la seduzione
esiste sempre all'interno di uno scambio duale. In Internet, al limite, c'è
un'interazione, che non è in alcun modo una relazione duale poiché non è
fondata sull'alterità, e non è nemmeno una relazione di confronto, di sfida,
eccetera. Abbiamo invece un rapporto di immersione, di interazione: là
dentro non esiste seduzione, al massimo si produce, evidentemente a livello
collettivo, una reazione di fascinazione, ma come avviene al cospetto di un
universo feticcio, di un oggetto d'adorazione. Non dico questo per negare
[questa realtà], anche se è vero che non vi partecipo, non le appartengo, e
in un certo senso sono dunque un cattivo giudice e parlo per partito preso;
ma quel che mi sembra chiarissimo è che per esserci una seduzione bisogna
che ci sia una scena della seduzione, e dei veri attori, non semplicemente
degli interattivi, ma attori che mettano in gioco la propria identità al
fine della seduzione. Sia nella seduzione amorosa che di altro genere,
artistico, estetico, o altro, si verifica una messa in gioco dell'identità,
e persino una perdita dell'identità ma nel contesto di un rapporto duale.
Poi esiste un piacere della seduzione che non ha nulla a che vedere con il
fascino dello schermo e dell'operazione su Internet. Perciò no, farei una
distinzione completa fra le due cose, e certamente non ho mai parlato di
seduzione a proposito di Internet, non è proprio possibile. C'è semmai una
relazione di attrazione, e questo è evidente, la cosiddetta fascinazione
collettiva, questo può essere. Ma è di nuovo il discorso di prima, occorre
trasferirsi sul piano dell'ironia e dirsi: "Tutto questo non è forse
un'altra scena su cui noi rappresentiamo la commedia di Internet e di tutto
il mondo virtuale, della cibernetica, eccetera?" A livello collettivo forse
anche questo è soltanto un grande gioco, che non occorre necessariamente
prendere del tutto sul serio, così come ogni giorno si dà la commedia della
politica e di un mucchio di altre cose. Ebbene, esiste una scena della
politica, la quale però è ormai diventata l'ambientazione di un teatro se
non comico, almeno, in ogni caso, molto meno drammatico, senza dubbio.
Internet è nuovo, originale se si vuole, ma come dico, ne esiste già una
replica nei media. Internet stesso si trova già sdoppiato nel commento
mediatico che se ne fa e nel suo consumo globale, e pertanto Internet stesso
non è già più Internet, ma è stato attirato nel sistema della simulazione, e
in fondo è già stato trasformato. Si entra nella cultura del Web, del Net, e
al contempo si è già nell'iper-realtà di queste stesse entità, perché in
quel senso non ci si ferma, ed è un bene: voglio dire che altrimenti si
potrebbe credere che Internet sia la rivoluzione tecnica, l'ultima, quella
definitiva, e si potrebbe pensare "Siamo arrivati, ci siamo, questo è
veramente il progresso assoluto, e si è completato". Ebbene, questo sarebbe
la morte, in un certo senso, ma fortunatamente Internet sta ridiventando
l'oggetto di un gioco, e in fin dei conti si consuma un po' al modo in cui
certe persone pagano per un telefonino cellulare solo per far vedere di
averlo. Possono essere milioni le persone che si comportano così, si può
creare in tal modo una nuova cultura, un nuovo ambiente, ma nonostante tutto
bisogna stare bene attenti a non prendere troppo sul serio l'idea che i
fondamenti dell'uomo e della sua civiltà saranno rivoluzionati da una
tecnica, qualunque essa sia, anche Internet.
Domanda 7
Come pensa
sia mutato il nostro rapporto con la realtà in seguito all'accelerazione del
progresso tecnologico nel corso di questi ultimi anni?
Risposta
Certamente il rapporto con la realtà è cambiato, ma c'era dunque una realtà?
Bisogna anzitutto pensare a questo problema, bisogna credere alla realtà
perché il rapporto con essa si trasformi. Io non sono sicuro, non lo sono
mai stato, che si sia veramente creduto alla realtà. La realtà esiste, ma
non le si crede: un po' come con Dio, nel senso che potrei dire che esiste
ma non ci credo. In qualche modo si è creato un rapporto al contempo da
credente e da incredulo. Questo ovviamente accade più velocemente con le
nuove tecnologie, perché si va sempre più lontano, al cospetto di questa
specie di proliferazione dell'informazione, e si diventa via via più
scettici. La gente non crede più a nulla; in certo modo neppure alla
politica, non più. In effetti, se si vuol prendere sul serio la realtà,
almeno nelle apparenze con cui essa ci appare, si scopre di essere ormai
sempre più lontani, è evidente. A questo punto, perciò, il vero problema è
sapere dove si arriverà, data l'accelerazione con cui si sviluppano quelle
tecnologie: perché è vero che questo progresso vorticoso c'è stato nel corso
degli ultimi anni, diciamo nell'ultimo ventennio, ma del resto tutte queste
cose venivano già osservate e analizzate fin dagli anni Sessanta, e dunque
di tempo ne è passato parecchio. Ora però si sta verificando una tale
accelerazione che ci si domanda in effetti se non stia prendendo forma una
configurazione tipica del caos, vale a dire un'accelerazione e una
turbolenza tali che non si sa fin dove si andrà avanti e a quale termine si
arriverà naturalmente, con grande rapidità, come a un muro, o a qualcosa di
simile al crollo totale della realtà. Possono verificarsi incidenti
collettivi? E' probabile, e a tale proposito sarà interessante vedere come
una simile catastrofe stia per verificarsi, ad esempio, in occasione
dell'anno 2000 con il Bug dei computer. Sarà un evento paradossale: dobbiamo
francamente riconoscere l'ironia fantastica, feroce del fatto che invece di
presagire la fine del mondo come nell'anno 1000, la nostra catastrofe sarà
di natura virtuale, e saremo noi ad averla messa in atto per mezzo della
nostra tecnica. Seguendo questo esempio possiamo pensare che ugualmente ci
aspetta, e a breve scadenza, una forma di implosione collettiva di queste
tecniche e tecnologie: ce ne sono le tracce, già se ne vedono prefigurazioni
nei crack finanziari e delle borse, e lo si vede bene in relazione a certi
frammenti del sistema, frammenti interi che possono cadere d'un sol colpo.
Ma allo stesso tempo si gioca con l'idea di farsi paura in questo modo: io
credo che sia difficile fare previsioni per la ragione detta poc'anzi, ossia
che ci troviamo nel tempo reale, e che non siamo in grado di formulare
alcuna prefigurazione di quanto accadrà fra dieci anni, questo non è
possibile, dobbiamo fermarci qui.
Domanda 8
Allora è
vero che si ha paura del Bug del millennio, o no?
Risposta
Sì, in fondo c'è anche questo timore, ma è al contempo come una fascinazione,
sicché allo stesso tempo si ha paura e ci si dice: "Sì, mi piacerebbe
proprio che accadesse qualcosa nella realtà". Stranamente, infatti, siamo in
un mondo che ha una sovrabbondanza di accadimenti e di informazione, eppure
si ha l'impressione che non accada più nulla ormai, e perciò si va alla
ricerca addirittura di un evento totale, di qualcosa che possa fungere da
principio di catarsi. E così la scadenza simbolica del millennio serve
precisamente a cristallizzare questa ricerca dell'immaginario. Ora, in
presenza di una forte cristallizzazione si producono effetti estremamente
positivi ed estremamente negativi. Si ha quindi una specie di speranza
nell'anno 2000, l'idea che si riazzereranno tutti i computer, che si
laveranno i panni di tutto il ventesimo secolo così pieno di violenza,
guerre, eccetera, e che si ricomincerà da capo con una forma di innocenza
collettiva. Questa speranza esiste, ma al contempo si affianca a una
speranza inversa, credo, ossia non proprio che tutto sprofondi ma che si
verifichi un vero disastro, un incidente non so bene di che natura, il quale
dia vita a un evento davvero determinante e decisivo. Ecco dunque che tutti
gli avvenimenti con i quali si ha a che fare in questa fine secolo sono in
fin dei conti dei grandi pseudo-eventi, delle grandi produzioni mondiali,
che si tratti di Diana, di Clinton o di altro. In realtà non sono fatti, ma
specie di scenari per un consumo di massa, non semplici eventi. Insomma, non
saprei dire cosa la gente speri: al contempo ci si aspetta il peggio e il
meglio, ed è una fortuna, perché vuol dire che c'è ancora spazio per
l'immaginario.
Domanda 9
Lei ha
affermato che la società attuale vorrebbe sopprimere l'idea stessa di morte.
Cosa rappresenta allora la clonazione?
Risposta
Rappresenta una modalità di questa immortalità artificiale, se si vuole, una
via per passare al di là della morte, al fine di non subire più il triste
destino degli esseri viventi, vale a dire sessuati e mortali per arrivare a
trovare un sostituto totale persino dell'esser morti. Ci possiamo riprodurre
in maniera identica a quel che siamo e indefinitamente, sicché finalmente
abbiamo ritrovato l'immortalità degli esseri protozoici, degli organismi
anteriori alla riproduzione sessuata, dei tempi della riproduzione per
replica identica. Questa è dunque una forma di immortalità, e non c'è più la
morte individuale, al suo posto abbiamo un'impresa tecnica, la quale può
persino divenire immaginaria. Non so bene quale dei due termini venga prima,
se sia la tecnica a trascinare l'immaginario o viceversa, l'immaginario a
indirizzare la tecnica; ma l'idea di espellere la morte, di eliminarla
dall'ambito della vita, e infine di mantenere della vita nient'altro che i
lati positivi, cancellando tutti quelli negativi, tutto questo è già
presente, voglio dire, nell'idea, nella proiezione fantastica. Così questa
idea si materializza poi nelle tecniche, che diventeranno quel che
diventeranno, ma che certo, necessariamente verranno impiegate in pratica:
questo è evidente, perché l'attrazione è troppo forte, e anche se comitati
etici e via dicendo si mettono in moto, l'attrazione collettiva è
irresistibile. Dunque succederà, si tenterà di eliminare davvero la morte,
quella individuale: è di essa che parlo, perché della morte in quanto tale
resterà comunque il fantasma, uno spettro che attraversa le varie epoche, è
vecchio come il mondo, e appartiene alla nostra civiltà in quanto essa è
stata la prima a dotarsi dei mezzi tecnici per tentare di realizzare la
morte. Finché un fantasma resta fantasma, bene, fa parte dell'immaginario,
ma quando d'un tratto si hanno gli strumenti per farlo divenire realtà,
allora il pericolo è massimo, direi, proprio in quel momento perché davvero
si rischia di riscontrare come questo fantasma sia egli stesso mortale, nel
senso peggiore del termine. Ciò può significare in effetti niente meno che
la scomparsa della specie, ma tale è la posta in gioco.
Domanda 10
L'industrializzazione della clonazione rappresenta anche
l'industrializzazione dell'uomo, e questa è una lunga storia.
Risposta
Eh sì, è una vecchia storia. In sostanza, in passato l'industrializzazione è
avvenuta in termini piuttosto di forza produttiva e in relazione al lavoro,
e la si sfruttava in quel senso. Ma ora, in effetti, si avrà lo sfruttamento
di qualcosa di molto più profondo, ossia dell'idea di non morire, di
perpetuarsi, insomma l'idea dell'eternità, dell'immortalità, e di tutto ciò
che elevava a una sorta di trascendenza seppure inaccessibile e puramente
ideale, in tale ambito. Tutto quanto era ideale e trascendente si tenta ora
di renderlo operativo industrialmente, non è vero? Perciò la questione
assume nel suo complesso anche una rilevanza economica, ma ci sono aspetti
che definirei del tutto simbolici, anche se non oso pronunciare troppo
questa parola, ma insomma sì, persino simbolici, e quelli sono sicuramente i
più profondi. Ad ogni modo, le due cose forse procedono di pari passo.
Domanda 11
Da tutto ciò
discende una nuova morale?
Risposta
Io credo di no. In definitiva, ogni tentativo di opporsi a questo processo,
di ricreare, trovare un suo senso etico, oppure di realizzare una sua
regolamentazione etica mi sembra sia destinato alla sconfitta. Non vedo la
minima possibilità di recuperare una morale a misura di questo nuovo
fenomeno, perché la morale in fondo presuppone un'essenza dell'uomo in
quanto tale, un principio, come dire?, di libertà, di responsabilità,
eccetera. L'individuo con la propria libertà, in rapporto con la dimensione
sociale, e via discorrendo, - tutti questi elementi sono stati largamente
marginalizzati nel contesto di questa nuova impresa. Non vedo più una
morale, ma non trovo che questo debba condurre alla disperazione. Questa
impresa è davvero fondamentalmente amorale, e non penso che alcun comitato
etico possa farci nulla. Del resto si vede bene come tutti questi comitati
siano immediatamente e a priori votati alla sconfitta, ma si continuerà a
crearne in quanto bisogna salvaguardare la finzione di una morale: occorre
che nonostante tutto questa società si rifletta in una qualche specie di
specchio morale e filosofico, perché non può dedicarsi moralmente a
un'impresa di quel genere, ma deve contemplare un'immagine simile a se
stessa, nutrire starei per dire una qualche specie di nostalgia per un
sistema di valori. Ma tale sistema di valori viene spazzato via da questa
impresa scientifica, o forse para-scientifica. Non posso giudicare il
principio scientifico di questa storia, né la natura oggettiva delle cose.
Ma in termini di conseguenze è vero che soprattutto l'universo morale,
filosofico, ma anche quello sociale si trovino in grave ritardo. |