in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

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(Yun Men)

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Foucault dopo la morte della sinistra


 

Le opere di Foucault citate sono nominate con le seguenti sigle:
dTaC = Dalle torture alle celle, ed.Lerici 1979
AdelS = Archeologia del Sapere, ed.Rizzoli 1980
R = Résumé des cours, ed.BFS 1994
TdS = Tecnologie del sé, ed.Boringhieri 1992
VdS = Volontà di sapere, ed.Feltrinelli 1988
P = introduzione al Panopticon di Bentham, ed.Marsilio 1983

 

FOUCAULT DOPO LA MORTE DELLA SINISTRA

"So che quello che dico è presuntuoso, ma è una prova di verità, di verità politica (sott. nostra), tangibile, una verità che ha avuto inizio dopo che il libro è stato scritto. Spero che la verità dei miei libri sia nell'avvenire". (da Foucault étudie la raison d'Etat, in Dits et écrits, ed.Gallimard, Paris 1994, Vol.IV, p.41)

Così Foucault parlando dell'effetto che hanno i suoi testi, in questo caso in riferimento ad alcune proteste avvenute nelle prigioni francesi, dove i detenuti leggevano ed usavano i suoi libri. Di Foucault si può parlare in vari modi. I suoi testi aprono un ventaglio di possibili interpretazioni molto ampio. Anche noi abbiamo dunque deciso di dare un taglio particolare alla nostra lettura, che naturalmente non pretendiamo sia l'unico né il migliore. Può servire, forse, ad esplicitare una verità (politica) dei libri foucaultiani, che hanno, per quanto ci è dato di capire, un occhio di riguardo per l'avvenire.
Questo taglio è in un certo senso "funzionale" alle nostre esigenze politiche e culturali, o meglio ad un ripensamento culturalmente significativo della politica e del "far politica". Già il Résumé des Cours, da noi curato e pubblicato per le edizioni BFS di Pisa andava in questa direzione. Questo articolo allora può essere visto come il proseguimento di ciò che là è solo accennato: il bisogno di ripensare, per quanto possibile ad un livello "alto", la questione della politica. Per far questo, ci sembra necessario partire da una doverosa critica alla sinistra e ai dogmi sui quali fonda la propria azione politica. Abbiamo deciso di dividere questa critica in tre punti fondamentali: critica al concetto di democrazia; critica al culto dell'opinione pubblica; critica della concezione del potere come gestione "amministrativa" dell'esistente. Mettere in crisi e far crollare questi dogmi significa, secondo noi, aprire spazio per un ripensamento dell'esistente e dell'azione politica su altre linee.(1) E decretare, finalmente, per scritto la già avvenuta morte dell'ex- sedicente forza di liberazione e di emancipazione detta "sinistra". Abbiamo dunque trovato in Foucault un appiglio ed una chiave di lettura insostituibili per i nostri scopi. La concezione del potere e dei modi di formazione della soggettività in Foucault mette in crisi in maniera definitiva le "certezze" della sinistra, aprendo preziosi spazi per una discussione politica di nuovo in movimento e per una maggiore e più penetrante capacità di interpretare ciò che accade nella società oggi.

 



 

LA MORTE DELLA SINISTRA

C'è un dibattito triste in cui la "sinistra" più o meno rivoluzionaria è impelagata dalla notte dei tempi: è il dibattito sulle ragioni della sua sconfitta. Ci sono i distinguo e le posizioni sottili, le spiegazioni strutturali e quelle soggettive, ma nel complesso l'insieme risulta noioso e soprattutto inutile. Perché non impostare la questione in tutt'altro modo, per esempio: "Finalmente la sinistra è stata sconfitta"? Probabilmente un approccio del genere consentirebbe infine di ritrovare quella distanza critica dall'oggetto che garantisce dal far funzionare coattivamente, in modo irriflesso, quel sistema grigio di riferimenti e di "acquisiti" che sta a monte del modo stesso di procedere alla classificazione dei problemi. Non possiamo più farci condurre dall'"ovvio" e dal "naturale", dobbiamo finalmente essere capaci di scompaginare in profondità le costruzioni intellettuali, gli ordini scontati, le continuità indubitabili. Perché allora non impostare una riflessione critica sulla sinistra che muova dalla liberatoria constatazione del suo decesso? Anziché con forsennato accanimento terapeutico, la critica della sinistra potrebbe finalmente svilupparsi sulla base di una serena scelta di eutanasia. Con spirito finalmente libero si potrebbe allora tentare di cartografare il quadro clinico del moribondo, le patologie croniche che l'hanno accompagnato fin da principio e che restavano silenziosamente presenti. C'è tutto un patrimonio genetico di categorie e di assunti che si è via via naturalizzato e che ci appare costitutivo della sinistra, un corredo di riferimenti che pulsava vitale nel bel tempo antico delle grandi battaglie della sinistra e che improvvisamente si è rivelato un fardello insopportabile da cui è imprescindibile separarsi.
Forse la categoria mitica della democrazia è quella che meglio di ogni altra può essere considerata come l'architrave dei principali assunti di riferimento della sinistra. La democrazia è divenuta un dato naturale per la sinistra, un'ovvietà che ormai non ha più bisogno di essere spiegata. Intangibile, la democrazia ha veicolato nella sinistra un intero sistema di categorie, più ancora un sistema di a-priori che ha delimitato rigidamente le pratiche possibili della sovversione, gettando in un cono d'ombra altre pratiche e altri spazi. L'intangibilità della democrazia ha reso invisibile, ovvietà contro ovvietà, che essa non è altro che un dispositivo di governo.(2) Assumere la democrazia ha significato per la sinistra assumere come un dato naturale la necessità di un dispositivo di governo. Non ci si chiede più perché governare chi. Il problema dell'emancipazione globale che la modernizzazione capitalistica poneva, problema che è alle origini dell'esistenza stessa della sinistra, si è via via ridotto al problema dell'emancipazione politica. A sua volta la pratica politica, mediante il raffinato dispositivo della democrazia, si è costituita in uno spazio rigidamente delimitato, quello della sfera statale.(3) La visione mitica della democrazia ha compiuto il miracolo: l'identificazione senza smagliature tra spazio pubblico e sfera statale. La storia della sinistra è la storia della progressiva riduzione delle pratiche di lotta del movimento operaio alla pratica politica, e di questa a quella parlamentare.(4) La pratica politica e la pratica parlamentare hanno finito per rovesciare il rapporto funzionale che le legava al problema dell'emancipazione. Non è più in funzione dell'emancipazione che si attuano le pratiche politiche e parlamentari. Adesso non si riesce più a concepire le pratiche della "sovversione" indipendentemente e fuori dello spazio chiuso costituito dal dispositivo della democrazia e delle pratiche statuali.
La sinistra è morta quando alcuni mutamenti reali hanno reso completamente obsolete, in funzione dell'emancipazione e della sovversione, le pratiche parlamentari e in generale le pratiche politiche. Costituita nello spazio statuale, la pratica politica della sinistra è stata irrimediabilmente spiazzata dalla deriva altrove della sfera pubblica.

Non è semplice definire il quadro esatto e le implicazioni complessive di questa "deriva altrove" della sfera pubblica in rapporto allo spazio statale. Le faglie della rottura sono molteplici, incerto il senso del movimento. Quello che appare più in rilievo è l'esaurirsi della sfera statale sul terreno dell'amministrazione. A monte di questo fenomeno sembra esservi un insieme di processi distinti. Possiamo indicare quattro corpi fondamentali che incidono diversamente ma contemporaneamente sull'assetto e sul ruolo dello Stato:

  1. la mondializzazione dei processi economici e i fenomeni di riterritorializzazione economica e politica che ne derivano (scomporsi e ricomporsi delle identità nazionali);
  2. la chiusura, non si sa bene se definitiva o meno, ma comunque assolutamente reale almeno per i paesi metropolitani, del "ciclo dello sviluppo", con il conseguente saltare delle equazioni "crescita economica - aumento dell'occupazione e della produzione ecc.";
  3. il radicale processo di trasformazione dell'organizzazione del lavoro;
  4. la crisi del sistema basato sui partiti di massa e in generale lo scomporsi del rapporto tradizionale tra le classi e lo Stato e tra lo Stato e l'accumulazione.

Questa crisi e questo scomporsi riassumono in parte i processi di cui sopra: indicano le difficoltà dello Stato di fronte ai processi di mondializzazione economica nell'individuare un nuovo ruolo in rapporto all'accumulazione capitalistica; rivelano la necessità che deriva dai mutamenti nell'organizzazione del lavoro di reinventare degli strumenti di mediazione tra le classi e di controllo in sostituzione di quelli tradizionali (primo tra tutti il Welfare e in generale la politica della spesa statale); esprimono il venir meno delle forme tradizionali della riproduzione sociale, e forse della centralità dello Stato in queste forme, che è conseguenza di tutti questi mutamenti. Di fronte a questi processi la politica e il governo politico tradizionale sembrano spiazzati. Si assiste all'impossibilità, sulle basi dei vecchi saperi, di riprodurre una classe politica di governo che esprima una certa consistenza progettuale. In mancanza di ciò, la lotta per il governo diventa pura lotta di poteri (e il PDS di distingue per il suo pragmatismo, pronto a sacrificare tutto pur di andare al governo). Contemporaneamente, i margini di scelta dei governanti si restringono, la politica insegue, affannosamente e sempre in ritardo, i movimenti automatici e anonimi della macchina economica e di quella burocratica. La politica, anziché sapere di sintesi e spazio progettuale, diviene mera esecuzione burocratica al servizio dei processi economici e sociali, che si fanno valere come cieche leggi naturali. Ma non è tempo questo per la routine amministrativa: l'impatto dei processi che abbiamo segnalato, oltre a "superare" i vecchi saperi, sconvolge in profondità gli assetti tradizionali sui quali in definitiva la classe politica continua a sostenersi. Gli smottamenti e le trasformazioni in alcune fondamentali funzioni statali aprono spazi nuovi che la politica come amministrazione avrà difficoltà a capire. Attraversati da processi complessi di "svuotamento" e di dislocazione, Stato e sfera pubblica sembrano ridisegnarsi; e mentre la sinistra resta completamente spiazzata, legata com'è alla loro codificazione politica tradizionale (la democrazia intesa in senso ampio come dispositivo globale di governo della nostra epoca), per noi si apre la possibilità di inseguire la sfera pubblica oltre lo spazio delle pratiche statuali e di costituire nel processo di questo scarto le pratiche della sovversione.

L'adesione acritica e incondizionata al dispositivo democratico si accoppia con l'atteggiamento fideistico nei confronti dell'opinione pubblica. Esse si riflettono a vicenda, sono una il supporto dell'altra. La democrazia ha senso solo se l'opinione pubblica incarna la verità. Reciprocamente, la verità dell'opinione pubblica è la democrazia. A scavare dietro ad entrambe si finisce inevitabilmente per trovare il pregiudizio illuminista, la fede incondizionata nella Ragione. L'opinione pubblica è sacra, essa incarna agli occhi della sinistra il maggiore degli dèi, la "sovranità del popolo". Al suo cospetto la sinistra si è prostrata. Ma c'è un grandioso fenomeno che nel XX secolo ha completamente scardinato i dati originari sui quali una certa funzione e una certa natura dell'opinione pubblica si erano costituite: è il fenomeno delle comunicazioni di massa e della costituzione dell'informazione come merce. Con l'avvento dei media l'opinione pubblica, che un tempo poteva anche rispecchiare un popolo quale il lento limare delle culture definiva, è finalmente divenuta una merce essa stessa: risultato di un particolarissimo processo di produzione, veicolo strategico per la realizzazione e la riproduzione generale del plusvalore. Rimettersi all'opinione pubblica come presuppone la democrazia, significa santificare le proprie catene. Nell'epoca della produzione massificata in tempi reali dell'opinione pubblica le chances delle pratiche della sovversione derivano dalla capacità di scomporre le forme date delle soggettività e di costituire nuovi processi di soggettivazione. Indipendenti dai canali dominanti di produzione e di organizzazione delle soggettività, centrati sulla costituzione e sull'inseguimento di una sfera pubblica non statale, questi nuovi processi di soggettivazione si danno come i nodi di un ampio tessuto di relazioni, di interazione tra pratiche, di ricostituzione dei legami sociali.

 



 

FOUCAULT


"Ma voi pensate davvero che io ci metterei tanta fatica e tanto piacere a scrivere, credete che mi ci sarei buttato ostinatamente a testa bassa, se non mi preparassi - con mano un po' febbrile - il labirinto in cui avventurarmi, in cui spostare il mio discorso, aprirgli dei cunicoli, sotterrarlo lontano da lui stesso, trovargli degli strapiombi che riassumano e deformino il suo percorso, in modo da perdermici e comparire finalmente davanti ad occhi che non dovrò più incontrare?" (dall'Archeologia del sapere - introduzione p.24)

Per separarsi dalla sinistra è innanzitutto necessaria una certa attitudine intellettuale, una certa capacità di osservare con occhio sovversivo tutta una congerie di riferimenti, di abitudini mentali, di ovvietà mai messe in discussione. Il pensiero di Michel Foucault ha questa caratteristica straordinaria, è il pensiero della sovversione, è la sovversione che pensa. (5) C'è un procedere per scarti, per inversioni; dopo minuziose peregrinazioni intorno a fili sottili che si dipanano per secoli, ecco improvvisamente aprirsi spazi analitici imprevedibili, quasi che fosse impossibile per il pensiero seguire ordinatamente il suo corso senza slittamenti, fratture, balzi. Ogni indagine sembra esigere uno scavo a ritroso e (ma non è alla ricerca di un origine che si lavora!) ogni indagine mette capo alla apertura di nuovi campi, ognuno ben delimitato ma nessuno indipendente. Il corpo a corpo ingaggiato dal filosofo francese con tutto ciò che è stabilizzato, con tutto ciò che è acquisito e indubitabile ci è sembrata una altissima indicazione di metodo. È con questo metodo che Foucault si è cimentato con la critica dei moderni dispositivi di governo, dissolvendo l'unità dei grandi apparati che fanno perno sullo Stato moderno e mostrando la fitta trama delle relazioni tra poteri e saperi sulla quale questi grandi apparati si costituiscono. Leggendo il Résumé des cours è possibile seguire l'insieme dei passaggi, degli slittamenti e dei salti che scandiscono la ricerca di M. Foucault. A partire dal corso '75-76 Foucault tende a dare un carattere generale ai risultati che negli anni precedenti aveva ottenuto studiando "la formazione di certi tipi di sapere a partire dalle matrici giuridico-politiche che hanno dato loro i natali e che servono loro da supporto". (R 19) In quest'ultimo lavoro era via via emerso lo stretto legame tra saperi e poteri, e insieme alcune caratteristiche specifiche dei dispositivi di potere che imponevano di rompere il modello giuridico della sovranità. Proprio nel corso del '75-76 troviamo un passo fondamentale che traccia l'insieme della strategia di indagine qual è emersa dallo studio dei rapporti tra saperi e poteri: "Per portare avanti l'analisi concreta dei rapporti di potere, bisogna abbandonare il modello giuridico della sovranità. Quest'ultimo presuppone, infatti, l'individuo come soggetto dei diritti naturali o dei poteri primitivi; si dà per obbiettivo rendere conto della genesi ideale dello Stato; infine fa della legge la manifestazione fondamentale del potere. Occorrerebbe provare a studiare il potere non a partire dai termini primitivi della relazione, ma a partire dalla relazione stessa in quanto determinatrice degli elementi verso i quali conduce: piuttosto che domandare a soggetti ideali che cosa hanno potuto cedere di se stessi o dei loro poteri per lasciarsi assoggettare, bisogna cercare come le relazioni di assoggettamento possono fabbricare soggetti. Allo stesso modo, piuttosto che cercare la forma unica, il punto centrale da cui tutte le forme di potere derivano per via di conseguenza o di sviluppo, bisogna dapprima lasciarle valere nella loro molteplicità, nella loro differenza, la loro specificità, la loro reversibilità: studiarle dunque come rapporti di forza che si incrociano, rinviano gli uni agli altri, convergono o al contrario si oppongono e tendono ad annullarsi". (R 57) Foucault tematizza in questo modo i due nuovi campi di ricerca su cui lavorerà per il resto della sua vita. Da una parte c'è la questione del potere, indagata al di fuori del modello della sovranità, nei suoi meccanismi produttivi (anziché repressivi) e microfisici. Dall'altra la questione del soggetto, la questione di come i rapporti di potere possono fabbricare di volta in volta le forme della soggettività e dell'individualizzazione. Il nuovo ciclo di studi che Foucault avvia con i corsi successivi al 75-76, il cui baricentro è la formazione storica di un "governo dei viventi", costituisce insieme il momento di passaggio e di collegamento fra queste due tematiche. L'interesse di queste ricerche, dal nostro punto di vista, in rapporto al problema della democrazia, è proprio quello di svelare il carattere specifico, di soluzione concreta a una serie di problemi concreti, dei dispositivi di governo. Seguendo la nozione di governo dei viventi lungo il corso dei secoli Foucault individua i momenti di rottura e i problemi specifici che mettono capo ad un certo tipo di governamentalità politica: passaggio dal potere pastorale ad una nuova matrice di razionalità nell'esercizio della sovranità e del governo degli uomini.(6) I dispositivi di governo che si vanno strutturando tra il XVI e il XVII secolo si situano alla congiunzione di alcune grandi "tecnologie", di alcuni grandiosi processi storici che mutano in profondità gli assetti, le forme, le premesse stesse dell'esercizio del governo sui viventi. Al centro di tutti questi smottamenti vi è l'affermazione dello Stato moderno. Quello che colpisce Foucault è il legame tra questo lento processo di affermazione e costituzione dello Stato moderno e il sorgere della "questione della popolazione". L'insieme dei viventi diviene una popolazione, una premessa ed una risorsa per il nuovo assetto economico sociale che si va affermando. Foucault mette in luce il movimento, simultaneo e reciprocamente implicantesi, delle relazioni microfisiche dei poteri che costituiscono e disciplinano questa nuova figura della "popolazione", e i grandi processi economici e sociali della modernità. Lo Stato moderno è inconcepibile a prescindere da quel complesso processo di costituzione di nuovi saperi e nuovi poteri che attraversano e preludono alla sua affermazione, diventa inspiegabile se non si segue l'irrompere sulla scena storica di tutta una "tecnologia delle forze statali", alle quali rimanda ed è legata per esempio la Polizeiwissenschaft, "ovvero, la teoria e l'analisi di tutto 'ciò che tende ad affermare ed a aumentare la potenza dello Stato, a fare un buon impiego delle sue forze, a procurare la felicità dei suoi sudditi' e principalmente 'il mantenimento dell'ordine e della disciplina..." (R 69), o la Medizinische Polizei o Hygiène publique in Francia, e cioè la scienza che cura la salute e l'igiene dei viventi.
Il metodo di Foucault è dunque quello di scomporre l'unità immediata dei grandi dispositivi di governo. Seguendo la genealogia di questi dispositivi emerge tutto un tessuto di relazioni di potere a livello microfisico che è indispensabile descrivere per tracciare le possibilità e le condizioni di esistenza dei grandi apparati di potere. Questi grandi apparati e dispositivi di governo tra i quali la democrazia sono cioè supportati da quest'insieme mobile di relazioni di potere e possono funzionare solo in quanto queste relazioni costituiscono e producono l'insieme dei viventi e le forme di individualità in certe forme storicamente determinate. L'affermarsi dello Stato e dei primi grandi apparati e tecnologie di governo, nel caso specifico studiato da Foucault, procede su questo retroterra che è la costituzione della nozione di popolazione, con i suoi saperi che lentamente prendono forma (la statistica, la criminologia e le scienze mediche in generale, ecc.) con le sue tecniche, con la nuova "matrice di razionalità" che ne costituisce le condizioni di esistenza.
L'opinione pubblica e il cittadino sono in rapporto alla democrazia ciò che è la "popolazione" in rapporto all'affermarsi dello Stato moderno. Per la critica della democrazia come dispositivo di governo le analisi e il metodo di Foucault costituiscono dunque un riferimento ineludibile. Ma le indagini di Foucault sono fondamentali anche per la critica e il superamento dell'orizzonte delle pratiche politiche statuali. Il passaggio fondamentale è senz'altro l'abbandono del modello giuridico della sovranità e del potere, e l'analisi di quest'ultimo a partire dalla molteplicità delle sue forme. In La volontà di sapere Foucault riprende in modo più dettagliato le indicazioni che aveva formulato nei Résumé des cours: "In fondo, malgrado le differenze di epoche e di obbiettivi, la rappresentazione del potere è sempre stata ossessionata dalla monarchia. Nel pensiero e nell'analisi politica non si è ancora tagliata la testa al Re. Di qui l'importanza che viene ancora data nella teoria del potere al problema del diritto e della violenza, della volontà e della libertà, e soprattutto dello Stato e della sovranità (sott. nostra) (anche se non è più interrogata nella persona del sovrano ma in quella di un essere collettivo)". (VdiS 79) È necessario secondo Foucault indagare "meccanismi di potere completamente nuovi - probabilmente irriducibili alla rappresentazione del diritto ". (VdiS 79) "Questi meccanismi di potere ... sono almeno in parte quelli che si sono occupati, a partire dal XVIII secolo, della vita degli uomini come corpi viventi (sott. nostra)". (VdiS 79-80) I "nuovi procedimenti di potere funzionano sulla base della tecnica e non del diritto, della normalizzazione e non della legge, del controllo e non della punizione" e "si esercitano a livelli e in forme che vanno al di là dello Stato e dei suoi apparati (sott. nostra)". (VdiS 80) È quest'ultimo punto che ci interessa particolarmente: "La condizione di possibilità del potere ... non bisogna cercarla nell'esistenza originaria di un punto centrale, in un unico centro di sovranità dal quale si irradierebbero delle forme derivate e discendenti; è la base mobile dei rapporti di forza che inducono senza posa, per la loro disparità, situazioni di potere, ma sempre locali ed instabili. Onnipresenza del potere: non perché avrebbe il privilegio di raggruppare tutto sotto la sua invincibile unità, ma perché si produce in ogni istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione tra un punto e un altro. Il potere è dappertutto non perché inglobi tutto ma perché viene da ogni dove". (VdiS 82) In un altro passo, ecco come Foucault descrive i rapporti tra i dispositivi globali e quelli microfisici del potere: "Né la casta che governa, né i gruppi che controllano gli apparati dello Stato, né quelli che prendono le decisioni economiche più importanti gestiscono l'insieme della trama di potere che funziona in una società (e la fa funzionare); la razionalità del potere è quella di tattiche, spesso molto esplicite al livello limitato in cui s'inscrivono - cinismo locale del potere -, che, connettendosi le une alle altre, implicandosi e propagandosi, trovano altrove la loro base e la loro condizione, delineano alla fine dei dispositivi d'insieme". (VdiS 84) A questa polimorfità del potere, a questa sua natura instabile, mobile che non si esaurisce intorno al dispositivo statale, corrisponde un'analoga struttura delle forme della resistenza. I "punti di resistenza sono presenti dappertutto nella trama del potere. Non c'è dunque rispetto al potere un luogo del grande Rifiuto - anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge pura del rivoluzionario. Ma delle resistenze che sono degli esempi di specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al compromesso, interessate o sacrificali; per definizione non possono esistere che nel campo strategico delle relazioni di potere". (VdiS 85) Le analisi di Foucault ci confortano dunque nei due passaggi strategici che abbiamo indicato nella prima parte: la critica della democrazia e della figura del cittadino, la pratica di forme di lotta e di resistenza oltre la sfera statale. Dal punto di vista dell'analisi dei poteri lo "svuotamento" della sfera statale che abbiamo indicato ci appare sotto un'altra luce. I processi di mondializzazione economica, la "fine dello sviluppo", i mutamenti nell'organizzazione del lavoro e la crisi dei dispositivi tradizionali dei poteri politici e del ruolo dello Stato si intrecciano con le trasformazioni e le specificazioni dei dispositivi di potere e con lo svolgersi di nuove forme di resistenza e di soggettività. Si tratta di processi paralleli che si alimentano a vicenda e di cui è necessario individuare i punti di incrocio, i momenti di "codificazione strategica" e di "integrazione istituzionale".(7)
Il processo di "svuotamento" della sfera statale, il restringersi della sua forma di conduzione al terreno dell'amministrazione devono allora essere letti come lo scompaginarsi delle vecchie strategie di "integrazione istituzionale" dei dispositivi di poteri; scompaginarsi che muove tanto dai grandi mutamenti economico sociali quanto dalla instabilità e dalla specificazione dei dispositivi di potere al livello microfisico, dalla crisi delle forme tradizionali dell'individualizzazione. La pratica delle lotte oltre la sfera statale - e perciò oltre la sinistra - ha la sua base strategica in questa analisi dei dispositivi di potere.

Libera Università di Godz

Note:

(1) E qui è Foucault stesso a confortarci: "Se 'politicizzare' significa ricondurre tutti quei rapporti di forza e quei meccanismi di potere che l'analisi mette in evidenza a delle scelte, a delle organizzazioni precostituite, allora non ne vale la pena. Alle grandi nuove tecniche di potere (che corrispondono alle economie multinazionali o agli Stati burocratici) deve opporsi una politicizzazione che avrà forme nuove" (dTaC p.127)

(2) "Dal momento in cui si è avuto bisogno di un potere infinitamente meno brutale e meno dispendioso, meno visibile e meno pesante di quello della grande amministrazione monarchica, si sono accordati ad una certa classe sociale, o per lo meno ai suoi rappresentanti, maggiori spazi nella partecipazione al potere, e nell'elaborazione delle decisioni. Ma nello stesso tempo, e per compensare ciò, è stato perfezionato un complesso sistema di dressage, essenzialmente nei confronti delle altre classi sociali ma applicato anche alla nuova classe dominante ... Perché un certo liberalismo borghese fosse possibile a livello delle istituzioni, è stato necessario, a livello di ciò che io chiamo i micropoteri, un investimento molto più stringente degli individui, è stato necessario organizzare un minuzioso incasellamento (quadrillage) dei corpi e dei comportamenti. La disciplina è l'altra faccia della democrazia" (dTaC pp.14-15)

(3) Sull'imporsi della "ragion di Stato" e la sua genesi cf.TdS da p.138 a p.150.

(4) E il suo impoverimento ed "intristimento". A questo proposito Foucault la pensa ben diversamente: "Occorre ... portare nella lotta più gioia, lucidità e perseveranza che sia possibile. La sola cosa veramente triste è il non lottare affatto... In fondo a me non piace scrivere; ma è una attività da cui è molto difficile distaccarsi per passare oltre. Lo scrivere non mi interessa se non nella misura in cui ciò che si scrive si inserisce nella realtà di una lotta, in forma di strumento, di tattica, di chiarificazione. Vorrei che i miei libri fossero una sorta di bisturi, di bottiglia molotov o di galleria minata e che si polverizzassero dopo l'uso come fuochi artificiali..." (dTaC pp.21-22)

(5) "Bisogna rimettere in questione queste sintesi belle e pronte, quei raggruppamenti che in genere si ammettono senza il minimo esame, quei collegamenti di cui si riconosce fin dall'inizio la validità; bisogna scalzare quelle forme e forze oscure con cui si ha l'abitudine di collegare tra loro i discorsi degli uomini; bisogna scacciarle dall'ombra in cui regnano". (AdelS p.30) "Bisogna dunque tenere in sospeso tutte queste forme preventive di continuità, tutte quelle sintesi che non vengono problematizzate e a cui si accorda pieno valore. Naturalmente non si tratta di rifiutarle definitivamente, ma di scuotere l'acquiescenza con cui si accettano; dimostrare che non sono evidenti ma costituiscono sempre l'effetto di una costruzione di cui bisogna conoscere le regole e controllare le giustificazioni" . (AdelS p.35)

(6) È quello che accade con l'instaurarsi del dominio della "borghesia": in quel momento "la borghesia comprende perfettamente che una nuova legislazione o una nuova Costituzione non le saranno sufficienti per garantire la sua egemonia; comprende che deve inventare una nuova tecnologia che assicurerà l'irrigazione del corpo sociale preso nel suo insieme, e fino ai più minuscoli granelli, degli effetti di potere. Ed è qua che la borghesia ha fatto non soltanto una rivoluzione politica, ma ha anche saputo instaurare una egemonia sociale rispetto alla quale non è più tornata indietro" (P p.19).

(7) "Come la trama delle relazioni di potere finisce per formare uno spesso tessuto che attraversa gli apparati e le istituzioni senza localizzarsi esattamente in essi, così la dispersione dei punti di resistenza attraversa le stratificazioni sociali e individuali. Ed è probabilmente la codificazione strategica di questi punti di resistenza che rende possibile una rivoluzione, un po' come lo Stato riposa sull'integrazione istituzionale dei rapporti di potere". (VdiS 86)

 

 

Da: http://www.libuniv.org/articoli.php?art=1#fouc

 

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