"So che quello che dico è presuntuoso, ma è una prova di verità, di
verità politica (sott. nostra)
, tangibile, una verità che ha
avuto inizio dopo che il libro è stato scritto. Spero che la verità dei
miei libri sia nell'avvenire". (da
Foucault étudie la raison d'Etat,
in
Dits et écrits, ed.Gallimard, Paris 1994, Vol.IV, p.41)
Così Foucault parlando dell'effetto che hanno i suoi testi, in questo
caso in riferimento ad alcune proteste avvenute nelle prigioni francesi,
dove i detenuti leggevano ed usavano i suoi libri. Di Foucault si può
parlare in vari modi. I suoi testi aprono un ventaglio di possibili
interpretazioni molto ampio. Anche noi abbiamo dunque deciso di dare un
taglio particolare alla nostra lettura, che naturalmente non pretendiamo
sia l'unico né il migliore. Può servire, forse, ad esplicitare una
verità (politica) dei libri foucaultiani, che hanno, per quanto ci è
dato di capire, un occhio di riguardo per l'avvenire.
Questo taglio è in un certo senso "funzionale" alle nostre esigenze
politiche e culturali, o meglio ad un ripensamento culturalmente
significativo della politica e del "far politica". Già il
Résumé des Cours,
da noi curato e pubblicato per le edizioni BFS di Pisa andava in questa
direzione. Questo articolo allora può essere visto come il proseguimento
di ciò che là è solo accennato: il bisogno di ripensare, per quanto
possibile ad un livello "alto", la questione della politica. Per far
questo, ci sembra necessario partire da una doverosa critica alla
sinistra e ai dogmi sui quali fonda la propria azione politica. Abbiamo
deciso di dividere questa critica in tre punti fondamentali: critica al
concetto di democrazia; critica al culto dell'opinione pubblica; critica
della concezione del potere come gestione "amministrativa"
dell'esistente. Mettere in crisi e far crollare questi dogmi significa,
secondo noi, aprire spazio per un ripensamento dell'esistente e
dell'azione politica su altre linee.(1)
E decretare, finalmente, per scritto la già avvenuta morte dell'ex-
sedicente forza di liberazione e di emancipazione detta "sinistra".
Abbiamo dunque trovato in Foucault un appiglio ed una chiave di lettura
insostituibili per i nostri scopi. La concezione del potere e dei modi
di formazione della soggettività in Foucault mette in crisi in maniera
definitiva le "certezze" della sinistra, aprendo preziosi spazi per una
discussione politica di nuovo in movimento e per una maggiore e più
penetrante capacità di interpretare ciò che accade nella società oggi.
C'è un dibattito triste in cui la "sinistra" più o meno
rivoluzionaria è impelagata dalla notte dei tempi: è il dibattito sulle
ragioni della sua sconfitta. Ci sono i distinguo e le posizioni sottili,
le spiegazioni strutturali e quelle soggettive, ma nel complesso
l'insieme risulta noioso e soprattutto inutile. Perché non impostare la
questione in tutt'altro modo, per esempio: "Finalmente la sinistra è
stata sconfitta"? Probabilmente un approccio del genere consentirebbe
infine di ritrovare quella distanza critica dall'oggetto che garantisce
dal far funzionare coattivamente, in modo irriflesso, quel sistema
grigio di riferimenti e di "acquisiti" che sta a monte del modo stesso
di procedere alla classificazione dei problemi. Non possiamo più farci
condurre dall'"ovvio" e dal "naturale", dobbiamo finalmente essere
capaci di scompaginare in profondità le costruzioni intellettuali, gli
ordini scontati, le continuità indubitabili. Perché allora non impostare
una riflessione critica sulla sinistra che muova dalla liberatoria
constatazione del suo decesso? Anziché con forsennato accanimento
terapeutico, la critica della sinistra potrebbe finalmente svilupparsi
sulla base di una serena scelta di eutanasia. Con spirito finalmente
libero si potrebbe allora tentare di cartografare il quadro clinico del
moribondo, le patologie croniche che l'hanno accompagnato fin da
principio e che restavano silenziosamente presenti. C'è tutto un
patrimonio genetico di categorie e di assunti che si è via via
naturalizzato e che ci appare costitutivo della sinistra, un corredo di
riferimenti che pulsava vitale nel bel tempo antico delle grandi
battaglie della sinistra e che improvvisamente si è rivelato un fardello
insopportabile da cui è imprescindibile separarsi.
Forse la categoria mitica della democrazia è quella che meglio di ogni
altra può essere considerata come l'architrave dei principali assunti di
riferimento della sinistra. La democrazia è divenuta un dato naturale
per la sinistra, un'ovvietà che ormai non ha più bisogno di essere
spiegata. Intangibile, la democrazia ha veicolato nella sinistra un
intero sistema di categorie, più ancora un sistema di a-priori che ha
delimitato rigidamente le pratiche possibili della sovversione, gettando
in un cono d'ombra altre pratiche e altri spazi. L'intangibilità della
democrazia ha reso invisibile, ovvietà contro ovvietà, che essa non è
altro che un dispositivo di governo.(2)
Assumere la democrazia ha significato per la sinistra assumere come un
dato naturale la necessità di un dispositivo di governo. Non ci si
chiede più perché governare chi. Il problema dell'emancipazione globale
che la modernizzazione capitalistica poneva, problema che è alle origini
dell'esistenza stessa della sinistra, si è via via ridotto al problema
dell'emancipazione politica. A sua volta la pratica politica, mediante
il raffinato dispositivo della democrazia, si è costituita in uno spazio
rigidamente delimitato, quello della sfera statale.(3)
La visione mitica della democrazia ha compiuto il miracolo:
l'identificazione senza smagliature tra spazio pubblico e sfera statale.
La storia della sinistra è la storia della progressiva riduzione delle
pratiche di lotta del movimento operaio alla pratica politica, e di
questa a quella parlamentare.(4)
La pratica politica e la pratica parlamentare hanno finito per
rovesciare il rapporto funzionale che le legava al problema
dell'emancipazione. Non è più in funzione dell'emancipazione che si
attuano le pratiche politiche e parlamentari. Adesso non si riesce più a
concepire le pratiche della "sovversione" indipendentemente e fuori
dello spazio chiuso costituito dal dispositivo della democrazia e delle
pratiche statuali.
La sinistra è morta quando alcuni mutamenti reali hanno reso
completamente obsolete, in funzione dell'emancipazione e della
sovversione, le pratiche parlamentari e in generale le pratiche
politiche. Costituita nello spazio statuale, la pratica politica della
sinistra è stata irrimediabilmente spiazzata dalla deriva altrove della
sfera pubblica.
Non è semplice definire il quadro esatto e le implicazioni
complessive di questa "deriva altrove" della sfera pubblica in rapporto
allo spazio statale. Le faglie della rottura sono molteplici, incerto il
senso del movimento. Quello che appare più in rilievo è l'esaurirsi
della sfera statale sul terreno dell'amministrazione. A monte di questo
fenomeno sembra esservi un insieme di processi distinti. Possiamo
indicare quattro corpi fondamentali che incidono diversamente ma
contemporaneamente sull'assetto e sul ruolo dello Stato:
- la mondializzazione dei processi economici e i fenomeni di
riterritorializzazione economica e politica che ne derivano (scomporsi
e ricomporsi delle identità nazionali);
- la chiusura, non si sa bene se definitiva o meno, ma comunque
assolutamente reale almeno per i paesi metropolitani, del "ciclo dello
sviluppo", con il conseguente saltare delle equazioni "crescita
economica - aumento dell'occupazione e della produzione ecc.";
- il radicale processo di trasformazione dell'organizzazione del
lavoro;
- la crisi del sistema basato sui partiti di massa e in generale lo
scomporsi del rapporto tradizionale tra le classi e lo Stato e tra lo
Stato e l'accumulazione.
Questa crisi e questo scomporsi riassumono in parte i processi di cui
sopra: indicano le difficoltà dello Stato di fronte ai processi di
mondializzazione economica nell'individuare un nuovo ruolo in rapporto
all'accumulazione capitalistica; rivelano la necessità che deriva dai
mutamenti nell'organizzazione del lavoro di reinventare degli strumenti
di mediazione tra le classi e di controllo in sostituzione di quelli
tradizionali (primo tra tutti il Welfare e in generale la politica della
spesa statale); esprimono il venir meno delle forme tradizionali della
riproduzione sociale, e forse della centralità dello Stato in queste
forme, che è conseguenza di tutti questi mutamenti. Di fronte a questi
processi la politica e il governo politico tradizionale sembrano
spiazzati. Si assiste all'impossibilità, sulle basi dei vecchi saperi,
di riprodurre una classe politica di governo che esprima una certa
consistenza progettuale. In mancanza di ciò, la lotta per il governo
diventa pura lotta di poteri (e il PDS di distingue per il suo
pragmatismo, pronto a sacrificare tutto pur di andare al governo).
Contemporaneamente, i margini di scelta dei governanti si restringono,
la politica insegue, affannosamente e sempre in ritardo, i movimenti
automatici e anonimi della macchina economica e di quella burocratica.
La politica, anziché sapere di sintesi e spazio progettuale, diviene
mera esecuzione burocratica al servizio dei processi economici e
sociali, che si fanno valere come cieche leggi naturali. Ma non è tempo
questo per la routine amministrativa: l'impatto dei processi che abbiamo
segnalato, oltre a "superare" i vecchi saperi, sconvolge in profondità
gli assetti tradizionali sui quali in definitiva la classe politica
continua a sostenersi. Gli smottamenti e le trasformazioni in alcune
fondamentali funzioni statali aprono spazi nuovi che la politica come
amministrazione avrà difficoltà a capire. Attraversati da processi
complessi di "svuotamento" e di dislocazione, Stato e sfera pubblica
sembrano ridisegnarsi; e mentre la sinistra resta completamente
spiazzata, legata com'è alla loro codificazione politica tradizionale
(la democrazia intesa in senso ampio come dispositivo globale di governo
della nostra epoca), per noi si apre la possibilità di inseguire la
sfera pubblica oltre lo spazio delle pratiche statuali e di costituire
nel processo di questo scarto le pratiche della sovversione.
L'adesione acritica e incondizionata al dispositivo democratico si
accoppia con l'atteggiamento fideistico nei confronti dell'opinione
pubblica. Esse si riflettono a vicenda, sono una il supporto dell'altra.
La democrazia ha senso solo se l'opinione pubblica incarna la verità.
Reciprocamente, la verità dell'opinione pubblica è la democrazia. A
scavare dietro ad entrambe si finisce inevitabilmente per trovare il
pregiudizio illuminista, la fede incondizionata nella Ragione.
L'opinione pubblica è sacra, essa incarna agli occhi della sinistra il
maggiore degli dèi, la "sovranità del popolo". Al suo cospetto la
sinistra si è prostrata. Ma c'è un grandioso fenomeno che nel XX secolo
ha completamente scardinato i dati originari sui quali una certa
funzione e una certa natura dell'opinione pubblica si erano costituite:
è il fenomeno delle comunicazioni di massa e della costituzione
dell'informazione come merce. Con l'avvento dei media l'opinione
pubblica, che un tempo poteva anche rispecchiare un popolo quale il
lento limare delle culture definiva, è finalmente divenuta una merce
essa stessa: risultato di un particolarissimo processo di produzione,
veicolo strategico per la realizzazione e la riproduzione generale del
plusvalore. Rimettersi all'opinione pubblica come presuppone la
democrazia, significa santificare le proprie catene. Nell'epoca della
produzione massificata in tempi reali dell'opinione pubblica le chances
delle pratiche della sovversione derivano dalla capacità di scomporre le
forme date delle soggettività e di costituire nuovi processi di
soggettivazione. Indipendenti dai canali dominanti di produzione e di
organizzazione delle soggettività, centrati sulla costituzione e
sull'inseguimento di una sfera pubblica non statale, questi nuovi
processi di soggettivazione si danno come i nodi di un ampio tessuto di
relazioni, di interazione tra pratiche, di ricostituzione dei legami
sociali.
"Ma voi pensate davvero che io ci metterei tanta fatica e tanto
piacere a scrivere, credete che mi ci sarei buttato ostinatamente a
testa bassa, se non mi preparassi - con mano un po' febbrile - il
labirinto in cui avventurarmi, in cui spostare il mio discorso, aprirgli
dei cunicoli, sotterrarlo lontano da lui stesso, trovargli degli
strapiombi che riassumano e deformino il suo percorso, in modo da
perdermici e comparire finalmente davanti ad occhi che non dovrò più
incontrare?" (dall'Archeologia del sapere - introduzione p.24)
Per separarsi dalla sinistra è innanzitutto necessaria una certa
attitudine intellettuale, una certa capacità di osservare con occhio
sovversivo tutta una congerie di riferimenti, di abitudini mentali, di
ovvietà mai messe in discussione. Il pensiero di Michel Foucault ha
questa caratteristica straordinaria, è il pensiero della sovversione, è
la sovversione che pensa. (5)
C'è un procedere per scarti, per inversioni; dopo minuziose
peregrinazioni intorno a fili sottili che si dipanano per secoli, ecco
improvvisamente aprirsi spazi analitici imprevedibili, quasi che fosse
impossibile per il pensiero seguire ordinatamente il suo corso senza
slittamenti, fratture, balzi. Ogni indagine sembra esigere uno scavo a
ritroso e (ma non è alla ricerca di un origine che si lavora!) ogni
indagine mette capo alla apertura di nuovi campi, ognuno ben delimitato
ma nessuno indipendente. Il corpo a corpo ingaggiato dal filosofo
francese con tutto ciò che è stabilizzato, con tutto ciò che è acquisito
e indubitabile ci è sembrata una altissima indicazione di metodo. È con
questo metodo che Foucault si è cimentato con la critica dei moderni
dispositivi di governo, dissolvendo l'unità dei grandi apparati che
fanno perno sullo Stato moderno e mostrando la fitta trama delle
relazioni tra poteri e saperi sulla quale questi grandi apparati si
costituiscono. Leggendo il Résumé des cours è possibile seguire
l'insieme dei passaggi, degli slittamenti e dei salti che scandiscono la
ricerca di M. Foucault. A partire dal corso '75-76 Foucault tende a dare
un carattere generale ai risultati che negli anni precedenti aveva
ottenuto studiando "la formazione di certi tipi di sapere a partire
dalle matrici giuridico-politiche che hanno dato loro i natali e che
servono loro da supporto". (R 19) In quest'ultimo lavoro era via via
emerso lo stretto legame tra saperi e poteri, e insieme alcune
caratteristiche specifiche dei dispositivi di potere che imponevano di
rompere il modello giuridico della sovranità. Proprio nel corso del
'75-76 troviamo un passo fondamentale che traccia l'insieme della
strategia di indagine qual è emersa dallo studio dei rapporti tra saperi
e poteri: "Per portare avanti l'analisi concreta dei rapporti di potere,
bisogna abbandonare il modello giuridico della sovranità. Quest'ultimo
presuppone, infatti, l'individuo come soggetto dei diritti naturali o
dei poteri primitivi; si dà per obbiettivo rendere conto della genesi
ideale dello Stato; infine fa della legge la manifestazione fondamentale
del potere. Occorrerebbe provare a studiare il potere non a partire dai
termini primitivi della relazione, ma a partire dalla relazione stessa
in quanto determinatrice degli elementi verso i quali conduce: piuttosto
che domandare a soggetti ideali che cosa hanno potuto cedere di se
stessi o dei loro poteri per lasciarsi assoggettare, bisogna cercare
come le relazioni di assoggettamento possono fabbricare soggetti. Allo
stesso modo, piuttosto che cercare la forma unica, il punto centrale da
cui tutte le forme di potere derivano per via di conseguenza o di
sviluppo, bisogna dapprima lasciarle valere nella loro molteplicità,
nella loro differenza, la loro specificità, la loro reversibilità:
studiarle dunque come rapporti di forza che si incrociano, rinviano gli
uni agli altri, convergono o al contrario si oppongono e tendono ad
annullarsi". (R 57) Foucault tematizza in questo modo i due nuovi campi
di ricerca su cui lavorerà per il resto della sua vita. Da una parte c'è
la questione del potere, indagata al di fuori del modello della
sovranità, nei suoi meccanismi produttivi (anziché repressivi) e
microfisici. Dall'altra la questione del soggetto, la questione di come
i rapporti di potere possono fabbricare di volta in volta le forme della
soggettività e dell'individualizzazione. Il nuovo ciclo di studi che
Foucault avvia con i corsi successivi al 75-76, il cui baricentro è la
formazione storica di un "governo dei viventi", costituisce insieme il
momento di passaggio e di collegamento fra queste due tematiche.
L'interesse di queste ricerche, dal nostro punto di vista, in rapporto
al problema della democrazia, è proprio quello di svelare il carattere
specifico, di soluzione concreta a una serie di problemi concreti, dei
dispositivi di governo. Seguendo la nozione di governo dei viventi lungo
il corso dei secoli Foucault individua i momenti di rottura e i problemi
specifici che mettono capo ad un certo tipo di governamentalità
politica: passaggio dal potere pastorale ad una nuova matrice di
razionalità nell'esercizio della sovranità e del governo degli uomini.(6)
I dispositivi di governo che si vanno strutturando tra il XVI e il XVII
secolo si situano alla congiunzione di alcune grandi "tecnologie", di
alcuni grandiosi processi storici che mutano in profondità gli assetti,
le forme, le premesse stesse dell'esercizio del governo sui viventi. Al
centro di tutti questi smottamenti vi è l'affermazione dello Stato
moderno. Quello che colpisce Foucault è il legame tra questo lento
processo di affermazione e costituzione dello Stato moderno e il sorgere
della "questione della popolazione". L'insieme dei viventi diviene una
popolazione, una premessa ed una risorsa per il nuovo assetto economico
sociale che si va affermando. Foucault mette in luce il movimento,
simultaneo e reciprocamente implicantesi, delle relazioni microfisiche
dei poteri che costituiscono e disciplinano questa nuova figura della
"popolazione", e i grandi processi economici e sociali della modernità.
Lo Stato moderno è inconcepibile a prescindere da quel complesso
processo di costituzione di nuovi saperi e nuovi poteri che attraversano
e preludono alla sua affermazione, diventa inspiegabile se non si segue
l'irrompere sulla scena storica di tutta una "tecnologia delle forze
statali", alle quali rimanda ed è legata per esempio la
Polizeiwissenschaft, "ovvero, la teoria e l'analisi di tutto 'ciò
che tende ad affermare ed a aumentare la potenza dello Stato, a fare un
buon impiego delle sue forze, a procurare la felicità dei suoi sudditi'
e principalmente 'il mantenimento dell'ordine e della disciplina..." (R
69), o la Medizinische Polizei o Hygiène publique in
Francia, e cioè la scienza che cura la salute e l'igiene dei viventi.
Il metodo di Foucault è dunque quello di scomporre l'unità immediata dei
grandi dispositivi di governo. Seguendo la genealogia di questi
dispositivi emerge tutto un tessuto di relazioni di potere a livello
microfisico che è indispensabile descrivere per tracciare le possibilità
e le condizioni di esistenza dei grandi apparati di potere. Questi
grandi apparati e dispositivi di governo tra i quali la democrazia sono
cioè supportati da quest'insieme mobile di relazioni di potere e possono
funzionare solo in quanto queste relazioni costituiscono e producono
l'insieme dei viventi e le forme di individualità in certe forme
storicamente determinate. L'affermarsi dello Stato e dei primi grandi
apparati e tecnologie di governo, nel caso specifico studiato da
Foucault, procede su questo retroterra che è la costituzione della
nozione di popolazione, con i suoi saperi che lentamente prendono forma
(la statistica, la criminologia e le scienze mediche in generale, ecc.)
con le sue tecniche, con la nuova "matrice di razionalità" che ne
costituisce le condizioni di esistenza.
L'opinione pubblica e il cittadino sono in rapporto alla democrazia ciò
che è la "popolazione" in rapporto all'affermarsi dello Stato moderno.
Per la critica della democrazia come dispositivo di governo le analisi e
il metodo di Foucault costituiscono dunque un riferimento ineludibile.
Ma le indagini di Foucault sono fondamentali anche per la critica e il
superamento dell'orizzonte delle pratiche politiche statuali. Il
passaggio fondamentale è senz'altro l'abbandono del modello giuridico
della sovranità e del potere, e l'analisi di quest'ultimo a partire
dalla molteplicità delle sue forme. In La volontà di sapere Foucault
riprende in modo più dettagliato le indicazioni che aveva formulato nei
Résumé des cours: "In fondo, malgrado le differenze di epoche e
di obbiettivi, la rappresentazione del potere è sempre stata
ossessionata dalla monarchia. Nel pensiero e nell'analisi politica non
si è ancora tagliata la testa al Re. Di qui l'importanza che viene
ancora data nella teoria del potere al problema del diritto e della
violenza, della volontà e della libertà, e soprattutto dello Stato e
della sovranità (sott. nostra) (anche se non è più interrogata nella
persona del sovrano ma in quella di un essere collettivo)". (VdiS 79) È
necessario secondo Foucault indagare "meccanismi di potere completamente
nuovi - probabilmente irriducibili alla rappresentazione del diritto ".
(VdiS 79) "Questi meccanismi di potere ... sono almeno in parte quelli
che si sono occupati, a partire dal XVIII secolo, della vita degli
uomini come corpi viventi (sott. nostra)". (VdiS 79-80) I "nuovi
procedimenti di potere funzionano sulla base della tecnica e non del
diritto, della normalizzazione e non della legge, del controllo e non
della punizione" e "si esercitano a livelli e in forme che vanno al di
là dello Stato e dei suoi apparati (sott. nostra)". (VdiS 80) È quest'ultimo
punto che ci interessa particolarmente: "La condizione di possibilità
del potere ... non bisogna cercarla nell'esistenza originaria di un
punto centrale, in un unico centro di sovranità dal quale si
irradierebbero delle forme derivate e discendenti; è la base mobile dei
rapporti di forza che inducono senza posa, per la loro disparità,
situazioni di potere, ma sempre locali ed instabili. Onnipresenza del
potere: non perché avrebbe il privilegio di raggruppare tutto sotto la
sua invincibile unità, ma perché si produce in ogni istante, in ogni
punto, o piuttosto in ogni relazione tra un punto e un altro. Il potere
è dappertutto non perché inglobi tutto ma perché viene da ogni dove". (VdiS
82) In un altro passo, ecco come Foucault descrive i rapporti tra i
dispositivi globali e quelli microfisici del potere: "Né la casta che
governa, né i gruppi che controllano gli apparati dello Stato, né quelli
che prendono le decisioni economiche più importanti gestiscono l'insieme
della trama di potere che funziona in una società (e la fa funzionare);
la razionalità del potere è quella di tattiche, spesso molto esplicite
al livello limitato in cui s'inscrivono - cinismo locale del potere -,
che, connettendosi le une alle altre, implicandosi e propagandosi,
trovano altrove la loro base e la loro condizione, delineano alla fine
dei dispositivi d'insieme". (VdiS 84) A questa polimorfità del potere, a
questa sua natura instabile, mobile che non si esaurisce intorno al
dispositivo statale, corrisponde un'analoga struttura delle forme della
resistenza. I "punti di resistenza sono presenti dappertutto nella trama
del potere. Non c'è dunque rispetto al potere un luogo del grande
Rifiuto - anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge
pura del rivoluzionario. Ma delle resistenze che sono degli esempi di
specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge,
solitarie, concertate, striscianti, violente, irriducibili, pronte al
compromesso, interessate o sacrificali; per definizione non possono
esistere che nel campo strategico delle relazioni di potere". (VdiS 85)
Le analisi di Foucault ci confortano dunque nei due passaggi strategici
che abbiamo indicato nella prima parte: la critica della democrazia e
della figura del cittadino, la pratica di forme di lotta e di resistenza
oltre la sfera statale. Dal punto di vista dell'analisi dei poteri lo
"svuotamento" della sfera statale che abbiamo indicato ci appare sotto
un'altra luce. I processi di mondializzazione economica, la "fine dello
sviluppo", i mutamenti nell'organizzazione del lavoro e la crisi dei
dispositivi tradizionali dei poteri politici e del ruolo dello Stato si
intrecciano con le trasformazioni e le specificazioni dei dispositivi di
potere e con lo svolgersi di nuove forme di resistenza e di
soggettività. Si tratta di processi paralleli che si alimentano a
vicenda e di cui è necessario individuare i punti di incrocio, i momenti
di "codificazione strategica" e di "integrazione istituzionale".(7)
Il processo di "svuotamento" della sfera statale, il restringersi della
sua forma di conduzione al terreno dell'amministrazione devono allora
essere letti come lo scompaginarsi delle vecchie strategie di
"integrazione istituzionale" dei dispositivi di poteri; scompaginarsi
che muove tanto dai grandi mutamenti economico sociali quanto dalla
instabilità e dalla specificazione dei dispositivi di potere al livello
microfisico, dalla crisi delle forme tradizionali
dell'individualizzazione. La pratica delle lotte oltre la sfera statale
- e perciò oltre la sinistra - ha la sua base strategica in questa
analisi dei dispositivi di potere.
Libera Università di
Godz
Note:
(1) E qui è Foucault stesso a confortarci: "Se
'politicizzare' significa ricondurre tutti quei rapporti di forza e quei
meccanismi di potere che l'analisi mette in evidenza a delle scelte, a
delle organizzazioni precostituite, allora non ne vale la pena. Alle
grandi nuove tecniche di potere (che corrispondono alle economie
multinazionali o agli Stati burocratici) deve opporsi una
politicizzazione che avrà forme nuove" (dTaC p.127)
(2) "Dal momento in cui si è avuto bisogno di un potere
infinitamente meno brutale e meno dispendioso, meno visibile e meno
pesante di quello della grande amministrazione monarchica, si sono
accordati ad una certa classe sociale, o per lo meno ai suoi
rappresentanti, maggiori spazi nella partecipazione al potere, e
nell'elaborazione delle decisioni. Ma nello stesso tempo, e per
compensare ciò, è stato perfezionato un complesso sistema di dressage,
essenzialmente nei confronti delle altre classi sociali ma applicato
anche alla nuova classe dominante ... Perché un certo liberalismo
borghese fosse possibile a livello delle istituzioni, è stato
necessario, a livello di ciò che io chiamo i micropoteri, un
investimento molto più stringente degli individui, è stato necessario
organizzare un minuzioso incasellamento (quadrillage) dei corpi e dei
comportamenti. La disciplina è l'altra faccia della democrazia" (dTaC pp.14-15)
(3) Sull'imporsi della "ragion di Stato" e la sua genesi
cf.TdS da p.138 a p.150.
(4) E il suo impoverimento ed "intristimento". A questo
proposito Foucault la pensa ben diversamente: "Occorre ... portare nella
lotta più gioia, lucidità e perseveranza che sia possibile. La sola cosa
veramente triste è il non lottare affatto... In fondo a me non piace
scrivere; ma è una attività da cui è molto difficile distaccarsi per
passare oltre. Lo scrivere non mi interessa se non nella misura in cui
ciò che si scrive si inserisce nella realtà di una lotta, in forma di
strumento, di tattica, di chiarificazione. Vorrei che i miei libri
fossero una sorta di bisturi, di bottiglia molotov o di galleria minata
e che si polverizzassero dopo l'uso come fuochi artificiali..." (dTaC pp.21-22)
(5) "Bisogna rimettere in questione queste sintesi belle
e pronte, quei raggruppamenti che in genere si ammettono senza il minimo
esame, quei collegamenti di cui si riconosce fin dall'inizio la
validità; bisogna scalzare quelle forme e forze oscure con cui si ha
l'abitudine di collegare tra loro i discorsi degli uomini; bisogna
scacciarle dall'ombra in cui regnano". (AdelS p.30) "Bisogna dunque
tenere in sospeso tutte queste forme preventive di continuità, tutte
quelle sintesi che non vengono problematizzate e a cui si accorda pieno
valore. Naturalmente non si tratta di rifiutarle definitivamente, ma di
scuotere l'acquiescenza con cui si accettano; dimostrare che non sono
evidenti ma costituiscono sempre l'effetto di una costruzione di cui
bisogna conoscere le regole e controllare le giustificazioni" . (AdelS p.35)
(6) È quello che accade con l'instaurarsi del dominio
della "borghesia": in quel momento "la borghesia comprende perfettamente
che una nuova legislazione o una nuova Costituzione non le saranno
sufficienti per garantire la sua egemonia; comprende che deve inventare
una nuova tecnologia che assicurerà l'irrigazione del corpo sociale
preso nel suo insieme, e fino ai più minuscoli granelli, degli effetti
di potere. Ed è qua che la borghesia ha fatto non soltanto una
rivoluzione politica, ma ha anche saputo instaurare una egemonia sociale
rispetto alla quale non è più tornata indietro" (P p.19).
(7) "Come la trama delle relazioni di potere finisce per
formare uno spesso tessuto che attraversa gli apparati e le istituzioni
senza localizzarsi esattamente in essi, così la dispersione dei punti di
resistenza attraversa le stratificazioni sociali e individuali. Ed è
probabilmente la codificazione strategica di questi punti di resistenza
che rende possibile una rivoluzione, un po' come lo Stato riposa
sull'integrazione istituzionale dei rapporti di potere". (VdiS 86)