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Michel Foucault e la «morte
dell'uomo» (A. D'Alonzo)
Michel Foucault è stato con Deleuze l’esponente
principale degli studi francesi sulla Nietzsche-Reinassance- che hanno
contrassegnato l'’avvio del post-strutturalismo. Il termine indicava uno
svariato gruppo di studiosi provenienti dalle più diverse discipline,
influenzati dallo strutturalismo linguistico di Saussurre e da quello
antropologico di Lèvi Strauss. Tuttavia, dopo un fortunato successo iniziale, lo
strutturalismo iniziava ad assomigliare ad una sorta di neoplatonismo, con il
suo rifiuto della successione diacronica e l’esaltazione della invariabilità
nascosta delle relazioni tra le variabili. Alla sconfessione parmenidea del
divenire vitalistico, i post-strutturalisti opponevano le vertiginose
sconnessioni delle pratiche genealogiche nietzscheane. Non esistono strutture
immote e, soprattutto, non può determinarsi alcun primato gerarchico tra le
strutture. Tramontata definitivamente la positivistica dicotomia marxista tra
strutture e sovrastrutture, si poteva così concludere che le strutture fossero
tutte uguali. Anzi, non si tratta nemmeno di strutture vere e proprie, quanto di
ineffabili centri di potere che non hanno collocazione in nessun topos
determinato. Le relazioni tra le forze sono di gran lunga più importanti delle
forze stesse, che devono essere pensate piuttosto come aggregazioni di
differenze. L’autocoscienza è dunque una solenne impostura, il soggetto è
radicalmente giocato dalle nascoste, inconsce, determinazioni del pensiero. Il
poststrutturalismo può così destrutturare le strutture del potere. Il
postrutturalismo fa sue le premesse della lezione saussureana e
dell’antropologia culturale di Lèvi Strauss- annullando la dimensione
umanistica- ma dissolve tutto in una nichilistica chiusura anti-meccanicistica
ed anti-deterministica, in onore dell’energetismo «ontologico» nietzscheano.
Foucault era una personalità enigmatica e sfuggente, il suo stile di scrittura
era ermeticamente astratto: «Positivismo rarefatto, poetico in se stesso», così
una volta fu definito dal suo amico Gilles Deleuze. Nel decennio successivo alla
pubblicazione della sua prima opera sulla Storia della follia , si
propose deliberatamente di eclissarsi, di cancellare le tracce della personalità
nella sua scrittura. In un'intervista del 1969, dichiarò di scrivere «per non
avere più un volto». Nell’ultimo passaggio della sua opera più complessa e
famosa, Le parole e le cose , Foucault annuncia che presto l'uomo
scomparirà come un volto fatto di sola sabbia. Il pensatore francese annuncia la
morte dell’uomo, così come Nietzsche, un secolo prima, aveva proclamato la morte
di Dio. Tuttavia il III volume dell’ultima sua opera monumentale Storia della
sessualità , emblematicamente intitolato Le Souci de soi , e’ un
trattato sull’io e sulle tecniche del sé. Come conciliare tutto ciò?
Lo stesso Foucault racconta di essere rimasto intrappolato nel pensiero
nietzscheano, quando aveva ormai ultimato il suo apprendistato intellettuale
come normalien e paragona la rilettura delle Considerazioni inattuali a
uno «choc filosofico». Un suo amico normalien, Maurice Pinget, ci racconta di un
Foucault immerso nella lettura di Nietzsche sotto il sole di Civitavecchia,
durante una vacanza in Italia. Il giovane Foucault dichiara il suo interesse
smodato per le tematiche della follia, della crudeltà, del potere e della
sessualità, e rivela il suo intento di indagarle «sotto il sole della grande
ricerca nietzscheana». Per Foucault, tutti i saggi delle Considerazioni
inattuali esprimono il tentativo di Nietzsche di trovare la propria
dimensione, la propria necessità più alta. E’ soprattutto il saggio intitolato
Schopenhauer come educatore a colpire Foucault, che ne sottolinea un
passaggio chiave:
«L’enigma che deve risolvere, l’uomo può risolverlo soltanto partendo
dall’essere, nell’essere così e non altrimenti, in ciò che trapassa» (Cfr.
F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore , Adelphi, Milano, p.44)
Il passaggio è ritenuto importante da Foucault, una delle chiavi che sottendono
il tentativo ossessivo e affannoso, durato tutta la vita, di realizzare il
programma del sottotitolo di Hecce Homo , di diventare «ciò che si è».
Tentativo ossessivo per Nietzsche, ma anche per Foucault.
«Ogni uomo in fondo sa
benissimo di essere al mondo solo per una volta, come un unicum, e che nessuna
combinazione per quanto insolita potrà mescolare insieme per una seconda volta
quella molteplicità così bizzarramente variopinta nell’unità che egli è <...>
Sii te stesso! Tu non sei tutto ciò che adesso fai, pensi e desideri» ( Ivi,
pp. 3-4)
È spontaneo domandarsi come Nietzsche e Foucault possano essere stati attratti
da queste esortazioni esistenziali. Sia Nietzsche- soprattutto quello del
secondo periodo "illuminista" che segna il distacco da Bayreuth con Umano,
troppo umano - sia Foucault ripudiano l’idea di coscienza innata. Per
Nietzsche, il corpo è la risultante di molte anime e l’Io è solo il prodotto
contingente e variabile dello spiegamento discontinuo delle forze culturali. Per
Nietzsche il «grande stile», «la lezione di forza», consiste nel «dare forma al
caos», nel decostruire genealogicamente le strutture predeterminate della
morale, della cultura, della religione, in vista di una trasvalutazione. Solo
così è possibile «partorire una stella danzante».
«Nessuno può gettare sopra il fiume della vita il ponte sul quale tu devi
passare, nessun altro che te <...> Al mondo vi è un’unica via che nessuno oltre
a te può fare: dove porta? Non domandare, seguila» (Cfr. F. Nietzsche,
Così parlò Zarathrustra , Adelphi, Milano, p.11)
Non esisteva, per Nietzsche, una teoria generale della liberazione: ogni
individuo deve trovarla da solo. Liberare la volontà di potenza, «diventare ciò
che si è», può essere un cammino pericoloso:
«All’uomo sono necessarie le sue cose peggiori per le migliori» (Cfr. F.
Nietzsche, Così parlò Zarathrustra , Adelphi, Milano, p.11)
Ed ancora:
«Il segreto per raccogliere dall’esistenza la fecondità più grande si esprime
così: vivere pericolosamente!» (Cfr. F. Nietzsche, La Gaia Scienza ,
Adelphi, Milano, p.165)
Foucault interpreta questi aforismi come un tentativo di pensare l’Impensato. La
strada che porta al centrum della conoscenza deve essere ricercata
nell’Alterità, che però- proprio per la sua eccedenza rispetto al Medesimo- si
viene a determinare come Medesimo. È il pensiero del Fuori, della Differenza,
dello «strutturalismo senza strutture». Ritornerò in seguito su questo punto per
cercare di conciliare le posizioni presentate dall'ultimo Foucault nella
Storia della sessualità con l'assunto strutturalista della «morte
dell'uomo». Per far luce sul problema si deve fare molta attenzione alle letture
giovanili di Foucault.
Nella Storia della follia , Foucault definisce la follia come distruzione
del composto di caos e forma, come assenza d’opera. Viene approfondita ed
elaborata la lezione di Umano, troppo umano, in cui Nietzsche sostiene la
tesi che l’uomo è deterministicamente derivato da una molteplicità di eventi
inintelligibili e perciò non deve essere ritenuto moralmente responsabile di
nulla. La volontà di potenza garantiva una labile apertura- una possibilità di
trascendenza- in cui l’uomo poteva ricominciare da capo. Tuttavia, costretta tra
necessità e libertà, la volontà non era mai radicalmente libera e non poteva
cambiare del tutto il proprio essere-così-e non-altrimenti. Non si poteva quindi
accusare l’uomo per le sue trasgressioni, perché «la nostra addomesticata,
mediocre e castrata società», aveva reso ammalato l’individuo superiore. La
vergogna era quindi un risultato della malattia morale; il senso di colpa,
un’invenzione dell’etica giudaico-cristiana. Una corruzione codificata in
«tratti impressi da molti millenni» che ha prodotto una prigione debilitante per
il corpo. Nelle pagine della Storia della follia Foucault riafferma che
fantasie sfrenate e pulsioni libidico-distruttive non sono immorali, ma
naturali. Le perversioni sono esperienze-limite, «punti di non-ritorno», che
aprono l’accesso alla dimensione dionisiaca sbarrata all’animale umano. La
volontà di potenza è volontà di trasgressione, «al di là del bene e del male».
Le pulsioni naturalmente crudeli, sono state imprigionate, codificate
all’interno dell’uomo e trasformate in nuove pulsioni virtualmente distruttive.
L’essere umano non ne è responsabile. La genealogia delle tecniche di controllo
delle pulsioni «folli» è configurata dalla storia della segregazione e clausura
sociale inaugurata dall’età classica. Il «folle» risulta così innocente: la
colpa è solo della società, l’unica responsabile del crimine. La nascita della
moderna ragione occidentale si annuncia conchiudendo e rimuovendo lo spazio
aperto dall’esperienza della «sragione». Nietzsche, come Sade, Holderlin,
Nerval, Van Gogh, e a suo tempo Artaud, sono gli araldi del canto lontano della
obliata sragione. Le loro opere, freudianamente perturbanti, liberano dalla
rimozione le energie animali umane. Irrompono in un delirio di fantasie crudeli
e morbose prima di immergersi nel silenzioso abisso della follia o nel tragico
abbraccio con la morte. l’Es è sovente raffigurato, nella psicoanalisi, come un
oceano, le cui acque agitate e oscure riproducono l’inquietudine della
schizofrenia, come nella Nave dei folli di Bosch. IL pensiero della volontà di
potenza di Nietzsche attraversa questa silenziosa e introiettata
esperienza-limite, rivela lo spazio aperto di questa domanda senza risposta, di
questa lacerazione inenarrabile: pensa l’Impensato. Il superuomo è colui che si
riappropria dell’assenza, del vuoto sottratto alla pazzia rimossa: coincide con
il folle. Foucault in molti dibattiti dell'epoca ribadì, a più riprese, che
considerava l'esperienza della follia il punto più vicino alla conoscenza
assoluta, prendendo quella nietzscheana come paradigma.
Ma se nel delirio psichico vi sono tracce di trascendenza, l'oltrepassamento
della metafisica- del radicato connubio logocentrico sapere/potere- è dunque, un
incamminarsi verso la sragione? I discussi ed inquietanti «biglietti della
follia» di Torino verrebbero così a testimoniare l’apoteosi personale di
Nietzsche nel felice esito dell’oltrepassamento finale? Foucault non lo proclama
deliberatamente, ma lo lascia intuire:
«Poco importa il giorno
esatto dell’autunno 1888 in cui Nietzsche è diventato completamente pazzo e a
partire dal quale i suoi testi appartengono non più alla filosofia, ma alla
psichiatria; <...> la follia di Nietzsche, cioè lo sprofondarsi del suo
pensiero, permette a questo pensiero di aprirsi sul mondo moderno. Ciò che la
rendeva impossibile ce la rende presente; ciò che la strappava a Nietzsche la
offre a noi» (Cfr. M. Foucault, Storia della Follia nell’età classica,
Rizzoli, Milano, 1963, p. 454)
E quindi continuando a parlare dell’opera di Nietzsche:
«con la follia un’opera che sembra sprofondare nel mondo rivelargli il suo
non-senso <...> in fondo coinvolge il tempo nel mondo, lo domina e lo conduce; a
causa della follia che lo interrompe, un’opera apre un vuoto, un tempo di
silenzio, una domanda senza risposta, provoca una lacerazione senza rimedio in
cui il mondo è destinato a interrogarsi» (Ivi, pp. 454-455)
Sorvegliare e punire , si apre con la descrizione dettagliata del
supplizio del regicida Damiens. Foucault non innalza inni illuministici alla
scomparsa della tortura. Il propositi umanitario di alleviare la crudezza delle
pene fisiche ha avuto la conseguenza deprecabile di strutturare la moderna
società punitiva, il sistema carcerario occidentale, inventando tecniche
disciplinari sempre più sofisticate. Il sistema disciplinare è stato
successivamente esteso dai detenuti fino ad includere soldati, studenti,
lavoratori. La tecnologia del potere determina il duplice effetto di «un’anima
da conoscere e un assoggettamento da mantenere». Proseguendo la serie delle
grandi trasvalutazioni nietzscheane, Foucault rovescia l’assunto
orfico-pitagorico del corpo-tomba dell’anima: è quest’ultima ad essere la
prigione del corpo. La coscienza è la prima delle tecnologie del potere.
Un tempo gli homo natura- afferma Nietzsche nella Genealogia della morale
a cui Sorvegliare e punire palesemente si ispira- agivano spinti da
capricci passeggeri. Gli questi animali da preda umani terrorizzavano le
popolazioni circostanti con turpe violenze. In questa fase primordiale la vita
era felice, ma breve. Come ribadirà anni dopo Freud, il primitivo è più felice
dell’uomo civilizzato, per il libero fluire delle sue pulsioni
libidico-aggressive. Tuttavia la sua felicità è molto breve, a causa della
minaccia costituita dalla presenza delle stesse pulsioni nei suoi vicini. L’uomo
moderno ha barattato una parte della felicità primordiale dello stato di natura
con la sicurezza dello stato sociale. Il controllo avvenne attraverso
l’imposizione di quella che Nietzsche definisce «la camicia sociale di forza».
Attraverso regole, usi, costumi, leggi progettate per far diventare l’uomo
«calcolabile, regolare, necessario», si rese mansueto l’animale umano. Con l’uso
di «mnemotecniche» si forgiò una «vera e propria memoria della volontà», giacché
solo la memoria assicura la persistenza del comportamento docile di questi ex
animali da preda:
«si incide a fuoco qualcosa affinché resti nella memoria: soltanto quel che
non cessa di dolorare resta nella memoria» (Cfr. F. Nietzsche, Genealogia
della morale , Adelphi, Milano, p. 49)
Per secoli i sovrani impiegarono strumenti cruenti per piagare l’indole
barbarica dei loro sudditi: la pace sociale fu ottenuta attenuando la sete di
violenza collettiva con la visione del sangue promesso. Le pubbliche esecuzioni
avevano la funzione di soddisfare la brama di sangue delle masse.
«nelle pene vi è tanta aria di festa <...> veder soffrire fa bene» (Ivi,
p. 55)
Lo spettacolo in piazza dei
supplizi, assicurava la preservazione delle pulsioni originarie dell’animale
umano. Con il tempo, tuttavia, il processo di civilizzazione rimosse tali
pulsioni. Tuttavia, per Nietzsche, questo non era un sintomo di civiltà, ma una
perversione vera e propria. Una minaccia al trascendens che è la volontà di
potenza. Essere crudeli significava- per Nietzsche, come per Foucault-
esercitare la volontà di potenza, ovvero il potere senza più inibizioni. La
vittoria riportata dalle forze sociali della rimozione interiorizzò nuove
pulsioni e nuove forze all’interno dell’essere umano.
«tutti gli istinti che non si scaricano all’esterno, si rivolgono
all’interno. In tal modo soltanto si sviluppa nell’uomo quella che più tardi
verrà chiamata la sua "anima» (Ivi, p. 74)
La strutturazione dell'anima ha provocato la dissociazione dell'animale umano.
Secondo Nietzsche, l'anima- ovvero la cattiva coscienza - determinata
dall'interiorizzazione delle pulsioni aggressive, provoca una serie di conflitti
interiori, quello stato di frustrazione che Freud (al quale Nietzsche si
avvicina qui tantissimo, sino a sfiorare la scoperta dell'inconscio) chiama
nevrosi. Reprimendo i propri istinti distruttivi, l'essere umano finì sottomesso
alla morale privata e civile. Ma gli impulsi crudeli, secondo Nietzsche,
continuarono ad esercitare il loro influsso nell'interno. L'ascesi cristiana è
il trionfo degli impulsi aggressivi interiorizzati: il piacere del dominio di
sé. In pochi eletti, il godimento masochistico dell'autocontrollo rafforzò la
volontà di potenza, con effetti davvero sorprendenti e insperati:
«tutta questa "cattiva coscienza" attiva ha infine <...> dato altresì alla
luce una profusione di nuove sorprendenti bellezze e affermazioni e, forse per
la prima volta, innanzitutto la bellezza» (ivi, p. 77)
Foucault, lungi dall'apprezzare la bellezza dell'autocontrollo, è interessato
soprattutto alla liberazione delle pulsioni rimosse. La conoscenza per Foucault,
che fa propria la lezione del maestro, è la sottoproduzione di forze corporali
irreggimentate. Considerando l'anima come prigione del corpo, il filosofo
francese invita alla rivalutazione degli antichi supplizi della tortura.
Foucault- sull'onda dell'impatto culturale della psicoanalisi sugli anni della
contestazione sessantottina in Francia- esprime tutto il suo profondo
scetticismo verso le riforme che abolirono la tortura. Il filosofo francese si
scaglia contro le moderne scienze umane- come Nietzsche a suo tempo fece con il
Cristianesimo- ree di aver introdotto delle tecniche di controllo
socioculturali, anzitutto mediante le pratiche disciplinari del corpo. L'uomo
moderno nasce all'interno di una serie di regolamenti: regole e sotto-regole
puntigliose, ispezioni, supervisioni meticolose sul corpo e nella vita privata.
E' il sorgere della «società carceraria». Il panopticon di Bentham- una
struttura architettonica circolare con una torre nel mezzo- introduce nelle
carceri il sistema di sorveglianza totale. Ma diventa anche il nuovo paradigma
della transizione dalla disciplina dell'età classica al supervisionismo
disciplinare moderno. L'assunto di Foucault è che il carcere non sopprime le
infrazioni, ma le assimila, le organizza, le metabolizza: esso produce nuova
delinquenza e nuova corruzione. Radicalizzando l'avversione strutturalista
all'Illuminismo come fautore di istanze falsamente progressiste, del
razionalismo antropocentrico, Foucault (differente in questo da Nietzsche, che
ammirava Voltaire) equipara le idee dei Lumi ad un programma totalitario.
L'illuminismo dissimula sotto una sbiadita patina di umanitarismo la sua volontà
di potere. In questo senso le riforme penali non vogliono attenuare il carattere
cruento delle punizioni,quanto,
«punire meglio; punire con una severità forse attenuata, ma per punire con
maggiore universalità e necessità; inserire nel corpo sociale, in profondità, il
potere di punire» (Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e Punire , Einaudi,
Torino, 1976, p. 89)
Mentre il potere del sovrano è spettacolare, quello della disciplina è morbido,
sinuoso, avvolgente, in una parola totalitario. Esso si esercita attraverso la
sorveglianza discreta e continua. In luogo della coercizione manifesta, la
disciplina «normalizza», riconduce l'estatico potere della sragione dentro gli
alvei «panottici» della coscienza. Nessun superuomo può adesso allontanarsi dal
gregge.
La volontà di potenza- il
trascendens per Nietzsche e per Foucault- ha il suo contrapposto docile e
presentabile nella «cattiva coscienza» cristiana. Ovvero nell'Io malato
dell'uomo moderno, creato da forti pulsioni libidico-distruttive interiorizzate.
Viceversa Foucault, come già Nietzsche, preferisce la crudeltà (o volontà di
potenza) esteriorizzata a quella interiorizzata, in quanto più vigorosa e attiva
dell'altra, che rimane debole e reattiva.
Foucault, che in quegli anni era palesemente interessato ai crimini più truci ed
efferati, ci propone una particolare lettura di uno dei casi clinici più
scandalosi dell'epoca, quello dello psicopatico Pierre Rivière. Foucault è qui
influenzato dal fatto che lo stesso Nietzsche, negli ultimi frammenti, aveva
introdotto la tematica del delinquente solitario che lotta contro la società ed
i suoi valori ed aveva, viceversa, condannato qualunque movimento di massa, in
quanto espressione del gregge. Lo psicopatico Rivière si considerava un
filosofo- sappiamo dall'opera omonima di Foucault che nel tempo libero si
dilettava di filosofia e teologia- e ciò nonostante massacra la sua famiglia.
Per Foucault è l'efferatezza stessa dell' abominevole rituale di morte con cui
Rivière stermina i suoi familiari ad assumere una dimensione simbolica. Non è un
omicidio normale, ma un crimine contronatura, contro qualsiasi legge impressa
nella coscienza, contro qualsiasi barlume di affettività. L'inconcepibilità
della violenza di Rivière attrae irresistibilmente Foucault che vi vede impresso
il sigillo del modello controculturale nei confronti della società moderna e
«normalizzata». Il filosofo francese esalta la figura dello psicopatico Rivière
come archetipo popolare, espressione della bellezza e della grandezza del
crimine, dimostrando come degli uomini abbiano potuto sollevarsi contro il
potere ed infrangere la legge. Tuttavia ritengo che Foucault non intendesse
operare una riduzione integrale del superuomo nietzscheano al paradigma del
criminale psicopatico, alla Riviere. Il superuomo nietzscheano e la sua volontà
di potenza, non possono essere espressioni di una società che, in quanto
punitiva e carceraria, produce psicopatici e folli criminali. Pierre Riviere è
piuttosto una vittima del sistema, una creazione involontaria- come del resto lo
sono i serial-killer postmoderni- dei meccanismi del potere. Il superuomo, così
come Nietzsche lo concepì, non ha niente a che fare con la società, con la
massa: Zarathustra si ritira a vivere in solitudine tra le vette delle montagne
ed ha come unici amici due animali, l'aquila e il serpente. La lucidità e la
chiaroveggenza di Zarathustra non nascono dal contatto umano o dalla ribellione
sociale, ma dal suo essere completamente appartato e isolato, dal suo vivere in
esilio dagli altri uomini. La solitudine che conferisce a Zarathustra la forza
di vivere tra i ghiacciai e gli abissi delle vette, non è la conseguenza di una
devianza o di una lacerazione interiore. Quindi, per Zarathustra lo «Spirito è
la vita che taglia nella propria carne», è il «grande stile» di chi-
controllando e dando forma al proprio caos- riesce a «generare una stella
danzante». Tutto questo è ben lontano da Pierre Rivière e dalla sua patologia
criminale che può essere- tutt'al più- espressione di una malattia degenerativa
che si trasforma in violenza privata contro quella stessa società che è
responsabile di creare alienati e disadattati, vittime del sistema.
Tuttavia, a discolpa di Foucault- per aver elevato un penoso caso clinico
dell'epoca a soggetto di un saggio filosofico - non si deve dimenticare che lo
scenario politico-sociale dal quale il pensiero del filosofo prende le mosse è
quello delle contestazioni del Maggio '68 francese. Foucault in quegli anni
esagerò palesemente con queste idee: addirittura avallando i Massacri del
settembre 1792 quale paradigma di giustizia!
A parte queste grottesche provocazioni, si deve ricordare che la cultura del
tempo- Marcuse, Freud, Bataille- sosteneva che la società capitalistica, era
edificata sulla repressione pulsionale, in particolare della libido( tesi che
peraltro l'ultimo Foucault rifiutò). La destrutturazione dell'intreccio
sapere/potere, il logocentrismo occidentale, avrebbe dovuto iniziare dalla
liberazione del rimosso. E' lecito quindi vedere nel Foucault di Sorvegliare
e punire e del Pierre Rivière (Cfr. M. Foucault, Io, Pierre
Rivière , Einaudi, Torino, 1976), più che il profeta dell'ultraviolenza
rivoluzionaria, un teorico della liberazione, della catarsi dionisiaca del
desiderio represso. Un desiderio totale, erotico e mortale. La volontà di
potenza si trasforma così in una volontà di liberazione. Ma se la catarsi libera
le pulsioni originarie dalla censura logocentrica, e insieme a queste anche il
Sé, non si apre per il soggetto uno spazio totalmente altro? Non è forse
Sorvegliare e punire una nuova «grande ricerca nietzscheana» per pensare
l'Impensato? Da questa prospettiva per Foucault, l'opera di Nietzsche rimane una
traiettoria privilegiata per articolare il pensiero del Fuori, della Differenza.
Ciò è rilevabile anche nel saggio breve Freud, Marx, Nietzsche , in cui
Foucault si propone di indagare le tecniche d’interpretazione dei tre pensatori.
Il filosofo francese introduce il sospetto sulla non trasparente referenzialità
del linguaggio. Il significato non si traspone manifestamente nel significante:
un residuo eccedente occlude la sua istantanea svelatezza. Foucault propone
anche la possibilità di una lingua non esclusivamente alfabetica, ma anche
semiologica. Fino al XVI secolo, i segni godevano di uno spazio omogeneo in modo
standardizzato: essi coprivano lo scibile umano con una modalità
descrittiva-osservativa, quindi metafisica. Nel XIX secolo con Freud, Marx e
Nietzsche i segni abitano una dimensione dilatata, una profondità differenziata,
che però deve essere intesa non come interiorità, ma come esteriorità. Nasce
così, la prima intuizione della Differenza. In particolare è Nietzsche, secondo
Foucault, a restituire al Fuori quella dignità filosofica che la metafisica
occidentale le aveva negato:
«C'è in Nietzsche una
critica della profondità ideale, della profondità della coscienza, accusata di
essere una invenzione dei filosofi; <...> Nietzsche mostra come essa implichi la
rassegnazione, l'ipocrisia, la maschera; così quando ne percorre i segni per
denunciarli, l'interprete deve scendere lungo tutta la linea verticale e
mostrare che il profondo dell'interiorità è in realtà altro rispetto a ciò che
esprime» (Cfr. M. Foucault, Nietzsche, Freud, Marx, Aut-Aut, n.
262-263, 1994)
Il volo dell'aquila di Zarathustra, le sue montagne- secondo Foucault- svelano
in realtà il gioco nichilistico del rovesciamento prospettico della profondità,
che si scopre essere sempre appartenuta alla superficie. L'abisso stesso è solo
«un segreto assolutamente superficiale».
«nella misura in cui il mondo diventa più profondo offrendosi allo sguardo,
ci si accorge che tutto quanto aveva costituito la profondità dell'uomo non era
altro che un gioco infantile» (Ivi, p. 102)
In particolare Marx dimostra, secondo Foucault, che tutto ciò che nella cultura
borghese occidentale sembra appartenere alla profondità, appartiene in realtà
alla superficie. Sullo stesso criterio Freud traccia la distinzione tra Io ed
Inconscio, considerando il primo non più come roccaforte interiore della
coscienza, bensì come un risultato finale delle tensioni tra Inconscio e
Super-Io: semplicemente come «punta dell'iceberg». Il secondo punto d'interesse
di Foucault riguarda l'elaborazione ulteriore e l'estensione a Marx e Freud
della intuizione nietzscheana sul valore dell'interpretazione come compito
infinito. Foucault si sofferma, in particolare, sulla «superstizione»
dell'inizio. La pratica ermeneutica conduce ad un momento regressivo che non
comporta nessuna origine- perchè non vi è nessuna causa sui- ma, viceversa,
rischia di dissolvere l'interprete stesso. L'inizio è solo un punto virtuale,
una traccia ulteriore, l'interpretazione non può mai dirsi esaurita. Soprattutto
Nietzsche sa benissimo, secondo Foucault, che la ricerca filosofica è in fondo,
nient'altro, che pratica filologica: una pratica, comunque, che non può non
restare sempre infinitamente aperta. Ancora una volta Foucault, connettendo la
metadologia dell'inesaustibilità dell'interpretazione con il piano «psico-ontologico»
della dissoluzione del soggetto Nietzsche nel significante della follia, apre il
pensiero alla vertigine dell'Impensato. La pazzia è la grande attrazione del
pensiero di Nietzsche e anche Freud- seppure in una prospettiva terapeutica- ne
rimase affascinato:
«Questa esperienza della follia sarebbe la conseguenza ineluttabile di un
movimento dell'interpretazione che si avvicina all'infinito, al proprio centro e
sprofonda, carbonizzata» (Ivi, p. 104)
L'esperienza ermeneutica non può mai dirsi veramente conclusa perchè, secondo
Foucault, non c'è veramente «qualcosa» da interpretare. Non esiste alcuna
priorità semantica di determinati segni su altri. Non è mai originariamente dato
allo spazio aperto dall'orizzonte ermeneutico una qualsiasi cosa in se, un
noumeno, che si sottragga alla comprensione del soggetto. Non vi è nulla al di
fuori della pura interpretazione: a differenza della celebre caverna platonica,
qui si tratta solamente di ombre di altre ombre. Tracce su tracce. Segni su
segni. L'insegnamento nietzscheano, secondo Foucault, non mira alla vera
conoscenza, ma solo ad una perpetua skepsis di interpretazioni casuali senza
fine. Le parole stesse non sono altro che interpretazioni, significanti puri,
senza referenti. Il linguaggio non è altro che una metafora da sempre sottratta.
L'interpretazione che Foucault da di Nietzsche in queste pagine, apre
chiaramente all'Impensato, alla Differenza.
«in Nietzsche l'interprete è il veridico. E' il veritiero non perchè si
impadronisce di una verità assopita per proferirla, ma perchè pronuncia
l'interpretazione che ogni verità ha la funzione di ricoprire. Forse questo
primato dell'interpretazione sui segni è quanto più di più decisivo vi sia
nell'ermeneutica contemporanea» (Ivi, p. 105)
Nietzsche in particolare, ma anche Marx e Freud, insegnano che i segni sono solo
interpretazioni. Il primo libro del Capitale lo mostra chiaramente, secondo
Foucault, a proposito del denaro. Lo studio dei sintomi isterici rimanda alle
stesse conclusioni in Freud. Il Bene e il Male si rivelano, a loro volta, come
maschere, in Nietzsche. I segni diventano solo coperture di interpretazioni- e
non di significati- perdendo così la loro funzione di significanti. E' questa
per Foucault l'intuizione fondamentale presente maggiormente in Nietzsche, ma
anche in Marx e Freud. E' questo il loro grande merito per Foucault. Se il
significato si dissolve, l' ermeneutica è, in fondo, per Foucault, solamente
l’interpretazione dell'interprete. Ma se tutto è sempre e solamente
interpretazione, l'ermeneutica rimanda perennemente ad un circolo ermeneutico:
essa interpreta infatti solamente delle interpretazioni. Foucault chiude lo
scritto ponendo in antitesi la semiotica e l'ermeneutica. La semiotica che, per
il pensatore francese, fa riferimento a Marx, crede alla esistenza assoluta dei
segni: essa ha la pretesa di riconoscere la consistenza della dicotomia
Dentro-Fuori, distingue fra sovrastrutture e strutture. L'ermeneutica
nietzscheana, viceversa si avvolge su se stessa:
«entra nell'ambito dei
linguaggi che non cessano di implicarsi vicendevolmente, regione mitica della
follia e del puro linguaggio» (Ivi, p. 107)
Nel suo libro più oscuro e famoso, Le parole e le cose, Foucault si
sofferma da principio sull'opera pittorica di Velàzquez, Le Meninas. Il pittore
fiammingo nel quadro citato mostra se stesso nell'atto di guardare l'osservatore
e rappresenta i suoi veri modelli, cioè il re e la regina di Spagna, solo
indirettamente, attraverso un tenue riflesso su uno specchio in fondo alla
stanza. I veri soggetti del quadro- il re e la regina- occupano la stessa
posizione dello spettatore del quadro di Velàzquez e sono nascosti. Foucault
elegge il quadro a paradigma della rappresentazione in cui il soggetto è sempre
assente, è altrove. Il soggetto è sempre sottratto alla sua stessa
rappresentazione. Il pensatore francese sull'assunto delle teorie
strutturaliste, in particolare di Lévi-Strauss, concepisce la storia non come
una produzione umanistica, ma come una serie sconnessa di «episteme» («codici
culturali di auto-rappresentazione») eterogenee. Si tratta, per Foucault, di
vere e proprie cesure epistemiche che dimostrano come fra le epoche della storia
non possa esservi continuità alcuna. Il continuum è dato solo all'interno delle
epistemi. La nascita della rappresentazione dell'età classica dalle rovine della
rassomiglianza rinascimentale è la prima mutazione epistemica descritta nel
libro. La rappresentazione sarà dunque il paradigma dell'episteme classica,
un'epoca grosso modo compresa tra la metà del XVII secolo e la fine del XVIII.
Ora, secondo Foucault, nel dipinto di Velàzquez è racchiusa l'essenza del nuovo
paradigma: «una sorta di rappresentazione», secondo il pensatore francese,
«della rappresentazione classica». Ciò che Le Meninas (1656) esprime è la
constatazione che il soggetto non può non sottrarsi alla rappresentazione. Il
quadro non fa altro che testimoniare un cambiamento che si verificherà di lì a
poco. Difatti nel 1800 l'episteme classica viene a crollare: l'analisi delle
ricchezze, la storia naturale, la grammatica generale- inaugurate nell'era della
rappresentazione- sono sostituite nella nuova episteme, rispettivamente, con
l'economia politica, la biologia, la filologia. In tal modo la vita, il lavoro
ed il linguaggio cessarono di essere ritenuti provvisti di natura stabile e si
rivelarono come ambiti sottomessi ad una propria storicità. Emerge la
consapevolezza della dimensione storica. Le tre nuove discipline non hanno alcun
rapporto con le vecchie, nessun filo rosso le connette tra loro in un continuum
antropologico:
«Filologia, biologia ed economia politica si costituiscono non già al posto
della Grammatica generale, della Storia naturale e dell'Analisi delle ricchezze,
ma nei punti in cui questi saperi non esistevano, e lo spazio da essi lasciato
bianco, nella profondità del solco che ne separava i grandi segmenti teorici e
che era riempito dal brusio del continuo ontologico» (Cfr. M. Foucault,
Le parole e le cose , Rizzoli, Milano, 1967, p. 227)
Foucault nega, quindi, la possibilità di qualche «ponte» tra un’episteme e
l'altra. La storia registra solamente delle profonde e radicali fratture. Con l'episteme
moderna, l'uomo viene riconosciuto nella sua dimensione propria, la finitudine.
Mentre l'episteme classica non privilegiava un campo specifico dell'uomo,
teorizzando piuttosto un'astratta natura umana, quella moderna è radicalmente
antropologica, le sue categorie rivelano, essenzialmente, «un'analitica della
(umana) finitudine». Il mondo contemporaneo è infatti imbevuto ossessivamente
dallo storicismo umanistico, la nostra prospettiva teoretica sviata dal
feticismo antropocentrico. Foucault , memore di suggestioni kantiane, invita al
risveglio dal «sonno antropologico», di cui sono responsabili le neonate scienze
umane. In Las Meninas, l'uomo in quanto soggetto centrale della conoscenza è
assente e questo fa del quadro di Velàzquez il paradigma dell'episteme classica.
L'episteme moderna, viceversa, si spinge oltre qualsiasi proposito compensatorio,
inaugura l'assunto antropocentrico, facendo dell'uomo- previo le neonate scienze
umane- il fulcro della ricerca per la conoscenza, pur nella consapevolezza della
sua finitudine. Tutto questo è, secondo Foucault, una sopravvalutazione del
ruolo e della dimensione umanistica: l'uomo è solo una figura transitoria, un
fugace passaggio destinato ad essere presto dimenticato nell'enigmatico divenire
epistemico.
«L'uomo è un'invenzione di
cui l 'archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E
forse la fine prossima. Se tali disposizioni dovessero sparire come sono
apparse, se a seguito di qualche evento<...> precipitassero, come al volgersi
del XVIII secolo accadde per il suolo del pensiero classico, possiamo senz'altro
scommettere che l'uomo sarebbe cancellato, come sull'orlo del mare un volto di
sabbia» (Ivi, p. 415)
Anche in questo caso, nel pensiero di Foucault, le cesure epistemiche sono da
mettere in relazione con il Totalmente Altro, l'Impensato. L'Alterità- cioè in
questo caso la sconnessione epistemica- è, sempre secondo Foucault, tutto ciò
che eccede i margini dell'auto-rappresentazione umana, in ogni sequenza della
conoscenza:
«L'impensato <...> non risiede nell'uomo come una natura accartocciata o una
storia che vi sarebbe stratificata, esso è, nei riguardi dell'uomo, l'Altro:
L'Altro fraterno e gemello, nato non già da lui, nè in lui, ma a fianco e
contemporaneamente, in un'identica novità, in una dualità senza ricorso»
(Ivi, p. 351)
Come Nietzsche con il suo annuncio della «morte di Dio», Foucault con la sua
scommessa sulla «morte dell'uomo», vuole ribadire che la storia non ha una
teleologia segreta, una hegeliana necessità intrinseca. La storia è eternamente
giovane. Vi sono solo interpretazioni senza fine che producono una creazione
permanente priva di un'obiettività neutrale, che è solo un pregiudizio
antropocentrico. Nietzsche si era scagliato contro il cristianesimo, reo di
mistificare il corso irrazionale del divenire. Foucault attacca le scienze
umane, perchè diventate tecnologie del potere al servizio della società
punitiva, riportano l'Impensato, la Differenza, all’Identità. Riassorbono
l'Inconscio nell' Io. Quindi le scienze umane, sostituendo il cristianesimo
nella sua millenaria influenza culturale, riproducono la «favola» rassicurante
di un'organizzazione omogenea del nostro paradigma sociale. Ancora una volta
l'Altro è osservato e controllato dalla prospettiva rassicurante e totalitaria
dell'Identità «ratio-euro-centrica». Per Foucault, dunque, le moderne scienze
umane assumono l'eredità del cristianesimo. Lo psicanalista, il sociologo,
l'antropologo hanno la funzione sociale di sostituire, integrandolo, il ruolo
svolto dal prete cristiano nel controllo del corpo e della sessualità. Con
l'unica eccezione della psicanalisi di Lacan, che non riconduce l'Es all'Io, ma
si pone completamente all'ascolto del primo, rispettandone l'alterità.
L'archeologia di Foucault si rivela così un’«eterologia».
Foucault, nella sua particolare interpretazione di Nietzsche, ne forza- per così
dire- il pensiero, fino a farlo coincidere con il suo. L'annuncio nietzscheano
della «morte di Dio» coincide, connesso con l'eterno ritorno e il superuomo, con
la stessa scommessa di Le parole e le cose:
«il pensiero di Nietzsche<...>annunciò nella forma dell'evento imminente
della Promessa-Minaccia, che presto non sarebbe più esistito l'uomo, ma il
superuomo; il che in una filosofia del Ritorno voleva dire che l'uomo, già da
tempo ormai, era scomparso e non cessava di scomparire» (Ivi, p. 347)
Nietzsche- in quanto proveniente dalla filologia- sarebbe stato il primo,
secondo Foucault, a tentare una critica all'antropologia umanistica. Foucault
rovescia radicalmente l'interpretazione heideggeriana, e fa di Nietzsche non il
profeta del tecno-antropocentrismo, ma il suo antesignano nella scommessa sulla
«morte dell'uomo». Nietzsche, pensa l'Impensato, è un pensatore della
Differenza.
«attraverso una critica filologica <...> Nietzsche ritrovò il punto in cui
uomo e Dio si appartengono a vicenda, in cui la morte del secondo è sinonimo
della scomparsa del primo, e in cui la promessa del superuomo significa
anzitutto l'imminenza della morte dell'uomo» (Ivi, pp. 367-368)
L'estensione problematica- in una chiave di ricerca genealogica sulla formazione
del soggetto moderno- delle tematiche di assoggettamento intrecciate al sapere,
è affrontato da Foucault nella Microfisica del potere . Foucault,
radicalizzando le conclusioni nietzscheane per cui ogni volontà di verità è in
fondo solo una volontà di potenza, struttura la sua concezione prospettivistica
della conoscenza e la intreccia al potere. Nietzsche affermava che la conoscenza
è priva di verità, in quanto quest'ultima è già un sottoprodotto della volontà
di potenza. Secondo la chiave di lettura heideggeriana, il prospettivismo
nichilista nietzscheano deve essere interpretato come un'ontologia della
soggettività. L’«Alles ist Kraft!» nietzscheano era, a detta di Heidegger, il
compimento della metafisica antropocentrica. Foucault rovescia il presunto
ontologismo della volontà di potenza in una dimensione di critica libertina
della cultura. Se la verità è essenzialmente determinata dal controllo delle
tecnologie di dominio, allora il Sé dell'individuo, la sua formazione
storico-culturale, non esiste nella dimensione propria. Il soggetto deve
dissolversi in un rapporto di «di-soggettivazione». Il potere non deve essere
espresso sempre e solamente in termini repressivi, ma deve essere pensato in
termini produttivi. Il potere produce il reale. Il potere struttura meccanismi
positivi in cui circoscrive pratiche discorsive di verità. Foucault si propone
di analizzare il «come» del potere, ovvero di studiare attraverso quali mezzi è
esercitato. Il potere agisce re-attivamente sulle azioni del corpo, non sul
corpo stesso. Vi può essere dominio solo su soggetti liberi, anzi a condizione
che siano liberi. Foucault approda ad una concezione dinamica del potere: Non
può esservi nessuna «cittadella» del potere, nessuna classe detentrice dei mezzi
di produzione. Il potere non lo si possiede ipostaticamente: lo si esercita.
Esso, per Foucault, non è né violenza né consenso, ma uno strutturarsi di azioni
su altre azioni. Foucault opera una distinzione tra le teorie del potere,
rinvenendone una «economica», una «non-economica», ed una che considera il
potere come «guerra». La teoria economica considera il potere qualcosa che si
possiede come un bene. Da questa teoria derivano le concezioni liberali e
marxiste. La teoria non-economica rifiuta la concezione del potere come bene
posseduto e lo pensa in termini di «rapporti di forza». Questa è la posizione di
Hegel, Reich, Freud. Foucault rifiuta sia la teoria economica, che quest'ultima,
perchè il potere è qui concepito come repressione. Abbiamo visto che Foucault
pensa il potere in termini produttivi. Foucault fa sua l'ultima teoria, quella
del potere come guerra.
«il potere è la guerra, la
guerra continuata con altri mezzi» (Cfr. J. Miller, La passione di Michel
Foucault , Longanesi, Milano, 1994, p. 326, dove Foucault rovescia il
celebre motto di Clausewitz)
Il potere, secondo Foucault, non è mai eclatante, ma silenzioso, è «una guerra
silenziosa», che inscrive la lotta, nel corpus sociale e all'interno di quello
di ogni singolo. Foucault memore che Nietzsche usava spesso descrivere la
volontà di potenza come «rapporto di forza», connette l'ipotesi reichiana del
potere come repressione con quella della guerra, che fa risalire a Nietzsche. La
repressione è, secondo Foucault,
«la messa in opera, all'interno di questa pseudo-pace, di un rapporto di
forza perpetuo» (Cfr. M. Foucault, Microfisica del Potere , Einaudi,
Torino, 1977, p. 179)
La repressione è solo un sottoprodotto del potere. Il potere è innanzitutto
produzione, poi- dato che gli individui sono i suoi prodotti- anche repressione.
Foucault radicalizza l'assunto nietzscheano del prospettivismo, ed arriva a
concepire il potere non come volontà individuale e collettiva, né come interesse
economico, ma come auto-rappresentazione. Il potere è onnipresente, non tanto
perchè «inglobi tutto, ma perchè viene da ogni dove». Il potere è un'entità
astratta, onnipresente e totalizzante («Alles ist kraft!» ). Ma mentre la
volontà di potenza di Nietzsche era riservata al superuomo il potere di Foucault
è sconnesso da qualsiasi soggetto idealizzato ( Zarathustra) e tantomeno da
qualsiasi marxiana entità collettiva (la borghesia). D'altronde abbiamo già
visto che Foucault usa il concetto del superuomo solo per designare un «passare-oltre-l'uomo»
verso la morte dell'uomo. Rendendo il potere qualcosa di astratto, Foucault
elimina completamente da esso l'azione a priori del soggetto-identità, e quindi
riapre alla Differenza. Radicalizzando la volontà di potenza nietzscheana senza
il soggetto del superuomo- che è solo la promessa della morte dell'uomo-
Foucault cerca di pensare l' Impensato. Ancora una volta la lettura che Foucault
fa di Nietzsche è volta alla ricerca dell'Alterità. Nella Microfisica,
Foucault descrive la società feudale in cui il potere sovrano era strutturato in
una «meccanica generale» di dominio, ed il particolare manteneva una posizione
eterogenea rispetto alle maglie del potere. La società borghese si caratterizzò
per il dominio disciplinare esercitato, anziché sul terreno- come nel modello
regale- sui corpi e sulle loro azioni. Questo cambiamento paradigmatico segna,
secondo Foucault, il sorgere della società carceraria moderna, in cui il
controllo costante prevale sulla tassazione discontinua. Foucault si propone di
analizzare il potere in senso ascendente dalla periferia fino ai vertici. Il
potere non è solo onnipresente, ma anche anonimo e onnicomprensivo. La
«struttura dinamica» del potere è totalizzante: nessuno, né dominatore, né
dominato, vi sfugge. La concezione del potere di Foucault è «pancreatica»,
onnipotente: appiattisce i rapporti sociali concreti in schemi di dominio
astratti. Tutto è potere nella concezione sociale di Foucault: «Alles ist
Kraft!» . Al posto dello schema hegeliano «coscienza/libertà», Foucault vi
sostituisce quello mutuato dal prospettivismo dei centri di forza di marca
nietzscheana. Foucault assimila solo questo punto dalla lezione di Nietzsche. Il
suo unico interesse è il gioco prospettico delle volontà di potenza, che essendo
ricondotto all'istanza della Differenza, deve procedere ad una graduale
de-soggettivazione delle stesse. Come abbiamo già visto superuomo ed eterno
ritorno servono soltanto a preannunziare la fine imminente dell'uomo. La volontà
di potenza è esclusivamente energetismo sociale e, perciò, un'analisi
archeologico-genealogica dei centri di potenza deve condurre all'ennesimo
tentativo di pensare l'Impensato. Il prospettivismo energetico nietzscheano
funzionale al pensiero della Differenza. Nella sua ultima opera, la Storia
della sessualità, il Sé, sottoprodotto delle dinamiche del potere, viene
analizzato, ricostruito genealogicamente dal suo interno. Foucault cerca ora di
delineare come il potere si manifesta all'interno del soggetto moderno. Il
potere analizzato a partire dalle tecniche del Sé. Quindi attraverso un
nietzscheano rovesciamento prospettico delle tematiche indagate fino alla
Microfisica . In particolare Foucault si propone di trasporre in pratiche
discorsive la sessualità, alla luce del polimorfismo tecnologico del potere. La
sessualità si rivela, a partire dall'età rinascimentale, strumento privilegiato
per dischiudere la verità dell'individuo. L'Occidente non si propone di
elaborare sofisticate tecniche erotiche- non è interessato a sacralizzare la
dimensione sessuale come l'Oriente- ma a controllare in maniera personalizzata i
singoli. Foucault rinnega lo schema freudiano/marcusiano della repressione
sessuale della società occidentale. Ancora una volta, il potere non reprime, ma
produce i meccanismi della verità. La sessualità occidentale è sottoposta ad un
controllo produttivo, propositivo, piuttosto che meramente repressivo. Come si
vede Foucault estende la sua astratta concezione nietzscheana dell'energetismo
sociale alla ricerca genealogica. Le pratiche discorsive del potere non
reprimono il sesso, ma lo inventano. La sessualità diventa oggetto di indagine
culturale. Nell'età greca l'erotismo non era considerata un'attività pericolosa
o destabilizzante: il veto riguardava unicamente gli eccessi. La saggezza greca
consisteva nel limitare la pulsione erotica agli effettivi bisogni erotici
dell'individuo. Solo la trasgressione fine a se stessa era censurata. Il sesso
diventava la verifica della padronanza di sé. Foucault usa il termine di
«stilizzazione» per descrivere l'autocontrollo della condotta dell'uomo greco:
all'interno della polis egli disponeva di ampia libertà di azione. E' possibile
vedere in queste considerazioni foucaultiane un richiamo al «grande stile»
nietzscheano, al «dare forma al caos». In conclusione i greci non demonizzavano
l'erotismo, ma deprecavano gli eccessi. Di qui l'etica stoica della «cura sui».
Inoltre essi, in particolare Platone, distinguevano tra amore «nobile»,
spirituale, ed amore "volgare", unicamente sensuale. Il mondo cristiano unificò
l'erotismo, «de-edonificandolo»: il sesso era comunque volgare. La cesura non
ricadeva più all'interno della qualità del rapporto amoroso, ma sulla sua
natura: la pederastia greca veniva ampiamente condannata, l’eterosessualità
tollerata soltanto all'interno del matrimonio e resa funzionale alla
procreazione. L'uomo «confessionale» del cristianesimo si sostituisce all'ideale
ellenico del controllo di sé nell'uso dei piaceri. Il cristianesimo interiorizza
la libido: come in Sorvegliare e punire, Foucault fa sua la lezione della
Genealogia nietzscheana sulla volontà di potenza introiettata. Il
filosofo francese inoltre, in l'Usage des plaisirs pone molta attenzione
sulla forza di volontà del soggetto. In effetti nella sua incompiuta Storia
della sessualita, Foucault insiste particolarmente sull' enkrateia e
sulla confessione cristiana, che presumono almeno inizialmente una soggettività
forte. In queste pagine il soggetto non sembra tanto un sottoprodotto del
potere/sapere, quanto invece una variabile indipendente. Siamo giunti all’annosa
questione finale su come conciliare questa rivalutazione finale di Foucault del
soggetto, con le sue opere precedenti. Si ricorderà che all'inizio si era
accennato all'influenza delle Inattuali sul giovane Foucault. In quegli
scritti Foucault aveva subito una sorta di imprinting filosofico, che in ogni
fase della sua ricerca segnerà l'ossessione per la ricerca dell'Altro,
dell'Eccedente, del proprio Daimon, che poi avrebbe significato rispondere alla
domanda sull'«essere così e non altrimenti». L'Altro, come già visto, è per
Foucault il Medesimo. Ricercare le radici di noi stessi, liberare il rimosso,
significa essenzialmente metterci in rapporto con tutto ciò che eccede il
logocentrismo metafisico. La Sragione-Differenza conduce alla segreta saggezza
del centro del nostro proprio essere-così. Diventa chiaro che l'Altro è per
Foucault l'inconscio, mentre l'Io è genealogicamente strutturato dalla meccanica
del potere. Decostruire il potere, conduce alla spazio d'assenza del Fuori, che
correlativamente riscrive e di-svela il proprio centrum. E' questa la chiave
dello «strutturalismo senza strutture» di Foucault: entrare in relazione con
l'Impensato, significa delineare una nuova forma di Identità, che non riassimila
la Differenza, ma vi si rapporta infinitamente. Perchè solamente l'Altro può
dis-velare il segreto su se stessi. In questa prospettiva il Nietzsche di
Foucault è essenzialmente un pensatore della Differenza.
Da:
http://www.krisis.it/public/modules/news/article.php?storyid=99&page=0
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