"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
"Quando la filosofia dipinge il suo grigiore
nel grigiore una manifestazione della vita finisce il suo corso. E si tratta
di una manifestazione che non si può ringiovanire ma solo conoscere" Jean
Luc Godard, Allemagne Neuf Zero, 1991
Walter Benjamin definì Karl Kraus
"Angelus, messaggero di antiche incisioni" (1),
all'interno di una serie di scritti (2),
nei quali Kraus, definitivamente separato dalle mode del Ring viennese,
appariva sia come il fulmine critico che inceneriva all'istante i bastioni della
società dell'informazione sia come colui che apriva un varco per far passare
un'antica forma di riscatto.
Ora, quest'antica forma di riscatto, che in Angelus Novus si serve
dell'apporto discreto della metafisica "che è brutta e piccina e non vuol essere
vista da nessuno"(3),
ha dovuto seguire proprio il destino della metafisica: ridursi alla discrezione,
mettersi al nascosto servizio di qualcuno e seguire un tacito patto di non
nominarsi e di non far nominare il proprio nome.
Chi sia questo qualcuno, e che cosa sia questa antica forma di riscatto, non ci
è dato di dirlo ma le nette posizioni di Kraus sul tramonto del mondo a causa
della carta stampata (4)
potrebbero arrivare anche fino a noi nella diminuita, e più generalmente
accettabile, forma di un suggerimento sul fatto che, cambiando la natura della
produzione sociale del messaggio, mondi interi appaiono o scompaiono. Gli
apriori culturali, che appaiono sempre come ingarbugliato filo conduttore di
tutti i giudizi formulati in questo o in quel contesto, che nutrono di senso un
mondo o impediscono la nascita di un altro, sono perciò i primi elementi a
essere messi in discussione quando cambia un solo paradigma nella produzione
sociale del messaggio.
Per Kraus la carta stampata non è solo ciò che rende classico il rapporto tra
produzione e messaggio, e non è solo ciò che fa sparire un mondo, ma è ciò che
fa sparire il mondo proprio grazie alla magia che ha unito ciò che prima non era
identificabile come unitario: parola e produzione, con la carta stampata a
suggello di quest'alchimia che fu battezzata informazione.
Non si tratta però di seguire Kraus fino all'estremo nervosismo del dover
continuamente trovare un modo nuovo di attaccare il giornalista o la carta
stampata (sarà stato forse questo il Kraus apprezzato dal secondo Wittgenstein?).
Anche perché la magia che circonda noi, quella che oggi è all'opera nel far
emergere o sommergere mondi, è di una razza tale da far apparire la carta
stampata un fenomeno spiegabile nel recinto delle delizie del kitsch artigianale
e da assimilare all'idea delle fragranti tortine di riso "come erano una volta".
Non potremmo quindi prendercela con il solo giornalista, cioè con un unico e
stabile officiante di magia nera, né tentare di incenerire un sola materia di
scandalo cioè la carta stampata.
Ma qual è la magia che circonda proprio noi? Quali gli elementi costitutivi
della sua forza?
Chiarito questo, chiariti i contorni del ciclone magico che ci circonda, sarà
poi forse possibile ragionare e aprirsi un varco. Certo, noi non possiamo
servirci di forze discrete, nascoste ma al nostro servizio, come la metafisica e
quell'antica, e ancor più innominabile, forma di riscatto. Il nostro varco
assomiglia perciò più al classico pari, la scommessa di Pascal che aiuta
sempre chi si trova nell'angolo grazie al suo inquietante e vertiginoso buon
senso, che a una strategia di guerra all'oblio condotta con la forza di una
cavalcata come lo stesso Benjamin auspicava (5).
Questo tentativo di aprire un varco lo chiameremo problema dell'immagine anzi,
problema dell'immagine politica e si tratta di un tentativo da farsi con un
accoppiamento inedito di materiali non inconsueti.
Se stiamo attenti a quel fenomeno appellabile choc comunitaristico dell'immagine
vedremo l'emergere di un problema che fa al caso nostro.
Punto due. Lo choc comunitaristico
dell'immagine
Torniamo al XIX secolo, quello della
metropoli dello choc dove convergono Benjamin, Engels, Poe, Baudelaire e un
inedito Hegel innervosito dalla marea umana di Parigi (6).
In Parco CentraleBenjamin sosti(7)ene
che fin dal XIX secolo le forme di trasmissione di conoscenza metropolitana
privilegiate, che hanno nell'informazione e nella réclame i propri
elementi centrali, avvengono tramite choc. Proprio commentando il Freud di Al
di là del principio di Piacere(8)
Benjamin definisce lo choc come un fenomeno provocato da "energie troppo grandi
che operano all'esterno" dell'organismo e che irrompono verso l'interno
dell'organismo stesso. E' come se la trasmissione di conoscenza avvenisse
tramite una frecciata che ha possibilità di arrivare a bersaglio in misura
direttamente proporzionale alla propria velocità, che può restare a lungo sul
bersaglio per quanto sia stato forte l'impatto dettato da quella velocità.
Quest'impatto si chiama choc ed è una forma di trasmissione del sapere che
toglie spazio alle figure sociali della trasmissione di conoscenza tramite
narrazione. Queste figure erano l'agricoltore sedentario e il mercante
navigatore che utilizzavano "l'esperienza che passa di bocca in bocca che è la
fonte cui hanno attinto tutti i narratori" (9).
A partire dalle metropoli dell'800, non si trasmette più esperienza ma si fa
circolare informazione con le tecniche dello choc; l'agricoltore e il navigatore
debbono cedere il posto alle accresciute competenze della carta stampata, che
non serve più solo da bollettino commerciale e politico, che riporta modi di
vivere e di pensare da tutto il mondo. Questa competenza viene sottratta
all'agricoltore, memoria del luogo, e al navigatore, memoria degli altri luoghi,
fornendo a un pubblico amplissimo una variegata gamma di modi di pensare e
vivere, e da una molteplicità di luoghi prima impensabile, trasmessi con la
velocità, e con l'effetto, dello choc prodotto su scala industriale. Lo choc
cattura, arpiona l'attenzione: questa è la legge aurea della trasmissione
industriale di conoscenza nelle metropoli, a differenza della narrazione
dell'agricoltore e del navigatore dove l'attenzione viene ottenuta attraverso il
rituale dello scambio di esperienze e con abilità dell'artigiano (10).
Guardando a questi fenomeni di primo acchito si potrebbe pensare a una
descrizione che privilegia l'aspetto comunicativo, tra i tanti possibili, nel
soffermarsi sull'emergere della civiltà spersonalizzante a fronte di una vita
comunitaria, povera tecnologicamente quanto ricca di relazioni umane. Credo che,
se si trattasse di questo, si penserebbe al problema in forma erronea o, se si
preferisce, ci si infilerebbe in un caldo e inutile luogo comune. Il problema
della nascita e dello sviluppo delle tecnologie della comunicazione, della loro
occupazione degli statuti generali della cultura e della conseguente valenza
politica di questo, comincia ad assumere un senso quando esse si rivelano sia
come possibilità di liberazione che come choc comunitaristico .
1) Guardiamo a qualche titolo nella
ricchissima pubblicistica weimariana sui nuovi comportamenti urbani, sul
rivolgimento dei rapporti interpersonali e sulla prima ondata della rivoluzione
sessuale di questo secolo ovvero a libri come Die erotische Freiheit di
Flake, Die Vollkommene Ehre di Van de Velde, Frau von Morgen wie sie
wuenschen di Huebner oppure a Jugend bekennt: so sind wir! di Matzke
per citare alcuni tra i testi più diffusi all'epoca. La scomposizione dei vecchi
rapporti patriarcali, depositati nel tempo dalla pratica della narrazione, è
vista come una netta occasione di libertà, di uscita dal dominio della vita
familiarmente regolata. La crisi del narratore è qui crisi del patriarca e le
riviste, sulle quali questo o quello stile di vita si contendono lo spazio
dominante, sono la voce della libertà che si appoggia sulla tecnica della carta
stampata per prendere il sopravvento sui dettami orali della tradizione. Qui
anche la comunicazione della scemenza ha il sapore della libertà.
2) Se nei modi prima descritti la
comunicazione urbana e mediatica è occasione di libertà, il suo polo di
contrapposizione si colloca tra l'anomia e il disfacimento. Si pensi a lavori
come Bordell di Curt Corrinths o al dramma teatrale Excesse di
Arnolt Brossen o al fatto che, per tutti il professore de L'angelo azzurro
può significare che la cultura patriarcale è destinata, nella città, a farsi
sedurre, e quindi "depossessare", a depravarsi, caricaturarsi per poi
scomparire.
La cultura comunitaristica sarebbe potuta sembrar lentamente scomparire dalla
metropoli tedesca, lasciando spazio alla contrapposizione tra libertà e anomia
nel territorio urbano, quando all'improvviso arrivò al potere qualcuno "che
conosceva bene i riti dell'ascesi di massa e sapeva che le masse chiedono
sacrifici di sangue, un figlio del popolo, redento dalla sua stessa nullità" (11).
Ecco Hitler e, quaranta anni dopo, l'Hitler di Syberberg, un regista nel
quale secondo Deleuze (12)
si opera un "taglio irrazionale tra sonoro e visuale" e che in questa
maniera riesce a rappresentare un dittatore che, sempre secondo Deleuze, riesce
a performarsi in "una voce che prende il potere su un'insieme di immagini (voce
di Hitler)" (13).
L'insieme di immagini che dovrebbe fluttuare tra istanze di liberazione o anomia,
perché ormai liberato dal rigido concatenamento comunicativo del potere
patriarcale, viene invece rappresentato da Syberberg come gerarchizzato in
quella forma ibrida dove si intrecciano l'autoritarismo comunitaristico del
patriarca e la tecnica della dittatura "alla luce dei nuovi mezzi di
comunicazione di massa" (14).
Se la voce prende il potere su un insieme di immagini allora per Deleuze "le
idee agiscono come parole d'ordine, si incarnano nelle immagini... e dicono
quello che ci deve interessare nelle altre immagini, guidano la nostra
percezione" (15). Il
mezzo di comunicazione di massa ha qui costruito un rapporto comunicativo dove
la capacità della voce di collegare immagini costruisce sia un sistema
conoscitivo che un sistema inedito.
Si tratta di un sistema conoscitivo perché qui il media, in questo caso la voce
amplificata dalla tecnica, propone un insieme di immagini - nello specifico
mentali - unificate, le collega a delle idee che, essendo così legate a
immagini, permettono alla percezione di selezionare gli stimoli e di orientarli.
Il media qui non fornisce tanto un informazione quanto un vero e proprio sistema
conoscitivo, una bussola che può servire a orientarsi nel mondo. Nel caso dell'Hitler
di Syberberg, questo sistema comunicativo passa attraverso la voce amplificata
dalla tecnica e lo choc provocato dalla esplosione amplificata della voce è il
modo in cui questo tipo di messaggio colpisce il suo bersaglio. Si tratta però
di uno choc comunitaristico: non viene veicolato né il senso di liberazione né
l'anomia ma quel senso della comunità organica e popolare simile a quello che
era stato trasmesso e elaborato dall'agricoltore e dal navigatore. A differenza
però del lavorìo delle figure artigianali della narrazione qui le tecniche del
messaggio sono totalmente industriali: il metodo comunicativo dello choc e la
divisione del lavoro della Deutsche Rundfunk, la radio tedesca fanno di
questo sistema conoscitivo un qualcosa di inedito, che opera un montaggio di due
forme, lo choc e il sistema di valori comunitario, che prima sembravano solo
passarsi il testimone. L'Hitler di Syberberg sembra un archeologo, scopre
quello che si credeva sepolto, costruisce arditi ponti tra le epoche e li rende
desiderabili come sistemi conoscitivi (cosa che Deleuze e Guattari avevano
avvertito nell'introduzione de L'Anti-Edipo quando scrivevano "le masse
hanno desiderato il fascismo").
Si rende così comprensibile perché
quanto sia stato marchiano l'errore, da parte di molta della cultura politica di
questi anni, di pensare ai rivolgimenti nazionalisti dell'est come a un qualcosa
dovuto a "odii atavici" e preindustriali o come a un moderno fenomeno di
ridefinizione della geografia del lavoro su scala internazionale. Non c'è né un
ritorno al sentimento tribale, che solo una cultura politica sfinita poteva
immaginare, né un fenomeno spiegabile solo in termini geopolitici, come
desiderebbe ogni matrimonio di economicismo e politicismo: c'è lo choc
comunitaristico, strumento del know-how comunicativo della cultura delle
metropoli.
Che Syberberg si sia accorto di tutto
questo sin dalla seconda metà degli anni '70 "una situazione di nuovo minacciosa
per l'Europa" (16) e
che sia stato o meno il primo a scoprire le doti di "Hitler come regista" (17)
non ha grande importanza. E non ha nemmeno importanza se sia stato il
nazismo o meno, e molto probabilmente non è stato (18),
a produrre per primo quella formazione di sapere che chiamiamo choc
comunitaristico dell'immagine. Fatto è che se cominciamo a osservare la
televisione iraniana a partire dalla vittoria dell'ayatollah Khomeini, le
televisioni delle sette delle religioni slot-machine americane, la
grottesca somiglianza tra la televisione serba e quella croata, la discesa sulla
terra di Silvio Berlusconi alle elezioni italiane del '94 e il caldo senso
familistico fornito dallo spot di qualsiasi prodotto, quando cerca di vendere un
plusvalore affettivo, non possiamo non notare che diverse produzioni di choc
comunitaristico si contendono la scena. A differenza della voce che intreccia un
corpo di immagini mentali e le rende coerenti abbiamo, in questo particolare
tipo di choc comunitaristico, la produzione diretta di immagini televisive che
tende a sostituire l'immagine mentale nel suo rapporto con la voce che viene
dall'esterno; per riprendere Deleuze: "le idee...si incarnano nelle immagini
sonore" (19). In
questa maniera l'immagine sonora, proponendosi tramite lo choc comunitaristico e
producendolo, tende a occupare lo spazio che in un tempo storico precedente era
appartenuto al rapporto tra immagine mentale interna e voce esterna amplificata
dal media industriale. E tutto questo somiglia al proporre un'automobile a un
ciclista: non si cerca di vendere la perdita dell'uso delle gambe nel pedalare
ma l'aumentata velocità di spostamento e l'avanzamento di status. Una genealogia
delle tecniche pubblicitarie americane potrebbe anche stabilire quando è
avvenuta per la prima volta questa proposta di vendita, mentre il cinema inglese
si è già accorto negli anni '80 di quando la pubblicità del Regno Unito si
inventò di sana pianta - con queste tecniche - alcune presunte tradizioni
britanniche (20), ma
un'archeologia dell'immagine deve probabilmente fare un'altra cosa.
Qui siamo di fronte all'emergere di processi di soggettivazione o meglio, di
tecnologie dei processi di soggettivazione che vedono i sistemi conoscitivi
prodotti da choc comunitaristici come la propria matrice genetica, prodotta in
serie e proposta a un intero corpo sociale. Per questo l'immagine sonora non può
non avere effetti politici: che sia la nuova anima dello choc comunitaristico,
che abbia magari occupato anche il terreno dell'anomia o quello della libertà,
essa si pone dentro quelle formazioni di sapere che contribuiscono a costituire
discorso politico e che hanno effetti politici ed è fenomeno della sfera
dell'immagine politica. Seguendo le vicende dello choc comunitaristico
dell'immagine arriviamo quindi al problema dell'immagine politica e quindi a
quello di una sua archeologia. Questo perché in questo contesto non ci sono solo
immagini che hanno effetti politici ma anche immagini che stanno nella matrice
di fenomeni che producono il patrimonio genetico del linguaggio, e dei
comportamenti, delle forme di soggettivazione con cui le scienze e l'agire
politico sono costrette a fare i conti.
Una archeologia può arrivare a ricostruire i filamenti di questa matrice, e del
suo patrimonio genetico, come delle sue potenzialità. Lo choc comunitaristico
non può che essere inteso in questo senso: uno strano terreno che emerge e
appare impastato di continuità e di discontinuità tra la Parigi di Benjamin e la
Berlino weimariana - alla quale lo stesso Benjamin guardava come luogo
delle rotture culturali - Hitler e la pubblicità dei pannoloni, la radio e la
televisione, la comunità del costruita dal lavorìo storico del narratore e
quella che emerge nell'immagine sonora: strano terreno, tanto più strano tanto
più vero.
Punto tre. Le società di controllo.
Nella primavera del 1990, già
seriamente malato, Gilles Deleuze rilasciò una interessante intervista per il
primo numero di Futur Anterieur. Anche quest'intervista fu poi inserita
nella raccolta Pourpalers pubblicata nel corso dello stesso anno dalle
Editions de Minuit.
Nel corso dell'intervista possiamo cogliere alcuni interessanti passaggi per
irrobustire la riflessione sul problema di una archeologia dell'immagine
politica.
In contributi precedenti all'intervista (21)
sembrano emergere preoccupazioni tipiche di un lettore di Debord
distrattamente crepuscolare: per Deleuze l'immagine sonora, nelle sue più
recenti sedimentazioni, "sostituisce al modello del vero la potenza del falso
come divenire" (22).
Già qui si intravede un certo consenso all'idea che l'artificio mediale possa
essere terreno di espressione del falso e, nonostante gli apprezzamenti di
Deleuze per Virilio (23),
terreno che sottrae legittimità conoscitiva al dominio del vero. Il concentrarsi
su questa dicotomia vero-falso (dicotomia di una povertà raramente utilizzata in
Deleuze) si può spiegare con l'urgenza del dover arrivare al bersaglio: "la
televisione è il consenso per eccellenza; è la tecnica immediatamente sociale,
che non lascia in essere nessuna distanza con il sociale, è il sociale tecnico
allo stato puro" (24)
Il problema, per Deleuze, sembra stare nel fatto che la televisione non si pone
tanto come tecnologia sociale, una delle tante tecnologie di governo, magari
composte da discipline scientifiche governamentali come il diritto, la medicina,
l'educazione e alleate a saperi empirici loro corrispondenti, quelli del giudice
e del medico come del maestro, quindi infine innervate nelle più o meno
corrispondenti composizioni sociali. Si tratterebbe di tecnologie che agiscono
nel sociale e che tendono a disciplinarlo. Qui, per Deleuze, ci troviamo di
fronte al sociale tecnico allo stato puro ovvero a una tendenza alla costruzione
tecnologica del sociale e non tanto a un suo disciplinamento.
La precedente preoccupazione sul falso e sul vero va probabilmente legata alle
particolarità dell'immagine sonora: propone una formazione di sapere che è vero
e proprio sistema conoscitivo pronto per l'uso. Infatti per Deleuze la
televisione trova la sua specificità in "una funzione sociale, funzione di
controllo e di potere ... che rifiuta ogni avventura della percezione" (25).
Il falso sarebbe dunque questo: nell'immagine sonora abbiamo visto come il
percorso della percezione individuale si trovi a confrontarsi con dei
suggerimenti sulla interpretazione e la selezione delle immagini incontrate. La
televisione come tecnica sociale riuscirebbe, sul livello stesso del corpo
sociale, a proporre e a far accettare un percorso blindato alle scorrerie della
percezione stessa. In questo modo può proporsi come sociale tecnico allo stato
puro. Produrre sistemi conoscitivi, governandone i codici fino all'intimo della
percezione diventa, per Deleuze tecnica falsaria. Tecnica falsaria, o meglio di
indirizzo, della percezione ma, soprattutto tecnologia sociale che tende, anche
se quest'operazione non è mai lineare , a costruirsi di(26)rettamente
il suo sociale piuttosto che a lavorare su una "produzione" a lei estranea e
l'intervento sull'intimo stesso della percezione lo testimonierebbe.
"L'occhio tecnico sociale, grazie al
quale lo stesso spettatore è invitato a vedere, ingenera una perfezione
immediata e sufficiente, istantaneamente controllabile e controllata ...
perfezione tecnica che coincide con l'assoluta nullità estetica" (27).
Pensare le nostre società come estetiche o estetizzanti è trovarsi agli antipodi
rispetto a questa affermazione di Deleuze. Non c'è società dello spettacolo, se
in questi termini erronei si pensa all'esistenza di una società estetizzante (28),
ma è l'estetica come lettura stessa del particolare, dell'irregolare e persino
della disgregazione dello stile (29)
che scompare nell'irrompere di un sistema conoscitivo legato all'immagine
sonora liscia, regolare e tecnicamente geometrizzata. E' il modo in cui la
percezione si abitua a scansare l'estetica: l'occhio tecnico sociale, che tende
a costruirsi un suo sociale, propone - se lo choc comunitaristico può chiamarsi
una - un'abitudine a un sistema conoscitivo legato all'immagine regolata dalla
perfezione tecnica da intendersi come normalità della percezione. In questa
maniera la tecnica occupa il terreno dell'estetica.
Questo non significa però che l'approfondimento tecnico nella rappresentazione
sia l'affondamento dell'estetica: significa che nello spettatore l'immagine
mentale, altrimenti collegata a un onirico erratico irregolare, si intreccia con
la "perfezione immediata e sufficiente" costruita dall'occhio tecnico sociale.
Nel momento in cui avviene questo intreccio, e ciò avviene su scala sociale, è
possibile governare questo processo di intreccio governando il suo lato
tecnologico. Grazie a questo innesto, che in quanto suggellato
dall'addestramento della percezione all'immagine tecnologica si prospetta come
una biotecnologia sociale avanzata della percezione, l'immagine sonora, proprio
perché socialmente governabile grazie a un cosciente lavoro tecnico sociale, è
immagine politica .
Nell'intervista su Futur Anterieur
- che significativamente viene collocata Pourparlers proprio nella
sezione Politique - Deleuze ripartisce la nostra epoca come epoca delle
società di controllo: "entriamo nelle società di controllo che funzionano grazie
a un controllo continuo e alla comunicazione istantanea" (30)
Per società di controllo invitiamo a intendere quel processo di costruzione del
rapporto sociale preferito, il sociale tecnico allo stato puro, operato
dall'occhio tecnico sociale grazie alla biotecnologia avanzata, cioè l'ibrido
ottenuto a livello percettivo intrecciando a livello sociale immagine mentale e
immagine geometrizzata tecnicamente, che permette di affrontare un nuovo regime
della governamentalità. Non più (31)società
che costruiscono il proprio intreccio sapere-potere sulla base del loro essere
società disciplinari, sul loro minuzioso governo, e inquadramento spaziale e
temporale, del corpo e delle forme di vita fino a indirizzare delle vere e
proprie forme di soggettivazione autonome (32).
Si tratta qui di società di controllo dove la biotecnologia avanzata, a
differenza delle società disciplinari dove in Foucault (33)
operano delle forme "classiche" di biopotere, si costituisce come tecnologia
governamentale della novità del sociale tecnico allo stato puro.
E proprio per invitare a concettualizzare questi problemi con la metafora
tecnologica, Deleuze usa l'immagine della corrispondenza tra tipi di macchine e
tipi di società:
"Si può evidentemente far corrispondere a ogni tipo di società un tipo di
macchina: le macchine semplici o dinamiche per le società di sovranità, le
macchine energetiche per le disciplinari, le cibernetiche e i computer per le
società di controllo”(34).
Le società di controllo per Deleuze si distinguono dalle altre società per la
caratteristica del "controllo a distanza" e usa l'esempio del collare
elettronico come tecnica tipica del controllo prossimo venturo (35).
Qui probabilmente a Deleuze sfugge sia la differenza qualitativa tra immagine
sonora proposta, assieme al relativo sistema conoscitivo, dai mezzi di
comunicazione classici e quella, che stabilisce un diverso sistema conoscitivo (36),
nei nuovi mezzi di comunicazione, Internet compresa. Sembra poi sorvoli
sul fatto, che non era sfuggito a Foucault (37),
che l'incedere delle società neoliberali non comporta un passaggio da un
panottico materiale (l'occhio di Bentham che controlla i tempi e gli spazi dei
corpi richiesti) a uno immateriale (l'occhio tecnico sociale che regola il
collare elettronico) ma comporta un intervento al livello del patrimonio
genetico delle regole che presiedono le strategie immanenti al "libero" gioco
delle soggettività.
Però, come abbiamo visto, Deleuze, fornendoci una traccia di fenomenologia delle
biotecnologie avanzate della costruzione del sociale tecnico allo stato puro, si
avvicina a queste tematiche dell'uscita dalla società disciplinare. E lo fa dove
Foucault non ci ha lasciato riflessione: sull'incedere sociale di un sistema
conoscitivo grazie all'immagine sonora, sul suo rapporto con la percezione e sul
suo essere costitutivo di una biotecnologia sociale che fa presa sul livello
intimo della percezione.
Archeologia dell'immagine politica che scava nella direzione del terreno delle
società di controllo; indubbiamente Deleuze, nonostante alcune sfumature troppo
orwelliane, traccia una direzione di scavo: società di controllo, nuove
macchine, biotecnologie sociali avanzate, tecnico sociale puro, occhio tecnico
sociale, intreccio tra percezione e immagine geometrizzata tecnicamente.
Certo, se si adotta questo metodo di indagine sul pensiero, le pretese di uno
dei sacerdoti della filosofia analitica attuale come Strawson appaiono quanto
meno bizzarre: " Il filosofo si deve adoperare a fornire un rendiconto
sistematico della struttura concettuale di cui la pratica quotidiana dimostra
che abbiamo un'implicita padronanza" (Analisys and Metaphisics, Oxford,
1992). Padroneggiamo forse le biotecnologie sociali avanzate? Padroneggiamo
forse l'occhio tecnico sociale? E che cosa è questo fantasioso "noi" che
permette di dire "padroneggiamo"? Pensiamo forse che l'emergere del tecnico
sociale puro non ha nulla a che vedere con la struttura concettuale mostrata
dalla pratica quotidiana?
Punto quattro. Immagine-movimento e
immagine-tempo
Che i due volumi deleuziani dedicati
al cinema, L'image-mouvement e L'image-temps(38)
non siano solamente chicche per cinefili lo si può intuire già a partire da uno
sguardo distratto sul ruolo di Bergson ne L'image-mouvement.
Purtroppo, come ribadito dallo stesso Deleuze (39),
la semiotizzazione del cinema operata da Metz, Bazin e in Italia da, ci sia
permesso di confessarlo, autori di una noia micidiale come Casetti (mitica la
sua "performanza", vero capolavoro di marinismo della semiotica del cinema) non
permette di accedere immediatamente all'emergenza, a partire dal terreno
cinematografico, di temi filosofici.
"Il rapporto cinema-filosofia è quello dell'immagine e del concetto. Ma c'è nel
concetto un rapporto con l'immagine e nell'immagine un rapporto con il concetto:
per esempio, il cinema ha sempre voluto costruire un immagine del pensiero, dei
meccanismi di pensiero" (40)
Il rapporto cinema-filosofia va quindi direttamente al cuore del problema
dell'immagine delle società moderne: il cinema, per la maniera specifica con la
quale si rapporta con l'immagine, ovvero come costruttore di immagini di
pensiero, è produttore di sistemi di conoscenza. Questo, per Deleuze, pone un
problema serio per la filosofia, probabilmente della stessa serietà posta di
quelli posti dalla scienza non appena essa si mostrò capace di costruire
autonomamente pensiero.
Proprio per questo le sue due riflessioni sul cinema, e sulla differenziazione
tra immagine-movimento e immagine-tempo, escono dai problemi di classificazione
dell'immagine cinematografica o dalla storia della mutazione del concetto e
della produzione di immagine. Queste riflessioni diventano archeologia
dell'immagine ovvero archeologia della produzione dei sistemi di conoscenza con,
vedremo poi, precisi riflessi politici.
Per compiere questa operazione
Deleuze deve separare la nozione di immaginario da quelle in riferimento
all'immagine. Vediamo la generalità di questa tematica:
Immaginario
"La nozione di immaginario non
definisce niente ma si definisce come circuito di scambi" (41).
Ma che cosa è questo circuito di scambi? Come vi agisce l'immaginario?
"L'immaginario è una nozione molto complicata perché si trova all'incrocio di
due coppie. L'immaginario non è l'irreale ma l'indiscernibilità tra reale e
irreale. I due termini restano distinti, ma non finiscono mai di scambiarsi la
loro distinzione ... c'è uno scambio tra un'immagine attuale e un'immagine
virtuale, il virtuale diviene attuale e viceversa" (42).
Il circuito di scambi mostra l'avvenire di un passaggio di status tra ciò che è
attuale e ciò che è virtuale l'immaginario, invece, è il terreno dove avviene
questo scambio senza che non sia possibile distinguere quale sia l'esatta
posizione dell'attuale e del virtuale.
"La nozione di immaginario non definisce niente ma si definisce come circuito di
scambi" (43)
L'immaginario non serve quindi per aggredire concettualmente il luogo della
produzione di conoscenza, per definirla archeologicamente, ma per registrare ciò
che è attuale da ciò che non lo è. Per scavare più a fondo ci vogliono altri
strumenti: immagine-movimento e immagine-tempo.
Immagine-movimento
L'immagine-movimento è definita dal
fatto che "le azioni si incatenano con delle percezioni, le percezioni si
prolungano in azioni" (44).
Si tratta di una problematica sorta con il cinema e che era sfuggita alla
filosofia (45).
Non che prima del cinema non fosse stata presente la rappresentazione del
movimento, ma è il portato conoscitivo della novità dell'immagine-movimento che
era stata trascurato.
"Quando l'immagine è un movimento, le immagini non si incatenano senza
interiorizzarsi in un tutto che si esteriorizza nelle immagini collegate tra
loro" (46).
Emerge, identificando, come avviene ne L'immagine-movimento la nascita
dell'immagine-movimento con la stagione del cinema muto la tematica del
concatenamento delle immagini che porta al loro concatenarsi come nuova
espressione fenomenica da conoscere. Da Griffiths al Gabinetto del dottor
Caligari un nuovo prodotto si fa spazio, una nuova configurazione estetica e di
sapere, l'immagine che si muove che non è mai esistita prima. Risulta quindi
bizzarro, anche se trova spiegazione, il fatto che la filosofia si sia
rapportata, dai primi del '900 e oltre, molto più a altri campi del sapere
istituzionalmente concepiti come rivoluzionatori dei propri paradigmi piuttosto
che al cinema. Geometria, Fisica, Matematica, Biologia la stessa Poesia
piuttosto che il Cinema che magari, invece che proporre una nuova legalità di
pensiero ne inseriva una senza dare molte risposte: l'immagine-movimento.
Deleuze parla di immmagine-movimento come "nozione paradossale della totalità" (47),
probabilmente non era il paradosso giusto per la filosofia di inizio novecento.
Ma, nonostante questa prima emersione di una configurazione nuova dell'immagine,
secondo Deleuze, è con una rottura epistemologica nei confronti dell'immagine
movimento che noi dobbiamo fare i conti: l'immagine-tempo.
Immagine-tempo Abbiamo parlato, nei
precedenti paragrafi, dell'immagine sonora. Essa è il prodotto finito di un
processo più ampio che si chiama immagine-tempo. Grazie a questo prodotto finito
"l'immagine diviene pensiero, capace di afferrare i meccanismi di pensiero, allo
stesso tempo che la cinepresa assume diverse funzioni che valgono veramente per
delle funzioni proposizionali" (48).
Da questo passaggio si possono dedurre le differenze, che ci servono per
imboccare un sentiero archeologico dell'immagine, tra immagine-tempo e
immaginario e tra immagine-tempo e immagine movimento.
Mentre, come abbiamo visto, la nozione di immaginario non definisce niente qui,
attraverso il prodotto finito dell'immagine sonora, si intuisce che non siamo
sul terreno dell'indefinibile alternarsi tra attuale e virtuale ma su quello
della costruzione di un sistema conoscitivo nel quale la funzione proposizionale
della cinepresa è garante del suo aspetto costituente. Rispetto al rapporto con
l'immagine-movimento Deleuze afferma: "il cinema fa la sua rivoluzione kantiana
quando cessa di subordinare il tempo al movimento... allora l'immagine
cinematografica diviene un'immagine-tempo, una autotemporalizzazione
dell'immagine" (49).
La capacità di rappresentazione e di costruzione della temporalità è sia la
rottura epistemologica nei confronti dell'immagine-movimento sia ciò che
permette all'immagine movimento di produrre sistemi conoscitivi, nei quali oltre
alla funzione proposizionale c'è la capacità di produrre una propria
temporalità, dei quali l'immagine sonora è il prodotto finito: Il cinema del
dopoguerra, più che il semplice cinema sonoro, è per Deleuze (50)
il movimento storico in grado di compiere questa realizzazione. Oltre a
Syberberg, Straub e Godard (51):
la vecchia avanguardia compie le sue scorribande in campo filosofico, produce
non tanto del cinema ma indagini nel pensiero dove, come abbiamo visto in
Syberberg, la funzione proposizionale e il movimento di temporalizzazione -
sussunti dentro la produzione di un sistema conoscitivo - non sono lasciati
tanto alla ricerca di una linguistica o di una ontologia ma rappresentati nel
loro irrompere nel sociale, e nella mondanità, in fenomeni come quelli dello
choc comunitaristico dell'immagine.
In questa maniera "il cinema procede a un automovimento e a una
autotemporalizzazione dell'immagine. Questa è la base" (52).
Così l'immagine-tempo è processo di realizzazione di un linguaggio e di una
concezione del tempo e non solo: lega, smonta, ricompone attivamente parole e
cose, immagine con percezione e linguaggio, e procede a una temporalizzazione di
questo prodotto nel suo complesso. Che cos'è se non un sistema conoscitivo un
prodotto finito che temporalizza un linguaggio?
Discutendo attorno all'immagine
sonora prodotta dal regime dell'immagine-tempo Deleuze afferma: "Ogni creazione
ha un valore e uno spessore politico. Ma il problema è che ciò mal si concilia
con i circuiti di informazione e di comunicazione che sono dei circuiti
preconfezionati e fin da subito degenerati" (53)
Che vuol dire tutto questo?
Riassumiamo.
1) Come abbiamo visto all'inizio del
paragrafo, il cinema riesce a "entrare" nel dibattito filosofico ovvero nel
rapporto tra immagine e concetto. Lo fa costruendo un'immagine del pensiero
ovvero, per Deleuze, costruendo dei veri e propri meccanismi di pensiero (cfr
citazione n.40). L'immagine-tempo, emergendo come rottura epistemologica
rispetto all'immagine movimento, è il fenomeno che riproduce questi meccanismi
grazie al suo valore proposizionale e alle sue capacità di temporalizzazione,
riscontrabili nel prodotto finito ovvero l'immagine sonora. L'immagine-tempo non
va confusa con l'immaginario perché essa sta all'interno di un movimento di
produzione di sistemi conoscitivi e non all'interno di uno di registrazione su
che cosa sia attuale e che cosa sia virtuale.
2) Il prodotto dell'immagine-tempo,
l'immagine sonora, ha valore politico. Possiamo dire che, essendo movimento
compiuto di costruzione dei meccanismi di pensiero, l'immagine-tempo produce
meccanismi di pensiero politico, facendosi anche immagine politica. Tutto ciò
però non ciò non basta a definirne tutta la politicità né l'indirizzo
archeologico.
Quando l'immagine sonora entra nei circuiti mediatici, prima definiti
"precostituiti e fin da subito degenerati" subentra completamente sia il
problema politico che quello archeologico.
Il movimento dell'immagine-sonora non è quindi riducibile all'avanguardia
cinematografica ma è comprensibile nella sua effettiva dimensione se si guarda
nella direzione della perversione dell'avanguardia ovvero il circuito mediatico.
La portata politica e archeologica è così completata, come ricostruito è il
senso dell'attenzione di Deleuze alle società di controllo e alle loro nervature
mediatiche che hanno messo a produzione l'immagine-tempo e che in lui sembrano
configurarsi come regime dispotico dell'immagine-tempo.
Se si scava nella direzione
dell'immagine-tempo avremo non solo un movimento storico di formazione di questo
tipo presente nella storia del cinema ma anche un movimento storico di
costruzione dell'immagine del pensiero, un riflesso di ciò nella costituzione di
pensiero politico e le tracce della messa a produzione dell'immagine tempo per
il circuito mediatico dominante e per la dimensione del sociale tecnico puro.
Con Syberberg, Godard, Straub l'avanguardia non va al mercato ma, i riflessi di
ciò sono altrettanto socialmente importanti, perché osservando loro il mercato
impara a andare a lezione dall'avanguardia, facendosi avanguardia e giocando poi
un avanguardismo frenetico. Ecco che apparirà il tecnico sociale puro come
evoluzione, massificata e terribile, dell'immagine tempo e successivamente le
tecnologie del virtuale, che sono possibili solo grazie al gorgo del Big
Business, mentre Straub deve ripiegare su Antigone, dopo aver riletto l'America
di Kafka alla luce di una certa e particolare sconfitta nei rapporti di classe
in Klassenverhaeltnisse, per attaccare il mercato maledendolo con la voce dei
classici.
Se c'è un indirizzo che queste
proposte di archeologia dell'immagine non prendono è quello dei sistemi
conoscitivi presupposti nei new media.
E questo avviene non certo perché ne trascuriamo l'importanza o perché riteniamo
che sia troppo presto per parlarne. Crediamo che il problema stia nel
rappresentare bene la faglia geologica dell'immagine veicolata dai media
classici per poi rappresentare gli elementi di rottura che i nuovi media
rappresentano e la loro potenzialità conoscitiva. Questo anche perché
l'irrompere dei nuovi media sembra aver azzerato (54)
tutto il patrimonio conoscitivo sull'immagine costituito dalla faglia
dell'immagine-tempo. Quello che abbiamo inteso qui fare è la ricostruzione di
questa faglia, in vista del suo rapporto con la dimensione del new media, ma
anche nel senso di direzioni di scavo per la ricostruzione della dimensione in
cui il fenomeno dell'immagine opera.
Abbiamo chiamato questo fenomeno immagine politica per indicare i momenti in cui
l'immagine sonora è costitutiva di rapporti sociali e di governo, come lo choc
comunitaristico e il sociale tecnico, ma anche non priva di effetti politici e
di stimoli per la costituzione di un pensiero politico che non sia registrazione
dei rapporti di forza ma che si incardini nell'analisi innovativa.
Forse è questo il varco che cerchiamo: una nuova analisi della sfera pubblica,
storico-genealogica ma antistoricistica; fuori dal politicismo,
dall'economicismo, dall'estetismo e dal massmediologismo ma che sappia
comprendere le zone dove questi saperi tendono a convergere costituendo il
tessuto, connettivo, delle discipline del nostro capitalismo, la formula della
sua magia nera.
Questi paragrafi ci hanno mostrato un Deleuze utile allo scopo, utile a gettare
uno sguardo prospettico quanto irregolare a queste zone di convergenza e alla
loro potenza sociale. Con Deleuze escono dal vocabolario espressioni come "un
problema di immaginario quindi un problema politico" per far entrare espressioni
del tipo "un problema di immagine politica" dove l'immagine è colta, nel bene e
nel male, nella sua produttività politica e nella sua effettualità sociale.
Kraus definì il processo storico che faceva incontrare grande politica e mezzi
di comunicazione mondialmente diffusi come "gli ultimi giorni dell'umanità". Una
nuova configurazione di saperi dell'analisi, della teoria e della prassi
politica saprà smentirlo?
NOTE:
(1)
si veda il saggio Karl Kraus in Walter Benjamin, Avanguardia e Rivoluzione,
Torino, 1973 (2)
si veda sia Angelus Novus, Torino, 1982 che Avanguardia e Rivoluzione cit. (3)
si veda le Tesi di Filosofia della Storia contenute in Angelus Novus cit. (4)
Karl Kraus, Untergang der Welt durch schwarze Magie, Berlin, 1966 (5)
Si veda il saggio su Kafka contenuto in Angelus Novus cit. (6)
Si veda Angelus Novus cit. e Walter Benjamin, Parigi Capitale del XIX secolo,
Torino, 1986 (7)
Si veda Angelus Novus cit. (8)
Angelus Novus, cit., pg. 237 (9)
Angelus Novus, cit., pg. 248 (10)
Si veda il saggio su Nicola Leskov in Angelus Novus cit. (11)
Hans Juergen Syberberg, Hitler, un film dalla Germania. Film, RFT (1977). Parte
prima: Dal frassino cosmico alla quercia di Goethe a Buchenwald (12)
Gilles Deleuze,Pourparlers, Paris, 1990. pg 61. (13)
Pourparlers, pg.62 (14)
Syberberg, film cit. (15)
Pourparlers, pg. 62 (16)
Syberberg, film cit. (17)
Pourparlers, pg. 62 (18)
Si veda Armand Mattelart, La communication monde, Paris, 1992 (19)
Pourparlers, pg. 62 (20)
si veda Richard Eyre, Le ambizioni di James Penfield. Film, UK (1983) (21)
Si veda la sezione Cinema diPourparlers (22)
Pourparlers, pg. 94 (23)
si veda la sezione Cinema diPourparlers (24)
Pourparlers, pg. 103 (25)
Pourparlers, pg. 103 (26)
Si veda la sezione Cinema diPourparlers (27)
Pourparlers, pg. 104 (28)
Se per associazione di idee si pensa "società dello spettacolo" assieme a Guy
Debod non si pensi anche a Debord come autore estetizzante. Si veda, e si
rivaluti, Guy Debord, Prolegomeni alla società dello spettacolo, Sugarco, 1988
(29)
Per una lettura dell'estica di questo tipo si consiglia:
M. Ferraris, Analogon Rationis in Pratica filosofica, 1994
L. Amoroso, introduzione a Baumgarten-Kant, il battesimo dell'estetica, Pisa,
1993
F. Vercellone, L'estetica moderna, in S. Givone, Storia dell'estetica, Roma-Bari,
1988
M. Blanchot, L'espace litteraire, Paris, 1959
W. von Humboldt, Scritti di estetica, Roma, 1934 (30)
Pourparlers, pg. 236 (31)
Pourparlers, pg. 237 (32)
Pourparlers, pg. 238 (33)
Si veda Michel Foucault, Résumé des Cours, Parigi 1989 (trad it., Résumé des
cours 1970-1982, Pisa, 1994 (34)
Pourparlers, pg.237 (35)
Pourparlers, pg. 236 (36)
si veda Bettettini-Colombo, Le nuove tecnologie della comunicazione, Milano,
1993 (37)
Si veda Foucault op. cit. (38)
Si veda:
Gilles Deleuze, Cinema 1 - L'image-mouvement, Paris, 1983
Gilles Deleuze, Cinema 2 - L'image-temps, Paris, 1985 (39)
si veda la sezione Cinema diPourparlers (40)
Pourparlers, pg. 90 (41)
Pourparlers, pg. 93 (42)
Pourparlers, pg. 93 (43)
Pourparlers, pg. 93 (44)Pourparlers,
pg. 74 (45)
Si veda l'introduzione de l'Image-mouvement cit. (46)Pourparlers,
pg. 94 (47)
Pourparlers, pg. 88 (48)
Pourparlers, pg. 75 (49)
Pourparlers, pg. 83 (50)
Pourparlers, pg. 82-85 (51)
si veda la sezione Cinema diPourparlers (52)
Pourparlers, pg. 83 (53)
Pourparlers, pg. 84 (54)
Si veda Pier Luigi Capecchi, Il corpo tecnologico, Bologna, 1993 per una prima
ricognizione sul problema.