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Marcuse e la Scuola di Francoforte (Giuseppe Bedeschi)


 

  • - Professor Bedeschi uno dei libri sicuramente più letti e influenti del '900, un vero successo mondiale, è stato L'uomo a una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata (1964) di Herbert Marcuse. Marcuse svolge una critica alla società tecnologica industriale diversa da quella di Adorno. L'obiettivo polemico nella prospettiva marcusiana non è più il capitalismo in genere, come nel marxismo classico, ma proprio l'organizzazione tecnologica e industriale della società. Come svolge Marcuse l'analisi del "lavoro"? (1)
     
  • - Che rapporto sussiste nelle teorie di Marcuse tra l'analisi del lavoro e il concetto di "alienazione" e qual è la problematica fondamentale de L'uomo a una dimensione? (2)
  • - Marcuse come altri esponenti della scuola di Francoforte si è ispirato in una certa misura alla psicoanalisi. Professor Bedeschi che significato ha questo aspetto del pensiero di Marcuse? (3)
  • 4. Nelle prospettiva teorica e interpretativa della società industriale proposta da Marcuse, si apre per l'uomo la possibilità di una forma di "liberazione"? (4)
     
  • - Al centro della riflessione degli esponenti della scuola di Francoforte c'è l'elaborazione di quella che chiamano la "teoria critica"; in questi pensatori è poi netta l'opposizione tra pensiero dialettico da una parte, e scienza, o anche scientismo neopositivistico, dall'altra. Essi affermano che solo un pensiero dialettico può svolgere una funzione critica rispetto all'assetto della società. Vuole illustrarci questo punto? (5)
     
  • - Professor Bedeschi, vorrei evidenziare un motivo di estremo interesse e anche di attualità. È noto che fin dagli anni '30 gli esponenti della scuola di Francoforte criticano gli aspetti totalitaristici dello stato in Unione Sovietica, perlomeno a partire da Stalin: propongono una sorta di equiparazione fra nazifascismo europeo, stalinismo sovietico e industrialismo americano: può spiegarci quali sono le implicazioni e le prospettive di tale interpretazione di tali fenomeni ideologico-politici? (6)

 

1.  Professor Bedeschi uno dei libri sicuramente più letti e influenti del '900, un vero successo mondiale, è stato L'uomo a una dimensione. L'ideologia della società industriale avanzata (1964) di Herbert Marcuse. Marcuse svolge una critica alla società tecnologica industriale diversa da quella di Adorno. L'obiettivo polemico nella prospettiva marcusiana non è più il capitalismo in genere, come nel marxismo classico, ma proprio l'organizzazione tecnologica e industriale della società. Come svolge Marcuse l'analisi del "lavoro"?

Questo è un tema molto importante di tutta la scuola di Francoforte, in modo particolare di Marcuse, perché questi ha dedicato più energie di tutti nello svolgimento di questo tema e delle sue implicazioni. Bisogna tenere presenti alcuni dati della biografia intellettuale di Marcuse. Egli era nato a Berlino nel 1898, aveva studiato a Freiburg sotto la guida di Husserl e di Heidegger e, come risulta anche dai suoi saggi giovanili, aveva subito profondamente l'influsso di questi pensatori. Per intendere bene la posizione di Marcuse credo che sia utile fare riferimento ad un suo saggio del 1933 intitolato Sui fondamenti filosofici del concetto di lavoro della scienza economica. Secondo Marcuse il lavoro, il "fare lavorativo", come egli lo chiama con un linguaggio hegelianeggiante, è caratterizzato da tre momenti: il primo momento è la durata essenziale, il secondo è la permanenza essenziale e il terzo è il suo carattere di "peso". Sulla durata e sulla permanenza del "fare lavorativo" in questo suo saggio giovanile Marcuse dice quanto segue: "la durata del lavoro significa che il compito che il lavoro pone all'esistenza umana non può essere mai assolto in un singolo processo lavorativo o in vari processi lavorativi singoli; quel compito può essere assolto solo in un perdurante essere al lavoro ed essere nel lavoro, in un orientamento e in una tensione di tutta l'esistenza verso il lavoro. La permanenza del lavoro significa che da esso deve venir fuori qualcosa che per il suo senso e per la sua funzione, sia più duraturo del singolo atto lavorativo e faccia parte di un accadere universale. Deve trattarsi di qualcosa che è in sé permanente, che esiste ancora ed esiste per altri anche dopo la conclusione del singolo atto lavorativo".

Oltre a questi aspetti, c'è per l'appunto il terzo aspetto che per Marcuse è di gran lunga il più importante: il carattere di "peso" del lavoro. Questo non definisce le caratteristiche di determinati lavori particolarmente penosi per gli individui ma qualcosa di radicalmente diverso; a questo proposito possiamo leggere un altro breve passo che chiarisce molto bene il senso del carattere di "peso" del lavoro e che è la chiave per intendere l'atteggiamento davvero singolare assunto da Marcuse verso "il fare lavorativo": "Anche prima di tutti questi aggravi dovuti al modo e all'organizzazione del lavoro, già il lavoro in quanto tale si presenta come peso poiché sottomette il fare umano ad una legge estranea che a questo viene imposta, alla legge della cosa che bisogna fare e che rimane una cosa, qualcosa che è altro dalla vita [...] Nel lavoro si tratta sempre in primo luogo della cosa stessa e non del lavoratore [...] Nel lavoro l'uomo viene continuamente allontanato dal suo essere se stesso, è indirizzato a qualcosa d'altro e continuamente presso qualcosa d'altro e per altri". Dunque il lavoro per Marcuse è sempre qualcosa di gravemente limitativo della libertà umana, anche quando un uomo sceglie il proprio lavoro, in quanto l'uomo è sempre asservito alla cosa, a leggi che gli sono imposte dall'esterno. L'uomo, per usare il linguaggio hegelianeggiante tipico di Marcuse, non è più in sé stesso, ma è fuori di sé. Il lavoro quindi non è qualcosa di attivo, bensì qualcosa di passivo.

 

2. Che rapporto sussiste nelle teorie di Marcuse tra l'analisi del lavoro e il concetto di "alienazione" e qual è la problematica fondamentale de L'uomo a una dimensione?

Nelle teorie di Marcuse ritorna l'idea, già espressa da Horkheimer e Adorno, secondo cui, nella trasformazione della natura e del mondo, l'uomo, lungi dall'essere libero, è sottoposto a una servitù ancora più pesante. Si affaccia - mi pare che questo aspetto meriti di essere segnalato - un altro importante elemento di differenziazione e di distacco di Marcuse rispetto a Marx e alla tradizione marxista. Non c'è dubbio che Marcuse elabori un concetto di "alienazione" o di "estraniazione"; questi concetti, come noto, trovano un ampio svolgimento in tutta l'opera di Marx, a partire dai giovanili Manoscritti economico-filosofici del 1844 fino a Il capitale. Marx con i concetti di "alienazione" o di "estraniazione" intendeva una cosa molto semplice e cioè il fatto che il lavoratore non possiede gli strumenti del lavoro che appartengono al capitalista; l'operaio non possiede il prodotto del lavoro che egli stesso produce e che viene invece incorporato nel capitale. Cos'è il "capitale" per Marx? È lavoro "morto" o oggettivato, che domina l'operaio, cioè il lavoro "vivo". Questa idea marxiana viene ripresa dalla scuola di Francoforte e da Marcuse in particolare, ma con una variante sostanziale, perché l'alienazione, l'estraneazione non è più qualcosa strettamente inerente ai rapporti capitalistici di produzione: riguarda infatti la società industriale e tecnologica in quanto tale.

L'uomo nella società industriale, nella società tecnologica è sempre e comunque alienato; Marcuse si riferisce non a una società in particolare, ma alla società industriale in generale. È significativo che in questo contesto Marcuse contrapponga il gioco al lavoro. Il gioco è il momento in cui veramente l'uomo realizza la propria libertà: nel gioco l'uomo crea le regole, non trova regole create da altri e non è succube della cosa, delle cose esterne, dell'oggettività, della cosalità o della naturalità. Nel gioco l'uomo è veramente presso di sé e giunge in una dimensione della sua libertà che gli è invece completamente negata nell'ambito lavorativo. Marcuse non esita perciò ad affermare - si tratta di un'affermazione impressionante e "agghiacciante" - che un singolo lancio di palla da parte di un giocatore rappresenta un trionfo della libertà umana sull'oggettività, che è infinitamente superiore alla conquista più strepitosa del lavoro tecnico. Qui viene messa in luce tutta la problematica de L'uomo a una dimensione, il libro apparso nel 1964 negli Stati Uniti, che diede a Marcuse fama mondiale. Fu uno dei libri ispiratori dei movimenti del '68 che si manifestarono tanto negli Stati Uniti quanto nell'Europa occidentale. Qual è l'idea che è al centro di questo libro, il cui sottotitolo è L'ideologia della società industriale avanzata? L'idea è molto semplice: la società industriale avanzata ha leggi ferree e l'uomo è asservito a queste stesse leggi. La società industriale avanzata è un enorme apparato di dominio appunto perché non lascia mai margini alla libertà umana, all'iniziativa individuale: l'uomo è soltanto un semplice ingranaggio di un sistema enorme che lo sovrasta e di cui egli deve semplicemente subire il funzionamento. Un'altra idea svolta in questo libro è che la società industriale avanzata, la società tecnologica produce un tipo di cultura non dialettica, ma positivistica. Ne consegue l'aspra critica che Marcuse rivolge alla filosofia neopositivistica, neoilluministica, nelle quale egli vede le espressioni ideologiche del dominio dell'apparato sociale.

 

3. Marcuse come altri esponenti della scuola di Francoforte si è ispirato in una certa misura alla psicoanalisi. Professor Bedeschi che significato ha questo aspetto del pensiero di Marcuse?

Si tratta di un aspetto assai interessante del pensiero di Marcuse, che poi ha avuto anche larga diffusione. C'è un libro significativo in questo senso Eros e Civiltà del 1955; il sottotitolo è: Una indagine filosofica su Freud. Questo libro costituisce il documento più interessante in relazione all'interesse di Marcuse per la psicoanalisi. Bisogna rilevare subito che egli utilizza diverse idee di Freud, ma in realtà per cambiarle di segno e per iscriverle all'interno di un contesto intellettuale che ha a che fare assai poco con Freud. Marcuse rivolge a quest'ultimo una serie di critiche. A suo giudizio Freud ha considerato l'uomo in astratto, ha sottovalutato i contesti sociali in cui l'uomo opera, ha parlato di "repressione", ma non ha distinto fra la repressione degli istinti, che è necessaria in qualunque comunità civile, e la repressione "addizionale". Che cos'è la repressione "addizionale" per Marcuse? È il tipo di repressione che la società industriale avanzata, la società tecnologica, richiede agli individui. Per Marcuse è importante che in questo tipo di società, nonostante tutti i suoi limiti e nonostante lo spaventoso impianto di dominio che ha realizzato (al riguardo egli riprende un'idea espressa da Marx ne Il capitale), si pongano anche le premesse per una liberazione dell'uomo. In che senso? Nel senso che lo sviluppo delle forze produttive nella società industriale avanzata è tale che, per un verso, diventa possibile e realizzabile ridurre in modo sostanziale la durata della giornata lavorativa e, per un altro verso, diventa possibile l'intercambiabilità delle funzioni all'interno dell'apparato produttivo.

 

4. Nelle prospettiva teorica e interpretativa della società industriale proposta da Marcuse, si apre per l'uomo la possibilità di una forma di "liberazione"?

Questa possibilità, che la società industriale avanzata per la prima volta nella storia umana prospetta all'uomo, fa cadere, dice Marcuse, una serie di contraddizioni e di conflitti. Prometeo, l'eroe della fatica, l'eroe del lavoro, della produttività, non sarà più il simbolo della società; il suo posto verrà preso da Orfeo e Narciso. In Eros e Civiltà Marcuse dice: "Le immagini di Orfeo e di Narciso riconciliano Eros e Thanatos, esse rievocano l'esperienza di un mondo che non va dominato e controllato ma liberato, una libertà che scioglierà i freni alle forze di Eros che ora sono legate nelle forme represse e pietrificate dell'uomo e della natura". È interessante rilevare che in qualche misura Marcuse corregge il punto di vista più tradizionale della scuola di Francoforte, il quale aveva caratterizzato anche la prima fase dell'attività di Marcuse. La società industriale, e quindi la scienza, la tecnica applicata alle forze produttive, non sono più soltanto strumenti di dominio e di oppressione, ma possono aprire la possibilità di una dimensione nuova ed esaltante della libertà umana.

Questa dimensione nuova viene delineata da Marcuse in un passo molto estremamente significativo e indicativo, ma anche molto bello: "nell'Eros orfico e narcisistico questa tendenza si libera: gli oggetti della natura diventano liberi di essere ciò che sono, ma per poter essere ciò che sono devono dipendere dall'atteggiamento erotico: ricevono soltanto in questo il loro telos. Il canto di Orfeo placa il mondo animale, riconcilia il leone con l'agnello e il leone con l'uomo. Il mondo della natura è un mondo di oppressione, crudeltà e dolore com'è il mondo umano, come quest'ultimo, esso aspetta la sua liberazione, questa liberazione è l'opera di Eros, il canto di Orfeo infrange la pietrificazione". Marcuse per l'appunto delinea quello che sarà la società del futuro, una volta che l'enorme sviluppo delle forze produttive renderà possibile la liberazione dal lavoro e dalla fatica. C'è da dire però che, rispetto alla tradizione marxista alla quale egli si rifà, e rispetto alla concezione di Freud che vuole utilizzare, si tratta pur sempre di un quadro idillico-estetistico che non ha più nulla a che fare né con la concezione drammatica che Freud ha della storia umana, né con il robusto realismo della considerazione storica di Marx. Sotto questo profilo, Marcuse introduce una nota ludica all'interno dei filoni teorici e culturali che ha utilizzato: in generale, mediante le sue teorie, li ha cambiati profondamente di segno e di significato.

 

5. Al centro della riflessione degli esponenti della scuola di Francoforte c'è l'elaborazione di quella che chiamano la "teoria critica"; in questi pensatori è poi netta l'opposizione tra pensiero dialettico da una parte, e scienza, o anche scientismo neopositivistico, dall'altra. Essi affermano che solo un pensiero dialettico può svolgere una funzione critica rispetto all'assetto della società. Vuole illustrarci questo punto?

I pensatori della scuola di Francoforte hanno definito esplicitamente il proprio pensiero e le proprie dottrine come "teoria critica": perché per loro la teoria non può non essere critica e critica di che cosa? Critica della società esistente. Si tratta naturalmente di una critica radicale, che salva poco o nulla degli aspetti della società contemporanea. Per gli autori della scuola di Francoforte questa è la "società borghese", ma in realtà si tratta della società industriale avanzata a prescindere dai differenti contesti sociali. Proprio perché si tratta di una critica profonda essa fa corpo con la dialettica e deve essere una "critica dialettica" - ossia una critica che si propone non solo la conoscenza, l'indagine sull'esistente, ma la negazione dell'esistente, la negazione della società tecnologica, la negazione del suo apparato di dominio, la negazione e la distruzione delle ideologie che sono espressione di questo apparato e che al tempo stesso lo sostengono.

 

6.  Professor Bedeschi, vorrei evidenziare un motivo di estremo interesse e anche di attualità. È noto che fin dagli anni '30 gli esponenti della scuola di Francoforte criticano gli aspetti totalitaristici dello stato in Unione Sovietica, perlomeno a partire da Stalin: propongono una sorta di equiparazione fra nazifascismo europeo, stalinismo sovietico e industrialismo americano: può spiegarci quali sono le implicazioni e le prospettive di tale interpretazione di tali fenomeni ideologico-politici?

La scuola di Francoforte elabora un concetto nuovo, che poi avrà molta fortuna e che è stato ripreso da Hannah Arendt: il concetto di "totalitarismo". Nel proporre e nell'elaborare tale concetto i pensatori della scuola di Francoforte hanno indubbiamente dei meriti, ma, a mio avviso, anche dei limiti. Hanno il merito di avere rotto la prima volta "a sinistra" il tabù dell'Unione Sovietica, stato sì totalitario, ma intoccabile, perché ha seppellito la società borghese ed è sorto sulle rovine di questa stessa società. I pensatori "francofortesi" ritengono giustamente che la dittatura sovietica non abbia nulla da invidiare, quanto ad efferatezza e in termini di edificazione di un sistema integrale di dominio, alla dittatura nazista e definiscono per l'appunto in questo senso la categoria di "totalitarismo". Senonché - in ciò a mio giudizio c'è un limite -, la scuola di Francoforte delinea il concetto in questione a partire dalla categoria di "società tecnologica" e di "società industriale avanzata". Questo fa sì che essi vedano anche nella società industriale avanzata americana un'espressione di totalitarismo. Anzi loro estendono la categoria del "totalitarismo" alla Germania nazista, all'Italia fascista, all'Unione sovietica e anche agli Stati Uniti di Roosevelt. Questo è l'aspetto dell'interpretazione francofortese che lascia più sconcertati. Soprattutto un esponente della scuola, Friedrich Pollock, si è impegnato in questa direzione e ha proposto attraverso analisi socio-economiche la categoria di "totalitarismo", senza però fare alcuna distinzione fra i nazifascismi da un lato, l'Unione Sovietica dall'altro e gli Stati Uniti dall'altro lato ancora. Ritengo che questa interpretazione del totalitarismo sia per un verso un elemento molto importante per il pensiero sociale, ma, essendo, al tempo stesso, proposto sulla base del concetto della società tecnologica, fa emergere, in ultima analisi, una categorizzazione fortemente unilaterale.


Abstract

Bedeschi approfondisce la critica di Herbert Marcuse alla razionalità tecnologica e la sua caratterizzazione del lavoro, del "fare lavorativo" in tre momenti distinti. Secondo Marcuse il lavoro è qualcosa di passivo, e l'"alienazione" o "estraniazione" non è solo qualcosa strettamente inerente ai rapporti capitalistici di produzione, ma riguarda la società teconologica in quanto tale. Al lavoro egli contrappone il gioco, nel quale soltanto l'uomo può realizzare veramente la sua libertà. A Freud Marcuse rimprovera di aver considerato l'uomo in astratto e di non aver distinto tra repressione degli istinti e repressione "addizionale", cioè quella che la società industriale-teconologica richiede agli individui. Tuttavia, proprio nella società industriale avanzata si pongono le premesse per la liberazione dell'uomo: con la riduzione dell'orario di lavoro e con l'intercambiabilità delle funzioni all'interno dell'apparato produttivo ], si assiste alla caduta di Prometeo. Come afferma Marcuse in Eros e Civiltà , il suo posto verrà preso da Orfeo e da Narciso, nelle cui immagini si riconciliano Eros e Thanatos . Bedeschi sottolinea come questa prospettiva idillico-estetistica si distanzia dalla concezione drammatica di Freud e dal realismo di Marx per quanto concerene la riflessione sulla storia . Viene spiegato in seguito il concetto di "teoria critica", formula mediante cui i rappresentanti della scuola di Francoforte definiscono il proprio pensiero. La critica si rivolge essenzialmente alla società esistente, alla "società industriale avanzata" ed essendo "dialettica" ne implica però la negazione. In conclusione, si discute, nella sua importanza e nei suoi limiti, il concetto di "totalitarismo", frutto originale dell'elaborazione della scuola di Francoforte.

 

Da: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=344