Venturini: Mi chiamo Riccardo Venturini,
insegno Psicofisiologia Clinica all'Università di Roma, La
Sapienza, e da vari anni mi occupo di stati di coscienza, soprattutto
delle tecniche trasformative della coscienza, della mente, sia attraverso
tecniche della psicologia occidentale che delle psicologie tradizionali
orientali. Adesso, per introdurre il tema della discussione, vediamo il
filmato che è stato preparato con la regia.
-Si visiona la scheda:
COMMENTATORE: Mondo di visioni non vedute e di silenzi
uditi, di ricordi impalpabili, di fantasticherie che nessuno può mostrare,
teatro segreto fatto di monologhi senza parole, dimora invisibile di tutti
gli umori, meditazioni e misteri, luogo di delusioni e di scoperte infinite.
Questa coscienza che è il nostro essere più segreto che cos'è? E da dove
venne? E perché? Conosci te stesso era scritto nel Tempio di Apollo a
Delfi. La storia di questi tentativi di conoscenza è una storia millenaria,
che ha percorso due grandi strade, quella dell'esterno e quella
dell'interno. Oggi possiamo vedere quanti successi sono stati conseguiti
dalle scienze naturali e dalla psicologia obiettiva nello studio del
rapporto tra mente e cervello. Ma paradossalmente l'ampliarsi della sfera
delle conoscenze naturali aumenta il mistero del non conosciuto e
l'esplosione della conoscenza comporta anche una esclusione di
interrogativi. Le vie sapienziali invitano a percorrere una strada inversa,
una strada centripeta, anziché centrifuga. Questo diverso percorso può farci
capire perché esso abbia potuto, pur dal lontano passato, offrire certezze
che sentiamo valide ancor oggi, certezze dovute ad intus legere, ad
una implosione del conoscere verso il punto senza estensione della nostra
interiorità. Non è sorprendente che nel periodo del VI-V secolo a.C.,
Socrate in Grecia, Buddha in India, Confucio in Cina, potessero,
indipendentemente l'uno dall'altro, raggiungere conoscenze e fornire
strumenti di comprensione della realtà, che hanno consentito all'umanità un
autosvelamento, che ha mutato la storia in modo definitivo?
-Fine della scheda, inizia la discussione.
Venturini: Ecco, come abbiamo sentito dal filmato, la
domanda sulla coscienza è una domanda centrale della cultura. E oggi la
psicologia ha riportato al centro della sua indagine questo tema della
coscienza, che, nei decenni passati, era stato in qualche modo, rimosso,
occultato da psicologie, che volevano essere soltanto psicologie obiettive.
STUDENTESSA: Buongiorno, professore. Qual'è la
differenza fra la concezione orientale e occidentale di mente e di
coscienza?
Non è una domanda semplice questa, ma possiamo dire,
cercare di dire qualche cosa. Intanto ci sono molti Orienti e molti
Occidenti. La stessa concezione dell'Oriente, a volte, si dice, è una figura
dell'immaginazione occidentale. Andando ad Oriente, andando ancora ad
Oriente, si arriva dall'Estremo Oriente in California. Ecco, quindi vedete
quanto è relativo. E poi la nostra cultura è una cultura indo-europea e
quindi sono anche molto più vicine, di quanto non pensiamo, certe
concezioni, certe filosofie, che consideriamo appunto orientali. Se
possiamo, per ipersemplificare, dire quale è il tono della visione del mondo
quindi anche della mente, della coscienza dell'Oriente è quello della
interrelazione, della vacuità, che non significa il nulla, ma significa
vedere il mondo dei fenomeni come strettamente interconnessi, quindi una
vacuità nel senso di essere privi di una esistenza propria, di una esistenza
inerente. Se riflettiamo, vediamo che il nostro corpo, il linguaggio che
adoperiamo, la nostra cultura, da dove viene? Ci viene dai rapporti,
dall'esterno. Ecco, quindi questo direi che è un po' quello che contrassegna
in maniera più generale la visione del mondo orientale. Su questo possiamo
vedere anche, se volete, un altro breve filmato, che appunto riguarda
proprio questa concezione del "sé" secondo la visione orientale.
-Si visiona un'altra scheda:
BAMBINA: Perché mai abbiamo tutti lasciato il mondo?
UOMO: Perché nel mondo non c'è la pace, la libertà del cuore.
BAMBINA: Perché?
UOMO: Perché la gente non ha abbastanza cuore, non
abbastanza da contenere tutte le cose del mondo. Invero sarebbe sufficiente,
ma è riempito solo dall'idea di sé.
-Fine della scheda, riprende la discussione.
Venturini: Ecco, come avete sentito, c'è
questa idea di sé che sembra centrale nella visione dell'Occidente, l'idea
di anima, di qualche cosa che è un nucleo duro, un nucleo che non si risolve
nella molteplicità delle relazioni e dei fenomeni. La visione orientale è
più fluida, ecco: la coscienza come un flusso. Lì vedete c'è una clessidra,
ci fa vedere questa impermanenza dei fenomeni, la coscienza come un fluire.
Anche in Occidente William James aveva sottolineato appunto questo stream
of consciousness, la coscienza come un flusso. In questo flusso
noi, per studiare, per osservare, siamo costretti a bloccare, come se fosse
un fotogramma di una pellicola, qualche stato di coscienza per poterlo
meglio studiare.
STUDENTESSA: Che rapporto c'è tra Socrate, Buddha
e Confucio, come abbiamo visto anche nella scheda?
Il rapporto è quello di essere intanto contemporanei. E
questo ci fa fare delle riflessioni, come se ci fosse stato un momento
particolare dell'evoluzione culturale dell'umanità, in cui si scopre il
significato dell'interiorità. Ecco allora possiamo vedere i vari modi in cui
ciascuno di questi grandi pensatori, maestri, ha sottolineato questo aspetto
dell'interiorità. Il "conosci te stesso" della Grecia, la
consapevolezza buddhista, questa ricerca dell'armonia nel confucianesimo,
ecco, questo è un po' il rapporto, questa scoperta di una dimensione di
interiorità che da lì in poi il mondo non abbandonerà più. E quindi, alla
conoscenza del mondo esterno, si accompagna questo intus legere,
questa intelligenza della mente, del cuore, della consapevolezza.
STUDENTE: Professore, Lei ha detto che
praticamente ci sono due direzioni della conoscenza o della coscienza umana.
Una che va verso l'esterno, verso l'infinitamente grande, verso quindi
questo infinito universo del conoscibile, e un'altra che va invece verso
l'interno, ossia verso il punto senza dimensioni del proprio io, della
propria coscienza individuale insomma. Ma più o meno questi due cammini non
potrebbero definirsi come due facce della stessa medaglia? Perché, in
definitiva, raggiungere un conoscenza infinitamente grande, più o meno è la
stessa cosa, vista in modo opposto, che raggiungere una conoscenza
dell'infinitamente piccolo. Sono entrambe le cose non proporzionabili alla
nostra capacità di conoscere il finito.
Certamente, una visione più orientale, non dualistica,
tenderebbe proprio a unificare questi due approcci. Ma non è tanto la
differenza tra il piccolo e il grande, perché la scienza anzi oggi va verso
la conoscenza dell'infinitamente piccolo, ecco, e la differenza fondamentale
è tra l'esterno e l'interno, tra quello che conosciamo dall'esterno e quello
che conosciamo dentro di noi. Se prendiamo una curva, se la guardiamo da una
parte è concava, dall'altra parte è convessa. Ecco, sono due punti di vista
diversi. Non è tanto il fatto di essere grandi o piccoli, è il punto di
vista differente.
STUDENTESSA: Professore, in che modo buddhismo e
confucianesimo hanno contribuito alla rivelazione della conoscenza?
Il buddhismo ha dato un grandissimo contributo alla
conoscenza della mente. E' sorprendente che ci sia stata nella scuola
filosofica religiosa del buddhismo una attenzione alla mente in secoli in
cui in Occidente la psicologia non esisteva. E, quindi, quello che il
buddhismo vuole sottolineare nello studio della mente, nello studio della
realtà in genere sono questi caratteri fondamentali della impermanenza - e
cioè che tutto si svolge attraverso un flusso, e la mancanza di quella
dimensione di sé, nel senso di un nucleo stabile, non relativo ai rapporti
con gli altri fenomeni - e il fatto che la realtà dei fenomeni è sempre in
qualche modo imperfetta, è sempre in qualche modo insoddisfacente. E questo
porta anche a molte conseguenze sul piano della pratica, della vita. Non è
soltanto una visione del mondo, che ci lascia poi indifferenti. Nella
filosofia occidentale quasi sempre manca un'indicazione sul come vivere le
verità che sono state trovate, che sono state individuate. Nelle filosofie
orientali ci sono sempre delle indicazioni operative. E Confucio, in
particolare, sviluppa un'etica dell'armonia dell'uomo con la natura, con la
società, eccetera. E quindi, ecco, questi sono dei contributi di cui oggi
l'Occidente anche comincia a fare tesoro.
STUDENTE: Professore, scusi, se la coscienza
individuale - ritorno un attimo al discorso -, se la coscienza individuale
deriva dalla, diciamo, conoscenza anche dell'esterno, dal rapporto
interpersonale con l'esterno, e questo viene anche ribadito dallo stesso
buddhismo, che diciamo tenta di sciogliere l'individualità dell'io, come si
può allora dividere una conoscenza interiore da una conoscenza esteriore?
Ossia, conoscendo l'esterno, si conosce poi, alla fin fine, anche se stessi,
in un certo qual modo.
Ripeto che da un certo punto di vista queste conoscenze
non dovrebbero essere viste in maniera dualistica e contrapposta, perché
proprio anzi uno dei cardini del pensiero orientale è proprio questo di
arrivare a una visione non dualistica della realtà. Però quello a cui mi
riferivo era che oggi noi vediamo un grande sviluppo dello studio delle
strutture neurologiche, che supportano la nostra mente, la nostra coscienza.
Questo studio che procede, procede però sempre in termini di una psicologia,
di una conoscenza obiettiva, dei meccanismi. Noi però abbiamo anche un altro
modo di conoscere noi stessi, non che lo studio delle strutture non sia
utile, ma noi abbiamo anche un'altra modalità di conoscere dall'interno la
nostra vita mentale. E questo ha portato alla divisione, spesso anche al
conflitto tra le scienze della natura e le scienze dello spirito. Ecco,
allora, il problema è come noi possiamo utilizzare questi aspetti? Se
studiamo i correlati della coscienza, i correlati biologici, però dobbiamo
sapere che cos'è questa coscienza, se no, che correlati sono? Correlati a
che cosa? Allora ecco questa integrazione sembra necessaria per il progresso
dell'una e dell'altra modalità di conoscere.
STUDENTE: Quindi, in pratica, alla fin fine,
questo nuovo tipo di approccio, questo diverso tipo di approccio alla
psicologia è soltanto un abbandonare una visione troppo meccanicistica della
coscienza e ...
Troppo riduzionistica, cioè di ricondurre la nostra vita
mentale soltanto a quello che possiamo leggere nelle strutture nervose. Ma
voi avete i computer. Anche lì si distingue tra l'hardware e il software.
Non possiamo studiare soltanto l'hardware. Abbiamo necessità di studiare
anche come questa coscienza si sviluppa, come vogliamo nutrire la nostra
mente. La coscienza non è qualche cosa che sta lì, appunto, come un nucleo a
sé stante. E' fatta di relazioni, è fatta di stimoli. Ecco, lì vediamo un
campanello. Pensate questo stimolo che attira la nostra attenzione.
Neurologicamente si parla del riflesso di orientamento. Se c'è uno stimolo,
noi ci orientiamo verso questa probabile sorgente. Ecco, allora questa
coscienza, vuole illuminare la realtà, vuole conoscere il mondo. Questo,
questo è il grado zero, diciamo, della coscienza. Mi accorgo che qualche
cosa sta accadendo o, se volete, sento qualcosa di piacevole o di
spiacevole. Ecco, questo è l'inizio, diciamo, della coscienza che si
rapporta di fronte alla realtà esterna. Allora il punto è di come vedere
questi due punti di vista, dell'esterno e dell'interno. Ecco, questo è un
problema aperto, sul quale avrete modo voi stessi di cimentarvi nei vostri
studi futuri.
STUDENTESSA: Professore, Lei ha dichiarato di
occuparsi di trasformazione della coscienza. Ma questa trasformazione può
essere intesa come uno sviluppo della stessa o come una sua evoluzione? O se
è così riguarda ambiti puramente spirituali o astratti?
No, a parte che lo spirituale non direi che è astratto.
E' ugualmente concreto, il mondo spirituale, il mondo dei valori, il mondo
della bellezza, il mondo dell'etica, il mondo della verità eccetera. Ma
quando dico l'aspetto trasformativo, ecco, mi rifaccio a questo concetto
della coscienza come un processo, un processo che funziona con i meccanismi
di feedback nella realtà dell'organismo e anche della vita
tecnologica. Abbiamo una quantità di meccanismi di feedback, cioè di
retroazione. La coscienza è un processo autoriflessivo, si
autoconosce - abbiamo l'autocoscienza - e anche autotrasformativo. Per
quello dicevo: come noi alimentiamo la nostra coscienza, la vita mentale?
Queste trasformazioni possono essere trasformazioni a livelli dei
cambiamenti, a livelli più elementari o a livelli complessi o molto
complessi. Anche quando abbiamo bisogno di mangiare una fetta di pane,
facciamo dei cambiamenti, delle trasformazioni. Ma questo dipende dalla
natura dei nostri bisogni. Accanto a questi bisogni più elementari, abbiamo
dei bisogni che sono i bisogni di dare un senso alla nostra vita, alla
sofferenza, alla morte. E quindi ecco che ci sono quei bisogni
specificamente umani, che chiedono delle grosse trasformazioni. Queste sono
state chiamate in vari modi. Nel Cristianesimo si parla di conversione, di
vita, nel buddhismo di illuminazione, il marxismo ha parlato di rivoluzione,
ecco, cioè cambiamenti forti, che possano consentire questa trasformazione
della nostra mente.
STUDENTESSA: Volevo sapere, quanta importanza ha,
in questo contesto, lo studio dell'inconscio, sempre che ne abbia, insomma.
Certamente, questo apre un'altra grossa tematica. La
coscienza così come noi la possiamo studiare secondo le nostre ineliminabili
categorie dicotomiche o positive - noi conosciamo tutta la realtà attraverso
queste dicotomie -, allora coscienza viene anche opposta ad inconscio. Una
delle scoperte fondamentali della psicologia moderna è stata proprio questa
di includere nella mente, cioè in quello che è psichico, non soltanto quello
che è immediatamente e attualmente cosciente, ma anche realtà che possono
diventare coscienti, ma non sono nella luce della coscienza, della mente.
Quindi l'inconscio è portatore di una serie di punizioni - se pensiamo,
ecco, alla interpretazione psicoanalitica, per esempio, di pulsioni, cioè di
rappresentazioni psichiche dei nostri bisogni, che non sono necessariamente
coscienti, consapevoli. E allora proprio questo è lo sforzo di riuscire a
cogliere anche questi contenuti psichici inconsci, che possono essere
presenti e si palesano in vari modi, fisiologici e patologici, nel nostro
comportamento, nella nostra condotta. Jung parlerà anche di inconscio
collettivo, cioè quella sorta di deposito di certe strutture fondamentali,
appunto archetipe, che sono proprie della specie umana. Ecco allora, un
inconscio ancora più profondo e inesplorabile quasi. C'è un fondo che non
emerge mai alla coscienza.
STUDENTESSA: Professore volevo domandarLe com'è
possibile, in che modo si incontra lo studio della coscienza, lo studio
sulla coscienza con la religione e la filosofia?
Ecco, questa domanda presuppone che ci siano delle
differenze disciplinari molto ben nette. Chi si occupa della coscienza? Si
occupa la filosofia, la religione, la scienza, eccetera? Io non credo che ci
siano dei confini così netti tra le varie discipline. Quando era più in voga
l'operazionismo, si diceva: "Come si definisce la psicologia?". La
psicologia o la filosofia è quello che sta scritto nei libri di psicologia.
Cioè, se domandiamo forse a un bibliotecario: "Questo libro che cos'è, di
psicologia?", lui, quasi sempre, dà un risposta giusta: se è un libro di
filosofia, di psicologia, eccetera. Quindi, premesso questo, la psicologia e
la filosofia possono essere distinte, però nei loro metodi come si occupano
di queste cose, di questi oggetti? La filosofia fa riferimento al
linguaggio, alla storia, eccetera. La psicologia è un disciplina più
osservativa o sperimentale, o clinica, eccetera. Allora questo ha portato
spesso a delle divisioni. Oggi ci sono delle correnti della psicologia, come
la psicologia transpersonale, che fa riferimento a un allargamento
dell'esperienza dell'uomo, anche al di là della nostra individualità
biografica, semplicemente biografica, individuale, personale, andando
appunto a cogliere dimensioni dell'esperienza che sono importanti per la
vita, la natura, la società, il cosmo, ecco, e quindi un allargamento. Anche
nel '68, c'era la parola d'ordine: "Allargate l'area della coscienza", che
poi era, in fondo, anche già nella Bibbia, quando Isaia dice: "Allarga lo
spazio della tua tenda". Ecco, cioè, questo, questo invito ad andare oltre.
La psicologia transpersonale ha raccolto molte di queste, molto della
tradizione filosofica occidentale e orientale. Quindi questo concilia la
possibilità di utilizzare apporti diversi, che vengano appunto dalle scienze
psicologiche, dalla filosofia, anche dalle tradizioni sapienziali. Cerchiamo
cioè di avere una visione meno dualistica, meno esclusivistica della realtà
e della mente.
STUDENTESSA: Professore, mi scusi, il conosci
te stesso sul Tempio di Apollo a Delfi, che potremmo tradurre come
"conoscere i propri limiti", non è quasi un modo per creare una barriera
quindi tra mondo occidentale e mondo orientale? Cioè il mondo occidentale ha
quasi precluso la ricerca nell'esterno, nell'interno, per raccogliere
completamente il mondo, perché è partito dal presupposto che l'uomo ha dei
limiti, mentre l'Oriente ha continuato in questa ricerca per raccogliere il
mondo, per capire il mondo nell'esterno e nell'interno.
Ma io credo che possiamo leggere diversamente questo
invito al conosci te stesso. Nella cultura greca conosci te stesso
era inserito in un programma più ampio di cura di sé, come dice
Platone, "Avere cura di sé". Che cosa voleva dire "cura di sé"? Non cura del
corpo, delle cose, delle proprietà, di quello che è estrinseco, ma avere
cura dell'anima. Allora la conoscenza di sé, la conoscenza dei limiti, non
essere tracotanti - era l'altra formula scritta nel tempio di Apollo - ecco,
aveva questo significato di autoconoscenza, e quindi anche di un
autosviluppo. La ricerca del ben-essere. La ricerca quindi di un modo di
vita più ampio, di un modo di vita migliore. Questa stessa esigenza è
presente nell'Oriente. Possono essere diverse le modalità, ma l'insegnamento
del buddhismo, ad esempio, è proprio un continua attenzione potata a se
stessi, è un'attenzione che vuole commisurare ogni azione, ogni pensiero,
ogni parola, proprio a una certa pratica, che, in fondo, ha la stessa
finalità, quella di raggiungere una armonia, un ben-essere. Quando vedevate
prima quel filmato, che cosa diceva? Ecco, c'è una tentazione di fuggire dal
mondo, perché il mondo in qualche modo é cattivo, è disarmonico, è troppo
centrato, troppo egoico. Ecco, allora, il conoscere se stessi, conoscere la
nostra natura relazionale porta poi a un diverso modo di vivere. Quindi mi
sembra che questa formula dell'autoconoscenza è talmente radicale che può
essere considerata un po' un universale transculturale.
STUDENTE: Professore, a partire da quando si può
cominciare a parlare di coscienza, ossia da che livello di complessità
mentale si può individuare un'autocoscienza, una coscienza anche del mondo
che circonda?
Come dicevo prima, c'è un grado zero che possiamo
considerare della coscienza: è quando comincia questo avvertire che qualche
cosa sta accadendo. La nostra mente, se vogliamo semplificare, è un
dispositivo che elabora informazioni. Questa consapevolezza che qualche cosa
sta accadendo, se la tua domanda si riferisce alla scala evolutiva, cioè è
una domanda naturalistica, diciamo, che ha un fondo naturalistico, ecco,
vediamo che, nella scala zoologica, già molto in basso c'è questa
possibilità per gli animali di reagire a degli stimoli, di organizzare in
qualche modo l'esperienza, quando comincia la libertà, in qualche modo,
nelle risposte. Ci sono comportamenti animali, che sono rigidamente
determinati. Sono quelli che chiamiamo gli istinti. Con il progresso
evolutivo vediamo che aumentano gli spazi di una decisione. Ecco, e lì
appunto, aumentando gli spazi di una decisione, l'organismo diventa più
libero di fronte, di fronte alle dimensioni dell'ambiente, e come tale
aumenta anche le probabilità della sua sopravvivenza, della sua possibilità
di soddisfare i suoi bisogni.
STUDENTESSA: Se la coscienza poi subentra quindi
con la scelta, quando si arriva poi alla piena consapevolezza della
coscienza, dentro di noi? Se il primo grado parte dalla scelta, e quindi da
una libertà, poi come facciamo noi ad arrivare al più alto grado di questa
coscienza?
Come cercavo di dire prima, la coscienza è un fenomeno
che è autoriflessivo, quindi funziona appunto secondo i meccanismi di
feedback, è autoconsapevole, perché noi siamo coscienti di essere
coscienti, quindi tra tutti i meccanismi che funzionano secondo questo
feedback c'è questa particolarità della coscienza di essere
autoconsapevole. Ed è, se posso usare ancora un'altra parola,
autopoietica, cioè si autonutre, si autocostruisce. E quindi, a seconda
di questi stimoli, di queste informazioni che noi forniamo, forniamo alla
coscienza, la coscienza si sviluppa e progredisce. Come si realizza la
nostra evoluzione culturale, la comprensione della realtà e del mondo?
Attraverso la costruzione di significati che siano sempre più ampi e sempre
più ricchi. Noi comprendiamo più cose. Cosa vuol dire comprendere? Ecco,
unificarle, stabilire dei nessi significativi. E questo è il modo in cui la
coscienza progredisce.
STUDENTESSA: Quindi è comunque un cammino che
l'uomo compie da solo, spontaneamente?
Certamente è un cammino. Infatti si parla di vie, di
perfezionamenti, di itinerari spirituali, culturali, eccetera. La vita - e
la vita della mente - è certamente un viaggio, un itinerario. Ecco, che sia
però spontaneo e autonomo, ecco, questo potrebbe essere un errore, che ci
potrebbe riportare a una concezione di un io isolato. Ecco questa è una
illusione dalla quale ci dobbiamo difendere, dalla quale ci dobbiamo
distaccare, cioè l'illusione di un io autosufficiente, un io isolato dagli
altri fenomeni della realtà e dagli altri esseri umani, perché, come
accennavo, noi abbiamo, a cominciare dal nostro corpo, il nostro linguaggio,
le nostre emozioni sono condizionati, non determinati, ma condizionati
culturalmente. Quindi la crescita della nostra mente avviene in queste
interazioni.
STUDENTE: Buongiorno professore. Abbiamo trovato
degli spunti di riflessione su Internet, che volevamo mostrarLe. Questa è la
pagina dell'Istituto James, di cui Lei è il Direttore scientifico. E in una
Sua breve biografia, che è presente qua, parla del Suo impegno
nell'Università della Pace. Ci può spiegare cos'è, cosa non è, in cosa
consiste questa università per la pace?
Io ho coordinato un gruppo di docenti e di studenti della
Università di Roma appunto sulla tematica della pace, questo intendendo
appunto, con questa denominazione, di studiare come sia possibile costruire
una cultura della pace, perché la pace, lo dice anche la premessa della
carta dell'UNESCO: "La guerra nasce dalla nostra mente e nella mente si può
realizzare la pace", - allora dobbiamo costruire un cultura della pace. Così
come oggi l'idea di schiavitù, ad esempio, è improponibile, non c'è più una
difesa culturale, come c'è stato purtroppo, nei secoli passati, della
schiavitù dell'uomo sull'uomo, oggi ci dobbiamo sforzare di capire che anche
la guerra, come maniera di risolvere i problemi - questa maniera appunto
conflittuale e antagonistica - sia improponibile. Questa è la costruzione di
una cultura di pace, a livello individuale, a livello di gruppi, a livelli
delle nazioni. Ci possono essere guerre a molti livelli. Ecco, riflettiamo
su questo.
STUDENTE: Grazie. Sempre parlando di coscienza,
si trova molto spesso su Internet la coscienza di Krisna. In cosa
consiste?
Quello si riferisce a una corrente del'induismo - Krisna
è appunto - questa denominazione che assume, una delle denominazioni che
assume -, Dio, l'Assoluto nell'induismo -, e quindi una vita che sia
coscienza consapevolezza di Krisna è appunto la formula che adopera
il movimento degli areKrisna.
STUDENTE: L'ultimo documento che abbiamo trovato
è sull'alterazione di coscienza. Ci parla di un metodo occidentale, ottenuto
per lo più con sostanze chimiche, e di un metodo orientale, di un trance
ipnotico. Ci vuole spiegare le differenze tra questi due sistemi?
Sì, certo. Come accennavo prima, noi parliamo di stati di
coscienza, cercando di individuare nel flusso della coscienza dei momenti
che possiamo osservare e studiare. Questo si differenzia, - questo studio
degli stati, come differenze qualitative tra vari momenti della nostra
coscienza -, si differenzia da un altro studio, che è più quantitativo, che
cioè cerca di mettere in serie quantitativa i fenomeni che vanno dal coma, a
livello zero di coscienza, fino alla veglia eccitata, passando per il sonno,
il sogno, l'attenzione, eccetera. Quando parliamo di stati di coscienza,
vogliamo accennare a queste, a queste diverse qualità della mente. Queste
qualità possono essere, accanto alla coscienza ordinaria - lo stato di
coscienza in cui siamo tutti noi, in questo momento - delle qualità
negative, patologiche - pensiamo al delitto come forma tipica di alterazione
patologica della coscienza - accanto invece a stati supernormali, a stati
ottimali della mente. Quello che proviamo di fronte alla natura, di fronte a
un'opera d'arte, quando abbiamo un'esperienza estetica intensa, l'estasi
mistica, eccetera. Cioè sono stati diversi, ma non negativi, non patologici.
Allora, per realizzare questi stati diversi della mente, ci sono varie
tecnologie. Quelle più tipicamente occidentali sono state appunto l'ipnosi,
il training autogeno, eccetera. Dall'altra parte, in Oriente, vediamo lo
sviluppo delle tecniche di meditazione, di concentrazione. Per quello che si
riferisce alle sostanze, all'assunzione di sostanze che abbiano un effetto
sulla coscienza, di modificazione, di alterazione, questo naturalmente è una
via di azione, attraverso l'hardware, attraverso il sistema nervoso, non
direttamente sulla mente. Una tecnica meditativa è una tecnica che la mente
adopera per modificare la mente. Nell'altro caso è una somministrazione
dall'esterno, dal classico bicchiere di vino in poi, ecco, abbiamo...
Infatti, non a caso che si chiama extasi una sostanza molto diffusa
oggi. Qual'è, che cosa, qual'è la differenza diciamo, tra questi. E' che
questo lavoro sull'hardware, sul sistema nervoso, può essere efficace,
certamente. Ci sono una quantità di sostanze, che modificano sia in senso
quantitativo che qualitativo la nostra mente e la nostra coscienza. Però, a
prescindere dal fatto che possono essere dannose chimicamente
sull'organismo, come sostanze tossiche, poi non lasciano però un contenuto
cognitivo di trasformazione della mente. Possono darci una ebbrezza
momentanea, una sensazione di leggerezza, di onnipotenza, anche di empatia o
di facile comunicazione con gli altri. Ma poi come si torna a vivere? Cioè
sono più vie di fuga che modalità di vita, proprio perché mancano di questi
contenuti cognitivi. Ecco, questo, è qualche cosa di molto importante, dico,
accanto al fatto poi che possano esser più o meno tossiche come sostanze,
dal punto di vista biochimico.
STUDENTESSA: Professore, senta: qual è il ruolo
della coscienza nella religione, nella filosofia e quindi nella cultura
orientale e quale in quella occidentale? E soprattutto questa coscienza
incide maggiormente nel mondo orientale o in quello occidentale?
Ma non credo che sia del tutto corretto dire "la
coscienza incide". La coscienza è una modalità secondo la quale si realizza
e vive la nostra mente umana. Quindi è qualche cosa che ovviamente è
presente in Oriente e in Occidente. Se vogliamo invece dire come noi appunto
nutriamo la nostra mente, allora, questo, vediamo che ci sono delle diverse
modalità. L'Occidente è piuttosto, è stato piuttosto distratto verso la
nostra mente, cioè ha cercato di potenziare prevalentemente gli aspetti
della mente che sono finalizzati a una prestazione, una prestazione
lavorativa, una prestazione nell'ambito pedagogico, formativo, eccetera,
lasciando un po' in disparte questi stati diversi della mente. Siamo
abbastanza rozzi nell'uso della nostra mente. Ecco, negli anni più recenti
questa situazione sta cambiando, per molti aspetti che derivano dalle
scienze psicologiche, neurologiche, ma anche da movimenti, cambiamenti
culturali. Si parla di una coscienza ecologica oggi, si parla di nuovi
soggetti: i giovani, le donne, eccetera. Tutto questo ha portato a
un'attenzione maggiore anche, appunto nella nostra cultura occidentale, alla
tematica della coscienza, che era stata un po' abbandonata e rimossa,
perfino nella psicologia, il che è paradossale. E quindi ecco queste
psicologie che cercano anche di incorporare, di farsi mediatrici anche di
quelli che sono gli insegnamenti delle filosofie, delle religioni sia
orientali che occidentali.
STUDENTESSA: Mi scusi professore, nel filmato di
prima abbiamo visto che si accusava l'uomo di avere il cuore troppo pieno di
se stesso. Ma non è necessario, per poter avere una consapevolezza di sé, un
periodo della vita in cui si pensi molto a se stessi e poi, solamente dopo
aver raggiunto questa consapevolezza di se stessi, poter rapportarsi con il
mondo?
In realtà la nostra personalità, il nostro io si può
costruire in molti modi. Possiamo sviluppare una individualità più
competitiva, antagonistica, in cui la soddisfazione dei miei bisogni è vista
in contrapposizione ai bisogni dell'altro. Invece un visione più allargata
della nostra vita, della nostra coscienza dovrebbe portarci a vedere i
bisogni degli altri importanti come i nostri e quindi costruire un io e una
personalità più relazionale, più sociale, più cooperativa, ecco.
STUDENTESSA: Ma se non conosciamo i nostri
bisogni? Cioè, io dico: forse c'è bisogno prima di fare una ricerca
all'interno per poi poter rapportarsi con il mondo.
Ma non necessariamente questi sono processi in
opposizione. Noi conosciamo i nostri bisogni, soprattutto conoscendo gli
altri. L'io si costituisce attraverso la relazione col tu, non si sviluppa
da solo, sarebbe un io schizofrenico, un io patologico, quello che si
sviluppasse in mancanza di relazioni. Sono proprio le relazioni che
costruiscono la nostra personalità, la nostra mente. E quindi ecco che
allora ci sono diverse modalità poi di realizzare la nostra personalità, in
modo più egoistico, egocentrico, e più, non dico altruistico,
necessariamente altruistico, ma più cooperativo in cui le esigenze nostre,
del nostro io, non vengano dopo, ma insieme, a quelle degli altri. Questo
può essere una più corretta pedagogia, una più corretta educazione nella
costruzione del nostro io e della nostra mente. Conoscere i nostri bisogni,
ma insieme ai bisogni degli altri, perché, se no, come li conosciamo questi
nostri bisogni.
STUDENTESSA: Professore tornando al discorso di
coscienza in Oriente e Occidente. Possiamo, in conclusione, affermare che
quindi l'uomo orientale si occupi maggiormente della coscienza rispetto
all'occidentale, e che si lasci da quest'ultima guidare maggiormente?
Tradizionalmente è stato così, ma oggi vediamo che siamo
in un momento storico in cui tutte le dicotomie si affievoliscono. Allora
l'Oriente e l'Occidente, il locale e il globale, eccetera, tendono a venire
meno e a integrarsi. Ecco, un modo positivo di questa integrazione sarà
proprio quella di utilizzare tutti gli insegnamenti che sono venuti
dall'Occidente e anche dall'Oriente in maniera non contrapposta, ma cercando
di arrivare a una sintesi.
STUDENTESSA: Questa nuova situazione, che quindi
va quasi a smentire la tradizione, a cosa è dovuta?
Questo significa poter rispondere a quelle che sono le
ragioni del grande cambiamento globale a cui assistiamo. Ci sono, c'è una
molteplicità di fattori, certamente, che influiscono su questo. Sono caduti
i muri che dividevano le culture, gli stati, eccetera, sono molto più
frequenti gli scambi culturali - appunto dicevo il lontano e il vicino -,
ecco, voi siete lì, davanti al computer, ci possiamo collegare, in tempo
reale, con tutte le parti del mondo, la divisione maschile-femminile: sono
tutti grandi fenomeni che stanno oggi condizionando questa età, che
chiamiamo post-moderna, perché viene appunto dopo i grandi racconti
unificanti della modernità, il racconto dell'utopia politica e il racconto
di una scienza che assicurasse all'umanità un futuro felice. Abbiamo visto
che l'utopia politica ha portato ai totalitarismi, alle violenze
all'infelicità e la scienza non è priva anch'essa di pericoli, di
inquinamenti, di potenziale distruzione della nostra vita, del pianeta, se
non viene anch'essa collocata in una visione più armonica della realtà.
Questi sono i motivi oggi che portano a questi cambiamenti e certamente il
cambiamento importante, fondamentale, mi pare che oggi risieda proprio nella
comunicazione, nell'informazione, in questa rivoluzione, che sta cambiando,
non solo il nostro modo di interagire culturale, ma proprio tutta la nostra
vita.
Da:
http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=206
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