"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Nel secolo XVI, all'inizio
appunto dell'epoca moderna in Europa, la pretesa universalistica del
cattolicesimo di costituire l'unica via spirituale fu contraddetta, con forza e
novità inaudite, dalle divisioni interne del cristianità, e dal contatto di
questa con altre e diverse culture. A questa contraddizione furono prospettate
soluzioni assai diverse.
Tra le due proposte estreme e opposte - da un lato la riproposizione più o meno
aggressiva dell'ortodossia, attraverso le missioni, interne ed esterne alla
cristianità, e dall'altro il relativismo culturale - furono date risposte che
consideravano la tradizione cristiana criticamente, senza respingerla ma
cercando di introdurvi una consapevolezza e un riconoscimento della pluralità
delle vie spirituali. Queste risposte, nella loro diversità, hanno in comune un
tratto di "universalismo pluralistico"che va distinto da quell'universalismo
che si potrebbe dire "monistico" in quanto propone una sola via come
universalmente valida (per questo si è parlato di "due tipi di
universalismo").1 Il mio tema
sarà precisamente di questo "universalismo come pluralità delle vie"
nella cultura europea moderna. Ne tratterò anzitutto in termini analitici,
evocando alcune fonti e richiamando alcuni recenti importanti suggerimenti nella
direzione, appunto, di un "universalismo pluralistico". Illustrerò
poi la mia personale proposta di un modello di "via spirituale". In
conclusione farò qualche riferimento al modello di Pico della Mirandola,
all'inizio della moderna ricerca, in Occidente, di un universalismo filosofico
pluralistico.
I
1. Comincerò richiamando
qualche momento importante nella storia dell'universalismo
"pluralistico".
Ciò che segue è una specie di inventario, non esauriente e molto personale,
riflettendo un insieme di "autorità" cui ho dedicato durante l'ultimo
decennio molti lavori, cui mi sia permesso di rinviare.2
In primo luogo, l'umanesimo religioso del XV e dell'inizio del XVI secolo,
quando, volgendosi indietro al neoplatonismo (Nicola Cusano), e sulla base delle
fonti greche, arabe ed ebraiche, recentemente riscoperte, Marsilio Ficino e (più
completamente) Pico della Mirandola si diressero verso una "docta religio"
e una" pia philosophia"che contenevano l'idea di una pluralità di vie
religiose.
In secondo luogo, il cristianesimo radicale e mistico tra il XVII e il XVIII
secolo. Penso specialmente al movimento quacchero, iniziato intorno al 1650. Le
origini quacchere risalgono al puritanesimo, ma le idee del "qualcosa di
Dio in ogni uomo", della "luce interiore", del "culto in
spirito e verità", contenevano un universalismo potenziale che trovò
espressione, ad esempio, nelle parole di William Penn: "Le anime umili,
miti, compassionevoli, giuste, pie e devote appartengono dappertutto a una sola
religione; e quando la morte avrà levato loro la livrea essi si riconosceranno,
benché il diverso abbigliamento che essi indossavano quaggiù li rendesse
stranieri" (Some Fruits of Solitude, 1693, n. 519. (ma lo sguardo si
potrebbe allargare a quel complesso di autori che stanno tra Riforma
"spirituale" e il "cristianesimo senza chiesa".3 Terzo, non va dimenticata la presenza, almeno a partire dalla metà del XVII
secolo, di movimenti esoterici come la massoneria, che si presentano come
portatori dell'unica grande tradizione universale, soggiacente alla varietà
delle culture, ma riconoscibile solo dagli iniziati. René Guénon (con la sua
variopinta posterità) va collocato su questo sfondo. Di questa prospettiva
possono non piacere molte cose: ma neanche l'ironia, come quella di Umberto Eco
ne Il pendolo di Foucault (di cui vedi specialmente il § 75) a proposito della
"semiosi ermetica", dà conto a sufficienza di una posizione che,
comunque, teorizza precisamente la pluralità delle vie spirituali e la loro
unità metafisica (si veda per esempio,di Guénon, Scritti sull'esoterismo
islamico).
Quarto, il liberalismo teologico, soprattutto nella sua tendenza
storico-ermeneutica, che ebbe in F. Schleiermacher e A. von Humboldt i suoi più
eminenti rappresentanti, non a caso nell'ambiente dell'Accademia prussiana
fondata da Leibniz nel 1700 (La Storia dell'Accademia di Prussia di Harnack è
affascinante, vedi il mio Dietrich Bonhoeffer e la ´Geschichte der Preussischen
Akademie',1966). Penso specialmente al conflitto che divise Hegel e von Humboldt
a proposito dello status dei classici filosofici indiani. Hegel e il suo
"universalismo particolaristico" prevalsero da quel momento in poi
nella cultura europea. L'Assolutezza del cristianesimo di Troeltsch (1902) può
anche essere letto in questa prospettiva.
Quinto, il trascendentalismo americano. Nel Divinity School Address, il discorso
di Emerson alla Divinity School di Harvard (1838) - il suo addio alla teologia!
- la rivelazione ebraico-cristiana è solo un esempio di una più ampia e
continua rivelazione, che ha precedenti in Oriente: "Questo pensiero dimorò
sempre nel più profondo delle menti degli uomini nel devoto e contemplativo
Oriente; non solo in Palestina, dove esso ha raggiunto la sua più pura
espressione, ma in Egitto, in Persia, in India, in Cina. L'Europa è sempre
debitrice al genio orientale del suo divino impulso". In modo simile il suo
discepolo Thoreau, nel capitolo "Lettura" in Walden (1854), parla
della "saggezza dell'umanità di cui conserviamo memoria, i classici
antichi e le Bibbie', "le sacre Scritture, o Bibbie dell'umanità"
Nessun singolo testo è sacro: tutti i popoli e tutte le tradizioni ne hanno, e
tutti sono ammessi in una specie di canone.
Sesto, il cristianesimo ampliato e radicale di Tolstoj Questo cristianesimo era
fondato sull'idea di razumenie, come comprensione universale, o saggezza. Le
verità fondamentali, necessarie alla vita dell'umanità, non possono differire
radicalmente da un paese (o cultura, o epoca) all'altro. Questa saggezza, in un
mondo secolarizzato e multi-culturale, deve essere cercata soltanto in una
varietà di fonti, che noi dobbiamo leggere con la certezza del loro
fondamentale convergere.
Settimo, l'ultimo libro di Freud, Mosé e il monoteismo, in cui vediamo un
interessante tentativo di ricollegare il giudaismo all'antica civiltà egizia
attraverso il suo antico capo, Mosè l'Egiziano, maestro di una universale
"verità e giustizia' (cfr. il mio "E' una storia vera? 1997, da
riprendere dopo Assmann, Moses the Egyptian, 1997);
Ottavo luogo, Simone Weil. Nei suoi Quaderni scrive: "Ogni religione è
l'unica vera, vale a dire che nel momento in cui la si pensa è necessario
applicarle così tanta attenzione, come se non vi fosse nient'altro; allo stesso
modo ogni paesaggio, ogni quadro, ogni poesia, ecc. è l'unico bello. La sintesi
delle religioni implica una qualità di attenzione inferiore" (Quaderni III,
153.).
Nono, Albert Schweitzer e la sua teoria della cultura. Schweitzer veniva da una
potente, e storicamente decisiva, interpretazione delle origini cristiane e
aveva scoperto in Africa l'idea chiave, per l'etica, del "rispetto per la
vita'; finalmente arrivò alla sua filosofia della cultura, nella quale il
contributo occidentale e quello orientale (monismo mistico e dualismo etico)
venivano combinati, senza negare la specificità del contributo cristiano
all'etica (specialmente nel suo saggio sul misticismo di Paolo ( di lui si veda
la recente riedizione di I grandi pensatori dell'India, con il saggio di S.
Marchignoli);
Decimo, la ricerca di un fondamento comune, etico e giuridico, che ha avuto la
sua espressione nella Dichiarazione dei diritti umani. Collocherei in questo
contesto anche la ricerca di una "etica mondiale', promossa in anni recenti
da H. Küng (la "Dichiarazione per un ethos mondiale", espressa dal
"Parlamento delle religioni" a Chicago nel settembre del 1993).4
3. Come inciso, aggiungerò qualche suggerimento raccolto dalla ricerca più
recente.
a) C. Ginzburg, di fonte alle costanti morfologiche con cui tratta lo storico,
ammette non solo casi di omologia che possono essere spiegati per le loro
origini in una genesi comune, ma anche l'esistenza di analogie le quali, dove
questa origine comune non può essere ritrovata, sono spiegabili - è il suo
suggerimento - con un simbolismo corporeo di fondo; tornando così al tema
della"natura umana"(Ginzburg, Storia notturna, 1989, XXXVII).5
b) Con qualche esitazione, per una certa mancanza di conoscenze specifiche,
ricorderei qualche suggerimento proveniente dalla psicolinguistica; la quale
sembra permettere che si parli di "istinto linguistico"(S. Pinker) e
di"universali umani"(D. E. Brown), con la conseguenza di dissolvere il
dogma dell'unità inscindibile tra pensiero e linguaggio.6
c) Da un punto di vista completamente diverso, richiamerei la ricerca di
Toshihiko Izutsu nella direzione di una base filosofica comune tra sufismo,
taoismo e buddhismo zen, con risultati che mi sembrano veramente notevoli. Ci
troviamo ora al di là dei confini europei, ma sullo sfondo sentiamo l'influsso
di Henry Corbin, con il suo invito a un"dialogo meta-storico" e a
una"philosophia perennis"(per la quale si vedano anche A. K.
Coomaraswamy e A. Huxley). Molto più lontano, sentiamo la presenza di Heidegger
e Jung (Eranos). Ma i risultati di Izutsu mi sembrano eccezionali per la
conoscenza delle fonti e la consapevolezza metodologica (si guardi ad esempio la
sua esposizione della categoria dell'esistenza nelle questioni di metodo del suo
Sufism and Taoism, 1984, 469-73).
d) Sono sono da dimenticare i contributi provenienti dal più prudente e
accademico della filosofia religiosa comparatistica; penso specialmente agli
studiosi che collaborano a "Philosophy East and West".7
e) L'ultimo incontro che ricordo è quello con Tomonobu Imamichi, rappresentante
di una visione umanistica nella quale differenti intuizioni s'incontrano
creativamente: taoismo, buddhismo zen, orientamenti filosofici propriamente
giapponesi, e forse Heidegger, e la tradizione filosofica cristiana.
3. Chiudendo l'inciso, vorrei tornare alle fonti che ho richiamato sopra (n.1),
con alcune osservazioni generali.
a) La possibilità di un contatto con, o di una interferenza tra tendenze simili
va pure considerata. Per esempio, il ruolo della massoneria nelle varie tendenze
universalistiche deve essere ulteriormente esaminato.
b) Stiamo parlando della ricerca universalistica nell'Europa moderna, ma essa
non sarebbe stata possibile senza premesse antiche. Soprattutto il neoplatonismo
(ma anche lo stoicismo, nella misura in cui questo interessa l'etica) ebbe una
funzione particolare, nell' emergere di un universalismo pluralistico. Pico
della Mirandola non esisterebbe senza Proclo e l'ultima resistenza religiosa del
mondo ellenistico e romano all'universalismo "monistico"del
cristianesimo.
c) Confrontare le varie posizioni universalistiche con i contesti politici
corrispondenti, e stabilire una stretta connessione tra questi due livelli in
termini di "teologia politica', rappresenta un compito interessante ma
problematico. Questa connessione, probabilmente, non può nemmeno essere
stabilita per l'universalismo del primo tipo (´particolaristico'), e rimane
difficile pensare in termini, ad esempio, di "imperialismo"per gli
esempi che ho dato sopra. Tuttavia rimane vero che né il buddhista Açoka, né
Ibn 'Arabi, né Proclo - per fare degli esempi - sarebbero pensabili senza un
ambiente politico unificato e pluralistico (e lo stesso si può dire per gli
autori moderni, francesi, inglesi o russi che ho evocato).
d) Abbiamo parlato di un'opposizione tra due specie di universalismo, piuttosto
che tra particolarismo e universalismo. La differenza sta infatti in due diverse
modalità di universalizzazione del particolare (la propria cultura): nel
sollevare il particolare a livello di assoluto, oppure invece nel considerare il
particolare come parte di un tutto, o come qualcosa di analogo ad altre
corrispondenti unità che appartengono alla totalità. Diverse posizioni che ho
richiamato sopra possono effettivamente ricevere una migliore definizione se le
intendiamo come "particolarismi critici", perché esse partono dalla
consapevolezza che la presenza della cultura altrui scuote la certezza riguardo
al carattere assoluto della propria. Un efficace documento di questo tipo è,
per esempio, la Lettera a un religioso di Simone Weil.
La stessa proposta di modello universalistico pluralistico che mi accingo ora a
presentare nasce precisamente dalla pratica con fonti antiche non europee.
all'interno dell'orizzonte particolare ellenistico-cristiano, per me ineludibile.8
4. Prima, sia consentito tuttavia di ricordare il primo passo per me costituito
da Per un consenso etico tra culture (1991, 19942). Il libro muoveva
dalla premessa"che particolarità e universalità non sono in
contrasto" e che quindi "la lettura secolare e critica delle proprie
fonti, unita alla crescente consapevolezza di altre culture, dovrebbe suggerire
che una tendenziale, inespressa, mai pienamente esprimibile universalità tra
culture si dà" (p. 9). Il problema centrale del libro era quindi
costituito, come dice il titolo stesso, dalla possibilità di costruire un
convergenza su alcune proposizioni etiche senza venir meno alla lealtà alla
tradizione biblica. La soluzione prospettata si articolava in alcune tesi,
accentrate sull'idea di sapienza come categoria al tempo stesso intrabiblica e
interculturale.
La prima concerneva il rapporto particolarità-universalità e affermava la
possibilità di procedere all'interno dell'orizzonte biblico in una direzione
universalistica, senza contravvenire alla lealtà alla propria tradizione. La
seconda tesi proponeva un'idea di saggezza che è tratta dalla Bibbia, ma trova
corrispondenze ovunque, in varie tradizioni: "La tradizione classica
(specie l'insegnamento socratico), la tradizione biblica, tradizioni orientali e
autori moderni, tutti distinguono tra una conoscenza divisa e astratta, e una
saggezza che tenta di afferrare il rapporto tra parte e tutto, tra pensare e
agire, e ritiene che la seconda è la sola forma di sapienza degna di essere
perseguita" . La terza tesi suggeriva, in una prospettiva psicoanalitica,
che"la relazione tra la madre e il bambino rappresenta il modello che
illumina la situazione sapienziale". Si prestava inoltre un'attenzione
speciale alla cosiddetta regola d'oro, "fa agli altri ciò che tu vorresti
fosse fatto a te"(Matteo 7, 12), come criterio della giustizia, sintesi
della saggezza biblica e nucleo permanente di sapienza inter-culturale.
II
5. Quel primo contributo
accentuava dunque soprattutto il momento attivo, etico, a partire da una lettura
della Bibbia orientata verso la sapienza pratica, come base del consenso etico
(La sapienza in Israele di G. von Rad era una lettura assai importante). Un
ulteriore passo ha portato alla elaborazione di un modello di "via
spirituale": un modello interculturale atto ad includere il punto di vista
biblico-profetico, ma ad espandersi ulteriormente.
Un aiuto decisivo a varcare appunto e a ricomprendere l'orizzonte biblico è
venuto dalla consuetudine (soprattutto didattica, mediante il volume, Per un
percorso etico tra culture, con S. Marchignoli, 1996) con la Bhagavadgîtå,
testo chiave della prospettiva induista.9
Questo tradizione, com'è ben noto, teorizza la distinzione fra tre discipline,
contemplazione (jñanayoga), azione (karmayoga) e devozione (bhaktiyoga). Se
intendiamo la terza disciplina, bhaktiyoga o devozione, più che come una terza
via, come un possibile, ma non necessario complemento delle altre due, otteniamo
due discipline in due possibili forme: con o senza bhakti, con o senza culto
personale o fede in un Dio personale. Se ne ottiene uno schema quadripartito,
fig.1
1.con bhakti
2. senza bhakti
A. jñanayoga
A 1
A 2
B. karmayoga
B 1
B 2
Lo schema può essere generalizzato nel seguente modello,
fig.2
1. con rappresentazioni
religiose
2. senza rappresentazioni
religiose
A. contemplazione
A 1
A 2
B. azione
B 1
B 2
che non solo può utilmente
essere usato per descrivere anche tradizioni diverse da quella indiana, ma - è
la nostra proposta - può essere servire ad spiegare ciò che qui si intende per
"via spirituale". Alcune spiegazioni sono necessarie.
Primo, a proposito di questi stessi due termini, "via spirituale".
"Spirituale" è più ampio di "religioso", ed è stato usato
per includere anche quegli orientamenti etici e contemplativi che non implicano
una fede in una divinità personale, o altre rappresentazioni religiose, e che
nondimeno si presentano come una"via", un percorso che, nella varietà
delle tradizioni e della esperienze personali, costituisce comunque una risposta
concreta alla comanda circa il compito spettante ad ogni umano.
Secondo. "Rappresentazione religiosa"10
si riferisce a tutto quello che può "stare per" la divinità, intesa
come potenza distinta essenzialmente dal mondo, ma non separata da questo quanto
a realtà ultima.11 Tra queste
rappresentazioni è di massimo rilievo la configurazione della divinità come
persona, destinataria di preghiera, di culto, di bhakti. La coppia
"con/senza rappresentazione religiosa" dovrebbe essere confrontata e
integrata con altre possibilità, da discutere attentamente: mythos/logos
(E. Cassirer); carismatico/razionale (M. Weber); particolaristico/
universalistico (o, meglio, i due tipi di universalismo già ricordati).
Inoltre: metafora/metonimia oppure paradigma/ sintagma (in riferimento alla
semiotica, specialmente a Ju. Lotman);12
o anche, nel linguaggio di Ibn 'Arabi, khayl /'aql (immaginazione/ragione),
in Averroè shari'a / hikma (legge/saggezza).13
Terzo, la distinzione fra le due discipline, contemplazione e azione può essere
bene descritta (come per esempio da A. Schweitzer, ma con una terminologia ben a
lui precedente) come la distinzione tra l'atteggiamento "monistico"
(volto a contemplare -teologicamente o filosoficamente - la realtà come
necessaria, senza divaricazione tra essere e dover essere), e il secondo
come"dualistico" (l'atteggiamento di chi, assumendo la divaricazione
tra essere e dover essere - il male! - si assume anche il compito di superarla
nella prassi,sia essa motivata religiosamente, sia essa un'etica laica).
Quarto, occorre insistere sulla circolarità tra azione e contemplazione (agisco
perché conosco, ma non posso conoscere senza cambiare me stesso: cfr.Per un
consenso etico, V)14 e sulla
contiguità tra modalità conoscitiva rappresentativa e modalità concettuale,
come due linguaggi necessari e reversibili.
Quinto, dal punto di vista descrittivo la differenza fra le
"vie"storicamente date starebbe nell'accentuazione, piuttosto che
nella presenza o assenza, dell'uno o dell'altro aspetto. Così l'induismo e il
buddhismo (quest'ultimo, con suo punto di origine, fig. 2, in A2) coprirebbero
attualmente le quattro possibilità; il confucianesimo insieme col taoismo
sarebbero collocati rispettivamente nei settori B2 e A2. I monoteismi biblico e
coranico (e prima ancora forse il mazdeismo15)
nascerebbero come disciplina dell'azione con rappresentazioni religiose sebbene
contengano elementi atti ad espandersi in altri settori (ad es. il sufismo
spazia tra A1 e A2; la sapienza biblica, nell'ipotesi illustrata da Per un
consenso etico, spazia tra B1 e B2). L'utilità di questo schema si mostrerebbe
precisamente in una migliore comprensione delle possibilità e dei limiti del
profetismo(cfr.Bori, Monoteismo ed ermeneutica, 1998).
Sesto. Il percorso, la "via" appunto, di là della circolarità delle
forme e delle discipline (attraversando e lasciandosi alle spalle il
"quadrato" della fig. 2: ci si può figurare una freccia) avrebbe come
meta ultima la scoperta conclusiva dell'identità esistenziale, ovvero
della"unità della realtà"(wahdat al-wujûd, Ibn 'Arabi, che corregge
la pericolosa formula di al-Hallaj, ana-l-haqq "io sono la Realtà),16
wu-ming (senza-nome, negli scritti taoisti), samadhi induistica o çûnyatå
(vacuità) buddhistica. Si può anche ricordare, nell'ambito della tradizione
cristiana, J. Boehme, o George Fox ("arrivare a conoscere l'unità nascosta
nell'Essere eterno"Journal, p.28).17
Questo scopo tuttavia non sarebbe di là dal mondo (sarebbe tale solo nelle
rappresentazioni, ormai lasciate alle spalle) e consterebbe invece in un modo
essenzialmente diverso di essere al mondo (Izutsu).
Settimo, in risposta ad alcune obiezioni. Questo modello non è contenutistico,
ma trascendentale basandosi soltanto su necessarie alternative antropologiche
(azione/contemplazione, con o senza rappresentazioni), senza pretesa di
spiegarne il fondamento (monismo e dualismo, necessità e libertà sono entrambi
postulati, come anche diverse modalità della loro rappresentazione). Per questo
motivo una possibile obiezione di sincretismo deve essere respinta: le vie
spirituali possono essere confrontate in quanto struttura, e non in quanto
contenuto. Inoltre questo modello, proprio perché teorizza la pluralità delle
vie, non suppone alcuna "dottrina dell'età dell'uomo", alcuna
teologia della storia, o filosofia della storia: l'ebraismo non è
compiuto-superato dal cristianesimo (Paolo, Agostino, Hegel), né questo dall'islâm.
Non suppone neanche come vitalmente necessaria - come per esempio in A.
Schweitzer - una integrazione tra pensiero "orientale" e pensiero
"occidentale", pur avvantaggiandosi dal punto conoscitivo dalla
comparazione tra strutture analoghe.
Ottavo. Qualora, concordando sulla sua correttezza descrittiva, di conseguenza
si accordasse a questo modello anche una certa normatività (consistente più in
una postulazione di compiutezza strutturale di un dato percorso, che in una
indicazione di contenuti universali), esso richiederebbe e valorizzerebbe
l'interazione nella stessa persona delle diverse dimensioni: la disciplina etica
e la concentrazione meditativa, la sensibilità verso il linguaggio simbolico
tradizionale e attenzione razionale della realtà. Lo spazio di
contemplazione-azione senza rappresentazioni religiose sarebbe aperto alla
comunicazione inter-culturale,18
mentre l'altro spazio faciliterebbe la fedeltà alla tradizione di appartenenza:
sia questa la fedeltà ad una vera pratica religiosa sia essa la capacità di
apprezzare laicamente il linguaggio religioso: giacché il modello, a partire
dall'idea di bhakti - fig. 1 - consente di intendere la religione come una
variante possibile, utile, e tuttavia libera, all'interno di una via spirituale,
questa sì necessaria.
Con il riconoscimento della pluralità di vie, in cui ogni via significherebbe e
contiene in qualche modo ogni altra via, si potrebbe realizzare così in un
certo modo l'assioma di S. Weil: "ogni religione è l'unica vera".19
6. Sono consapevole dei limiti di ogni rappresentazione schematica di questa
realtà così ricca, multiforme e mobile, e dei rischi della mia proposta.
Desidero concludere ricordando quanto stimolante fosse leggere l' Orazione sulla
dignità dell'uomo di Pico della Mirandola, e scoprire che egli diceva cose
molto simili a queste se in un modo molto più luminoso e toccante. Secondo Pico,
la dignità dell'uomo - opus indiscretae imaginis, creatura senz'immagine, e per
questo immagine di Dio - consiste nella sua vocazione ad attraversare e
trascendere ogni immagine, percorrendo una "via"in tre stadi: la
trasformazione etica (azione), la ricerca intellettuale (contemplazione), e la
perfezione finale nell'identificazione con la Realtà ultima. Secondo Pico,
questo paradigma è universale, perché può essere trovato in ogni tradizione a
lui nota: cristiana, ebraica, ellenistica, egizia-ermetica, caldaica...20
Probabilmente questa indicazione, che ci giunge dagli esordi della moderna
ricerca europea dell'universalismo, è più nuova e utile delle molte altre che
abbiamo esaminato nella prima parte dell'esposizione - dai mistici del Seicento
alla "Dichiarazione per un ethos mondiale". La maggior parte di quelle
voci insisteva infatti su una comune - importante, tuttora imprescindible- base
etico-sapienziale, coerentemente con l'originario punto di vista ebraico e
cristiano. Ma l'indicazione di Pico, consentirebbe di fare un passo innanzi -
non contro, ma oltre il "consenso etico tra culture": si tratterebbe
di riconoscere il parallelismo non contenutistico ma strutturale dei percorsi
umani, al di là dei loro nomi, e il loro convergere finale. La valorizzazione
di questo suggerimento, nella consapevolezza delle distanze storiche e culturali
da cui ci viene,21 esige ulteriore
ricerca.
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of Egypt in Western Monotheism, Cambridge-London Harvard University Press, 1997;
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cura di M.Campanini, Milano, BUR, 1994;
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dell'Anticristo" di Vl.Solov'ëv: il conflitto tra due uni-versalismi, in
La Madonna di S.Sisto di Raffaello. Saggi sulla cultura russa, Il Mulino,
Bologna 199O, 223-24 (presentato nel convegnoIl battesimo delle terre russe.Bilancio
di un millennio, Venezia-Roma 1988, e contenuto anche nei relativi atti,
Firenze, Olschki, 1991,393-410).
Natura umana e con-passione nel primo articolo della Dichiarazione dei diritti
dell'uomo, in "Democrazia e diritto" 4(1993), 101-115;
Le "Sacre Scritture" o "Bibbie dell'umanità" in Walden di
H. D. Thoreau, in "Il piccolo Hans", 83/84(1994), 257-272;
"La luce che illumina ogni uomo" (Gv 1,9)in George Fox e Robert
Barclay, in "Annali di storia dell'ese-gesi", 11/1(1994), 119-144;
"Ogni religione è l'unica vera". L'universalismo religioso di Simone
Weil, in "Filosofia e teologia" 8(1994), 393-403
-Per un consenso etico tra culture, Genova, Marietti,1995;
-I tre giardini nella scena paradisiaca del De hominis dignitate di Pico della
Mirandola, in "Annali di storia dell'esegesi" 13/2(1996) 551-564;
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NOTE * Traduzione e rielaborazione di un testo
presentato in inglese al convegno "Cultura, religione e il problema
dell'universalismo", a Tokio, presso l'Università Meiji Gakuin, il 6-8
dicembre 1997. Ringrazio gli organzzatori, in particolare il prof. You Shibata,
per averne consentito la pubblicazione in anticipo sugli atti del convegno. Le
note sono successive, e sono intervenuto anche profondamente in alcuni punti del
testo, senza modificarne tuttavia le dimensioni e mantenendone la tonalità e la
struttura.
1 Cfr. Walzer, Two Kinds of Universalism
(1990), e, dello scrivente Una rilettura dei "Tre dialoghi" e del
" Racconto dell'Anticristo" di Vl.Solov'ëv: il conflitto tra due
uni-versalismi, (1990). Lo scritto di M. Walzer oppone l'universalismo
onnicomprensivo della legge, all'universalismo "reiterativo" (a
partire da Amos 9, 7: "Non ho portato,Israele fuori dell'Egitto, e i
Filistei da Kir?"). Nel mio lavoro oppongo due tipi di sapienza, quello
"cristocentrico" di Solov'ev e quello di L. Tolstoj, che è
"senza centro", cioè ritova una sapienza comune fondamentale nelle
tradizioni dei popoli. Nonostante le convergenze i due scritti sono indipendenti
(dubito tuttavia che dai testi di tradizione profetica, addotti da Walzer, si
possano essere letti come propone questo autore, cioè in una direzione
pluralistica, mentre credo che maggiori spazi siano aperti dal punto di vista
sapienziale, come si accennerà più avanti).
2 Indico in bibliografia un complesso di saggi
che sono oggi reperibili anche, in forma ridotta (senza note), in http://www.
spbo.unibo.it/pais/bori/
3 Evocando due classici: Rufus M. Jones,
Spiritual Reformers e L. Kolakowski, Chrétiens sans Église.
4 Pubblicata a suo tempo in Il regno documenti
7, 1994, 251-256.
5 Importanti suggerimenti vengono anche dal
recente Occhiacci di legno (1998), soprattutto dal saggio Stile. Inclusione ed
esclusione. Secondo l'autore si deve ad Agostino di avere usato la distinzione
di origine retorica (Cicerone) tra bellezza in sé e adeguatezza storica del
discorso al fine di comprendere la complessa verità della Bibbia, in cui ogni
parte è "adatta a suo tempo". Rifacendosi a questa tradizione
Baldesar Castiglione avrebbe potuto far dire a un sua personaggio: "Quasi
sempre per diverse vie si po tendere alla summità di ogni eccellenzia"
(138 s.;). Aggiungerei che l'espressione di Castiglione suona come una tardiva
risposta alla famosa contestazione che Simmaco, nel 382, rivolgeva ai cristiani:
"Con una sola via non si può attingere un così grande segreto" (su
questa espressione, cfr. Gnilka, Die vielen Wege und die Eine, 1990 (in termini
di forte ortodossia cattolica, cfr. anche Pesce, Cum diuinitas patiatur diuersas
religiones esse).
6 Interessanti riflessioni suscita anche Anna
Wierzbicka, con il suo Cross-Cultural Pragmatics, che insiste sull'universalità
degli stili comunicativi.
7 A titolo di esempio segnalo il recente
contributo di D. Lawrence, çiva's Self-Recognition and the Problem of
Interpretation, che culmina in un confronto tra Abhinavagupta e le tesi del
teologo B. Lonergan, nel suoInsight.
8 Cfr. come il notevole Nakamura, A
Comparative History of Ideas (1975) assuma come asse centrale di una sintesi
universalistica la storia del pensiero indiano.
9 Come buona introduzione al problema centrale
di questo testo, si può leggere Franci, La crisi morale di Arjuna, 1986.
10 "Rappresentazione" è presa qui
in senso ampio, in modo da includere anche l'ebraismo e l'Islam, benché esse
siano, per se, religioni aniconiche (cioè che proibiscono le immagini). E' il
contenuto (non mondano) che distingue rappresentazione religiosa e
rappresentazione estetica, nonostante i molti punti di contatto tra le due
esperienze (ho naturalmente ben ben presente la quadripartizione crociana, cfr.
per esempio Croce Sulla teoria della distinzione delle quattro categorie
spirituali).
11 Ovvero quanto ad "esistenza". Su
questi termini della filosofia classica - la distinzione reale tra essenza ed
esistenza, il nesso simmetrico potenza-atto, la mia riflessione poggia su E.
Gilson L'être et l'essence.
12 Nello spazio verticale A1 e B1 ( usando la
terminologia di Lotman (Il problema del segno e del sistema segnico) sarebbe
caratterizzato da una organizzazionne paradigmatica del significato (dove una
parte sta per il tutto: il particolare viene universalizzato), mentre nell'altra
colonna A2-B2 l'organizzazzione del significato è sintagmatica (una parte sta
nel tutto).
13 Mentre Ibn 'Arabi sembra privilegiare il
ruolo decisivo dell'"immaginanazione creatrice" (dunque lo spazio
rappresentativo), la posizione di Averroè (ne Il trattato decisivo ) mi sembra
particolarmente interessante, in quanto contiene il riconoscimento che esistono
due linguaggi in cui si dice la stessa cosa: quello religioso (più propriamente
profetico) e quello della filosofico-razionale, e che questi linguaggi
reversibili sonodiversi, e cioè originari, irriducibili, in modo che non sia
lecito e possibile né risolvere completamente un linguaggio nell'altro né
subordinare un linguaggio all'altro (cfr. Bori, "Frare Anselm Turmeda",
1997).
14 Un impressionante quadro emerge da L'uomo
come potenza di J. Evola, dove si intravvedono le conseguenze del rifiuto della
circolarità, in nome di un puro "agire per conoscere" (35).
15 Penso per questo a Gnoli, il maggior
problema cui il duslismo zorostriano e poi manicheo hanna cercato la risposta è
quello della "onnipresenza del male" (In Del bene e del male,p.135).
16 Cfr. Mokdad Mensia, La voie di Hallaj et
la voie d'Ibn' Arabi.
17 Nella tradizione ellenistico-cristiana, la
meta potrebbere essere detta "mistica". Questo termine è però
suscettibile di molte interpretazioni, sia nella direzione religiosa, che in
quella filosofica (vedi per esempio la trattazione di W. James, Le varie forme
dell'esperienza religiosa, XVI e XVII), e richiederebbe perciò una
chiarificazione.
18 Senza la preclusione esoterica posta da Guénon
e dai suoi affini, dove il punto di vista non religioso, chiamato da Guénon
"metafisico", sarebbe, paradossalmente, universale e tuttavia
esoterico, e cioè non comunicabile al di fuori della cerchia degli iniziati
nelle diverse tradizioni.
19 Ciò che, di principio, non richiederebbe
la tutela di una "forza" imperiale (quanto alla Weil più ripugnava).
Inquietante, ma istruttiva e tenere presente in una discussione più ampia è
invece la valorizzazione politica della prospettiva pluralistica guénoniana da
parte di Evola, soprattutto nel saggio del 1931 Universalità imperiale e
particolarismo nazionalistico.
20 Lo schema triadico sarebbe da confrontare
con il modello qui proposto. Per questo schema , che nasce dalla confluenza, già
in Filone di Alessandria, di platonismo e di stoicismo, Pico, oltre che dallo
pseudo-Dionigi, dipende da Origene (Commento al cantico dei cantici, Prologo )
che sostiene la ascendenza salomonica dello schema (Salomone è autoreProverbi,
Ecclesiaste, Cantico: disciplina morale, naturale, contemplativa). Da Salomone,
secondo Origene, sarebbe passato in Grecia. Pico, interessato a mostrarne
l'universalità, significativamente omette la priorità salomonica, e distacca
il secondo stadio dal pessimismo dell'Ecclesiaste, insistendo in modo totalmente
inedito sulla dignità religiosa della vocazione intellettuale. Questa lettura
di Pico, che differisce dalla maggior parte della tradizione interpretativa
(segnata tuttora dalla prospettiva di G. Gentile, cfr. per esempio il suo
Giordano Bruno, 27-30: l'uomo come libertà e potenza pura) sorregge il progetto
di commento collettivo ipertestuale (in corso di completamento) al Discorso di
Pico (v. bibliografia). reperibile in http://www. brown. edu/Departments/
Italian_ Studies/pico/
21 A proposito della distanza, segnalo almeno
due problemi, entrambi in sostanza legati alla matrice platonica. Il primo
concerne l'appartenza dello schema pichiano all'universo dello (pseudo)-Dionigi
(cfr. Rocques, L'univers dyonisien), il che proietterebbe il pensiero di Pico
all'indietro, nel cosmo ordinato del medioevo, piuttosto che nell'indidualismo
moderno. Il secondo riguarda l'ermeneutica delle fonti, soprattuto nelle 900
tesi, a causa del difetto di senso storico e dell'affiorare di approccio
"simbolico" (che Cassirer - Pico sella Mirandola, 1942 - spiega così:
"i Molti non sono più effetto dell'Uno", ma ne sono
"espressioni, immagini, simboli"): il suo universalismo rischia sia il
sincretismo sia la confusione tra prospettiva religiosa e dimensione filosofica
(rispetto a questo esisteva già la chiarificazione averroistica che il
concordismo pichiano trascura).