"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
SOLIDARIETA' Analisi degli
aspetti religiosi e laici.
Relatore:
Prof. Pier Cesare Bori
docente
di Filosofia Morale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di
Bologna
Trascrizione della relazione e note al testo a cura di: Aris Pini, Carla
Pagani.
La mia non è una relazione: è una serie di testi su cui poi voi reagirete, una
serie di testi di diverse culture: della cultura greca antica, del mondo cinese,
indiano induista soprattutto, biblico, islamico, un accenno anche alla cultura
dei Wolof del Senegal.
Questi testi sono presi da un libro intitolato "Per un percorso etico tra
culture-testi antichi di traduzione scritta"1. L'analisi di
questi viene fatta a Scienze Politiche, in un corso di filosofia morale che ho
inventato dove facciamo quello che faremo qui, cioè dare un'idea dei diversi
contesti culturali in cui si va ad operare.
Oggi non si può pensare che la cultura ebraico-cristiana a sfondo ellenistico
sia l'unica cultura. Bisogna fare uno sforzo per capire come funzionano le altre
culture e le altre etiche, in particolare quali sono i concetti fondamentali, in
modo che una qualche sorta di confrontosia possibile. Anche se, dal
momento stesso che si lavora su delle traduzioni queste risultano comunque
filtrate dalla nostra cultura, ma è da queste che bisogna iniziare, per uscire
dalla strettoia del nostro monoculturalismo.
PLATONE
Il primo spunto riguarda una cultura che non è più viva, ma che rimane la
base della nostra cultura. Il primo testo è un passo dello scritto più famoso
di Platone: Repubblica, dove si descrive una situazione in cui noi crediamo di
vedere e in realtà non vediamo. La famosa similitudine della caverna dove
l'uomo è costretto a vedere le ombre proiettate sulla parete, ma, al tempo
stesso, dice Platone, esso ha le potenzialità per poter vedere la luce: l'uomo
deve essere aiutato ad uscire fuori da questa caverna, per conoscere la luce
Vera e camminare verso essa. "E poi? Ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza di laggiù
(dentro la caverna) e di coloro con i quali giaceva legato, non si riterrà
felice del cambiamento e non avrà pietà di loro?"2 Costui "avrà pietà di loro" e scenderà nella caverna per
cercare di aiutare gli altri a vedere la luce, e forse verrà ucciso, perché
chi è rimasto laggiù pensa che quella sia l'unica realtà.
Mi interessano queste parole "sentirà pietà di loro", cioè
l'impulso a ridiscendere nella caverna per aiutare coloro che sono nell'oscurità.
Un discorso politico che a Platone interessa per affermare la necessità di
formare i veri governanti, cioè coloro che saranno capaci di guidare nella
politica la città Greca………
CONFUCIO
Un secondo spunto viene dai Dialoghi Confuciani. Ci spostiamo in un altro
continente: Confucio (551- 479) si può paragonare a Platone perché anche lui
aveva il problema di risollevare, di ricostruire una civiltà, una cultura. Vi
erano delle lotte terribili tra i vari stati feudali nella Cina di quel tempo,
lotte che consumavano e distruggevano il tessuto civile minando le fondamenta
della già allora antica convivenza della comunità cinese. Noi di Confucio
sappiamo soprattutto attraverso i "Dialoghi Confuciani": ci hanno
trasmesso i suoi detti compilati dai discepoli. Voi forse conoscete di più il
Taoismo (Laozi), ma in realtà per capire il Taoismo bisogna conoscere lo sfondo
Confuciano. Il taoismo che predica la naturalezza; il Tao come flusso naturale
delle cose, come legge, in realtà è una polemica contro la cultura Confuciana
uno stile di vita rigoroso, disciplinato che si è visto e odiato nel film
"Lanterne rosse" dove ne vengono rappresentati gli aspetti
violenti, ma che è anche una grande civiltà dovela dimensione della reciprocità
è molto presente.
Vediamo questi detti di Confucio: "Il Maestro disse: "Il gentiluomo estende il suo studio nella
cultura ma si concentra nei riti. Così può non sconfinare". Il
protagonista è il gentiluomo che può essere molto aperto ma che si attiene
invece ai riti, all'etica, all'etichetta. Il Maestro disse: "Essere virtuosi con l'invariabile mezzo, è cosa
eccellente. Da molto tempo è raro nel popolo:"
Zigong disse : "Se vi fosse un uomo che spandesse largamente benefici sul
popolo e fosse capace di elevare le moltitudini, che ne dici : potrebbe essere
considerato Benevolo?". "Altro che benevolenza!- rispose il Maestro-
sommamente sapiente, dovrebbe essere! Gli stessi Yao e Shun non arrivano a
tanto. Il benevolo, volendo per sé la salvezza, rende saldi gli altri;
desiderando per sé la riuscita, fa progredire gli altri. Essere capaci di
valutare in base a ciò che è vicino, può dirsi il metodo della
benevolenza".3 Leggiamo un altro passo: Zigong disse: "Quel che non voglio che gli altri facciano a me, io non
voglio farlo agli altri".
Confucio gli dice:
"Si, ancora non sei arrivato a questo."4 Qui troviamo l'enunciazione della regola d'oro che vuol dire "non fare
agli altri quello che non vorresti fosse fatto a tè fai agli altri quello che
vorresti fosse fatto a tè".
Nel brano più lungo, Confucio nega di volere perseguire la sapienza (sheng, il
grado maggiore di sapienza) che è una grande virtù, ma egli non pretende di
preparare degli "uomini sapienti" (Sheng ren), come dice invece Laozi;
vuole delle persone in grado di usare la benevolenza che vuol dire il senso
dell'esistenza di un altro uomo.
In questo brano lui dice che vuole preparare dei benevoli, e cioè chi vuole per
gli altri ciò che vuole per sé stesso. E' questo il senso della frase:
"… Essere capaci di valutare in base a ciò che è vicino, …"
valutare in base a ciò che è dentro di me, ai miei sentimenti, ai miei
bisogni, a quello che io sentirei essenziale se io fossi in quelle condizioni.
Questo è il metodo della benevolenza, la via della benevolenza: partire da sé
stessi.
C'è da dire anche un'altra cosa il Confucianesimo non pensa a una solidarietà
universale pensa a dei cerchi concentrici, quelli che sono appunto vicini, la
famiglia soprattutto. La pietà figliale è molto importante, non c'è una pietà
universale anche se esistono posizioni che vi si avvicinano. Il Confucianesimo
è la base del tessuto culturale per tutto l'est Asiatico, la Corea, il Vietnam.
MENCIO
Mencio era un confuciano che seguì Confucio e lo difese contro quelli che
sostenevano: "c'è solo l'egoismo", "ciascuno deve pensare a sé
stesso". Contro quelle obiezioni egli disse: "Tutti gli uomini hanno un animo sensibile all'altrui
sofferenza"…..
"La ragione per cui affermo che tutti gli uomini hanno un animo sensibile
all'altrui sofferenza è la seguente: supponi che vi siano delle persone che
all'improvviso vedano un bimbo mentre sta per cadere in un pozzo. Ebbene, tutte
proveranno in cuor loro un senso di apprensione e di sgomento, di partecipazione
e di compassione. Questa reazione non dipende certo dall'esigenza di mantenere
buoni rapporti con i genitori del bambino, né dal desiderio di essere elogiati
da vicini e amici, e neppure perché disturbino le grida del bambino."5 E' un'emozione primaria, non essendoci una motivazione utilitaristica; non
c'è l'obbedienza a un comandamento ad una norma etica. C'è un senso immediato
di "apprensione e sgomento, di partecipazione e di compassione"
rappresentati da quattro ideogrammi, quattro tratti che danno l'idea del cuore
con le sue arterie.
Non è solamente questa emozione primaria a cui Mencio da quattro nomi, ma che
in fondo si tratta di compassione6e se coltivata può essere la base
di un etica completa, l'etica delle quattro virtù fondamentali confuciane. "Da tutto questo si può arguire che non sono uomini quanti sono privi
di un animo sensibile ai sentimenti della partecipazione e della compassione,
della vergogna e dell'indignazione, della deferenza e dell'acquiescenza, e del
senso di ciò che è giusto e di ciò che non è giusto.
I sentimenti della partecipazione e della compassione sono il principio della
benevolenza (cioè della prima e fondamentale virtù), i sentimenti della
vergogna e dell'indignazione sono il principio della rettitudine (seconda
virtù confuciana); i sentimenti della deferenza e dell'acquiescenza sono il
principio delle tradizionali norme di comportamento (la ritualità, terza
virtù ), il senso di ciò che è giusto e di ciò che non è giusto è il
germoglio della saggezza (quarta virtù confuciana)."
C'è un nucleo originario, primario, di carattere emotivo che se coltivato,
autocoltivazione, porta a un'etica completa, partendo da un'emozione.
Questo è un argomento che serve a sconfiggere chi dice: "gli uomini sono
egoisti", "sono naturalmente egoisti", "il fondamento di
ogni comportamento è l'egoismo". Non è così perché chiunque, anche
l'egoista, se vede un bambino cadere in un pozzo si precipita. Esplode una
emozione che se coltivata porta ad un'etica completa; all'inizio dell'etica c'è
una emozione buona, potremmo dire, un'emozione solidaristica. Il problema è
coltivarla. "L'uomo possiede questi quattro principi, così come possiede le quattro
membra (cioè è un fatto organico, c'è una base fisica, biologica
nell'etica). Possedere questi quattro germogli, ma sostenere di non essere in
grado di farli crescere, equivale a mutilare se stessi; sostenere che il proprio
sovrano non è in grado di farli crescere, equivale a mutilare il proprio
sovrano.
Tutti quanti abbiamo i quattro principi in noi; se sapremo farli prosperare,
essi si svilupperanno come un fuoco che inizia ad ardere o una sorgente che
inizia a sgorgare. Se riusciremo a fare in modo che si sviluppino completamente,
essi basteranno per proteggere chiunque all'interno dei quattro mari, ma se non
dovessimo riuscire nell'impresa, non basteranno nemmeno per adempiere agli
obblighi verso il padre e la madre. "7 E' bene ricordare che la
pietà filiale che è un comandamento essenziale nella cultura confuciana.
LA BHAGAVADGÏTÄ
L'altro testo che ho scelto, appartiene alla cultura induista: la Bhagavadgïtä.
Utilizzeremo anche un commento che ne fa Gandhi nel suo äšram raccolto da
qualche suo discepolo.
La Bhagavadgïtä significa "il canto (gïtä) del Beato (Bhagavad)":
il Beato è Krsna8 ed è il divino auriga9 che istruisce
Arjuna, un guerriero che deve combattere, ma ha un dubbio tremendo di fronte
all'idea di spargere del sangue. Krsna lo invita a combattere, a fare il suo
lavoro di guerriero, ma questo è solo un'allegoria di un discorso che riguarda
la morale, l'azione, che riguarda il come agire. Arjuna sarà ammaestrato alla
contemplazione e alla conoscenza della realtà profonda che è in ogni essere (brahman)
e che coincide con un principio che c'è in ogni persona (l'ätman)10,
scoprire l'identità tra l'ätman individuale l'ätman universale porta a una
profonda pacificazione, porta ad essere un uomo di stabile pensiero un uomo
disciplinato, di stabile mente, uno Yogin (lo Yoga in termini tecnici stava
appena nascendo). Questo atteggiamento di Jnana-Yoga o Yoga della conoscenza può
generare un tipo di azione disciplinata, distaccata, rinunciante e
contemplativa, per cui colui che agisce non volendo il proprio successo ma
volendo l'adempimento del Dharma,11della legge, dello sva-dharma,
agisce rimanendo immune da tutte le conseguenze disastrose che subirebbe chi
agisce per amore di vittoria, di trionfo, di successo. L'azione rinunciante e
quella contemplativa sono l'insegnamento del maestro che è Krsna.
Questi insegnamenti sono all'interno della Bhagavadgïtä, contenuta nel V libro
del vasto poema epico intitolato Mhäbhärata la cui vicenda principale è lo
"scontro esiziale"12 tra due fazioni di una stessa
famiglia. C'è una scena, molto bella, in cui Arjuna (il guerriero per
eccellenza) si ferma perché vede dalla parte nemica i suoi parenti, i Maestri,
all'ora perché combattere? Da qui inizia il dialogo tra Arjuna e Krsna.
" In quella che per tutti gli esseri è notte, è sveglio l'uomo
compiutamente domo. Quella in cui gli esseri sono svegli è notte per l'asceta
che vede"13
Qui è l'uomo di stabile pensiero, lo Yogin che è sveglio mentre gli altri
dormono, e che dorme mentre gli altri sono svegli.
Ora analizzeremo il commento che Gandhi fa a questo brano14. Nella
prefazione Gandhi dice che la Bhagavadgïtä è per lui come il Vangelo e le
strofe che abbiamo letto sono il centro, il nucleo attraverso cui reinterpretare
questo testo. Sono i versi che descrivono l'uomo di stabile pensiero, l'uomo
contemplativo fissato nella realtà profonda e quindi capace dell'agire
rinunciante in maniera distaccata. In Gandhi c'è la convinzione che è
possibile fare politica in totale distacco da quelle che potremmo chiamare le
passioni, la brama di successo, la volontà di sconfiggere gli altri.
"In conclusione, Shri Krishna ci descrive con un solo verso le
caratteristiche di uno sthitaprajna (di un uomo di stabile pensiero). E' sveglio
quando è notte per gli altri esseri umani e quando gli altri esseri umani e
tutte le creature sembrano essere svegli allora è notte per l'asceta che vede.
Questo dovrebbe essere l'ideale dell'Ashram Satyagraha (la comunità che ha la
forza della verità). Preghiamo affinché ci sia luce quando tutt'intorno a noi
regna l'oscurità. Se siamo coraggiosi, l'intero mondo sarà coraggioso;
come nel nostro corpo, così nell'universo: questo è il sentimento che dovremmo
provare. ("..come nel nostro corpo, così nell'universo") Dovremmo,
perciò, essere pronti a prendere sulle nostre spalle il fardello del mondo, ma
potremo sostenerne il peso se intendiamo dire con questo che affronteremo la
tapasharya (l'ascesi) in aiuto al mondo intero.
Allora vedremo la luce quando gli altri non vedranno che tenebre. Lasciamo che
gli altri pensino che il Movimento dell'arcolaio15 è cosa inutile, e
che credano che non otterremo lo swaraj (l'autogoverno) facendo digiuni. Noi
dovremmo dir loro che siamo sicuri di raggiungerlo: perché come dice la Gita,
yavanartha udapane, cioè, se mediante digiuni e pratiche simili possiamo
ottenere la posizione di un servo in livrea nel Regno di Dio, perché non
possiamo assicurarci una tale posizione col nostro swaraj?
Il mondo ci dirà che i sensi non possono essere messi sotto controllo, noi
risponderemo invece che essi, senza alcun dubbio, possono essere tenuti sotto
controllo. Se la gente ci dirà che la verità sulla terra non serve, noi
risponderemo, invece, che serve.
Il mondo e l'uomo che dimora nel samadhi16 (unità, identità con
Dio) sono come l'Occidente e l'Oriente. La notte del mondo è il nostro giorno,
e il giorno del mondo è la nostra notte. Non c'è punto di contrasto tra i due.
Questo dovrebbe essere il nostro atteggiamento se capiamo bene la Gita.
Ciò non significa che siamo superiori agli altri; noi siamo uomini e donne
umili, siamo solo delle gocce, mentre il mondo è l'oceano. Ma dovremmo nutrire
la fede che, se riusciamo noi a passare all'altra sponda, anche il mondo passerà.
Senza tale fede non possiamo sostenere che la notte del mondo è il nostro
giorno. Se potremo raggiungere l'autorealizzazione mediante il digiunare e il
filare, allora l'autorealizzazione implicherà necessariamente lo swaraj."
E' una lettura che insiste sull'autorealizzazione, sulla capacità di diventare
delle persone di "stabile pensiero" concentrate sull'Atman, ma proprio
perché c'è questa identità finale (tra Atman individuale e Atman universale)
tutto ciò che noi facciamo lo facciamo per gli altri, lavorando su noi stessi
lavoriamo con gli altri (o per gli altri) e allora si può anche dire: noi non
passeremo sull'altra sponda finché non passino anche gli altri, oppure
passeremo dall'altra sponda solo quando tutto il mondo passerà o, ancor meglio,
se riusciamo noi a passare anche il mondo passerà, perché c'è una dimensione
profonda, in cui tutto è uno, una dimensione che si raggiunge attraverso lo
"stabile pensiero", attraverso lo Yoga della conoscenza.
A questo proposito c'è un brano molto interessante:
"Con l'animo raccolto grazie alla disciplina interiore
egli vede il proprio Sé dimorare in tutti gli esseri
e tutti gli esseri nel proprio Sé:
egli vede ovunque la stessa cosa."
Questo è il fondamento per cui se uno passa veramente sull'altra sponda, fa
passare in qualche modo anche gli altri.
"Se uno vede me in ogni cosa
e ogni cosa in me,
per lui io non sono perduto
ed egli non è perduto per me."17
Nello Yoga
esistono tre vie: la disciplina della conoscenza (Jnana-yoga), la disciplina
dell'azione rinunciante in ottemperanza al proprio dharma (Karma-yoga) e la
disciplina della devozione (Bhakti-yoga). In quest'ultima lettura si accenna
agli aspetti della devozione verso la divinità (Krsna). Nella Bhagavadgïtä.
c'è la dimensione filosofica ma anche religiosa: cioè, l'essenziale è sapere
che c'è questa identità profonda fra gli esseri e agire con questa
consapevolezza. A questo si può aggiungere la fede nella divinità (ad es.
krsna) e allora Krsna diventa (brahman18), "l'Oggetto di
devozione" quindi: "se uno vede me in ogni cosa".
Questo testo mi sembra molto interessante perché fonda l'idea di solidarietà
nella maniera più profonda, cioè c'è una realtà profonda che è identica in
tutti per cui quello che facciamo a noi lo facciamo anche agli altri e
viceversa.
Volevo segnalarvi anche il commento che Gandhi fa: "Colui che, riconoscendo se stesso simile agli altri, considera il
piacere dei sensi e il dovere alla stessa stregua, tanto per sé come per gli
altri, viene ritenuto lo yogi supremo, o Arjuna."
Gandhi commenta:
"Colui che agisce con gli altri come farebbe con se stesso andrà incontro
alle loro necessità come fossero le proprie, farà agli altri ciò che vorrebbe
fosse fatto a lui, imparerà a considerare se stesso e il mondo come un'unica
cosa. E' un vero Yogi chi è felice quando gli altri sono felici e soffre quando
gli altri soffrono."19
LE SCRITTURE CRISTIANE: "IL DISCORSO DELLA MONTAGNA"
Possiamo passare ora alle scritture cristiane, dove in un passo del
"Discorso della montagna" dal Vangelo di Matteo possiamo ritrovare
quel detto che ho richiamato più volte e che si chiama "LA REGOLA
D'ORO". Una denominazione che non si trova nel nuovo testamento ma che è
stata inventata nel 500-600 d. C. Essa dice:
" Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi
fatelo a loro: questa infatti è la legge dei profeti."
La regola d'oro non è una invenzione di Gesù, è in realtà una grande
regola interculturale, con differenze che sono legate e giustificate dai diversi
contesti.
Nel Vangelo di Matteo è il sermone della Montagna che comincia con: Beati i
poveri di spirito…ecc. che si trova nel cap.5. Nel cap.6 si parla della
preghiera in segreto. Nel settimo c'è, assieme alla regola d'oro, una serie di
detti, tutti separati e senza un collegamento; in questo senso assomigliano a
quelli di Confucio.
I Vangeli non furono scritti all'epoca di Cristo e nemmeno subito dopo, sono il
frutto di un lavoro abbastanza lento durato alcuni decenni, in cui, i discorsi
sentiti furono messi per iscritto. Gli evangelisti, soprattutto i primi tre
(Matteo, Marco, Luca), hanno fatto un lavoro "editoriale". Sono
materiali orali messi per iscritto, ricomposti in modo molto diverso dai quattro
evangelisti.
Il marchio ebraico-cristiano (della "regola d'oro") è "la legge
e i profeti". Tutta la legge (Torah) e i profeti, (Isaia, Geremia, ecc.) si
concentrano in questa regola. In Confucio la benevolenza parte da tè stesso,
qui c'è un tipico atteggiamento biblico di tipo autoritario: "questa
infatti è la legge dei profeti." ……
Domanda: "Vorrei capire il passaggio, il contesto storico sociale per cui
si passa dalla "naturalezza" della solidarietà e della benevolenza e
qui si passa alla legge dei profeti …."
Risposta: "La cultura ebraico-cristiana ha la sua forza e il suo limite
enorme nell'essere fondata sulla autocrazia. E' così. E' molto avventuroso e
difficile cercare di spiegare il fondamento culturale, economico, sociale e
ideologico di una certa religione. Ci sono dei tentativi ma non mi hanno
convinto molto.
TESTI
ISLAMICI
Questa
"Regola d'Oro" la ritroviamo anche nel Corano e nella Sunna20.
La Sunna è molto importante perché molte cose, non sono nel Corano sono nella
Sunna che "integra la rivelazione coranica in molti punti minori e
concreti". Ne fanno parte i detti del Profeta Mohammad21: "Narro Anas che il profeta - Iddio lo benedica e gli dia eterna salute -
aveva detto:
" Non è credente nessuno di voi, finché non ama per suo fratello quel che
ama per sé". Anche qui, la regola d'oro si colora del contesto, nel cristianesimo c'è
l'ascendenza della legge profetica, qui diviene una regola della comunità dei
credenti. Il termine fratello è da intendersi come fratello di fede, in un
altro detto: "Un tale domandò al profeta - Iddio lo benedica e gli dia eterna salute
- quale fosse il meglio dell'islam. Rispose: dà da mangiare e dà il saluto a
chi conosci e a chi non conosci."
All'interno della comunità islamica devi amare per tuo fratello ciò che ami
per te.
UN'
ETICA MONDIALE
Esiste un
documento del 1994 approvato dal Consiglio del Parlamento mondiale delle
religioni e presentato all'Assemblea dei rappresentanti delle religioni riunita
a Chicago tra il 28 agosto e il 4 settembre, e che dovrebbe essere la base della
convivenza pacifica tra i popoli. Non è un testo religioso ma è basato su un
ragionamento che i rappresentanti delle varie religioni fanno e affidano
all'umanità. All'interno c'è una parte che si intitola "principi di
un'etica mondiale" ed è la base di una nuova etica mondiale e vi è posta
la "regola d'oro": "C'è un principio che si trova e ha persistito in molte religioni e
tradizioni etiche dell'umanità per migliaia di anni: quello che non vuoi sia
fatto a tè, non farlo agli altri. Oppure, in termini positivi: quello che vuoi
sia fatto a te, fallo agli altri!
Questa
dovrebbe essere la regola irrevocabile, incondizionata per tutti i campi della
vita, per le famiglie e le comunità, per le razze, le nazioni e le
religioni."22Da questo derivano
l'impegno per una cultura non violenta e il rispetto della vita, l'impegno per
una cultura della solidarietà e un giusto ordinamento economico.
LA
FILOSOFIA MORALE DEI WOLOF
I Wolof
sono una popolazione che occupano il centro, la costa occidentale ed il
nord-ovest del Senegal sono il gruppo etnico numericamente più importante. Di
seguito riportiamo alcuni proverbi e motti popolari appartenenti alla loro
tradizione orele: "Non c'è una finestra attraverso la quale Dio ti dia direttamente
qualcosa" " Lo farà piuttosto attraverso un'altra persona." (nota del
testo) "Colui che non nutre alcuna riconoscenza verso un altro uomo non può
che essere un ingrato verso Dio."
"Colui che non è un invidioso e un ingrato, deve dire grazie a Dio e alla
tal persona."
"L'uomo non ha altro rimedio che l'uomo."
"Chi possiede la gente non manca di nulla"
"Dio non ti dà mai allo stesso tempo il premio di un sacco di riso e la
forza necessaria per trasportarla da te."
"Il pensiero che si nutre nei riguardi di qualcuno, è una camera dove
ritroveremo noi stessi." "Pensiero con cui si augura il bene o il male. Ci ricorda un famoso
detto occidentale (ma non solo): "Non fare agli altri ciò che non vuoi sia
fatto a te"; così come il male commesso si rivolta contro chi lo ha
compiuto, ugualmente avviene per lo stesso principio di giustizia, con il male
anche solo augurato al proprio prossimo." (dalle note al testo).
DIBATTITORIEPILOGOPLATONE:
avrà pietà di loroCOFUCIO: usa te stesso come criterio della benevolenza
MENCIO: il
bambino nel pozzo
INDUISMO: chi veramente attraversa l'altra sponda porta con sé il mondo
BIBBIA: la regola d'oro nella formulazione positiva come sintesi della legge dei
profeti
ISLAM: la regola d'oro con la limitazione dei fratelli nella fede
WOLOF: il pensiero che si nutre verso un altro, è una camera dove ti ritroverai
Una regola generale per non cercare di fare sintesi ma cercare di capire un
pezzo di altre culture per capire meglio la nostra, non è una buona cosa
pensare di fare una super cultura che contiene tutti questi pezzi.
Domanda: Cosa vuole dire coltivare i sentimenti di pietà, compassione, cosa
vuol dire coltivare queste virtù?
Risposta: La benevolenza, la pietà è un fatto umano, si può aggiungere una
dimensione di devozione, la legge, i profeti. La sensibilità all'altrui
sofferenza è un sentimento umano che naturalmente può non essere coltivato per
diversi fattori, in ogni caso la pietà, la compassione sono elementi che stanno
alla base dei comportamenti umani spontanei, anche la regola d'oro. Il
successivo passo, più difficile è come praticare la compassione e la regola
d'oro; lo scout che fa attraversare la vecchietta che non voleva attraversare la
strada oppure forme di beneficenza ceca. Io devo partire da me stesso dal mio
desiderio ma sono proprio sicuro che questo è anche il desiderio dell'altro,
posso supporre che l'integrità fisica è un bisogno elementare, però ci sono
cose più raffinate in cui le cose diventano più complicate. Forse bisogna
sempre mettere dei dubbi in questo volere per l'altro ciò che vuoi per stesso:
non è detto che l'altro voglia recuperare il suo matrimonio forse sta' meglio
così. Bisogna essere molto affinati, colti. La regola d'oro va benissimo; Kant
assume la regola d'oro e la formula: agisci in modo che la norma che ti guida
adesso possa essere la norma cui tutta l'umanità potrebbe attenersi, a garanzia
che non sia un fatto egoistico ma bisogna stare attenti ci vuole intelligenza.
La regola d'oro presuppone di appartenere tutti allo stesso tessuto, alla stessa
realtà, come è espressa benissimo dai testi indiani; tutti siamo al di là del
nostro sé individuale in questa realtà che è l' Atman. Tutti apparteniamo a
questa realtà e quindi nella dimensione attiva tutti dobbiamo sentire l'altro
come noi stessi, ma c'è lo stile, l'udito da sviluppare. Cosa può significare,
in concreto, in quella cultura, con quella persona dire, non dire; fare non
fare? Cosa e in che modo fare? Qui la teoria è molto importante. La teoria ha
una dignità enorme altrimenti, se noi agiremo da incolti faremo ciò che ci
viene in mente che sia la cosa giusta per noi ma non è detto che sia quella di
cui c'è bisogno. Ad esempio la conscenza delle norme dietetiche, alimentari di
un popolo è fondamentale.
D: A una persona con disabilità fisica che in un certo contesto culturale non
viene permesso di accedere ai servizi, alla scuola ecc. Mentre secondo me è
giusto che questa persona possa accedervi è corretto intervenire. Un altro
esempio: un paese ricco può porsi il problema, come paese di aiutare un paese
povero?
R: La prima parte della domanda si riconduce al fatto se sia giusto che io
imponga agli altri quello che "è giusto", la libertà, la giustizia
ecc. Si da per scontato che si debba abbattere la povertà, l'indigenza non
considerando il contesto culturale, sociale in cui sono inserite. Così come
dobbiamo supporre sia un valore interculturale, universale all'integrità
fisica? Non stiamo forse importando un ottimismo occidentale che mira a
sconfigge la malattia, la povertà, la miseria ecc.?
D: Io posso applicare la regola d'oro ascoltando un'altra cultura e cercando di
capire i bisogni, infatti io vorrei essere ascoltata e che gli altri capissero i
miei bisogni, partendo dal fatto che non ci sono valori universali.
R: Si certo; ascoltare i bisogni. Anche in questo caso ci sono dei rischi, uno
potrebbe dire mi va benissimo che mio figlio non vada a scuola, mi va benissimo
che rimanga malato, mi va benissimo che la donna rimanga asservita. Bisogna
mediare il discorso del bisogno enunciato col bisogno reale che magari l'altro
non sa enunciare, che non gli viene neanche in mente. Non si può solo ascoltare
e dare ciò che viene richiesto, anche questo è un po' rischioso.
D: In alcune culture, dove esiste il concetto di Karma23 e quindi
nella vita attuale ci si porta dietro cio che nelle vite precedenti si è
prodotto, in negativo o in positivo. In quel contesto come si può applicare la
regola d'oro, tenendo conto che in quelle culture le difficoltà della vita
attuale sono delle opportunità per superare, per andare oltre alcuni aspetti
negativi del tuo Karma, quindi di crescere?
R: ….In queste culture tu sei un mendicante perché hai fatto certe cose nelle
vite precedenti, quindi è giusto che tu rimanga un mendicante, se uno muore per
la strada, lascialo, è la giustizia che si compie…. …Ci sono degli eccessi che tendono a giustificare, per il fatto stesso che
la regola d'oro è universale ogni forma di ingerenza, di egocentrismo. Questo
però non deve sminuire la sua universalità. Ci sono altri eccessi, come il
caso dei diritti umani dove c'è chi afferma che essendo il frutto
dell'occidente in certi paesi non si applica, così il discorso dei bisogni: ci
sono dei bisogni elementari che vanno riconosciuti prima ancora che la persona
li enunci, può non sapere che può stare molto meglio….
D: C'è qualcosa che sta a monte della regola d'oro ed è quello di conoscere se
stessi, la consapevolezza come alcune culture ci insegnano rendendoci più
attenti, più svegli, più sensibili e quindi più capaci di comprendere i
bisogni degli altri. La regola d'oro ci deve riportare un po' indietro.Nel
concetto di amare il prossimo tuo come tè stesso, se prima non ami te stesso
non puoi amare l'altro, così in questo caso se non ti conosci è molto
difficile andare ad applicare la regola d'oro.
D.: "Io ho una difficoltà incredibile a spogliare, alcune parole, di un
retaggio culturale che ho assunto. Queste parole sono la pietà e la compassione
che io ho sempre vissuto in termini per me negativi, un senso di superiorità di
chi ha pietà, compassione del povero del sofferente. Vorrei capire meglio il
significato di questi due termini?"
R.: "In generale bisogna cercare di non essere succubi e rinunciare a
parole importanti come la Pietà, un sentimento, una emozione di partecipazione
al dolore altrui, sentire il suo dolore. Pietà si usa anche in fenomeni di
devozione, pietà popolare, il modo in cui si prega i santi. Il termine
compassione non ha questo aspetto devozionale, è simpatia cioè avere lo stesso
"patos", la stessa passione, la stessa emozione. C'è un modo nobile
di intendere questi termini, alto, ricco non dobbiamo assecondare troppo
una connotazione negativa, ci vuole uno spessore culturale e umano che ci
consente di usare questi termini. Compassione nella tradizione buddista è
l'atteggiamento del Bodhisattva24 del Buddha reincarnato che
pur potendo entrare nel Nirvana 25 rinuncia per poter portare gli
altri sull'altra sponda, in questo senso…la mia carne è la tua, non ci si può
quindi permettere di andare soli sull'altra sponda, bisogna portare anche gli
altri con sé. Questa potrebbe essere l'idea della compassione, siamo tutti
qui….non possiamo liberarci da soli…..Se c'è questo sentimento dovrebbe
sparire qull'aspetto di negatività, quel senso di superiorità di chi ha
compassione, siamo tutti nella stessa barca…."
D.: "Io mi domando cosa è rimasto, che cosa c'è ancora oggi in questa
società che è basata sul principio dell'efficienza, dell'invasione,
dell'attivismo. Che cosa è rimasto nel modo attuale di fare solidarietà del
concetto che si diceva di pietà e compassione?"
R.: "Io penso che il rimedio a questo sia il reagire a quell'attivismo
privo di una riflessione profonda. La riflessione profonda è quella che ti fa
ritrovare il senso della comune Umanità, dell'appartenenza all'Umanità
(…questa identità profonda fra gli esseri e agire con questa
consapevolezza….vedi quanto espresso nel paragrafo sulla Bhagavadgïtä). Se
c'è questo senso di comune appartenenza, l'azione che ne deriva verrà
spogliata di quegli atteggiamenti di superiorità, di porsi dall'alto in basso.
Marco Aurelio scriveva a se stesso: "Oggi, devo ricevere delle persone
stupide….però devo sopportare perché tutti apparteniamo allo stesso
corpo….", conoscere te stesso come un piccolo mondo che appartiene a un
grande mondo…Questo tipo di riflessioni sono un correttivo agli atteggiamenti
arroganti. Si può partire da noi stessi; conosci te stesso conosci il mondo in
quanto unità."
D.: "Ma senza questa regola d'oro la vita tra gli uomini sarebbe
possibile?"
R.: "La regola d'oro è uno strumento un criterio di riconoscimento per
attuare la giustizia. La giustizia vuol dire " a ciascuno il suo", ma
come si fa? L'umanità, in diversi paesi senza comunicazione, è arrivata a
concludere, per stabilire che cosa era " a ciascuno il suo", che
bisognava partire dai propri bisogni di giustizia. La regola d'oro è uno
strumento tradizionale di individuazione dell'applicazione della giustizia.
Parti da te stesso, dai tuoi bisogni e cerchi in questo modo di interpretare i
bisogni dell'altro; il bisogno fondamentale è la giustizia." D.: "Volevo chiedere se poteva chiarire l'idea di un'azione
rinunciante?"
R.: "Mi rifarei a ciò che Gandhi diceva ai suoi uditori sul fatto che lui
era molto contento di parlare con loro e nel vedere che tutti ascoltavano con
attenzione: se a un certo punto voi diceste che non ve ne importa nulla, non vi
interessa, io dovrei saltare di gioia, nel senso che io non lo faccio perché
voi mi applaudite, lo faccio perché sento che così devo fare. Lo faccio perché
è giusto che io faccia così, ovviamente sono contento ma non lo faccio per
quello non lo faccio con la prospettiva del vantaggio ma con la prospettiva
della giustizia della conquista della libertà (?). Questo concetto la troviamo
anche in un grande pensatore già citato che è Kant che dice che bisogna agire
per la giustizia e non per il vantaggio per l'utilità "agire senza
preoccuparsi dei frutti", il che non vuol dire senza preoccuparsi dello
scopo, è chiaro che Gandhi vuole insegnare, vuole far comprendere ma l'udire
l'applauso, il riconoscimento è secondario può essere una conseguenza, non può
essere la motivazione. Così apputo (come dice Krsna ad Arjuna) occorre
combattere senza pensare alla vittoria, al trionfo ma perché un guerriero
purtroppo deve fare questo. In occidente; si potrebbe pensare che la lotta di
Kant contro una morale utilitaristica significhi un po' questo. Ci sono due tipi
di morale; una è quella del vantaggio, utilitaristica l'altra è quella del
"che avvenga quel che deve avvenire" che si dice morale
deontologica….Non bisogna essere troppo schematici nel giudicare, anche la
morale utilitaristica può raggiungere livelli molto alti e raffinati come in
Epicuro, non è il piacere grossolano è il piacere raffinato, il piacere
intellettuale.
L'azione rinunciante è quella che si compie per svolgere il proprio compito non
per il vantaggio o per il piacere che se ne ricava anche se, a mio parere, il
piacere e la soddisfazione, pur non essendo i motivi dell'azione possono
accompagnarla. Marco Aurelio dice: "Aggiungere una buona azione all'altra
in modo che non ci sia nessuna fessura tra l'una e l'altra; questo io chiamo
godersi la vita", è giusto che ci sia la felicità, la gioia dell'agire
bene, dell'essere a posto, della correttezza però non può essere il motivo
fondamentale"
R.: "……Il fatto di saper esplicitare i propri desideri, per me è molto
importante, è poi questo che ti consente di scoprire e conoscere nell'altro il
suo bisogno e anche il suo desiderio e comprendere la distanza fra i due. Il
desiderio è qualcosa di molto più profonda, una tensione una rottura che si
traduce in bisogno. Il bisogno di fumare non è la pienezza dell'esplicitazione
del desiderio, che magari è qualcosa di più profondo. Riconoscere i propri
desideri è primario alla stessa regola d'oro che può essere in termini
fondamentali: "Aiutare gli altri, come hai aiutato te stesso a trovare
quello che desiderano veramente" La conoscenza dei grandi uomini può
aiutare in questo percorso….aiuta ad elevare la qualità dei tuoi bisogni,
magari anche a rinunciare, ad affinare cioè a togliere eliminare quello che è
superfluo……
…Il desiderio è qualcosa di buono; è la vita, l'eros, e per potersi
espandere ha bisogno di intelligenza. Desiderio e intelligenza non sono opposti,
bisogno realizzare il desiderio attraverso l'intelligenza."
D.: "L'azione rinunciante è in conflitto col desiderio"
R.: "Nella B. è detto uccidi il desiderio perché altrimenti combatterai
assetato di sangue, però al di là di questa formulazione, io credo che non si
invita ad uccidere il desiderio in sé ma quel desiderio che ti porta a
combattere per sete di sangue. Si tratta di
disciplinare il
desiderio non distruggerlo. E' un lavoro su se stessi."
D.: " Il concetto di bramare è lo stesso del concetto di desiderio? Se io
bramo qualcosa vuol dire che io voglio quella cosa a tutti i costi se io
desidero qualcosa non è detto che io bramo per quella cosa."
R.: "Si! Infatti, la B. invita a distruggere non il desiderio ma la brama
affinché il desiderio possa espandersi sempre più alto. La brama è intesa
come "PASSIONE". Non è il desiderio che viene soppresso ma la
"PASSIONE". Il "DESIDERIO INTELLIGENTE" è la forza per
eccellenza.
D.: "Dove ritroviamo maggiori segni di un percorso etico corretto ad
esempio nel campo della solidarietà?
R.: "I segni di una solidarietà illuminata deve da un lato operare per
salvaguardare alcuni bisogni minimi elementari: diritti umani, integrità fisica
dall'altro un tipo di ricerca antropologica che si sforza di trovare la via tra
l'idea che siamo tutti uguali e quella che dice che siamo tutti diversi. Tutti
quei tentativi di riflessione sull'uguale e diverso. Nella prassi operare sui
bisogni e sulle carenze elementari: la cura del corpo, la cura dei diritti
affiancata da una ricerca interculturale che analizza le diversità ma anche i
punti di unità. Ricordandosi che coltivare se stessi è la vera grande
apertura."
Note______________________________
1
A cura di: Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli "Per un per corso
etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta." 1996 La Nuova
Italia Scientifica, Roma
2 Idem, pag. 20 3 Idem, pag. 50 4 Idem, pag. 57 5 A cura di: Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli "Per
un percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta." 1996
La Nuova Italia Scientifica, Roma pag 55
6"Compassione, sentimento di sofferta partecipazione ai mali
altrui."
Dal "Grande Dizionario Garzanti della lingua italiana." Garzanti
Editore 1994
11Dharma è un concetto fondamentale della cultura indiana. Racchiude in sé
significati diversi: dharma è al tempo stesso il "mantenersi"
dell'ordine del mondo, la legge morale (o le leggi morali), a volte la legge in
senso giuridico, il dovere, e persino quella che noi chiamiamo
"religione"…al plurale, sono le "leggi", le
"norme" proprie della famiglia. Il termine sva-dharma, cioè
"il proprio dharma", rimanda al "proprio posto nel mondo",
normalmente inteso in senso castale. Da: A cura di: Pier Cesare Bori e Saverio
Marchignoli "Per un per corso etico tra culture. Testi antichi di
tradizione scritta." 1996 La Nuova Italia Scientifica, Roma - nota 5 pagg.
84
14 M.K. Gandhi Gandhi commenta la Bhagavad Gita ed.
Mediterranee pagg. 77 15 Movimento dell'arcolaio: forma di boicottaggio nei confronti
dell'Inghilterra che prevedeva l'autoproduzione con un telaio (arcolaio) dei
vestiti.
17
Lo Yogin che ha raggiunto il perfetto raccoglimento nella contemplazione
dell'unica Realtà, vede se stesso in tutti e tutti in se
stesso……avendo conseguito la consapevolezza dell'identita fra Atman e
Brahman, vede in Krsna ogni cosa e diventa una sola cosa con lui e con il tutto.
Dalla nota n. 29 pagg. 160 della Bhagavad-gïtä. Il canto del glorioso Signore.
a cura di S. Piano Edizioni S.Paolo, Torino 1994
20
"Sunna", "….per l'Islam, la testimonianza dei precetti, delle
azioni e della vita del profeta Maometto, che costituiscono la sua "Sunna",
o esempio." "…delineano i rapporti tra gli individui e tra questi
ultimi e Allah, comprendendo esempi della legge (Sharjah), dibattiti
concernenti argomenti teologici, come i metodi di digiuno e preghiera, e codici
di comportamento personale, sociale e persino commerciale." op.cit. Encarta
21
Da: A cura di: Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli "Per un
percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta." 1996 La
Nuova Italia Scientifica, Roma pag. 165
22 da: Il Regno-documenti 7/94
23Karma (Sanscrito, "azioni"), nella filosofia indiana la somma
delle azioni individuali, buone o cattive, unite all'anima nella trasmigrazione:
ogni nuova incarnazione (e ogni vicenda sperimentata dal corpo) è determinata
dal karma precedente. La credenza nel karma, che si può
rintracciare nelle
Upanishad, è accolta da tutti gli indù, anche se con molte distinzioni. Alcuni
aspirano a formare un buon karma per una buona rinascita, ma altri, considerando
cattivo ogni karma, si sforzano di liberarsi dal processo di rinascita (samsara):
alcuni ritengono che il karma determini tutto ciò che succede a ciascuno,
mentre altri attribuiscono uno spazio maggiore a destino, intervento divino o
agli sforzi umani. Una forma di karma (prarabdha) è determinata alla
nascita e sviluppata durante la vita presente; un'altra (sanchita) rimane
nascosta in questa vita; una terza (sachiyamana), formata nella vita
presente, matura in quella successiva.24
25Bodhisattva Termine sanscrito che significa "colui la
cui essenza è l'illuminazione"; indicava in origine il Buddha storico,
Gautama Siddhartha, durante le sue vite precedenti e la parte della sua vicenda
biografica che precede la "Grande illuminazione". Nel buddhismo
Mahayana il termine indica chi, benché pervenuto alla perfezione spirituale,
sceglie di rinviare il premio finale, il nirvana, e di operare a favore della
salvezza degli altri viventi, specialmente inviando loro un buon karma. op.cit. Encarta
26Nirvana (Sanscrito, "che si spegne"), nella concezione
religiosa indiana, una condizione trascendente priva di sofferenza e
dell'esistenza fenomenica individuale, un finalismo religioso identificato
spesso nel buddhismo. La parola deriva dal verbo che significa
"raffreddarsi", o "spegnere", come nello smorzare una
candela: il senso è che solo nel nirvana si spengono le fiamme della lussuria,
dell'odio, dell'avidità e dell'ignoranza. Col raggiungimento del nirvana si
interrompe il cerchio della trasmigrazione delle anime (Vedi samsara),
altrimenti senza fine. Il suo carattere è stato ampiamente discusso dagli
studiosi occidentali, poiché alcuni sostengono che comprende un annullamento
totale e altri lo interpretano come beatitudine eterna. op.cit. Encarta