in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

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La salvezza viene dall'Oriente?

di Giangiorgio Pasqualotto

 

Pasqualotto: Sono Giangiorgio Pasqualotto e insegno Storia della Filosofia all'Università di Padova. Ho cominciato a interessarmi di buddhismo per interessarmi dei rapporti tra la teoria e la pratica, cosa che non avevo trovato nella filosofia moderna e contemporanea e solo in parte nella filosofia antica. Adesso se volete possiamo vedere una scheda filmata, che ci può illustrare e introdurre al nostro discorso.

 

-Si visiona le scheda:

COMMENTATORE: Il declino dei messaggi religiosi tradizionali dell'Occidente e la crisi dei valori, prodotti dalla tradizione laica, hanno aperto un grande vuoto, hanno lasciato scoperte le coscienze. L'apertura di questo vuoto ha prodotto, tra l'altro, anche la recente ricerca di risposte rassicuranti, nate e cresciute nell'ambito almeno di due grandi civiltà d'Oriente, quella indiana e quella cinese. Vi sono, in generale, due modi di questa ricerca: quello di chi, vittima dell'esotismo, tende a sostituire le certezze perdute della propria tradizione con altre, attinte a qualche forma di religiosità o di spiritualità, in prevalenza di origine induista, in misura minore buddhista e in misura ancora più esigua taoista. Questa via, a livello più basso, conduce al tomismo spirituale, ed a livello più alto, porta a inedite forme di fideismo e fanatismo. L'altra via per la ricerca di risposte è quella più ardua di chi assume quel vuoto come segno di salutare purificazione e riparte da zero, confrontando le soluzioni date dalla propria tradizione coi grandi problemi dell'esistenza con quelle proposte da induismo, buddhismo e taoismo, non per stabilire graduatorie di merito, ma per tenere in attività il pensiero nella convinzione che l'unica salvezza possa venire dal processo della conoscenza, non dai suoi contenuti.

"Non c'è inizio né fine. Tutto è mutevole. Ciò che non è soggetto alla nascita, al pari non è soggetto alla scomparsa".

COMMENTATORE: In tal modo si possono anche riscoprire parti preziose, dimenticate o represse, della propria tradizione occidentale.

-Fine della scheda, inizia la discussione.

STUDENTESSA: Il distacco dall'idea di inferno, di paradiso come meta da raggiungere, premio, sicuramente più radicato nella cultura occidentale, è collegato o deriva proprio dall'idea di comunità, di distacco da passioni, desideri e paure?

Pasqualotto: In Oriente, questo?

STUDENTESSA: In Oriente, certo.

Sì, diciamo che la meta per il buddhismo dovrebbe essere il nirvana. Nirvana non vuol dire annichilimento, azzeramento o addirittura suicidio e raggiungimento della morte nel più breve tempo possibile, ma significa semplicemente estinzione dell'attaccamento alla vita, così come alla morte, cioè distacco da qualsiasi contenuto. Ora questo distacco bisogna stare molto attenti a non confonderlo con l'indifferenza, perché l'indifferenza è l'attaccamento a se stessi e cioè attaccamento a se stessi in modo che il resto del mondo - uomini, cose e divinità - non contino. Allora il problema del distacco è quello, che si potrebbe tradurre come il problema dell'equidistanza. Quindi in un certo senso il nirvana non è distacco dal mondo, è distacco dal nostro desiderio di rimanere attaccati alle cose del mondo. Però si vive costantemente tutto quello che esiste, solo senza rimanere vittime, diciamo, della passione per alcuni oggetti, alcune persone, alcune cose, in particolare. Questo è il nirvana, da non confondere con il paranirvana, che invece avviene - il paranirvana completo - quando c'è l'estinzione fisica della persona, dell'individuo. Il distacco in questo senso è possibile vederlo in relazione al distacco delle grandi tradizioni mistiche occidentali e anche cristiane.

STUDENTESSA: Mi scusi, secondo Lei, quello che ha comportato la grande differenza tra mondo orientale e mondo occidentale è il fatto che la cultura occidentale, la società occidentale basi tutto sull'individualismo, sull'egoismo, quindi sull'io, e l'altro visti in modo separato. Mentre l'Oriente basa se stesso, quindi basa tutta la sua cultura sull'idea di comunità, l'idea di stare insieme, di convivenza, in cui non esiste più io e l'altro separatamente, ma io con l'altro?

Sì, questa è una descrizione molto ideale, quasi utopica, nel senso che non è che tutti gli orientali siano così privi di ego, che la comunità sia realizzata in maniera irenica e perfetta, così, d'altra parte, come non tutti gli occidentali sono egoisti, dei virtualisti scatenati. Insomma abbiamo avuto anche grandi manifestazioni, espressioni di tentativi di costruire una comunità. Quindi bisogna sempre stare attenti quando si fanno le contrapposizioni troppo forti. Certo è che la cosa, forse è più difficile, per noi occidentali, ma anche per molti orientali, nei secoli - non solo oggi, e oggi più di altro, perché c'è un forte spinta all'occidentalizzazione -, è il superamento della individualità, il superamento dell'egocentrismo. Questo effettivamente è stato coltivato molto di più in Oriente che in Occidente. Diciamo che il buddhismo è la forma più radicale anche dal punto di vista di elaborazione teorica di questo, perché, quando il buddhismo cerca di mostrare che l'individuo in realtà non esiste, ma è , diciamo così, molto rapidamente, un sistema di funzioni, un sistema di relazioni - opera tutta una serie di spiegazioni per questo -, beh, io trovo che è stata la macchina teorica più forte nella riduzione della centralità dell'io, dell'ego. Sicuramente sia in Occidente, ma anche in Oriente insomma. Non c'è nessun'altra dottrina così potente nel tentativo di sciogliere, diciamo, la rigidità dell'ego.

STUDENTESSA: Infatti questa differenza tra il mondo occidentale e il mondo orientale, può essere data anche dalla differenza che c'è tra Cartesio e Buddha nel modo di considerare il dubbio. Cioè, mentre Cartesio usa il dubbio per arrivare poi all'indubitabilità dell'io, il Buddha lo usa nella maniera contraria, per arrivare a definire l'impermanenza dell'io e quindi per renderlo inesistente.

Sì, più che contraria, più radicale. Cioè il Buddha va non contro Cartesio - non poteva andare contro Cartesio perché ovviamente non sono contemporanei - non contro l'uso del dubbio, ma addirittura spinge l'attività del dubbio al di là dell'ego stesso. Naturalmente qui la questione si fa complicata, perché Cartesio avrebbe potuto dire: "Ma chi dubita dell'io?". Ci deve essere un io che dubiti. Allora il Buddha avrebbe potuto dire: "Certamente, ma indicami da chi è rappresentato. Indicami l'io, prova a catturarmi l'io". E non esiste. Esiste solo un'attività che dubita, ma vai a vedere, a definire il soggetto che dubita. Migliaia di tentativi, tutti naufragati, molto belli, ma tutti naufragati. Nessuno riesce a catturare, a vedere, a osservare l'io, che dubita.

STUDENTESSA: Professore, quand'è che si stabilisce, e quindi come si manifesta, la pratica della religione e il momento di passaggio al fanatismo?

Nel buddhismo dice o in generale? Perché questa è una domanda...

STUDENTESSA: Più in generale, perché vedendo la scheda abbiamo appunto parlato di pratiche delle religioni, appunto, in Oriente, e poi nel momento in cui, diciamo, si scade, appunto, nel fanatismo.

Ma, guarda, il fanatismo potrebbe essere considerato, sempre in entrambi i lati, sia in Occidente che in Oriente - ma si è visto che parliamo del buddhismo -, come eccesso di attaccamento, cioè, quando uno crede a una cosa. E questo va bene credere a una cosa, ma quando pensa che quella cosa in cui crede è l'unica valida per tutti, per tutti gli uomini e per tutti i tempi, questo è fanatismo, cioè la presunzione di una verità assoluta. Invece l'insegnamento del buddhista o del Buddha, diciamo, è un insegnamento che propone la coltivazione alla ricerca della verità, però senza la presunzione di potere raggiungere una verità assolutamente certa e che vuol dire certa per tutti e per tutti i tempi, quindi eterna e universale.

STUDENTESSA: Professore, secondo il buddhismo un uomo, per raggiungere l'illuminazione, deve intraprendere un lungo cammino di distaccamento da tutto quanto e da se stesso, fino poi a arrivare alla condizione di inconsistenza e impermanenza dell'anima. Ma allora che senso ha una salvezza e una redenzione per un uomo che non è più consapevole di se stesso alla fine?

La salvezza consiste proprio nell'essere non più consapevole di se stesso.

STUDENTESSA: Ma se non si rende conto di essere libero?

Sì, adesso mi spiego. Allora, qui bisogna stare molto attenti. E' una domanda molto interessante, questa, perché permette di calibrare un problema che è difficile, cioè l'io conduce a dei disastri quando è considerato l'unico centro della vita dell'universo. Tuttavia l'io è necessario per la vita quotidiana, perché altrimenti io non potrei né prendere il tram, né parlare con un altro, se non avessi la consapevolezza del mio corpo e della mia persona, quindi anche, voglio dire, nella formazione infantile è fondamentale la formazione dell'io, la formazione della persona, la creazione della percezione del proprio corpo. Il problema è che normalmente la maggioranza degli uomini che cosa fanno? Si fermano a questa fase e rafforzano costantemente questa fase. La fanno sempre più rigida questa fortezza che è l'io. Ora il problema non è quello di raderla al suolo, ma quello di aprirla, cioè di mostrare che questa fortezza è costituita in realtà da una rete infinita di relazioni. Quindi è un superamento dell'io, non è un annichilimento dell'io. Un superamento dell'io vuol dire che l'io ci deve essere, però dev'essere, come dire, relativizzato, cioè dev'essere consapevole di essere impermanente e di essere una funzione relativa con tutto ciò che lo circonda.

STUDENTESSA: Professore, il Buddha ci parla di quattro dimore divine, e sappiamo che la quarta, l'equanimità, può essere una sorta di principio, di principio regolatore delle prime tre. Quello che vorrei sapere io è come si raggiunge questo stato di equanimità.

Con l'esercizio. Cioè, dicendo molto schematicamente, nella dottrina buddhista, saggezza - o conoscenza che porta alla saggezza - e compassione, vanno sempre di pari passo. Diciamo comportamento etico e conoscenza vanno sempre di pari passo. Allora la conoscenza in che cosa consiste? Consiste nel conoscere che tutta la realtà - quindi attenzione, non solo gli uomini, gli oggetti, ma anche le idee, i valori, le dottrine, eccetera - sono impermanenti e non sostanziali, e che poi la realtà è intessuta di dolore. Queste sono, come dire, le tre cose che vanno conosciute. Naturalmente la terza, l'esistenza del dolore, si associa alla prima, seconda, terza e quarta verità, che forse voi conoscete, cioè la via per poter superare anche la sofferenza. Non è un dato di fatto, quindi non è pessimista. Beh, comunque, ritornando al discorso precedente: allora questo è il contenuto della saggezza, però questo, questi contenuti vanno continuamente verificati a livello pratico, cioè a livello della compassione, perché la compassione è un nome generico che occupa tutto il comportamento etico dell'uomo. Allora tu non puoi avere una situazione per cui conosci perfettamente, in teoria, le quattro nobili verità, il duplice sentiero, e bla, bla, bla, e tutto quanto, e però poi non riesci a metterlo in pratica. D'altra parte però sarebbe assolutamente sbagliato avere solo un comportamento compassionevole senza la luce dell'intelligenza, perché se uno è compassionevole, per esempio nei confronti di tutti, nei confronti dell'universo intero, non è compassionevole poi con nessuno, perché disperde questa sua capacità, questa sua forza di aiutare gli altri in un pulviscolo di direzioni. Invece determina un gruppo di persone, o una persona sola, o un'area, e lì interviene, sapendo però che ci sono anche altri milioni di persone che avrebbero bisogno di te. Ma se tu ti allargassi, così, spargessi la tua bontà, dunque non avresti nessun risultato o dei risultati minimi. Ecco questo è un tipico esercizio di equanimità. Oppure come è l'esempio del medico, insomma, del medico che deve avere un certo distacco, perché se viene travolto dal male o dal malato che è travolto di compassione, non riesce nemmeno più a curarlo.

STUDENTESSA: Professore forse una delle sostanziali differenze fra Oriente e Occidente è la concezione della meditazione. Cioè spesso noi abbiamo frainteso, diciamo più che altro come una riflessione, invece forse in Oriente è collegato anche a qualcosa di più interno, cioè al corpo. Quindi volevo proprio sapere se c'è questo. Per esempio, lo yoga qui è stato spesso frainteso, in Occidente, così. Quindi proprio nel buddhismo, il valore della meditazione.

La meditazione in realtà non è un'invenzione buddhista. La meditazione è, come dire, si inserisce nella storia della spiritualità indiana, ha le sue radici nell'induismo. La meditazione buddhista ha questa caratteristica di, come dire, di purificazione, e cioè di produrre il distacco, ecco, distacco da tutto ciò che sia fisico che mentale, distacco anche, per esempio, dai sentimenti. Ma la cosa più interessante è che questo distacco, come dire, non deve né attaccarsi nemmeno a se stesso, cioè non ci si deve inorgoglire per i livelli di meditazione che si sono raggiunti. Ora questo c'è anche nelle pratiche meditative occidentali, cristiane. Qual'è la vera e propria differenza? E' che in realtà, per esempio, in ambito cristiano, la meditatio, la cosiddetta meditatio, avviene dopo la lectio, cioè sempre meditatio su un testo, che è testo sacro. Ora questo nel buddhismo non c'è, primo perché non c'è un testo sacro, perché il Canone non è un testo sacro. Perché? Perché non è un testo rivelato. Perché non è un testo rivelato? Perché nel buddhismo non c'è l'idea di un dio personale Quindi la lectio, come preventiva alla meditatio, non esiste. Quindi la meditatio è una, nella tradizione cristiana, una fase successiva alla lectio e preventiva alla contemplatio. Allora si potrebbe dire che nel buddhismo è simile alla contemplatio. E che cos'è la contemplatio. E' là dove, diciamo, non esiste più la separazione tra soggetto e oggetto. Quando tu non sei, sei, come dire, staccata sia dalla relazione all'io sia alla relazione alle cose che hai presenti. Naturalmente questo è un discorso molto astratto. Concretamente - e questo è l'aspetto più interessante del buddhismo e di tutte le meditazioni orientali anche quella taoista - è che si comincia da una cosa praticissima, che è quella dell'attenzione al respiro. La meditazione, invece che essere su un testo, come è nell'Occidente, è sul respiro, cioè la cosa più semplice e più pratica che noi abbiamo vicino. E questo perché è importante? Perché noi, stando attenti al respiro, stiamo attenti a un flusso, perché il respiro è un andare e venire, e non è qualcosa di fisso, e quindi scopriamo, non teoreticamente, scopriamo la realtà dell'impermanenza, perché come il respiro va e viene, così tutta la vita va e viene. Gli amori, i dolori, la vita, la morte hanno questo andamento, di andare e venire. Questo. E in secondo luogo il respiro è una cosa eccezionale, che può capire anche un bambino, ti mette in comunicazione con l'esterno, cioè il respiro è, detto in termini molto semplici, la prova tangibile, concreta, che noi non siamo assolutamente degli atomi isolati, delle monadi, di qualcosa di indipendente, ma siamo, come dire, delle spugne oppure delle strutture porose, costituite di canali, costituite di interrelazioni, siamo delle funzioni. Quindi con il respiro, se uno sta attento al respiro, in effetti, riesce a capire senza leggersi i testi, senza leggere tante cose insomma, senza spaccarsi la testa.

STUDENTESSA: Professore, non va contro l'etica cristiana pensare che la nascita od anche la vecchiaia siano sofferenza?

Un attimo, chi l'ha detto questo? Cioè nel senso che la sofferenza per il buddhismo non è ontologica, come si dice in filosofia, cioè una condizione irreversibile, assoluta, perché altrimenti questo sarebbe pessimismo, cioè non ci si può redimere. Il Buddha ha fatto una considerazione molto semplice, cioè ha detto: tutto quello che ci accade è intriso di sofferenza, ma a che cosa è dovuta questa sofferenza? E' dovuta all'attaccamento. Perché noi soffriamo? Soffriamo soprattutto perché ci distacchiamo, cioè gli eventi della vita ci portano a staccarci da cose che amiamo, oppure, al contrario, ci portano ad attaccarci a cose che detestiamo. Questi sono i punti fondamentali del dolore. Poi c'è anche il dolore in senso fisico, quello più normale. Però i due tipi di dolore fondamentali, sono questi, cioè allontanarci da ciò che amiamo e avvicinarci o essere costretti a stare vicino a qualcosa che non ci piace. Però, se ci pensi, alla base di tutte e due queste cose che cosa c'è? L'attaccamento, l'attaccamento all'io, - capisci? - cioè io che soffro. Allora, per questo - faccio uno schema molto semplice - qual'è la radice dell'attaccamento? La radice dell'attaccamento è il desiderio, la passione sfrenata per qualcosa. Ma qual'è la radice di questa passione? E' l'io, cioè il pensare che io sono un qualcosa di compatto, di unico, di indipendente e relazionare tutta la vita a questo io, a questo centro. Allora il buddhismo dice: "Beh, proviamo a sciogliere questo io. E sciolto questo si scioglie quindi la causa del desiderio che è a sua volta causa dell'attaccamento. Capisci? Cioè, questo come schema. Questo è difficile poi da praticare, però è lo schema. Non so se ho risposto. Se vuoi: per la questione della nascita nostra, che non è solo sofferenza, anzi il buddhismo parla anche di gioia, solo che se tu ti attacchi alla gioia soffri. Capito? Cioè se tu vivi un momento eccezionalmente positivo e dici: "Ma questo finirà", o, al contrario, dici "Non vorrei che finisse mai", allora cominci a soffrire subito. Invece il problema è vivere il momento così com'è, così come si dà. Se è un momento doloroso, dire: "E' doloroso". Perché, se tu dici: "Ah, come soffro con questo dolore!", lo fai alla seconda, lo raddoppi, perché c'è il dolore fisico - per esempio, non so, dal dentista, oppure un altro -, però se tu dici: "Ah, come soffro!", incrementi questo e quindi, se vuoi, è una riduzione dei motivi della sofferenza.

STUDENTESSA: Fra il cristianesimo e il buddhismo apparentemente esistono dei punti di contatto, per esempio, quando si parla di altruismo oppure delle finalità che si pongono le due dottrine. Però, approfondendo poi questi argomenti, vedo che l'altruismo del buddhismo è diverso da quello del cristianesimo, poiché per il buddhismo l'individuo non solo è in relazione con gli altri, ma è anche costituito da altri e quindi agire per gli altri è come agire anche per se stessi, mentre nel cristianesimo è determinato semplicemente dall'amore. Quindi è possibile, oltre questi argomenti, cercare altri punti veramente in comune, fra le due credenze?

Ma a dirti la verità non lo so. Direi che, dal punto di vista storico- filosofico, si possono trovare moltissimi collegamenti. Per esempio, adesso c'è non so, ho conosciuto un sacerdote che si è laureato alla Gregoriana, qui a Roma, che ha cercato di fare il confronto tra la Vergine Maria e il Buddha. E ha fatto una tesi anche abbastanza plausibile, insomma cioè ha dei fondamenti. Allora io non entro nel merito di queste cose, che non saprei controllare. Non conosco e quindi questi rapporti non li considererei possibili. Faccio un discorso più semplice, e cioè - che è di carattere buddhista, questo, classico -, cioè al buddhismo non interessa tanto la teoria o le coincidenze teoriche o teologiche o religiose. Gli interessa quello che con una parola orrenda i nostri studiosi della religione hanno definito l'ortoprassi, cioè la prassi giusta. A me non interessa che tu sia buddhista, taoista o islamico o cose del genere. Basta che tu ti comporti bene. Capito? Cioè che tu non mi uccida nel caso limitato. Se vuoi banalizzare al massimo, è questo. Al buddhismo non interessa tanto trovare delle coincidenze. Se queste ci sono, meglio, però non è questo l'importante. Perché? Perché uno potrebbe benissimo trovare delle coincidenze e poi agire non di conseguenza. Capisci? Però sicuramente è importante trovare i luoghi comuni, più che quelli di contrasto, perché, sapete, se vogliamo trovare dei punti di contrasto, come è già stato fatto in passato, si dice: "Va bene, il buddhismo non ha un dio, noi ce l'abbiamo. Separazione totale, quelli sono pagani, noi siamo nella verità". Allora, su questa strada possiamo andare anche alla guerra civile, no? Mentre è meglio vedere, per esempio, tutta quella relazione di fasi della mistica cristiana con alcuni luoghi alti della meditazione buddhista.

STUDENTESSA: Mi scusi, secondo Lei si ricerca la salvezza nelle religioni orientali propri perché il cristianesimo è insufficiente, non permette un cammino individuale, intellettuale, di crescita interiore, come invece lo permette il buddhismo, quindi per raggiungere la saggezza suprema, mentre nel cristianesimo ci sono già dogmi previsti, solamente da seguire, non c'è più l'individualità?

Ma guardate, qua mi costringete a dire delle cose che non vorrei. Cioè, insomma, non è che il cristianesimo non porti la salvezza, il buddhismo... Cioè è che noi in gran parte della nostra storia individuale, sociale, storica, cioè storico-culturale, voglio dire, siamo stati, come dire, abituati a un tipo di cristianesimo forse non adatto a questo, e cioè troppo dogmatico, troppo dottrinario, troppo catechistico, troppo legato alla chiesa come istituzione, eccetera, eccetera. Ma non è che il cristianesimo in sé non possa dare dei grandi segni di salvezza. Questo non mi sentirei proprio di dirlo insomma, cioè non vorrei fare delle graduatorie, capito?

STUDENTESSA: No io dico, che in questo periodo comunque si ricerca la salvezza in Oriente, proprio perché è veramente questo cammino individuale.

Sì, qui, guarda, questo è verissimo, ma anche perché non si conosce più il cristianesimo. Cioè questo è il fatto, perché ormai i preti, nella maggioranza dei casi, almeno quelli che conosco io, non voglio generalizzare, ma fanno un po' di psicologia sociale, fanno gli assistenti sociali, non ti spiegano più, non cercano nemmeno di spiegarti, perché non si potrebbe spiegare un mistero, il grande e eccezionale pensiero della Trinità, di questo mistero: Padre, Figlio e Spirito Santo, non si azzardano nemmeno, forse giustamente, perché altrimenti le parrocchie e i patronati non vi sarebbero, sarebbero vuoti. E invece è meglio fare la partita di calcio, l'assistenza sociale eccetera. Cioè ci sono dei motivi, secondo me, di caduta della diffusione della cultura cattolica. Per esempio, questo fatto incredibile che la tradizione mistica cristiana è stata sempre poco divulgata, perché c'è sempre il pericolo che si vada al limite dell'eresia, perché poi sai la tradizione mistica, Marguerite Porète, per esempio, per dire una grande mistica cristiana, è stata sull'orlo dell'eresia, poi è stata condannata. Meister Eckhart, leggetevi Meister Eckhart, è una cosa eccezionale dal punto di vista del contenuto di spiritualità. Quindi, direi che, sì, adesso va di moda il buddhismo, e allora tutti pensano di trovare la salvezza nel buddhismo, ma anche perché si conosce poco e si è abbandonato, anche prima di conoscerlo, il proprio patrimonio, insomma. Adesso non vorrei fare la parte dell'avversario, ma qui non ci sono avversari, capite? Ci sono delle vie autentiche, delle vie che sono merceologicamente produttive, insomma, ecco.

STUDENTESSA: Riguardo a quelle che sono le preconcezioni e quindi tutto quello che si è acquisito nel corso della vita: questo non potrebbe essere una limitazione a quella che è la maturazione individuale?

No, la limitazione sarebbe quella di fermarsi e di considerare una verità buona una volta per tutte. Invece la maturazione è un processo praticamente senza fine, è un processo di liberazione costante da tutti gli attaccamenti non solo sentimentali, ma anche mentali, quindi gli attaccamenti alle dottrine. Quindi, quando si parla alla fine del vuoto, il vuoto non è un contenuto di una nuova verità, e quindi il vuoto come verità. Ma il colmo è - il colmo e culmine -, è quello del vuoto del vuoto. Cosa vuol dire questo? Superare anche l'attaccamento a questa ultima verità che noi abbiamo tentato di raggiungere o abbiamo raggiunto. Allora sì, veramente, l'uomo, l'individuo è veramente libero. Capisci? Però questo è il massimo della maturazione. Non vuol dire che allora uno è disperso, perché dietro ha tutto il processo di maturazione dovuto alla critica, al dubbio, alla ricerca. Capisci? E' esattamente il contrario.

STUDENTE: Buongiorno, noi abbiamo fatto la solita ricerca su Internet, abbiamo trovato degli argomenti molto interessanti, dei documenti molto interessanti e volevamo farli vedere. Innanzi tutto questa è la pagina più ricca che abbiamo trovato, è dell'Associazione Il Cerchio, che è un centro buddhista zen. Ci sarebbero molte cose da vedere, però volevamo chiederLe delle cose. Innanzi tutto riguardo al Sanboji - qui vediamo un'illustrazione -, che è il nuovo tempio zen che sta nascendo vicino a Parma. E su quest'altro monastero, che è già stato costruito e che è vicino a Milano, abbiamo trovato delle informazioni, di cui volevamo chiederLe: il Kanon Zendo, per esempio, che è questa specie...

Il Kanon Zendo è la sala dove ci si siede a meditare, può essere anche vuota.

STUDENTE: Poi del Zazen, e abbiamo sempre l'illustrazione.

Zazen è il periodo di tempo che si dedica alla meditazione.

STUDENTE: Poi abbiamo trovato su questa pagina, qua, della new age australiana, abbiamo trovato un punto di contatto che ci è sembrato molto interessante proprio con tutto il discorso buddhista ed è sulla reincarnazione e sul karma. E' un articolo molto interessante, che proprio afferma che siamo tutti vissuti prima. Volevamo chiederLe che correlazione c'era tra la new age e il buddhismo.

Oddio, la new age cerca di utilizzare in tutti i modi il buddhismo, anche se non si capisce che cosa sia la new age perché è un movimento talmente variegato, che va da tutte le erboristerie ai centri di astrologia, fino al new age di un certo livello. Cioè, è molto difficile parlare di new age, perché sono vari livelli dai più bassi e squallidi, ai più notevoli, anche dal punto di vista culturale. Quindi questa è un cosa, su cui non rispondo; prima perché non conosco bene, ma poi sarebbe da perderci troppo tempo. Invece il problema precedente, quello che citavi, a proposito di karma e reincarnazione, quello è un problema molto serio e molto importante, ma anche quello estremamente vasto. Io rispondo in maniera drastica, quasi cattiva insomma, cioè che non c'entra niente con il buddhismo. In particolare quest'idea della reincarnazione non esiste nel buddhismo e per un motivo molto semplice, perché il buddhismo in particolare - non dico il buddhismo in genere, proprio il canone buddhista - cerca in tutte le sue pagine di mostrare la relatività spazio-temporale dell'io. Quindi, se questo io, inteso come atomo, cioè come qualcosa di indipendente, in realtà non esiste, ma esiste come rete di relazioni, come potete che possa rinascere? Il concetto di rinascita o di reincarnazione è un concetto fortissimo, perché esige, per così dire, un'anima, che rimane sempre uguale, che passa di corpo in corpo. Questa è la vecchia tradizionale idea di reincarnazione. Ora questo nel buddhismo non esiste. Chiaro? Il discorso anzi, qui il Buddha fa dei discorsi molto semplici: "Come potete voi considerare la candela, accesa all'inizio della notte, identica a una accesa con lo stesso fuoco alla fine della notte?". E' uguale o è diversa? Non potete dire né che è uguale né che è diversa, perché la fiamma è sempre diversa, ma il combustibile è sempre uguale, e però non potete affermare né che c'è né che non c'è perché è identica. Quindi, insomma ci sono tutta un serie di cose, che fanno escludere il problema della reincarnazione nel buddhismo. L'altra questione è la questione del karma. E questa è ancora più difficile. Cerco di dirla in maniera più schematica possibile. Karma vuol dire legge dell'azione, neanche dell'azione dell'effetto, è la legge dell'azione, per cui un'azione ha un effetto, ogni azione ha un effetto. Tutto qua. Questo vuol dire il karma. E' assente l'idea della retribuzione o della condanna in base ad azioni buone o azioni cattive. Chiaro? Allora ovviamente nel buddhismo popolare, siccome, come tutti gli uomini nella terra, anche gli orientali, i buddhisti, hanno bisogno di rassicurazioni per l'avvenire, allora gli si dice: "Comportati bene in questa vita, perché se no, dopo, vai negli inferni, vieni mangiato dalle tartarughe, che tu hai fritto durante la vita". Oppure: "Perché tu adesso sei cattivo?". Perché in passato...". Ma in passato chi?, visto che il soggetto non è sempre lo stesso. Quindi anche il concetto di karma è un concetto che va preso relativamente, cioè come verità relativa. Nella convivenza civile va bene, per tenere buoni, diciamo, per condurre meglio la vita delle persone, ma dal punto di vista profondo il concetto di karma non ha consistenza, anzi il nirvana è liberazione dal karma, liberazione dal ciclo delle vite. Mentre in Occidente ha avuto un enorme successo, perché gli occidentali, molto più che gli orientali, hanno il terrore della morte e di quello che gli succede dopo la morte.

STUDENTESSA: Professore, la salvezza che si ricerca nelle filosofie di vita, nelle religioni e, quindi nella cultura orientale da parte dell'uomo è da intendere a questo punto come un distaccamento nei confronti delle materialità e quindi qualcosa che porti a una più elevata spiritualità o a questo punto è da intendere come qualcos'altro?

Guarda per fare e semplificare le cose, noi prendiamo questi oggetti, che sono simboli classici del buddhismo, di tutte le varie scuole. Ora prendiamo lo specchio. Lo specchio è una funzione metaforica molto chiara: noi dovremmo raggiungere la condizione per cui la nostra mente è come uno specchio. Ora l'idea buddhista è che la nostra mente è sempre uno specchio pulito, fin dall'origine, fin da quando nasciamo. Poi, le circostanze della vita, l'eccesso di cultura, l'eccesso di pregiudizi, eccetera, eccetera, sia culturali che individuali depositano polvere, depositano, oscurano questo specchio. Quindi il procedimento, che si attua attraverso la meditazione e le pratiche morali, eccetera, eccetera, dovrebbe quello di essere pulitura dello specchio, per riscoprire la lucentezza e la perfezione originaria. Ma che cos'è questa perfezione originaria? Non è altro che il fatto che tu riesci a rispecchiare la vita così com'è, senza dare giudizi - brutto, sbagliato, bello - in relazione ai tuoi interessi particolari. Cioè lo specchio, in realtà, pulito è la realizzazione del distacco completo, capisci, cioè del distacco dai giudizi, dai pregiudizi, dai preconcetti, eccetera, eccetera. Questo. E questo potrebbe essere anche riferito più che alla collana - qui abbiamo abbondato, perché la RAI abbonda sempre -, ma bastava un gioiello, bastava uno, perché il gioiello è la stessa cosa, è la mente assolutamente pura, la mente che ha raggiunto il risveglio, perché è trasparente. E questa trasparenza garantisce la luminosità. Ma cos'è che garantisce la trasparenza? L'abbandono, appunto, il distacco da qualsiasi pregiudizio, preconcetto, di nuovo.

STUDENTESSA: Ma questa trasparenza può essere anche sinonimo di semplicità?

Certo, è sinonimo di semplicità.

STUDENTESSA: Allora, riflettendo su questi oggetti, questo gioiello che noi abbiamo qua davanti, a me sinceramente non sembra eccessivamente semplice.

Non è semplice, perché è un po' sfarzoso, ha i colori.... In realtà, adesso, se vuoi una complicazione, ci sono delle scuole del II secolo d.C. che hanno elaborato, la ghirlanda di gioielli, per cui tutta la realtà è come formata invece che di elementi, di gioielli trasparenti. Per dire che cosa? Che nessun gioiello ha una luce propria. Ciascun gioiello ha la propria luce grazie alla luce di tutti gli altri. Quindi non c'è mai un gioiello privilegiato. E' per questo che hanno giustamente portato la collana perché è una rete di gioielli. E questo è il simbolo diciamo del mondo, ecco. Poi la campanella è un simbolo dell'impermanenza, perché il suono è una cosa che comincia, ha uno sviluppo, un apice e poi degrada e così è la vita e così è tutto quanto. E poi la ruota che voi trovate anche nella bandiera indiana, è il simbolo del dharma. Dharma si può tradurre in molti modi. Diciamo che canonicamente si traduce dottrina.

STUDENTE: Mi sembra che l'adesione, diciamo in massa, alle religioni orientali sia data, anche dalle carenze delle religioni occidentali, di una introspezione, di un'attenzione maggiore allo spirituale, quindi diciamo a qualcosa che vada oltre l'azione, dal momento che nonostante il cristianesimo dia molta importanza all'introspezione, in questo periodo viene data più importanza all'azione, alla buona azione, insomma a qualcosa di concreto. Eppure Lei prima ha detto che anche per il buddhismo invece è importante l'azione, forse è più importante l'azione. Quindi in che ottica si può vedere. Cioè mi ha completamente capovolto quello che io pensavo: la differenza fondamentale tra le due religioni.

L'idea buddhista è questa: che tu tanto più ti avvicini alle condizioni di specchio, della mente pura, automaticamente ti comporti così. Sarà un'illusione, sarà un'utopia, capisci, adesso io non giudico, però credo che sia così. Cioè non c'è una dottrina etica specifica nel buddhismo. C'è il duplice sentiero da seguire, però il fine ultimo è questo, è quello di avere la mente pura. Avendo la mente pura tu fai il bene automaticamente, indipendentemente dal dovere di fare il bene. Cioè non è una costrizione. Questa è l'idea. Capito? E' per quello che forse ha avuto più successo; però guarda che è molto più difficile così, che avere un catechismo che ti dice in ogni momento della vita: "Fai questo, fai questo, fai quell'altro". E' molto più difficile.

STUDENTESSA: Ma nel buddhismo non venivano a cadere i termini di bene e di male, per essere sostituiti, diciamo, con quelli di salutare e nocivo?

Sì. Cioè di bene e di male assoluto, capito. Ecco questo non c'è nel buddhismo, perché, a seconda delle circostanze, ci possono essere varie concezioni di bene e di male. In realtà è sempre, come dire, un'etica, usando questa terminologia occidentale, un'etica in situazione, cioè sono le situazioni che costruiscono il bene e il male.

STUDENTE: Ma questo distaccamento, cioè questo non attaccamento verso le cose, se porta ad una maggiore libertà a questo raggiungimento, diciamo, della mente come specchio, però non può portare anche ad una carenza di sentimento? Perché, noi sappiamo che proprio l'attaccamento per esempio ad una persona, quando ci si stacca poi ci si sente male, si piange e quindi si prova un sentimento forte e la stessa cosa quando ci si avvicina a questa persona amata, si sente questo sentimento, al contrario, positivo, questo non attaccamento non potrebbe portare ad una carenza di sentimento, ad un inaridimento, insomma?

Ma guarda, detto molto brevemente: il problema non è quello di non amare, è di rimanere attaccati all'innamoramento. Capito? Questo è il punto. Cioè ti faccio un esempio banale, che conoscete tutti, e cioè quello della madre iperpossessiva, che non è che esprima questa possessività perché è cattiva, lo fa per un eccesso d'amore, e fa dei disastri. Come minimo la figlia diventa anoressica, il figlio scappa di casa, eccetera. Cioè adesso faccio degli esempi così, però questo è un classico tipo di situazione in cui non è da dire che la madre deve uccidere il figlio, ma va a finire che lo uccide metaforicamente, ma quasi, no?, per eccesso di attaccamento. Hai capito? Quindi il problema è quello di avere, il distacco non è che è distacco assoluto, è distacco dall'eccesso di attaccamento a quella cosa. Guarda l'esempio più evidente è quello del medico che ho fatto in precedenza. Cioè il medico non è indifferente al malato, perché se fosse indifferente lo lascerebbe morire, ma non deve essere nemmeno troppo coinvolto nella malattia, se no soccomberebbe anche lui e non lo curerebbe neanche più. Capito? E questa è la stessa cosa con i sentimenti.

 

Da: http://www.storiadellereligioni.it/pasqualotto.htm

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