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Dzogchen e zen (Namkai Norbu)
La comprensione del rapporto tra Zen e Dzogchen è una questione quanto mai
attuale. In Occidente il buddhismo tibetano e il buddhismo Zen continuano ad
essere le forme più diffuse e praticate.
Ciò non è un caso, dato che entrambi sono riusciti a conservare una loro
vitalità nonostante secoli di decadenza del buddismo in Asia. Questo
è dovuto, almeno in parte, al loro approccio diretto, non graduale,
all'insegnamento buddhista, del quale rappresentano il culmine, rispettivamente,
per quanto riguarda le tradizioni dei tantra e dei sutra.
Negli ambienti
accademici occidentali e giapponesi gli studi sul rapporto tra il risveglio
immediato e quello graduale hanno ricevuto nuovo impulso da analisi accurate
degli importantissimi documenti ritrovati nel complesso di grotte diDunhuang, dovute
in gran parte agli studiosi giapponesi.
Inoltre il Sàmdan Migdròn una fonte di estrema importanza per questo argomento e
per questo periodo, è stata recentemente pubblicata. [Al tempo di Padmasambhava
c'era un suo grande discepolo, Nubchen Sangyas Yeshes che aveva scritto un libro
molto bello il Samdam Migdron: Samdam significa contemplazione e Migdron
significa la luce degli occhi.
E' uno dei testi più importanti sugli insegnamenti Dzogchen, ma non è un tantra.
Il maestro che l'ha scritto è un autore umano. Si potrebbe dire che questo è il
testo che spiega più chiaramente la differenza tra la tradizione cinese del
buddhismo e l'insegnamento Dzogchen, ilMahayana tibetano e il tantrismo].
Nel Samdan Migdron viene operata una distinzione chiara e precisa tra
l'approccio graduale - basato sui sutra - di Kamalashila (il grande maestro
indiano), l'approccio non graduale - sempre basato sui sutra - di Ha shang
Mahayana (il rappresentante principale del buddhismo cinese Ch'an nell'antico
Tibet, il tantrismo del sistema Mahayoga
- che sarà conosciuto in seguito come la tradizione Nyingma del buddhismo
tibetano – e, infine, l'Atiyoga o Dzogchen, introdotto in Tibet da maestri come
Padmasambhava, Vimalamitra e Vairocana.
Comprendere queste distinzioni è la chiave per comprendere il rapporto tra lo
Dzogchen e lo Zen. Una
via graduale considera necessario progredire lentamente, passando attraverso una
serie di stadi, per raggiungere l'obiettivo finale, l'illuminazione.
Si ritiene che l'individuo possieda impedimenti di natura più grossolana e più
sottile che sono gli sono di ostacolo per la manifestazione dell'illuminazione;
gli impedimenti vanno affrontati passo dopo passo, dal più grossolano al più
sottile, soprattutto attraverso l'applicazione di antidotiappropriati.
Questo percorso è compendiato nelle "Cinque vie": c'è uno stadio preparatorio(sambharamarga),
in cui si accumulano i requisiti per questo lungo cammino che porta (prayogamarga)
a un'osservazione diretta di sé stessi e della realtà (darsanamarga) che elimina
gli impedimenti che possono essere eliminati solo dall'osservazione interiore.
Ma ci sono anche impedimenti più sottili che devono essere eliminati con una
costante attenzione nello stato della coltivazione (bhavanamarga), che consiste
fondamentalmente nell'Ottuplice Nobile Via.
Nel Mahayana si dice che i dieci stadi del Bodhisattva siano percorsi attraverso
la pratica delle "cosiddette" perfezioni (paramita): generosità, condotta etica,
diligenza, pazienza, concentrazione meditativa e discernimento. Infine si
raggiunge lo stadio oltre l'apprendimento (asaiksamarga) l'obiettivo finale ,
abuddhità.
Si dice che il bodhisattva pratichi in questo modo per tre eoni prima di
raggiungere l'obiettivo. In questo sentiero graduale il bodhisattva cerca sempre
di unificare la compassione come azione appropriata (operando sul livello della
verità relativa) con il discernimento del vuoto – sunyata - (operando sul
livello della verità assoluta).
Inoltre le pratiche meditative di calma (samatha) e osservazione interiore (vipasyana)
sono anch'esse praticate in maniera graduale, concentrandosi su diversi
soggetti. In particolare l'osservazione interiore viene sviluppata in modo
piuttosto intellettuale, prima attraverso lo studio, poi ragionando su ciò che
si è studiato e infine, attraverso l'esperienza di meditazione sul soggetto
studiato.
L'approccio non graduale riconosce che la radice di tutti gli impedimenti è il
dualismo e che il dualismo può essere superato solo inmodo diretto con tutte le
proprie forze costantemente rivolte verso questa cura radicale.
Questo porta a un tipo di pratica meditativa come lo zazen, che procede a
unificare immediatamente calma e osservazione interiore, azione appropriata e
discernimento [E' scritto nel "Sutra della base" attribuito ad Huineng, il Sesto
Patriarca della setta Ch'an: "Buoni ed egregi amici, calma e saggezza sono le
basi del mio metodo: prima di tutto, non cadere nell'errore che esse siano
distinte.
Esse sono un'unica sostanza e non due. Calma è la sostanza della saggezza e
saggezza è la funzione della calma. Ogni volta che la saggezza è in azione, la
calma è in essa. Ogni volta che la calma è in azione, la saggezza è in essa]
Inoltre in questo approccio, studio intellettuale e ragionamento sulla sunyata
non sono considerati prerequisiti necessari alla sua comprensione immediata e
diretta.
In
questo carattere diretto è la somiglianza tra Zen e Dzogchen. Potremmo
riassumere questi insegnamenti dei sutra graduali e non graduali, con i famosi
versi dell'opera fondamentale di Nagarjuna, Mulamadhyamakarika: Dalla
distruzione delle passioni e delle azioni karmiche (che da esse risultano),
sorge la liberazione.
Passioni e azioni karmiche sono il frutto di finzioni concettuali. Queste
nascono dall'attività denominatrice (dualistica) della mente, che viene bloccata
dalla sunyata. Le tradizioni graduali e non graduali, rappresentano dunque
approcci più o meno rapidi o diretti alla realizzazione della sunyata; questo
carattere diretto dipende dall' "acume spirituale", dall'acutezza delle facoltà
dell'individuo. Va ricordato che i sutra sono basati principalmente su un
principio di rinuncia o eliminazione degli ostacoli. In questo senso la sunyata
è l'antidoto supremo per i seguaci dei sutra.
Lo Zen, come insegnamento della "natura di Buddha intrinseca" (tatagatagharbha)
in tutti gli esseri senzienti, rappresenta per la tradizione tibetana una specie
di transizione al tantrismo. Negli insegnamenti di "transizione" si apre una
comprensione della sunyata che va al di là della considerazione in funzione di
antidoto. In questa comprensione la sunyata si manifesta in modo positivo: non
si tratta più di un semplice antidoto.
Poi il Sandan Migdron, procede a spiegare la superiorità del tantrismo rispetto
all'insegnamento non graduale di Hashan Mahayana. Esso
è considerato superiore perché il suo metodo è superiore. Nel tantrismo le
passioni sono trasformate attraverso la visualizzazione e attraverso la
manipolazione delle energie fisiche che sono il loro supporto.
Questo metodo è considerato più rapido di quello di applicare antidoti. In
effetti, esso presuppone l'antidoto della comprensione della sunyata di cui si è
detto; in altre parole, un atteggiamento riflessivo inibisce dal trasformare la
propria esperienza attraverso l'immaginazione fino al punto di vedere sé stessi
come un essere divino in un palazzo - mandala -, una pratica centrale del
tantrismo.
In termini tantrici sunyata è anche una presenza radiante piena di immagini
assai vivide; sviluppando l'esperienza di questa presenza le passioni possono
essere trasformate e riportate al loro stato originario, che è chiarezza e osservazione
interiore. In questo caso le passioni non sono né evitate né ignorate ma solo,
al contrario, accettate e incoraggiate per essere trasformate.
E' superfluo aggiungere che un approccio di questo tipo richiede un metodo
particolare e preciso, e da questo deriva il suo carattere esoterico e
"segreto".
Potremmo spiegare questa differenza tra gli insegnamenti dei sutra e tantra in
un altro modo, prendendo in considerazione, invece del modo in cui essi
comprendono la realtà assoluta - sunyata - il modo in cui essi vedono la realtà
relativa della nostra esperienza basata sui sensi.
Nei sutra la realtà relativa, sintetizzata dai nostri cinque costituenti
psicofisici (skanda), è sempre vista come qualcosa di "impuro". E' il nostro
mondo ordinario, soggetto e oggetto di attrazione, repulsione o indifferenza.
Nel tantra, d'altronde, questa realtà è vista come primordialmente "pura'' e
trasparente. In questa visione trasfigurata i cinque skandha come soggetto sono
i Buddha delle Cinque Famiglie, mentre i cinque elementi (terra, fuoco etc…)
come oggetto sono le controparti femminili, con le quali sono in unione beata.
Questa visione trasfigurata richiede sforzo e immensa concentrazione. I tantra
più bassi, per esempio, danno grande enfasi alla purificazione ("Quando le porte
della percezione saranno purificate, ogni cosa sarà vista come è infinita") per
poter raggiungere questa trasformazione.
I tantra più elevati si basano più direttamente sulle capacità dell'individuo di
visualizzare e di lavorare con le proprie energie fisiche sottili. Il Samdan
Migdron procede, quindi, con lo spiegare la superiorità dell'Atiyoga su questa
via tantrica di trasformazione. C'è molta confusione riguardo al rapporto dello
Dzogchen con il Tantrismo. Nel sistema delle scuole Nyingmapa c'è una divisione
in nove dei perseguimenti spirituali (yana).
Ci sono i tre perseguimenti ordinari e comuni dei sutra: quello degli dei e
degli uomini (un sentiero mondano che conduce semplicemente a una migliore
rinascita attraverso una condotta virtuosa, per esempio), quello degli Sravaka e
Pratyekabuddha (il cosidetto Hinayana) e quello dei Bodhisattva del Mahayana.
Ci sono poi i tre
tantra esterni: Kriya, Carya e Yoga.
Infine ci sono i tre perseguimenti interni, i più elevati: Mahayoga, Anuyoga e
Atiyoga. Come già accennato, i tre perseguimenti ordinari insegnano
principalmente la via della rinuncia, i tre tantra esterni principalmente la via
della purificazione e i tre tantra interni la via della trasformazione.
Sembrerebbe da questo schema che l'Atiyoga - lo Dzogchen - appartenga al
sentiero della trasformazione, ma non è così.
Lo Dzogchen non è basato su di un principio di trasformazione attraverso la
pratica del mandala, ma su quello della libertà e auto liberazione. Esso insegna
che lo stato primordiale dell'individuo - di solito chiamato rigpa o chan chub
sem, bodhicitta - è un grande mandala spontaneamente generato e perfettamente
completo.
Comprendendo ciò, le passioni e le azioni karmiche sono naturalmente liberate
appena si manifestano, senza che ci sia niente da respingere o i mezzi per
farlo. Così esso supera il sentiero della rinuncia.Dato che questo stato
primordiale dell'essere non può essere macchiato dalle passioni e dalle azioni
karmiche che sorgono da esse, come la superficie di uno specchio non può essere
mutata dalle immagini che vi appaiono, non vi è niente da purificare né alcun
agente di purificazione.
Così, esso supera il sentiero della purificazione. Inoltre, poiché in questa
condizione primordiale cessa anche lo sforzo per raggiungere una visione
trasfigurata del mondo, non c'è niente da trasformare né alcun mezzo di
trasformazione.
Per questo vengono usati termini come "spontaneamente perfetto" (lhun drub)
"grande purezza primordiale'' (ka dag chenpo), "stato di totale perfezione" (Dzogchen)
e "stato di totale e pura presenza'' (chanchub sems). Anche la parola tantra nel
suo significato più profondo si riferisce a questo stato che è la condizione
primordiale, inalienabile, della corrente di consapevolezza dell'individuo.
I tantra della via di trasformazione, comunque, utilizzano principalmente metodi
speciali come divinità, mantra, mudra, samaya, etc… per compiere questa
trasformazione. Il metodo speciale dello Dzogchen, invece, è libertà e auto
liberazione intrinseche.
Nella scuola di Kamalashila grande importanza è data allo studio, alla
preparazione, allo shinè (sàmatha) e, per esempio, per superare l'ira, alla
concentrazione sulla compassione. Gradualmente attraverso questi sforzi si
raggiunge la condizione in cui non si è disturbati dai pensieri. Cioè, si lavora
al massimo sulla condizione relativa; poi gradualmente attraverso tutto ciò si
arriva alla verità assoluta.
Per quanto riguarda il sistema dei buddhisti cinesi, esso non fu inventato o
creato da loro, ma seguirono e si ispirarono, soprattutto a certi sutra come il
Lankavatara. In questo sutra si parla di una persona che fin dall'inizio si
sforza di raggiungere la realtà assoluta; questo principio è lo stesso principio
esposto e spiegato dal rappresentante cinese in Tibet, Hashan Mahayana.
Egli era l'undicesimo nella tradizione il cui iniziatore aveva introdotto in
Cina quella conoscenza e modo particolare di vedere, conosciuto come Ch'an. Nel
testo Samdan Migdron questi dieci maestri che avevano introdotto ed esposto la
nozione di mirare alla condizione assoluta dall'inizio.
Il loro principio è qualcosa di molto semplice. Per esempio, se non si hanno
pensieri, allora l'oggetto del pensiero non esiste. Se non vi è oggetto, allora
non vi è neanche pensiero. Cioè, entrambi sono relativi. Ma quando entrambi sono
relativi, ci troviamo nella condizione assoluta.
Questo non è un procedimento che, attraverso un metodo di ragionamento, cerchi
di definire o portare al sunyata. Nell'approccio non graduale si cerca di
trovare se stessi, attraverso la pratica, con l'esperienza, nello stato non
duale e, questo è ciò che intendevano per trovarsi in uno stato non disturbato
dai pensieri,che è veramente la verità o condizione assoluta.
Infatti il sistema di Hashan insisteva molto su questo concetto spiegando che se
ci si trova in questa condizione, non ha più bisogno di alcun insegnamento,
metodo o regola. Ma attenzione: se ci si trova in questa condizione. Poi
proseguiva affermando che se ci si trova in questa condizione e un pensiero
sorge, bene o male sono la stessa cosa. Per esempio, non c'è differenza se a
coprire il sole è una nuvola bianca o una nuvola nera.
Ma questo modo non è mai piaciuto a tutte le scuole che seguivano l'esempio di
Kamalashila, perché tutti i suoi insegnamenti insistevano sul fatto che
lavorando sul relativo, sviluppando sé stessi nel relativo, si finisce con
l'arrivare alla verità assoluta.
Su questo punto l'insegnamento Dzogchen è molto simile a quello cinese dei
buddhisti Ch'an. Anche negli insegnamenti Dzogchen esiste la stessa spiegazione
sulla relatività del bene e del male. Ma ciò non significa che nello Dzogchen si
rinunci o trascuri la condizione relativa.
Come dicevo, se vi trovate in questa condizione assoluta; ma se non vi trovate
in questa condizione, è naturale che non trascuriate le cose relative. Così si
può capire che il metodo dello Dzogchen mira a trovarsi nella condizione
assoluta. Questo principio è un elemento comune tra Zen e Dzogchen. Ma non
dovete pensare che siano la stessa cosa. I due metodi sono differenti. Uno come
la via della rinuncia e l'altro come la via dell'autoliberazione.
Sin dall'inizio, nel principio, questi insegnamenti sono molto diversi. Quando
si parla di un insegnamento, esso ha sempre una base, poi la sua via e la sua
realizzazione o risultato.
Lo Dzogchen è sempre stato chiamato l'insegnamento dell'autoperfezione. Ciò
allude all'individuo che è dall'origine auto perfezionato. Il fine dello
Dzogchen non è di arrivare al vuoto, sunyata. Nel buddhismo dei sutra il fine è
sunyata, che significa mirare a ciò che chiamiamo la verità assoluta.
Nel Samdan Migdron c'è un esempio molto chiaro al riguardo: "Quando dei semi
sono caduti sul terreno e siete occupati a raccoglierli, voi non guardate la
terra". Mentre cercate i semi è a essi che mirate, è su di essi che siete
concentrati, non sulla terra. Un altro esempio che dà è: "Quando cercate di
infilare un ago e non vedete bene la cruna lo sollevate contro la luce, verso il
cielo, per farvi passare il filo.
Anche se la vostra faccia e i vostri occhi sono rivolti verso il cielo, non lo
vedete, perché state guardando solo la cruna dell'ago". Questi sono esempi molto
chiari. Ci fanno capire molto bene cosa significa quando si diceche si è diretti
verso le due verità o diretti verso la sunyata.
Questo è un modo di comprendere molto efficace anche per il metodo di
trasformazione tantrico. Il tantrismo è per l'appunto una via di trasformazione,
non di rinuncia. Quando c'è un metodo per trasformare le cose, c'è anche un
metodo per integrarle.
Ritornando all'esempio dei semi sul terreno, in questo caso, non guardiamo i
semi, guardiamo la terra. La terra qui è un simbolo della nostra condizione
primordiale, conosciuta anche come tantra. Ma bisogna ricordare che il processo
di trasformazione si attua attraverso la concentrazione, e dipende da essa. Se
qualcuno vuole trasformare una dimensione come questo luogo in qualcosa di
diverso deve prima di tutto concentrarsi.
Nella pratica di trasformazione questa concentrazione può diventare reale per
quella persona. Quando questa trasformazione è divenuta reale, allora sunyata -
il vuoto - è stato automaticamente realizzato.
Non che sunyata, il vuoto, sia un fine al quale bisogna mirare, un obiettivo da
raggiungere. Piuttosto è la condizione stessa della dimensione manifestata. Poi,
attraverso la manifestazione del mandala, si reca beneficio agli altri esseri.
Questo è peculiare della via della trasformazione, il tantrismo. Dal punto di
vista dello Dzogchen, tuttavia, anche questa è una forma di via graduale, perché
nell'insegnamento dello Dzogchen il principio è quello dell'autoperfezione.
Autoperfezione significa che il cosiddetto obiettivo non è altro che la
manifestazione dell'energia dello stato primordiale dell'individuo stesso. Chi
pratica lo Dzogchen deve possedere una chiara conoscenza del principio
dell'energia e di ciò che esso significa. Il principio dell'insegnamento
Dzogchen è l'autoperfezione, lo stato di essereperfezionato dall'origine di ogni
individuo.
Un altro modo di dire è che lo stato primordiale dell'individuo, la condizione
di ognuno, ha essenza, natura ed energia. Si potrebbero spiegare questi tre
elementi relativamente al processo del pensiero dell'individuo e alla sua
osservazione. I pensieri nella loro "essenza", se si cerca di esaminare la loro
origine-esistenza-cessazione, non possono essere localizzati o confermati, e
sono perciò "vuoti".
Eppure essi continuano, e questa è la loro "natura", che è una specie di
"radianza" o "chiarezza" (gsal ba). In questa radianza continua, i pensieri
hanno anche la loro "energia", che è il loro incessante potere, che può portarci
a giudicare e alle azioni karmiche o a mantenere uno stato di pura presenza(rigpa)
senza giudizio, indipendentemente da come questa energia si manifesti.
Gli insegnamenti dei sutra mirando all'esperienza di sunyata, coltivano
soprattutto l' "essenza".
Gli insegnamenti tantrici lavorano soprattutto con la "natura" come presenza
radiante o, più precisamente, sull'unità dei primi due aspetti. Lo Dzogchen
spiega che la sua base, lo stato primordiale dell'individuo, è l'unione di tutti
e tre; attraverso questa comprensione esso ha metodi speciali, quali la pratica
del thodrgal, per lavorare sul terzo aspetto: l'"energia".
Attraverso essenza-natura-energia si spiega come si manifestino i tre corpi,
trikaya .Si spiega la manifestazione attraverso ciò che chiamiamo energia. Il
modo di manifestarsi può essere come soggetto o oggetto. A tal riguardo parliamo
di zal e rolba, due modi in cui l'energia si può manifestare. Limitarsi ad avere
un concetto intellettuale di energia non è sufficiente, bisogna applicare questa
conoscenza dell'energia nella pratica.
Utilizzando la propria energia si arriva a ciò che chiamiamo "realizzazione
totale". Per comprendere meglio questa spiegazione su come funzioni l'energia,
diciamo qualcosa in più su quell'energia chiamata zal .
Zal si riferisce al modo in cui l'energia si manifesta come oggetto. Per usare
l'esempio di un cristallo, se mettiamo un cristallo dove cade un raggio di sole,
vediamo dappertutto nella stanza una serie di manifestazioni di luce in tutti i
colori dell'arcobaleno.
In tal caso il cristallo rappresenta lo stato dell'individuo, lo stato
perfezionato dall'origine. Ora, se dal cristallo si riflettono tutte queste luci
colorate, questo è un modo di comprendere come il nostro modo di vedere le cose
si manifesti, che si tratti di visione pura o impura. Quando parliamo di visione
pura un individuo ha la capacità di vedere o percepire direttamente l'essenza
dei cinque elementi che si presentano in forma di colori.
Quando parliamo di visione impura un individuo dà considerazione alla
materialità piuttosto che all'essenza degli elementi, che è luce. Entrambe le
visioni, pura e impura, sono sempre l'energia dell'individuo stesso in azione.
La luce che si riflette dal cristallo manifestandosi magari in diversi colori è
pur sempre la luce che emana da quel cristallo.
L'altro modo in cui l'energia si manifesta è rolba. In questo caso le cose si
manifestano come se fossero nel soggetto, soggettivamente. E' come se stessimo
guardando in uno specchio. Qui dovremmo pensare che il nostro stato primordiale
è come uno specchio. Qualunque cosa si trovi davanti allo specchio vi può essere
riflessa.
Se si guarda lo specchio dall'esterno ciò che vi si riflette può apparire bello
o brutto. Ma riflessi belli o brutti non fanno differenza allo specchio stesso e
ciò che è nello specchio non può manifestarsi fuori dallo specchio e dalla sua
capacità di riflettere.
Questo è ciò che chiamiamo rolba, un altro modo di manifestarsi dell'energia.
Quando pratichiamo la via della trasformazione, ad esempio, ci concentriamo su
molte cose al di fuori della nostra condizione reale attuale. Su qualunque cosa
ci stiamo concentrando, usando metodi tantrici, è ancora una manifestazione
della nostra energia, che è rolba. Molte persone credono che, quando fanno certi
tipi di visualizzazione, sia una specie di fantasia.
E' vero che è una fantasia, ma è una fantasia che diventa reale. Perché può
diventare reale? Perché il livello dell'energia che chiamiamo rolba appartiene
allo stato primordiale dell'individuo. Per tal motivo è molto importante per il
praticante Dzogchen saper usare questa energia. Quando si sa usare questa
energia, quando si manifesta, non c'è nulla a cui rinunciare, niente da
trasformare.
Quando parliamo della via di auto liberazione, non vi è né un concetto di
rinuncia, perché è sempre la mia energia a manifestarsi, né vi è un concetto di
trasformazione, perché il principio è che mi trovo in uno stato di pura presenza
di contemplazione. Se io mi trovo per un istante nello stato di contemplazione,
allora da quel punto di vista ira e compassione sono un'unica cosa e bene e male
sono un'unica cosa. In quella condizione non è necessario fare niente; si è
liberi, perché ci si trova nella propria dimensione di energia senza fuggire e
senza rinunciare a nulla.
Questo è il principio della via chiamata di auto liberazione. Non vuol dire che
dobbiamo fare qualcosa e crearne così le conseguenze. Non significa non fare e
bloccare i pensieri. Fare qualcosa e non farlo sono la stessa cosa, sono sullo
stessolivello di azione. Ma questo non significa che ci si perda abbandonandosi
a sé stessi con distrazione, senza mantenere uno stato di presenza. Abbiamo un
esempio di un grande maestro Dzogchen, Yundon Dorje Bal, contemporaneo di
Longchenpa e del terzo Karmapa Rangyung Dorje.
Un giorno un visitatore
andò da lui e gli disse: "Voi praticanti Dzogchen state sempre a meditare,vero?"
e il Maestro gli rispose: "E su cosa, secondo te, starei meditando?", perché il
concetto di meditazione implica già che si faccia qualcosa, che ci debba essere
qualche tipo di concetto; "Ah" – fece il visitatore – "allora voi praticanti
Dzogchen non meditate?". E il maestro rispose: "Sono forse mai distratto?". In
queste due risposte potrete trovare la
conclusione dello Dzogchen.
Da:
http://manas-vidya.blogspot.it/2009/11/namkai-norbu-dzogchen-zen.html
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