in quiete
Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

"La conoscenza di Dio non si può ottenere cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano la trovano"
(Bayazid al-Bistami)

"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un accattone"
(Yun Men)

  home page   cerca nel sito   iscrizione newsletter   email   aggiungi ai preferiti   stampa questa pagina    
 

 

  SU DI ME
 Vita       
 Pubblicazioni

 Corsi, seminari, conferenze

 Prossimi eventi
 
  DISCIPLINE
 Filosofia antica       
 Mistica
 Sufismo
 Taoismo
 Vedanta              
 Buddhismo              
 Zen
 Filosofia Comparata
 Musica / Mistica
 Filosofia Critica
 Meditazione
 Alchimia
 Psiché
 Tantrismo
 Varia
 
  AUTORI
 Mircea Eliade       
 Raimon Panikkar
 S.Weil e C.Campo
 René Guénon, ecc.
 Elémire Zolla     
 G.I.Gurdjieff  
 Jiddu Krishnamurti
 Rudolf Steiner
 P. C. Bori       
 Silvano Agosti
 Alcuni maestri

 

Prof. Pier Cesare Bori

Teologia politica e diritti umani
Relazione presentata al convegno Teologie politiche dei monoteismi,
Piacenza 31 ottobre-2 novembre 2002. E’ una stesura provvisoria, incompleta e non riproducibile


1. La formulazione del titolo accosta in maniera non consueta due realtà distanti fra di loro.
“Teologia politica” sembra riportarci a un passato lontano, ci parla di antiche regimi e di rapporti tra sfera religiosa e sfera politica in cui la religione, comunque si intenda la formula “teologia politica”, ha un ruolo che oggi più non le appartiene.
Invece l’articolo della Dichiarazione dei diritti umani del 1948 - “Tutti gli uomini nascono liberi e eguali in dignità e diritti. Sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in uno spirito di fraternità” - evoca l’illuminismo, le rivoluzioni moderne, le crisi e le speranze del secolo appena trascorso.
Ci sembra chiaro che questo testo, con la cultura che vi si riflette, rappresenta una importante, feconda e imprescindibile novità, rispetto a quanto di sapienza morale e giuridica le tradizioni abbiano potuto esprimere.

2. Eppure da molte parti ciò viene negato. Si tratta di punti di vista assai differenti tra di loro e solo alcuni di questi sfociano nel rifiuto della prospettiva dei diritti umani come prospettiva particolare dell’Occidente, ma il punto che li accomuna è che essi insistono non solo sulla priorità ma anche sul primato delle culture tradizionali rispetto all’idea di diritti umani.

a) Simone Weil che, proprio all’inizio de La prima radice, avendo dinanzi il problema di come «radicare un popolo»: quale cultura, quale etica per la Francia, quando fosse uscita dalle rovine, anzitutto morali, della seconda guerra mondiale, sostiene una posizione antitetica alla prospettiva dei diritti. Occorre piuttosto recuperare l'idea di obbligo verso l'essere umano in quanto tale, a partire dal bisogni concreti, primo fra questi il cibo.

Quest'obbligo non si fonda su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui costumi, né sulla struttura sociale, né su rapporti di forza, né sull'eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Poiché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo...Quest'obbligo non si fonda su nessuna convenzione...Quest'obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell'essere umano...Quest'obbligo è incondizionato. Se esso è fondato su qualcosa, questo qualcosa non appartiene al nostro mondo. Nel nostro mondo, non è fondato su nulla...Quest'obbligo non ha fondamento, bensì una verifica nell'accordo della coscienza universale. Esso è espresso da taluni dei più antichi testi che ci siano conservati. Viene riconosciuto da tutti e in tutti i casi particolari dove non è combattuto dagli interessi o dalle passioni. Il progresso si misura su di esso...Benché quest'obbligo eterno risponda al destino eterno dell'essere umano, esso non ha per suo diretto oggetto quel destino...L'obbligo è adempiuto soltanto se il rispetto è effettivamente espresso, in modo reale e non fittizio; e questo può avvenire soltanto mediante i bisogni terrestri dell'uomo. La coscienza umana, su questo punto, non ha mutato mai. Migliaia di anni fa gli egiziani pensavano che un'anima non possa giustificarsi dopo la morte se non può dire:«Non ho fatto patire la fame a nessuno» Tutti i cristiani sanno di dover udire, un giorno, Cristo dire loro: «Ho avuto fame e tu non mi hai dato da mangiare».. Far sì che non soffra la fame quando si ha la possibilità di aiutarlo è dunque un obbligo eterno verso l'essere umano. Essendo quest'obbligo il più evidente esso dovrà servire come esempio per comporre l'elenco dei doveri eterni verso ogni essere umano...

b) Un chiaro esempio di incomprensione della novità e specificità dell’idea di diritti umani. è nella reazione di Gandhi, a un questionario concernente una possibile “Dichiarazione dei diritti umani”:

Ho imparato da mia madre illetterata ma molto saggia, che tutti i diritti dell'uomo degni di essere meritati e conservati sono quelli dati dal dovere compiuto. Così lo stesso diritto alla vita ci viene soltanto quando adempiamo al dovere di cittadini del mondo. Secondo questo principio fondamentale è probabilmente abbastanza facile definire i doveri dell'Uomo e della Donna e collegare ogni diritto a un dovere corrispondente che conviene compiere in precedenza. Si potrebbe dimostrare che ogni altro diritto è solo un'usurpazione per cui non val la pena di lottare”(I diritti dell'uomo 1952).


c) Nella stessa direzione muove chi sostiene che la tradizione – la propria – contiene elementi sostanzialmente equivalenti ai diritti umani, di cui si sottilinea la matrice escusivamente occidentale. Raimundo Panikkar (ma se il suo pensiero è molto complesso), quando ha sostenuto che

nella tradizione indiana la parola dharma è forse il termine più appropriato per portarci alla scoperta di un eventuale simbolo omeomorfo corrispondente alla nozione occidentale di “Diritti dell’uomo” (Panikkar 1990, 42).

d) Fred Dallmayr, in un suo recente saggio su “’Valori asiatici’ e diritti umani globali” si ricollega a una significativa e importante produzione di studiosi che rivendicano l’originalità e la specificità della concezione di giustizia confuciana rispetto alla prospettiva occidentale dei diritti umani.

e) Nonostante le evidenti differenze di contesto culturale, l’ideologia delle dichiarazioni islamiche dei diritti dell’uomo (Redisi 2000) converge nel rivendicare la priorità di una tradizione, quella islamica, quanto a riconoscimento della naturale dignità umana e dei doveri cui corrispondono diritti. L’islam ritiene di essere la religione della fitra, della creatura umana originaria(Bori 1995, 98).

3. In modo molto diverso – talvolta come rivendicazione polemica, talvolta invece in vista di una convergenza – questi punti di vista finiscono per indebolire l’originalità dell’acquisizione dell’idea (cui è legata strettamente una prassi) dei diritti mani, negandone la novità e spesso anche l’universalità. Michael Ignatieff nel suo libro Human Rights as Politics and Idolatry richiama tutte le obiezioni che sone venute alla prospettiva dei diritti umani non solo dall’esterno dell’orizzonte occidentale, ma dall’interno di questo, da parte di critici che legano l’universalità dei diritti umani, che sarebbero funzionali al processo di globalizzazione.
Risponde Ignatieff: i diritti umani sono legati alla cultura europa e specificamente alle tre rivoluzioni, inglese, americana, francese, e la Dichiarazione è il frutto tardo-illuministico, autocritico di una cultura occidentale che usciva dai disastri causati dalla idolatria dello stato-nazione. Ad essa si rinfaccia di essere espressione dell’individualismo occidentale, ma è proprio questo il nucleo che più regge alla prova dell’universalità.

It remains true, therefore, that the core of the Declaration is the moral individualism for which it is so reproached by non-Western societies, It is this individualism for which Western activists have become most apologetic, believing that it should be tempered by greater emphasis on social duties and responsibilities to the commu nity. Human rights, it is argued, can recover universal appeal only if they soften their individualistic bias and put greater emphasis on the communitarian parts of the declaration... This desire to water down the individualism of rights discourse is driven by a desire both to make human rights more palatable to less individualistic cultures in the non-Western world and also to respond to disquiet among Western communitarians at the supposedly corrosive impact of individualistic values on Western social cohesion.
But this tack mistakes what rights actually are and misunderstands why they have proven attractive to millions of people raised in non Western traditions. Rights are meaningful only if they confer entitlements and immunities on individuals; they are worth having only if they can be enforced against institutions such as the family, the state and the church (Ignatieff 2001, p. 66 s.)

4. Mentre concordo sulla posizione di fondo di Ignatieff, che sottintende una importante distinzione tra origine particolare e valore universale dei diritti umani, vorrei apportare una precisazione quanto alla genesi della prospettiva diritti umani, ricollegata - sembra - da questo autore a una reviviscenza illuministica della tradizione antica del diritti naturale.
E’ questa una posizione diffusa. Gerhadt Oestertlich (contro G. Jellinek e M. Weber) insiste sul ruolo dello stoicismo:

Lo stoicismo antico, con la sua accentuazione della natura razionale dell’uomo e con una dottrina dei doveri che già in sé racchiudeva una dottrina dei diritti, venne risuscitato, alla fine dei XVI secolo, in special modo dal tardo umanesimo dei Paesi Bassi. Alla riscoperta dell’antico diritto di natura esso fornì un fondamento essenziale, talvolta unendosi alla dogmatica cristiano-teologica, talvolta inserendosi del sistema di valori umanistico e neostoico (Oesterlich, 2001, 36, cfr, Gozzi 2001, XXI s.).

Anche Jacques Maritain (che era forse il destinatario delle polemica della Weil, come fautore della Dichiarazione come documento pragmatico, al di là delle differenti visioni del mondo) rivendicava, sotto il profilo della origine storica, il ruolo essenziale del “retaggio greco e cristiano”, anche se, nel pensiero del filosofo neotomista, la legge naturale è come tale universale (partecipando della legge eterna, che stabilisce i doveri e diritti umani) ed è conoscibile da ognuno per “connaturalità” (L’uomo e lo stato 1989, 78).
Questa tesi che mira a ricondurre i diritti umani direttamente a radici più remote della storia della cultura occidentale mi pare poco credibile, se non si afferma al tempo stesso una netta cesura, riconoscendo alla cultura dei diritti umani il carattere di una novità imprescindibile. Debbo qui richiamare qualcosa che ho già detto e scritto, e che mette in gioco il tema della “teologia politica” attorno a cui siamo raccolti.

5. Occorre anzitutto richiamare la distinzione tra teocrazia e rappresentazione – la prima consistente in una “subordinazione sino alla cancellazione della guida politica a favore di una pura sovranità divina”, la seconda nella “correlazione tra sovranità divina e sovranità politica in forma di analogia e quindi la conseguente unione di guida politica e religiosa nella mani di rappresentanti terreni” (Assmann 2000, p. 59). E occorre ricordare come nella prospettiva profetica, Dio è detentore del diritto, senza rappresentanza (la quale è pure presente nella Bibbia, forse sin dal sacerdotale Gen. 1, 27, agli scritti sapienziali, sino alla “Lettera ai Romani”).
Può a questo punto essere importante richiamare la tesi estrema di Jacob Taubes (sotto l'influenza di C. Schmitt, che aveva rivendicato la radice teologica dei concetti della moderna dottrina dello stato). Secondo Taubes, l'origine della modernità non è nella separazione di religioso e politico, e nella fine della teocrazia, ma al contrario, in una estrema metamorfosi della teocrazia. Introducendo il volume Theokratie (1987) scrivono Jacob Taubes e Norbert Bolz.

Teocrazia significa sovranità di Dio immediata, che esclude ogni forma di sovranità dell'uomo sull'uomo. Le utopie teocratiche rappresentano la più profonda sfida del processo della modernità.

E ancora

Nel suo frammento teologico-politico Benjamin ha indicato come grande merito di Ernst Bloch di aver negato significato politico alla teocrazia. Questa delimitazione di confini tra teocrazia mistica e teocrazia politica si è [però] dimostrata infelice, è dimostrata falsa dalla storia universale ...[viene fatto riferimento al contributo di D. Georgi su Paolo, nel volume stesso] Non mistico contro politico, ma teocrazia dall'alto contro teocrazia dal basso, questa è l'antitesi decisiva (Taubes 1987, p. 5 s.).

Mi domandavo altrove se in questa "teocrazia dal basso" non si possa intravvedere la spiegazione del singolare statuto dei diritti umani, in cui l'urgenza dell'attuare è in conflitto con l'impossibilità di una vera e propria dimostrazione e fondazione. L'enfatica pretesa, tanto assoluta quanto poco argomentabile (esattamente quanto l’obbligo verso ogni essere umano della Weil) che si accompagna all'emergere dei diritti umani, l’uso di una terminologia sacrale (di cui si lamenta Ignatieff : “What is so sacred in human beings?” denunciandola come “idolatria” , 2001, p. 82 ss.) si potrebbero allora spiegare come un riversarsi-rovesciarsi del diritto sovrano di Dio nel diritto sovrano della soggetto umano.
A proposito della genesi dei diritti umani, sarebbe allora da riprendere la tesi di Max Weber al termine del capitolo “Lo stato e la ierocrazia” di Economia e società ( connettendosi ed espandendo la tesi di G. Jellineck). Mi sia consentita una lunga citazione.

Come disse Mallinckrodt nel Parlamento federale, “la libertà di coscienza del Cattolico consiste nel poter obbedire al Papa “, e quindi nel poter agire in modo indipendente secondo la propria coscienza. Ma la “libertà di coscienza” degli altri non è riconosciuta, quando esse posseggono la potenza, ne dalla Chiesa cattolica, ne dalla (antica) Chiesa luterana, e neppure completamente dall'antica Chiesa calvinista o battista; ed esse non possono riconoscerla anche in virtù del loro dovere di ufficio, che è quello di proteggere da! pericolo la salvezza delle anime — oppure, presso i Calvinisti, la gloria di Dio. La libertà di coscienza del Quacchero conseguente sussiste anche al di là della propria, in quanto nessuno che non sia ne Quacchero ne Battista, può essere costretto ad agire come se lo fosse; essa consiste quindi, oltre che nella propria, anche nella libertà di coscienza degli altri. Sul terreno delle sette conseguenti si sviluppa dunque un “diritto” dei dominati, considerato come imprescrittibile — ed anzi di ogni singolo dominato — nei confronti del potere, sia esso politico o ierocratico o patriarcale o di qualsiasi altra specie. Lasciando da parte se esso sia il più antico — come Jellinek ha convincentemente concluso — la “libertà di coscienza” in questo senso è ad ogni modo in linea di principio il primo “diritto dell'uomo”, in quanto è il più penetrante, quello che abbraccia il complesso dell'agire condizionato eticamente e che garantisce una libertà da1 potere, in particolare dal potere statale : essa rappresenta un concetto ignoto, in questa forma, all'antichità e al Medioevo, ed anche alla teoria dello stato di Rousseau, con la sua coercizione religiosa da parte dello stato. A questo si aggiungono gli altri “diritti dell'uomo” e del cittadino» o “diritti fondamentali”, e soprattutto il diritto alla libera tutela dei propri interessi economici — secondo la propria discrezione, entro i limiti di un sistema di regole giuridiche garantite, formulato m norme astratte e valido in egual modo per tutti — i cui elementi più importanti sono l'inviolabilità della proprietà individuale, la libertà contrattuale e la libertà di scelta della professione. Essi trovano la loro giustificazione ultima nella credenza dell' epoca dell’illuminismo che l'esercizio della “ragione” da parte del singolo, nel caso che ad essa sia data via libera, debba dar luogo almeno al mondo relativamente migliore — in virtù della provvidenza divina, e perché il singolo conosce il suo interesse meglio di ogni altro : l'illuminazione carismatica della “ragione” (che trovò la sua espressione caratteristica nell'apoteosi che di essa fece Robespierre) è dunque l'ultima forma che il carisma ha assunto nel suo molteplice cammino. . . Come l' “ascesi intra-mondana” — accolta dalle sette con motivi non assolutamente identici dal punto di vista dogmatico — e il tipo di disciplina ecclesiastica delle sette promuovevano la mentalità capitalistica e l' “uomo professionale” che agisce in modo razionale — di cui aveva bisogno il capitalismo — cosi i diritti dell'uomo e i diritti fondamentali offrivano le condizioni preliminari per il libero dispiegarsi della tendenza all'utilizzazione del capitale con beni materiali e con persone (Weber 1995, 326 s.).

6. Questo quadro ci sembra complessivamente plausibile, anche se richiederebbe importante complementi di analisi. Ad esempio, per quello che conosco di una di queste “sette”, la Società degli Amici”, il percorso è molto lungo e complesso: dalle richieste di libertà di culto, con un riconoscimento della libertà altrui implicito e in fondo strumentale degli anni Cinquanta e Sessanta del Seicento all’universalismo teologico di Robert Barklay (“la luce che illunina ogni uomo”), al conseguimento della tolleranza, all’individualismo mistico (al di là della “setta”) di certe formulazioni di William Penn e John Woolman (Bori 1994), sino alla ricezione (ormai fuori del movemento quacchero) in termini giuridici in un contesto illuministico (Voltaire, Le lettere filosofiche), giusnaturalistico e massonico (Cazzaniga 1999, soprattutto il saggio su ). Ma occorrebbe qui ricordare altri percorsi, Castellione, sociniani e arminiani, Roger Williams e Spinoza…Ma ancor prima, occorre ricordare che i diritti umani poterono affermarsi, prima della loro teorizzazione, ad opera di vittime spesso oscure di persecuzione, testimoni di una libertà di coscienza che, come tale “consiste quindi, oltre che nella propria, anche nella libertà di coscienza degli altri” (come dice Max Weber.).
Rimane comunque per noi vero che la tesi teologico-politica – si ricordi: “non mistico contro politico, ma teocrazia dall'alto contro teocrazia dal basso” – dà ragione della straordinaria e altrimenti inspiegabile e infondata assolutezza della pretesa contenuta nell’affermazione dei diritti umani (assolutezza che trascende l’insieme di diritti-doveri acquisiti dalla cultura giuridica vigente e indeducibile dai doveri che vi sono contemplati).
Essa ha anche il merito di rispondere a una obiezione per me decisiva alla prospettiva giusnaturalistica: essa è stata compatibile con l’assolutismo, ed è comunque segnata da una profonda ambiguità, segnalata anche da E. Troeltsch nel 1922 (di lui è nota l’insistenza sul ruolo del diritto naturale stoico nella “dottrina sociale delle chiese e dei gruppi cristiani”, come si intitola il suo capolavoro).

Da questo sostrato del diritto naturale cristiano è derivato il moderno diritto naturale profano di Bodin, Hugo Grotius, Hobbes, Pufendorf, Althusius e molti minori, in parte per costruire [teoricamente] l'assolutismo derivante dalle condizioni [storiche], in parte per giustificare più tardi la liberazione borghese dall'assolutismo e formare nuovi ideali di Stato. L'ambiguità del diritto naturale è continuata giacché, da un lato, l'essenza del dominio e della sovranità fu [vista] nella comunità, venne insegnata la necessità di una forza che ordinasse il genere umano soggetto a peccare, ovvero la cessione dei diritti del popolo all'autorità, e venne integrata la totalità attraverso dottrine teologiche autoritarie e provvidenzialistiche; dall'altro i movimenti contrari a questo assolutismo si sono appoggiati agli innati diritti umani che non possono essere perduti in quanto fondati sul divino ordine cosmico. Naturalmente non mancano molteplici innovazioni. Il ravvisamento umanistico dell'antichità e la nuova scienza atomistica della natura forniscono svariati pensieri e mezzi nuovi. Ma la terminologia e le idee fondamentali rimangono (Troeltsch 1977, p. 377)

E’ tuttavia essenziale la distinzione tra genesi e valore: se la genesi è particolare, il contenuto poteva (e doveva) essere universalizzato. Se l’affermazione del primo nucleo dei diritti umani era legato ad una particolare esperienza storica, all’emergere di minoranze dissidenti e profetiche, la sua ricezione e promulgazione era resa possibile dalla presenza di risorse preesistenti nella cultura occidentale.
La cultura giusnaturalistica in senso lato, dalla tradizione antica del diritto naturale sino alla riviscenza umanistica con De Vitoria e Grozio e oltre, tolte le ambiguità che la segnavano, non solo poteva contribuire ma anzi poteva assumersi il compito della universalizzazione dei diritti umani, esplicitando quanto possibile, quel contenuto etico-razionale che costituisce l’impronta di un ogni autentico discorso profetico (Bori 1998).

7. Una universalizzazione non compiuta, che per compiersi, nel mondo attuale, avrà bisogno di altre risorse, di altri sfondi culturali possibili e potenzialmente atti a questa ricezione.
In una interessante ricerca collettiva dedicata appunto alle “risorse positive della religione della religione per i diritti umani” (la bozza finale era dovuta a Harvey Cox e a Arvind Sharma) si segnalavano alcuni testi invocati dalle diverse tradizioni nella discussione sui diritti umani.

Giudaismo:
“Perché ad immagine di Dio l’uomo è stato creato” (Genesi 1.27)
Giudaismo e cristianesimo:
“Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Levitico 19, 18; Matteo 22:39)
Islam:
“Non vi sarà alcuna costrizione nella religione” (Sura 2:256)
Induismo:
“La verità è una, e i saggi la chiamano con diversi nomi”(Rg Veda 1.164.46)
Buddhismo:
“Giacché l’odio non cessa mai con l’odio:
l’odio cessa con l’amore, e questa è un’antica regola”(Dhammapada 1.5)
Confucianesimo:
“Allora tutti entro i quattro mai saranno suoi fratelli” (Dialoghi 12.5)
Taoismo
“La pace è il valore più alto” (Tao Te Ching 31)
Irochese:
“Tutti i popoli si ameranno l’un altro e vivranno insieme in pace” (Libro della vita)
Maori:
“Chi si prenderà cura e carezzerà questa terra?
Sono verità, giustizia e compassione” (Canto tradizionale Maori)
(Positive Resources, p. 70 s.)

L’elencazione è senz’altro generosa, ma conferma anche un tendenza a smarrire l’originale nucleo dei diritti umani, e a confonderli con la sapienza giuridica e morale delle antiche civiltà. Se il nucleo originario dei diritti è quello che si suggeriva, per la loro trasposizione – possibile e necessaria - saranno sufficienti queste suggestioni?

8. In una ricerca delle “risorse” delle tradizioni per la ricezione dei diritti umani, non darei una importanza decisiva alla premessa della separazione tra religione e politica: essenziale all’Occidente (penso ai lavori di Paolo Prodi), queste premessa non è reperibile in altre tradizioni e neppure indispensabile (si pensi a Gandhi). Neppure è pensabile di potersi riferire a una idea di natura che si rifaccia al diritto naturale stoico e al giusnaturalismo. Nemmeno il modello della tolleranza negli antichi imperi multinazionali (Açoka, impero persiano, impero romano, lo stesso islâm nei momenti più alti della sua storia) può essere oggi trasposto.
In quale direzione cercare allora le potenzialità (sottolineo il termine) per la valorizzazione del soggetto nella sua indipendenza dai poteri intra-mondani e nella sua libertà di perseguire la sua via, in vista dell’affermazione di questo come suo diritto?A che cosa fare appello per il rispetto della vita e della soggettività degli altri, in vista del riconoscimento del loro diritto?
Appunterei l’attenzione, per la prima domanda, verso l’individualismo mistico (la categoria di E. Troeltsch, sviluppata da L. Dumont in senso comparatistico – il rinunciante), che definirei come situazione in cui il soggetto trova significato non nell’essere parte dell’insieme sociale, né nel rappresentare qualcosa che è altro da sé, ma nell’essere se stesso nel mondo, percorrendo in modo unico la sua via verso la Realtà (qualunque ne sia il nome), accanto ad altri che percorrono nel loro modo, unico, la propria via (Lotman 1973; Bori, 2000).
Penso al al-Hallaj:

Ho molto pensato alle religioni, per capirle, e ho scoperto che sono i molti rami di un'unica Fonte.
Non pretendere dunque dall'uomo che ne professi una, ché così s'allontanerebbe dalla Fonte sicura.
E' invece la Fonte, eccelsa e di significati pregna. che deve venire a cercarlo, e l'uomo capirà.

Tu che biasimi il mio amore per Lui,come sei duro! Se sapessi Chi intendo, così non faresti.
I pellegrini vanno alla Mecca, ed io da Chi abita in me, vittime offrono quelli, io offro il mio sangue e la vita.
C'è chi gira attorno al suo tempio senza farlo col corpo, perché gira attorno a Dio stesso, che dal rito lo scioglie (Diiwân 62s., vers. A. Ventura).

E, quanto all’indipendenza dal potere mondano, penso al potenziale eversivo contenuto nella riflessione “straniante” (Ginzburg 1998, p. 19 s.) dell’imperatore Marco Aurelio, quando parla della porpora :“Il laticlavio sono peli di pecora intrisi del sangue di una conchiglia” (e dell’atto sessuale come “sfregamento di viscere e secrezione di muco accompagnata da spasmo”), commentando:

Così bisogna fare per tutta la vita e, quando le cose ci si presentano troppo persuasive, bisogna denudarle e osservare a fondo la loro pochezza(VI, 13).

Ricordo sotto questo profilo anche il racconto dell’incontro di Bodhidarma (che portò il buddhismo in Cina) con l’imperatore Wu, che si era convertito al buddhismo:

Quando Bodhidharma incontrò per la prima volta l’imperatore Wu, l’imperatore chiese: “Ho costruito templi e ho ordinato monaci. Che merito è questo?” Bodhidharma disse: “Non c’è merito”. Gettò immediatamente acqua sporca sull’imperatore.
Se riuscite a penetrare in questa affermazione: “Non c’è merito”, potete incontrare Bodhidharma personalmente (Raccolta della roccia blu, 1978, p. 27).

E infine vorrei menzionale un santo musulmano, Abd ar-Rahman ibn Amr al-Auzâ’i (m. nel 157/774).

Gli ripugnava dar la caccia ai sorci quando erano piccoli, per pietà di loro e delle loro madri. Il califfo abbaside al-Masûr andò a visitarlo e gli disse: “Ammoniscimi”. Rispose al-Auzâ’i: “Non c’è un solo suddito tuo che non lamenti qualche afflizione in cui tu l’hai messo o qualche ingiustizia commessa da te”.

Il santo esercita la hisba, la censura, nei confronti del sovrano, ma ha pietà dei piccoli topi.
E venendo alla seconda domanda (a che cosa fare appello per il rispetto della vita e della soggettività degli altri, in vista del riconoscimento del loro diritto? ), forse la seconda essenziale risorsa per una cultura dei diritti umani è proprio nella com-passione (si pensi al “rispetto per la vita iin A. Schweitzer). Noto con piacere che il tema compare in Ignatieff e soprattutto nel commento al suo testo di Thomas W. Laqueur (Ignatieff p. 132 ss.: la capacità di condividere la sofferenza distante, cfr. Ginzburg, Uccidere un mandarino cinese,1998, p.194 ss.). In un lavoro degli anni passati ho sostenuto che “l’ universalità dei diritti dell'uomo non suppone una concezione definita e costante della natura umana, ma piuttosto una idea di natura come attitudine tendenzialmente universale a partecipare al bisogno e alla sofferenza dell'altro (nelle diverse tradizioni : "umanità", "misericordia", nella Dichiarazione dei diritti umani: "ragione e di coscienza", Bori 1995. P. 89 ss.). Citavo i lavori della commissione preparatoria della Dichiarazione e il contributo del confucianesimo (probalmente dietro a “coscienza” c’è la reciprocità confuciana), ricordavo John Woolman e l’idea della misericordia nella Bibbia, ma soprattutto era centrale la “pitié” di Rousseau, “Nous ne souffrons qu'autant que nous jugeons qu'il souffre; ce n'est pas dans nous, c'est dans lui que nous souffrons” (Rousseau, p. 92). A Rousseau mi aveva avviato Claude Lèvi-Strauss, Razza e storia, che vorrei citare per concludere, lieto anche di ritrovarvi un riferimento, che oggi apprezzo ancora di più, alle religioni dell’Estremo Oriente(“forse questo insegnamento era già contenuto nelle religioni dell’Estremo Oriente”):

Lungi dall’ offrirsi al’ uomo come un nostalgico rifugio 1’ identificazione a tutte le forme della vita, a cominciare dalle più umili, propone dunque agli umanità d'oggi per bocca di Rousseau il principio di ogni saggezza e d'ogni azione collettiva” (Lévi-Strauss 1967, p.94, cfr. 1983, p. 339).
Pier Cesare Bori
1 novembre 2002

J. Assmann, Herrschaft und Heil. Politische Theologie in Altägypten, Israel und Europa, Carl Hanser Verlag, München Wien 2000;
P.C. Bori, Per un consenso etico tra culture, 2a edizione riveduta e aumentata, Genova, Marietti, 1995;
-Monoteismo ed ermeneutica: quattro tesi, in Anima e paura. Studi in onore di Michele Ranchetti, Quodlibet, Macerata 1998,69-78.
-«La luce che illumina ogni uomo» (Gv 1,9)in George Fox e Robert Barclay, in “Annali di storia dell'esegesi", 11/1(1994), 119-144;
-Pluralità delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignità umana di Pico della Mirandola. Testo latino, versione italiana, apparato testuale a cura di S. Marchignoli, Feltrinelli, Milano 2000;
-Teologia tripartita , in Il dio morale. Teologie politiche tra antico e contemporaneo, a cura di P. Bettiolo e G. Filoramo, Morcelliana, Brescia 2002, 445-454;
-Profezia, Sapienza, Legge: problemi di una teologia comparata di prossima pubblicazione;
G. M. Cazzaniga, LA religione dei moderni, ETS,Pisa 1999;
F. Dallmayr, ‘Asian values’ and Global Human Rights, in “Philoshy East and West” vol. 52 (2002), pp. 173- 189;
I diritti dell'uomo, testi raccolti dall'UNESCO, pref. di J. Maritain, Comunità,Milano 1952;
"L'uomo e lo stato" di Maritain e il problema della democrazia nel Novecento, a cura di G. Galeazzi, Paravia, Torino 1989;
L. Dumont, Homo hierarchicus: Il sistema delle caste e le sue implicazioni, tr.it. Adelphi, Milano 1991;
- Saggi sull’indivualismo, tr.it. Adelphi, Milano 1993;
D. Georgi, Gott auf den Kopf stellen: Überlegungen zu Tendenz und Kontext des Theokratiegedankens in paulinischer Praxis und Theologie, in Taubes 1987, pp.148-205;
al-Ghazâli, Il ravvivamento delle scienze religiose, versione italiana negli Scritti scelti a cura di L. Veccia Valieri e R. Rubinacci, UTET, Torino 1970;
C. Ginzburg, Occhiacci di legno. Nove riflessioni sulla distanaz, Feltrinelli, Milano 1998;
G. Gozzi, Disciplinamento e libertà in Gerhard Oestreich, in Oestreich 2001, V-XXXIII;
M. Ignatieff, Human Rights as Politics and Idolatry, Princeton U.P:, 2001;
J. Lotman, Il problema del segno e del sistema segnico nella tipologia dell cultura russa prima del XX secolo, in Ricerche Semiotiche, a cura di C. Strada Jamovic, Einaudi, Torino 1973;
Lévi-Strauss, Razza e storia e altri studi di antropologia, tr. it. Einaudi, Torino 1967,
-Lo sguardo da lontano. Antropologia, cultura, scienza a raffronto, Einaudi, Torino 1984;
G. Oestreich, Storia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, a cura di G. Gozzi, Laterza, Roma-Bari 2001,
R. Panikkar, E’ universale il concetto di diritti dell’uomo?, in “Interculture”, 82-83, gennaio-marzo 1984, pp. 3-26, tr. it in “Volontari e terzo mondo” 12 (1990), pp. 24-48;
Positive resources of religion for Human Rights, in Religion and Human Rights, a cura di John Kelsay e Sumner B. Twiss, “The Project of Religion and Human Rights”, New York 1994, pp. 61-79;
Raccolta della roccia blu, tr. it. Ubaldini, Roma 1978;
H. Redisi,L’universalità alla prova delle culture: le Dichiarazioni islamiche dei diritti dell’uomo, in La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo cinquant’anni dopo, CLUEB, Bologma 2000, pp. 109-127;
Rousseau, Essai sur l'origine des langues, Paris, Gallimard, 1990, pp.66 et 92;
J. Taubes, a cura di, Religionstheorie und Politische Theologie, vol. 3: Teokratie W. Fink Verlag-V. F. Schöning, München-Paderborn-Wien-Zürich 1987;
E. Troeltsch, Diritto naturale e umanità nella politica mondiale (1922) traduzione italiana in La democrazia improvvisata. La Germania dal 1918 al 1922, a cura di Fulvio Tessitore, Guida, Napoli 1977;
M. Weber, Economia e società, IV, traduzione italiana Comunità, 1995,
S.Weil, La prima radice, trad. it., Milano, SE, 1990.

 

 

Da: http://www.spbo.unibo.it/pais/bori/articolo_2002_11_12.html

                                                                                                                                           TORNA SU