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Il Grillo (4/4/2000)Giangiorgio PasqualottoLe religioni e il corpo
Puntata realizzata con gli studenti del Liceo Scientifico "Copernico" di Napoli PASQUALOTTO: Buongiorno. Mi chiamo Giangiorgio
Pasqualotto e sono docente di Storia della filosofia all’Università di
Padova. Da circa vent’anni mi occupo di filosofie, "saperi" e civiltà
orientali.
STUDENTE: Nella scheda si è affermato che la religione cristiana ha operato una netta scissione fra corpo e anima, fra amore corporeo e amore spirituale. Come conciliare questa tesi con quei passi del Cantico dei Cantici dell'Antico Testamento in cui vengono esaltati l'amore corporeo e l'unione sponsale? PASQUALOTTO: Ritengo che il Cantico dei
cantici rappresenti un'esaltazione molto esplicita dell’unione tra carne e
spirito. Premesso questo, occorre distinguere il significato di eros
nella varietà di ambiti orientali rispetto a quelli occidentali. Oriente e
Occidente presentano al loro interno molteplici sfumature: il secondo, ad
esempio, non é rappresentato dal solo cristianesimo. STUDENTESSA: Nella scheda iniziale si sosteneva che in tempi moderni il significato di "eros" ha finito col ridursi al solo ambito corporeo. Personalmente ritengo che, in un rapporto di coppia, l’eros si risolva anche in un interesse verso la psiche dell’altro individuo: esso può emergere solo in quel tipo di relazione che scaturisce da un interesse totale e reciproco tra i partner. PASQUALOTTO: Il Suo é un ragionamento che, per quanto giusto, risulta difficile da attuare. Il pensiero occidentale moderno é stato a lungo impegnato nel superare la dicotomia esistente tra una sessualità puramente materiale e un amore a carattere "psicologico", se non addirittura spirituale. Si era venuta a creare, infatti, una netta separazione tra la pura fisicità e ciò che é oltre la fisicità. Per Ippocrate, per i filosofi presocratici in genere, per Platone, per Aristotele e per Epicuro, invece, l’anima non era separata dal corpo, ma risultava costituita da materia, in alcuni casi da atomi sottili. Il raggiungimento di una qualità omogenea tra corpo e psiche - di quella "medietà" concepita dalle antiche scuole di pensiero - ha come risultato "l'uomo integrato" della filosofia orientale. Buona parte del pensiero occidentale, nel corso della sua storia, ha subito delle oscillazioni da un estremo all'altro: da una parte si è avuta un'immersione travolgente e diabolica nella sessualità, dall'altra si sono venuti a creare infiniti percorsi verso la spiritualizzazione, soprattutto tramite un'autocostrizione mirante all'abbandono dei sensi e del corpo. Le civiltà orientali hanno sempre considerato tali estremismi come "malattie". STUDENTE: La dottrina del Buddha paragona il legame che unisce anima e corpo ad un filo d’argento che, una volta spezzato, conduce alla morte. Se anche l'eros viene interpretato in tal modo e viene fatto coincidere con quella medietà che unisce corpo ed anima, non crede che, una volta spezzata questa unione, si pervenga necessariamente alla morte? PASQUALOTTO: Ciò é vero se si prende in considerazione il singolo individuo. Per quanto concerne l'interpretazione che vede l'eros come una "tensione al legame", però, bisogna andare oltre l'individuo e la sua particolarità. Riprendendo il concetto di "corpo integrato" di cui ho parlato in precedenza, possiamo affermare che, in questo momento, il corpo di ognuno di noi è in relazione con quello degli altri, con l'ambiente chimico-fisico della stanza in cui ora ci troviamo e con tutto ciò che circonda quest'ultima. Se da un dato istante in poi non fossi più fisicamente presente in questo ambiente, ciò potrebbe portare a delle trasformazioni nell'ambiente stesso, ma ciò non significa che il legame sarebbe interrotto: semplicemente subirebbe delle modificazioni. STUDENTE: Cos'é che induce l’uomo ad allontanarsi o dallo spirito o dal corpo? Com'è possibile che si arrivi a modificare il rapporto con noi stessi e con l'ambiente che ci circonda? PASQUALOTTO: A volte capita di enfatizzare la volontà individuale. Molte dottrine orientali, invece, sebbene concepiscano la volontà individuale come un elemento fondamentale, non arrivano a considerarla decisiva ai fini della reintegrazione tra corpo e spirito: prima di essa, infatti, sono presenti altri ordini di "volontà", di cui fanno parte le determinazioni e i condizionamenti sociali, politici ed economici. Ciò risulta tanto più comprensibile se si pensa che tali dottrine concepiscono l’essenza della realtà come una sfera situata al di là dell’esperienza, raggiungibile solo per via mistica. La volontà può costituire la svolta per avviare un percorso di spiritualizzazione, ma a decidere in prima istanza non è l'attività della nostra autocoscienza, che entra in gioco solo nell'ultima fase. Sulla base di una serie di indizi e di sollecitazioni, infatti, l’individuo viene spinto a "ricordare" l’immagine di un mondo integrato, armonico, "erotico", e ad avviare il proprio cammino di reintegrazione. Una crisi può essere una delle cause concrete in grado di innescare la ricerca di un'integrazione che vada al di là della propria singolarità. I grandi momenti di crisi - psicologica, sentimentale o economica che sia - coinvolgono la personalità dell’individuo, portandola ad aprirsi alla possibilità di un'integrazione, e a scoprire un mondo di relazioni invece che di opposizioni. STUDENTESSA: Lei sostiene che la filosofia orientale esalta la corporeità. Tuttavia l'antichissima disciplina dello yoga vede nel corpo un luogo di dolore e concepisce i sensi e le percezioni come patimenti. In che senso, dunque, si può affermare che le discipline orientali esaltano la corporeità? PASQUALOTTO: Nello yoga non è presente né
l'esaltazione né la mortificazione del corpo. Quest'ultimo viene assunto in
tutte le sue potenzialità, ed è utilizzato per trasformare le energie
pulsionali, o meramente fisiche, al fine di distillarle e indirizzarle verso
l’unione con l’Assoluto, il quale può essere concepito in maniera teistica
o meno in relazione alle diverse scuole. Lo japa yoga, ad esempio - ossia
lo yoga a noi più noto -, é soltanto una pratica preparatoria per passare agli
yoga successivi: questi possono essere "di devozione" - come lo
bacthi yoga - o "della conoscenza" - come lo dhyana yoga.
Tali esercizi, contrariamente alle impressioni che possiamo trarne, non
comportano sofferenza: in essi si può riscontrare un livello molto alto di
consapevolezza del corpo o, per meglio dire, delle sue possibilità.
PASQUALOTTO: Gli esercizi di Tai Chi Ch’an attengono ad un'antica disciplina che non si può definire né fisica né psichica, bensì psico-fisica, perché il suo scopo é quello di armonizzare le singole parti del corpo. La sincronia tra gli arti é a sua volta in sincronia con il respiro, esattamente come nello yoga. Quest'ultimo, però, implica delle posizioni più statiche: fra le sue tecniche maggiormente conosciute, ad esempio, vi é quella basata sul controllo dell’inspirazione e dell’espirazione da fermi. Anche il Tai Chi Ch’an utilizza delle tecniche respiratorie - in particolare si serve della respirazione cosiddetta "addominale", che fa rifluire il respiro verso l'addome - ma sempre in abbinamento con movimenti del corpo. Tecniche di questo tipo "bilanciano" il respiro in modo da fortificare il baricentro dell’individuo. Ciò comporta un irrobustimento della circolazione e una generale stabilità psicologica: qualsiasi evento lo possa disturbare - psicologico, fisico o determinato dall'esterno -, l’individuo riuscirà sempre a rimanere stabile, fermo sul suo baricentro, ma in maniera elastica. Scopo di tali discipline é quello di porre in armonia tutte le membra del corpo attorno ad un centro, in modo da fortificare l'individuo senza renderlo rigido. STUDENTESSA: Quali sono le cause che hanno portato l'Occidente ad assumere un atteggiamento opposto a quello della filosofia orientale? È possibile rintracciare i motivi storico-filosofici di tale diversità? PASQUALOTTO: Non si può eludere la complessità della Sua domanda semplicemente affermando che l’Occidente é "tecnica" mentre l’Oriente é "spirito". Stiamo parlando di due millenni di storia - forse anche tre - che hanno condotto a diverse soluzioni. Per ciò che concerne l'Occidente, non v'è dubbio che uno dei punti di svolta é costituito dalla trasformazione del concetto di Natura: da "interna" che era, essa è divenuta Natura naturata, ovvero separata dall'uomo e, in quanto tale, passibile di utilizzazione e manipolazione. L’homo faber descritto da Francis Bacon interviene a distruggere la Natura perché si considera il centro del mondo. Va detto che Bacone accarezzò per tutta la vita l'idea di un progetto d'indagine della Natura che prevedesse la costruzione di strumenti tecnici per il dominio del mondo naturale. In questo senso si può affermare che la tecnica e la tecnologia di oggi sono l’esasperazione di quella idea. L’Oriente, e in particolare la Cina moderna a partire dagli anni Cinquanta, sta pagando il prezzo di un processo di occidentalizzazione mirato ad una maggiore de-spiritualizzazione e ad una maggiore de-sacralizzazione. Occorre pertanto sviluppare degli antidoti per rimediare a questo disastro, non solo rifacendosi all’Oriente "antico", ma anche recuperando tutta una serie di concetti che l’Occidente stesso ha teorizzato, dal presocratismo fino alla filosofia contemporanea di Henri Bergson e Alfred North Whitehead. STUDENTESSA: Per quale motivo non è avvenuta la cosa inversa? PASQUALOTTO: Semplicemente perché l’Occidente ha maggiormente sviluppato la tecnica della potenza e, tramite essa, ha ritenuto di essere il depositario della verità. Nelle civiltà orientali, persino l’induismo - nonostante le attuali degenerazioni nazionalistiche - non si é mai fatto depositario "dell’unica verità" possibile. A questo proposito, le responsabilità dell’Occidente sono da far risalire alle dottrine monoteistiche in quanto, affermando l’esistenza di un unico Dio e di un unico volere, sostengono l’esistenza di un’unica verità a cui tendere. STUDENTE: Non crede che il corpo, così come viene concepito dalle filosofie orientali, possa essere relegato al ruolo di mero strumento dell'anima stessa, dato che la sua funzione è quella di mettere in relazione l'anima umana con l'anima divina? PASQUALOTTO: In realtà avviene esattamente il contrario. Come ho detto in precedenza, non si deve pensare al rapporto corpo/anima in termini di una loro separazione. Si deve piuttosto partire da un'integrazione tra i diversi livelli: le parti corporee più pesanti si collocano "in basso", per così dire, e le parti corporee più leggere si collocano in alto, ovvero nella mente. Le filosofie orientali tendono costantemente al mantenimento di questa integrazione. Proprio per tale motivo, il concetto fondamentale del pensiero taoista indica nel "ritorno al corso delle cose" quel principio di movimento che interviene in ogni processo naturale. Il taoismo ritiene che sia indispensabile condurre una vita atta a ritrovare quella perfetta semplicità che caratterizzava l'essere allo stato primordiale, conformandosi ai ritmi della vita universale. Bisogna essere come il Grande Tutto, che é silenzio, quiete, perfetta indifferenza. Si tratta, dunque, di un "ritorno" a quello stato primordiale - che noi potremmo definire embrionale - in cui l’equilibrio tra mente e corpo era quasi perfetto. La meditazione taoista é tutta tesa a riportare l’energia del corpo verso la testa o a livello del ventre. In tal modo si cerca di recuperare la respirazione addominale tipica dell’infanzia, addirittura della fase prenatale. Se si riesce ad ottenere questa condizione, le facoltà mentali e le facoltà corporee si bilanciano, senza che si verifichi uno scompenso, per così dire, "intellettualistico". Di contro, lo scompenso riscontrabile nelle funzioni speculative e psicologiche occidentali va proprio in direzione di una "intellettualizzazione", ossia di una generale tendenza "verso l'alto". Si rileva, così, un'ipertrofia dell'Io e della coscienza. STUDENTE: La finalità delle pratiche yoga non è, comunque, di carattere spirituale? PASQUALOTTO: Sì, ma non ricercano la spiritualizzazione del singolo, bensì quella spiritualizzazione capace di integrarsi con una totalità molto più complessa, strutturata in cerchi concentrici. Le tecniche tantriche sono state a lungo equivocate in Occidente: non si tratta, come molti credono, di pure pratiche di perfezionamento sessuale. La congiunzione uomo-donna non ha come scopo la "massimizzazione" del piacere, bensì un potenziamento che vada al di là del piacere stesso; attraverso questo atto si tende a rappresentare il prototipo di tutte le congiunzioni possibili: del giorno e della notte, del caldo e del freddo, e così via. Paradossalmente, nelle tecniche tantriche il desiderio di piacere sessuale é da evitare, non da potenziare. STUDENTE: Secondo Lei, quale dovrebbe essere l'atteggiamento più consono a rendere il corpo un degno tempio dell’anima? PASQUALOTTO: Il linguaggio La tradisce, come a volte tradisce me e come in genere può tradire tutti. Di solito siamo portati a pensare che l’anima sia più importante del corpo, perché non vediamo la congiunzione delle parti che collegano l’una all’altro. Al contrario, il congiungimento tra anima e corpo é massimamente evidente nelle emozioni. Se noi riusciamo a ripristinare questi elementi di collegamento tra corpo e anima, allora possiamo prefigurare un "comportamento integrato" - ossia misurato e calibrato - senza che per questo avvenga uno spostamento verso la "solidizzazione" della psiche, o anche verso la sua dispersione, la pura materialità, la sensualità sfrenata. Anima e corpo sono pertanto complementari. Se si guarda alle storie dei Santi, si potrà notare che i grandi peccati sono stati compensati da altrettante visioni sublimi. L’equilibrio, dunque, partiva dal corpo, perché il punto di mediazione è costituito proprio da quest'ultimo. L’uomo occidentale, invece, ritiene che il corpo sia il punto di partenza per tutte le aberrazioni possibili e immaginabili. Al contrario, io ritengo che esso sia il primo strumento per attuare la meditazione di cui abbiamo parlato. Quest'ultima parte dalla respirazione: in primo luogo perché la respirazione - pur essendo fisica e appartenente a "me medesimo" - mi mette in contatto immediato con l'esterno; in secondo luogo perché essa mi permette di concentrarmi. Migliore é la qualità della respirazione, maggiore é la qualità della concentrazione sui miei pensieri e sulle mie azioni. STUDENTESSA: Quanto può incidere l’ambiente circostante sulla meditazione? PASQUALOTTO: Tutto incide su tutto. Nei manuali tradizionali - sia taosti, sia relativi allo Zen - si consiglia di praticare questi esercizi in silenzio, in luoghi appartati e in totale assenza di sollecitazioni visive e uditive. I grandi maestri, però, riescono ad eseguire questi esercizi anche nei luoghi più disagiati. Ciò vuol dire che possiedono una grande capacità di equilibrio, anche in presenza di fattori squilibranti. STUDENTE: In precedenza ha affermato che queste tecniche permettono a coloro che le attuano di rimanere stabili in mezzo alla tempesta della vita. Non crede che in tale considerazione possa essere ritrovata una matrice stoica? PASQUALOTTO: L’atarassia e l’aponia sono indubbiamente due termini di matrice stoica, oltre che epicurea. In effetti possono emergere numerose analogie tra le risultanze di queste due matrici filosofiche e le tecniche cosiddette "di respirazione" del Tai Chi e dello yoga. La meditazione non é mai astratta, ma si concentra sempre sulla respirazione, ossia sull’andare e il venire del respiro. La respirazione porta a due risultati immediati: in primo luogo, conduce all’idea dell’impermanenza, perché il respiro va e viene e, quindi, si rivela una metafora dello "scorrere delle cose"; in secondo luogo, ci fa scoprire la nostra "relazionalità". Affermare che il respiro è "mio", infatti, si rivela una semplice convenzione linguistica. STUDENTE: Già prima dell’avvento di queste dottrine orientali, il filosofo Eraclito di Efeso fu appellato il "filosofo del divenire" in quanto affermò "pantha rei", ossia tutto scorre. Come intepretare quest'altra analogia? PASQUALOTTO: Come ho già affermato, certamente esistono delle analogie. A parte queste e taluni aspetti spirituali dell'Oriente ortodosso - per il quale, tuttavia, nella preghiera si assume una postura molto diversa dalla meditazione di cui sopra -, ciò che differenzia le pratiche orientali da quelle occidentali sta proprio nella meditazione basata sulla respirazione. STUDENTESSA: Come oggetto simbolico della puntata abbiamo scelto una mela: essa, infatti, è il frutto della conoscenza che venne proibito ad Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, quasi che Dio abbia voluto impedire all'uomo di raggiungere la sapienza. Sappiamo che, in greco, la radice di eros é er, ossia credere, domandare, sapere. Eros é dunque la curiosità, il demone. Nietzsche sostenne che il cristianesimo aveva "avvelenato" l'eros. Qual è il senso di tale affermazione? In che modo possiamo agire, oggi, per recuperare il significato originario di eros? PASQUALOTTTO: Non so fino a che punto sia
legittimo affermare che il cristianesimo ha avvelenato l'eros. Innanzi tutto
bisognerebbe comprendere a fondo quale fosse il suo status prima della presunta
distruzione ad opera del cristianesimo. Eros é un demone, ossia un
qualcuno o un qualcosa che spinge l'uomo a desiderare non solo dei
"corpi", ma anche la verità. A questo punto si potrebbe sostenere che
il cristianesimo ha ucciso eros sia dal punto di vista fisiologico che da
quello filosofico, perché la stessa filosofia é fondata sull’eros: il filein
greco é eros verso sophia, ossia desiderio di sapienza. Si ha
l'impressione, quindi, che la fede sia una conoscenza in grado di conferire
sapienza senza il necessario apporto filosofico. Ma non é così: la teologia é
prima di tutto un grande esercizio di filosofia. Personalmente starei molto
attento ad operare le semplificazioni in cui pare sia caduto lo stesso Nietzsche.
Molto probabilmente, il filosofo tedesco voleva liberarsi da certo cristianesimo
luterano - rigorista e repressivo - che tanta parte aveva avuto nella sua
formazione. Sarebbe meglio, dunque, contestualizzare l'assunto. STUDENTE: Su Internet ho trovato molti siti relativi al rapporto tra corpo e religione. Uno di questi - incentrato sulla storia delle religioni - mi ha particolarmente colpito: in esso si insiste soprattutto sul precetto cattolico secondo il quale l'atto sessuale deve avere fini esclusivamente procreativi. Ciò significa che il cattolico affetto da sterilità non dovrebbe fare l'amore… PASQUALOTTO: Questa domanda andrebbe rivolta al
Papa o a qualche teologo. In questo si misura la differenza rispetto
all’ebraismo. Puntata registrata il 29 Febbraio 2000
Da: http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=663
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