"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
I. La bellezza si trova soprattutto nella vista; ed è anche nell'udito,
nella combinazione delle parole e nella musica di tutti i generi; infatti le
melodie e i ritmi sono belli; ed è anche, risalendo dalla sensazione verso un
dominio superiore, nelle occupazioni, nelle azioni e nelle maniere d'essere che
sono belle; e ancora c'è bellezza nella scienza e nella virtù. C'è una bellezza
anteriore a questa? Ecco il tema di cui adesso tratteremo. Che cosa fa in modo
che la vista possa percepire la bellezza nei corpi e l'udito nei suoni? Perché
tutto ciò che è intimamente legato all'anima è bello? Ed è di una sola e
identica bellezza che tutte le cose belle sono belle, oppure c'è una bellezza
che è propria dei corpi e ce n'è un'altra per gli altri esseri? E che cosa sono
queste differenti bellezze o, meglio, che cos'è la bellezza? Certi esseri, come
i corpi, sono belli non per la loro stessa essenza, ma per partecipazione; altri
sono belli in se stessi, come la virtù. E questo è evidente: infatti gli stessi
corpi a volte sono belli, a volte non lo sono, come se l'essere del corpo fosse
differente dall'essere della bellezza. Che cos'è questa bellezza che è presente
nei corpi? Questa è la prima cosa da ricercare. Che cos'è dunque che attira lo
sguardo di chi osserva, e fa volgere il capo, e fa provare la gioia della
contemplazione? Se noi scopriamo che cos'è questa bellezza dei corpi, forse
potremo servircene come di una scala per contemplare le altre bellezze. Tutti,
per così dire, affermano che la bellezza visibile nasce dalla simmetria delle
parti, l'una in rapporto all'altra, e ciascuna in rapporto all'insieme; a questa
simmetria si aggiunge la bellezza del colore; dunque la bellezza di tutti gli
esseri è la loro simmetria e la loro misura; per chi pensa così, l'essere bello
non sarà un essere semplice, ma soltanto e necessariamente un essere composto;
l'insieme di questo essere sarà bello e ciascuna parte non sarà bella in sé, ma
solo nella sua armonia con le altre. Però, se l'insieme è bello, bisogna pure
che le parti siano belle anch'esse; certo, una bella cosa non può essere fatta
di parti brutte: tutto ciò che la compone deve esser bello. E ancora: se fosse
vera questa opinione, i colori belli, come la luce del Sole, sarebbero al di
fuori della bellezza, perché sono semplici e non derivano affatto la loro
bellezza dall'armonia delle parti. E l'oro, come mai è bello? E le luci che
vediamo nella notte che cosa le rende belle? La stessa cosa per i suoni:
svanirebbe la bellezza di un suono semplice, mentre spesso ciascuno dei suoni
che compongono un brano musicale è bello anche da solo. E quando si vede lo
stesso viso, con le proporzioni che restano identiche, ma un po' appare bello,
un po' brutto, come si fa a non riconoscere che la bellezza che è nelle
proporzioni è cosa diversa dalle proporzioni stesse, e che è per un'altra
ragione che un viso ben proporzionato è bello?
E se, passando alle belle occupazioni e ai discorsi belli, si vuol ancora vedere
nella simmetria la causa della loro bellezza, che cosa significa parlare di
simmetria per le occupazioni belle, per le leggi, per le conoscenze o per le
scienze? I teoremi sono simmetrici gli uni agli altri: è questo che si vuol
dire? O che essi sono in accordo tra loro? Ma può esserci consenso e accordo
anche tra opinioni malvagie. Questa opinione: "la temperanza è una stoltezza" è
in pieno accordo con quest'altra: "La giustizia è un'ingenuità generosa". Tra
l'una e l'altra c'è corrispondenza e concordanza. In ultimo, la virtù certamente
rende bella l'anima, ed essa è bella in modo più reale delle bellezze sensibili
di cui abbiamo prima parlato: ma in che senso essa avrà delle parti simmetriche?
Non ci sono affatto parti simmetriche nella virtù, al modo in cui le grandezze o
i numeri sono simmetrici, anche se è vero che l'anima contiene una molteplicità
di parti. Infatti, secondo quali rapporti nasce la combinazione o la fusione
delle parti dell'anima e dei teoremi scientifici? E l'intelligenza, che è
isolata: in che consisterà la sua bellezza?
II. Riprendiamo dunque il nostro discorso e diciamo subito che cos'è la
bellezza dei corpi. É una qualità che diventa sensibile sin dalla prima
impressione; attraverso l'intuizione l'anima la percepisce, la riconosce e
l'accoglie in sé, plasmandosi in qualche modo su di essa. Quando invece ha
l'intuizione di una cosa brutta, l'anima si agita e la rifiuta, respingendola
come cosa che non si accorda con lei e che le è estranea.
Ora, noi affermiamo che l'anima, per sua natura, è affine all'essenza delle
realtà superiori ed è lieta contemplando gli esseri della sua stessa natura, o
almeno le loro tracce; attratta dalla loro vista, le rapporta a se stessa e sale
così al ricordo di sé e di ciò che le appartiene.
Ebbene, quale somiglianza può esservi tra le cose di quaggiù e quelle superiori?
Se c'è somiglianza, deve essere possibile osservarla. Per quanto riguarda la
bellezza, qual è la natura delle une e delle altre? La nostra tesi è che le cose
sensibili sono belle perché partecipano di un'idea. Infatti, tutto ciò che è
destinato a ricevere una forma e un'idea, ma non l'ha ancora, è privo di
qualsiasi bellezza ed è estraneo alla ragione divina, perché non partecipa né
della sua razionalità né della sua forma: è il brutto in assoluto. Ma brutto è
persino tutto ciò che è sé dominato dalla forma e dalla ragione, ma non
perfettamente: e questo accade perché la materia non può essere plasmata in modo
perfetto secondo un'idea, ricevendo così la forma.
Dunque l'idea si avvicina alla materia e pone ordine tra le parti multiple, di
cui una cosa è fatta, combinandole insieme. L'idea le riconduce a un tutto
ordinato, e crea l'unità accordandole loro, perché essa stessa è una, e l'essere
che prende da lei la forma deve dunque essere uno, almeno nei limiti in cui può
esserlo una cosa composta da molte parti.
La bellezza prende così dimora in questo essere, così ricondotto a unità, ed
essa si dà sia a tutte le sue singole parti sia all'insieme. Quando poi la
bellezza prende dimora in un essere che è già uno ed omogeneo, allora essa
splende interamente: è come se la potenza della natura, procedendo come fa
l'uomo attraverso l'arte, donasse la bellezza, nel primo caso, a una casa tutta
intera con tutte le sue parti, nel secondo caso a una sola pietra. Così la
bellezza del corpo deriva dalla partecipazione alla razionalità che proviene da
Dio.
III. C'è nell'anima una facoltà che corrisponde alla razionale bellezza
di origine divina, e dunque sa riconoscerla; è proprio questa la facoltà che
permette all'anima di giudicare le cose che le sono affini, benché le altre
facoltà contribuiscano anch'esse. Forse l'anima pronuncia questo giudizio
commisurando la cosa bella all'idea di bellezza che è in lei, servendosi di
questa idea come ci si serve di un regolo per giudicare se una linea è diritta.
Ma come può la bellezza delle cose sensibili accordarsi con la bellezza
dell'idea, che è anteriore ad ogni corpo? è lo stesso che chiedersi come
l'architetto, che ha costruito la casa reale lasciandosi guidare dall'idea di
casa che aveva nella sua mente, può valutare che questa casa reale è bella. Può
farlo perché l'essere esteriore della casa - se si fa astrazione dalle pietre -
non è che l'idea interiore che si è sì suddivisa nella massa esteriore della
materia, ma continua a manifestare, pur nella molteplicità, il suo essere
indivisibile.
Dunque quando percepiamo nei corpi un'idea che plasma e domina la natura
materiale - di per sé informe e per nulla affine all'idea - e ci rendiamo conto
che c'è nelle cose sensibili una forma che si distingue perché subordina a sé
tutte le altre, allora noi percepiamo d'un sol colpo la sparsa molteplicità
della materia, riportandola e riducendola all'unità interiore e indivisibile
dell'io che vive in noi. Così percepiamo la forma delle cose sensibili perché è
adatta e intonata a noi, e la accettiamo come affine alla nostra unità
interiore. Allo stesso modo un uomo onesto percepisce la dolcezza che osserva
sul volto di un giovane come un segno di virtù che si accorda con la sua stessa
vera virtù, che è quella interiore.
La bellezza di un colore, che è qualcosa di semplice, nasce da una forma che
domina l'oscurità della materia e dalla presenza nel colore di una luce
incorporea, che è ragione e idea. Per questo più degli altri corpi, il fuoco è
bello in se stesso: paragonato agli altri elementi che compongono la materia, ha
quasi il rango dell'idea. Infatti ha in natura la posizione più alta, è il più
leggero tra tutti i corpi, al punto da essere quasi immateriale. Rimane sempre
puro, perché non accoglie in sé gli altri elementi che compongono la materia,
mentre tutti gli altri accolgono in se stessi in fuoco: essi, infatti, possono
riscaldarsi, mentre il fuoco non può raffreddarsi. Solo il fuoco per sua natura
possiede i colori e da lui le altre cose ricevono la forma e il colore. Il fuoco
brilla di luce chiara simile a un'idea. Le cose a lui inferiori quando si
allontanano dalla sua luce cessano di essere belle, perché esse non partecipano
interamente dell'idea del colore.
Vi sono poi le armonie musicali impercettibili ai sensi che danno vita alle
armonie sensibili. Per merito loro l'anima diventa capace di intuire la
bellezza, grazie all'identità che esse introducono in un soggetto differente. Ne
segue che le armonie sensibili derivano da rapporti numerici che non sono
affatto rapporti qualsiasi, ma sono subordinati all'azione sovrana di una forma.
Ho detto così abbastanza sulle bellezze sensibili, immagini e ombre che, in fuga
dal loro mondo, vengono nella materia, la ordinano e le danno l'aspetto che
tanto ci commuove.
IV. Quanto alle realtà belle di grado più elevato, non ci è dato di
percepirle attraverso le sensazioni, ma la nostra anima le vede e sa giudicarle
belle anche senza l'aiuto degli organi di senso. Ma per far questo dobbiamo
elevare il nostro spirito e raggiungere lo stato della contemplazione, dopo aver
lasciato in basso il mondo delle sensazioni. Non si può dir nulla sulla bellezza
delle cose sensibili senza averle viste e riconosciute come belle (se si è, per
esempio, ciechi dalla nascita); allo stesso modo, non si può dire se una maniera
di comportarsi è bella se non si vive dentro di sé con amore questa bellezza; e
così è per le scienze e le altre realtà simili. Dobbiamo divenire capaci di
vedere come è bello il volto della giustizia e della temperanza: non sono così
belle né la stella del mattino né la stella della sera.
Solo un'anima capace di contemplazione sa intuire questo genere così elevato di
bellezza. E l'intuizione dà gioia, dà commozione e stupore in modo ben più forte
che nel caso precedente, perché adesso l'anima contempla la realtà che ha il
carattere della verità. L'anima, nel contemplare le realtà belle, prova grandi
emozioni: lo stupore, la dolce tensione dello spirito, il desiderio, l'amore, la
deliziosa eccitazione. Ed è possibile provare queste emozioni (e l'anima le
prova di fatto) anche contemplando le cose belle visibili solo allo spirito:
tutte le anime le provano, ma soprattutto quelle più sensibili al richiamo
dell'amore.
Ed è così anche per la bellezza dei corpi: tutti la vedono, ma non tutti ne
sentono egualmente il fascino. Coloro che lo sentono di più, ebbene quelli
dobbiamo davvero dire che sono sensibili all'amore.
V. Bisogna quindi chiarire che cos'è l'amore per le cose non sensibili.
Che emozioni provate quando sentite che un'azione è bella? Che sentimenti
provate di fronte al carattere di una persona bella, alle abitudini di vita
moderate, e più in generale alla virtù e alla bellezza dell'anima? E vedendo la
vostra stessa bellezza interiore, che cosa provate? Che cos'è questa follia,
questa emozione, questo desiderio di stare raccolti in voi stessi quasi non
aveste un corpo? Perché è questo che prova chi vive davvero l'amore nella
propria anima.
E qual è l'oggetto dell'amore? Non certo una forma, un colore, una grandezza: è
invece l'anima che non ha colore, ma splende di invisibile luce, illuminata
dalla temperanza e dalle altre virtù. Così l'amore vi colpisce tutte le volte
che vedete in voi stessi o contemplate in altri la grandezza d'animo, la
correttezza del carattere, la purezza dei costumi, il coraggio su un volto
dall'espressione ferma, la gravità, il rispetto di sé che è il segno di un'anima
calma, serena ed impassibile. Su tutto questo splende la luce dell'intelligenza,
che è di natura divina.
Dunque, per tutte queste cose noi proviamo inclinazione e amore: ma in che senso
le diciamo belle? Non c'è dubbio infatti che lo siano, e chiunque le contempli
affermerà che esse sono la vera realtà. Ma di che natura sono queste realtà?
Nella loro essenza sono belle, non c'è dubbio, ma la ragione desidera ancora
sapere che cosa esse siano e perché esse fanno sì che l'anima che le possiede
faccia innamorare le altre di sé. Che cos'è dunque che come una luce splende su
tutte le virtù? Vogliamo, per ragionar per contrari, procedere per opposizioni e
domandarci cos'è la bruttezza? Forse sarà utile per comprendere l'oggetto delle
nostre ricerche sapere che cos'è la bruttezza e perché essa si manifesta.
Sia dunque un'anima brutta, intemperante e ingiusta. Essa è piena di un gran
numero di desideri e delle più profonde inquietudini, paurosa per vigliaccheria,
invidiosa per grettezza. Quest'anima pensa bene, ma non pensa che a oggetti
mortali e bassi: sempre tortuosa, incline ai piaceri impuri, vive la vita delle
passioni del corpo e trova il suo piacere solo nella bruttezza. Non diremo
allora che la sua bruttezza è sopravvenuta dall'esterno su quest'anima come una
malattia che la offende, la rende impura e ne fa un impasto confuso di mali?
Così la sua vita e le sue sensazioni hanno perduto la loro purezza: l'anima
conduce una vita oscurata dall'impurità del male, una vita contaminata dai germi
della morte. Essa non è più capace di vedere ciò che un'anima deve vedere: non
le è più consentito di raccogliersi in se stessa perché essa è continuamente
attirata nella regione dell'esteriorità, inferiore e carica di oscurità. Impura,
travolta da ogni lato per l'attrazione delle cose sensibili, essa è mescolata
con molti caratteri del corpo. Poiché essa ha accolto in sé la forma della
materia, differente da lei, ne è rimasta contaminata, e la sua stessa natura è
rimasta inquinata da ciò che è inferiore.
É come se un uomo immerso nel fango di un pantano non mostrasse più la sua
bellezza, ma di lui si vedesse soltanto il fango di cui è coperto. La bruttezza
è sopravvenuta su di lui per l'aggiunta di un elemento estraneo e sarà una bella
impresa riacquistare la sua bellezza: dovrà pulirsi e lavarsi bene e solo così
tornerà ad essere quel che egli era.
Abbiamo dunque ragione di dire che la bruttezza dell'anima deriva da questo
mescolarsi impuro con il corpo e dalle inclinazioni verso la materia. La
bruttezza per l'anima è il non essere in sé pura, come per l'oro è di essere
mescolato a terra: se si toglie questa terra, l'oro rimane ed è bello perché
depurato dalle scorie di altre materie e puro in se stesso. Nello stesso modo,
isolata dai desideri che provengono dal corpo, con cui essa aveva legami troppo
stretti, liberata dalle altre passioni, purificata da tutte le scorie della
materia, l'anima rimane pura in se stessa, deposte tutte le brutte impurità che
le provenivano da una natura diversa dalla sua.
VI. É proprio come dice un vecchio detto: la temperanza, il coraggio,
tutte le virtù e la prudenza stessa sono delle purificazioni. É per questo che
gli iniziati ai Misteri dicono con parole velate che l'anima non purificata
persino nell'Ade vivrà in un pantano, perché l'essere impuro ama il fango a
causa dei suoi vizi, come i porci il cui corpo è impuro.
In che consisterà dunque la vera temperanza se non nel non unirsi ai piaceri del
corpo, ma a fuggirli come impuri? Essi non permettono all'anima di rimanere
pura. Il coraggio consisterà nel non temere la morte. Ora la morte è la
separazione dell'anima dal corpo. Non temerà questa separazione quell'anima che
è vissuta isolata dal corpo. La grandezza d'animo nasce dal disprezzo delle cose
che passano. La prudenza è il pensiero stesso che si allontana da tutto ciò che
passa e conduce l'anima verso l'alto.
L'anima, una volta purificata, diviene dunque una pura forma, pura razionalità.
Essa diviene pura realtà intellettuale, liberata da ogni scoria di materia. Così
appartiene interamente alla sfera di ciò che è divino, là dove è la sorgente
della bellezza: da lì, infatti, proviene tutto ciò che è bello. Dunque l'anima
restituita alla pura intelleggibilità torna ad essere bella. Ma l'intelligenza e
ciò che ne deriva è per l'anima una bellezza propria e non le deriva
dall'esterno, perché l'anima pura è adesso realmente se stessa.
Per questo si dice - e con ragione - che il bene e la bellezza dell'anima
consistono nel rendersi simile a Dio, perché da Dio deriva la bellezza e tutto
ciò che costituisce l'essenza della vera realtà. Ma la bellezza è realtà
autentica, la bruttezza è una natura differente da questa realtà. La bruttezza e
il male, quanto alla loro origine, sono la stessa cosa, così come sono la stessa
cosa il buono e il bello. Il bene e la bellezza si identificano.
Bisogna dunque ricercare con mezzi analoghi il bello e il buono, il brutto e il
cattivo. Bisogna anzitutto fissare il principio che la bellezza è il bene e da
questo bene l'intelligenza deriva immediatamente la sua bellezza. E l'anima è
bella per l'intelligenza: le altre bellezze, delle azioni e dei costumi,
derivano dal fatto che l'anima imprime in esse la sua forma. L'anima poi produce
tutto ciò che chiamiamo corpo, ed essendo un essere di natura divina - frammento
della bellezza divina - essa rende belle tutte le cose con cui entra in contatto
e che domina, almeno nei limiti in cui ad esse è consentito partecipare della
bellezza.
VII. Bisogna dunque risalire verso il Bene, che è ciò a cui tende ogni
anima. Chi l'ha visto, sa cosa voglio dire, e in che senso esso è bello. Come
Bene, è desiderato e il desiderio tende verso di lui; ma lo si raggiunge solo
risalendo verso la regione superiore, piegandosi verso di lui e spogliandosi dei
vestiti indossati nella discesa. Nello stesso modo chi sale ai santuari dei
templi deve purificarsi, deporre i suoi vecchi abiti e avanzare nudo; e infine,
abbandonato lungo questa salita tutto ciò che è estraneo a Dio, può guardare da
solo a solo nel suo isolamento, nella sua semplicità e purezza, l'Essere da cui
tutto dipende, verso cui tutto guarda, perché è l'essere, la vita e il pensiero;
perché è causa della vita, dell'intelligenza e dell'essere.
Se lo si vede, quest'Essere, quale amore e quale desiderio sentirà l'anima che
vorrà unirsi a lui! E quale emozione accompagnerà questo piacere! Infatti colui
che non l'ha ancora visto, può tendere verso di lui come verso un bene: ma colui
che l'ha visto, lo amerà per la sua bellezza, sarà colmo di commozione e di
piacere, di gioioso stupore, di amore pieno e desiderio ardente. Dimenticherà
gli altri amori e disprezzerà le pretese bellezze da cui prima era attratto.
É questo che provano tutti coloro che hanno conosciuto le forme divine o
demoniche e non ammettono ormai la bellezza degli altri corpi. Questo crediamo
che essi provino, se hanno visto il bello in sé in tutta la sua purezza, non il
bello che è appesantito dal corpo e dalla materia, ma quello che - puro - è al
di sopra della terra e del cielo. Tutte le altre bellezze sono acquisite, non
pure, ma frutto di un misto, non originarie: tutte vengono dal puro bello in sé.
Se dunque si vede il bello in sé - che dona la bellezza ad ogni cosa pur
restando puro in se stesso e senza ricevere nulla dall'esterno - non si resterà
forse in questa contemplazione godendo in lui? Quale bellezza ci mancherà
ancora?
É questa infatti la vera e originaria bellezza che rende belli coloro che la
amano e degni di essere a loro volta amati. É qui per l'anima la più grande e
suprema battaglia, per la quale essa concentra tutti i suoi sforzi, per non
restare senza la più alta delle visioni. Se l'anima raggiunge questa meta,
allora è felice grazie a questa visione della bellezza; se non la raggiunge, è
davvero infelice. Infatti chi non sa godere della bellezza del colore e dei
corpi belli non è più infelice di chi non ha potere, o di chi non ha fatto
carriera, o non è un re. Infelice è colui che non incontra affatto la bellezza,
e lui solo. Per incontrarla, bisogna lasciare la dove sono i regni e il potere
dell'intera terra, del mare e del cielo, se grazie a questo abbandono ci si può
volgere nella direzione che permette di vederla.
VIII. Qual è dunque il modo per ottenere questa visione? Quale il mezzo?
Come potremo contemplare questa bellezza immensa che resta in qualche modo
protetta nell'interiorità del suo santuario e che non si mostra all'esterno
perché i profani possano vederla? Suvvia, chi può vada dunque e la segua fin
nella sua intimità: abbandonata la visione sensibile, che è propria degli occhi,
non dobbiamo rivolgerci più verso lo splendore dei corpi che pure prima
ammiravamo tanto. Infatti, se pur osserviamo la bellezza dei corpi, non dobbiamo
rivolgerle la nostra attenzione, ma sapere che essa è un'immagine, una traccia,
un'ombra: dobbiamo invece rivolgerci verso quella bellezza di cui la bellezza
dei corpi è immagine. Chi infatti si rivolge alla bellezza sensibile per
conoscerla come se essa fosse in sé reale, sarà simile all'uomo che volle vedere
la sua immagine bella riflessa sull'acqua (come la favola, credo, lascia ben
intendere). E così cadde nell'acqua profonda, e sparì. Allo stesso modo capita a
chi si lascia attrarre dalla bellezza dei corpi e non l'abbandona; non sarà però
il suo corpo a cadere nelle profondità oscure e funeste per l'intelligenza, ma
la sua anima: egli vivrà con le ombre, cieco abitante dell'Ade.
Rifugiamoci dunque presso la nostra cara patria: ecco il vero consiglio che
dobbiamo darci. Ma come potremo rifugiarci là? Per quale sentiero risalire alla
nostra meta? Faremo come Ulisse, che fuggì - dicono - dalla maga Circe e da
Calipso: egli non volle rimanere presso di loro, malgrado il piacere degli occhi
e tutte le bellezze sensibili di cui poteva godere presso di loro.
La nostra patria è il luogo da cui siamo venuti, e nostro padre è là. Cosa sono
dunque questo viaggio e questa fuga? Non lo compiremo con i nostri piedi, perché
non si tratta di passare da una terra a un'altra. Non si tratta di preparare dei
cavalli o una nave, ma di distogliere lo sguardo dalle realtà sensibili e,
chiusi gli occhi dinnanzi ad esse, cambiare questa maniera di guardare con
un'altra. Si tratta quindi di risvegliare in noi un'altra facoltà, che tutti
possediamo, ma ben pochi usano.
IX. Che cosa vedono dunque questi occhi interiori? Appena risvegliati,
certo non possono sostenere la vista delle realtà luminose. Bisogna abituare
l'anima pian piano a osservare dapprima le belle abitudini di vita, poi le opere
- e non intendo gli oggetti materiali prodotti dal lavoro dell'artigiano, ma le
azioni degli uomini buoni. Subito dopo, bisogna educarci a osservare l'anima di
coloro che compiono azioni belle. Come si fa a scrutare dentro l'anima di un
uomo buono per scoprire la sua bellezza? Coraggio, ritorna in te stesso e
osservati: se non vedi ancora la bellezza nella tua interiorità, fa come lo
scultore di una statua che deve diventare bella. Egli scalpella il blocco di
marmo, togliendone delle parti, leviga, affina il marmo finché non avrà ottenuto
una statua dalle belle linee.
Anche tu, allora, togli il superfluo, raddrizza ciò che è storto, lucida ciò che
è opaco perché sia brillante, e non cessare mai di scolpire la tua statua,
finché in essa non splenda il divino splendore della virtù e alla tua vista
interiore appaia la temperanza assisa sul suo sacro trono.
La tua anima si è così trasformata? Ti vedi in questo modo? Hai tu con te stesso
un rapporto puro, senza che alcun ostacolo si frapponga fra te e te, senza che
nulla di estraneo abbia inquinato la tua purezza interiore? Sei tu, interamente,
divenuto splendente di pura luce? Non una luce - dico - che si può misurare per
forma o dimensione, che può diminuire o aumentare indefinitamente per grandezza,
ma una luce assolutamente al di là di ogni misura, perché essa è superiore a
ogni grandezza e a ogni quantità?
Riesci adesso a vederti così? Tu stesso allora sei divenuto pura visione, vivi
presso te stesso e, pur restando nel mondo di quaggiù, ti sei innalzato
interiormente. Allora, senza più bisogno di guida, fissa il tuo sguardo e
osserva.
Il tuo occhio interiore ha dinnanzi a sé una grande bellezza. Ma se cerchi di
contemplarla con occhio ammalato, o non pulito, o debole, avrai troppo poca
energia per vedere gli oggetti più brillanti e non vedrai nulla, anche se sei
dinnanzi a un oggetto che può essere visto.
Bisogna che i tuoi occhi si rendano simili all'oggetto da vedere, e gli siano
pari, perché solo così potranno fermarsi a contemplarlo. Mai un occhio vedrà il
Sole senza essere divenuto simile al Sole, né un'anima contemplerà la bellezza
senza essere divenuta bella. Che ciascun essere divenga simile a Dio e bello, se
vuol contemplare Dio e la bellezza. Innalzandosi verso la luce, giungerà
dapprima presso l'intelligenza, e qui potrà osservare che tutte le idee sono
belle e si accorgerà che è lì la bellezza, proprio nelle idee. Per esse,
infatti, che sono i prodotti e l'essenza stessa dell'intelligenza, esiste ogni
realtà bella. Ciò che è al di là della bellezza, noi lo identifichiamo come la
natura del bene, e il bello le è dinnanzi. Anzi, per usare una formula
d'insieme, si dirà che il primo principio è il bello, ma - per fare una
distinzione tra ciò che è intelligibile - bisognerà distinguere il bello, che è
il luogo delle idee, dal Bene che è al di là del bello e che ne è la sorgente e
il principio. Ovvero si comincerà col fare del bello e del bene un solo e
identico principio. Ma, in ogni caso, il bello è nel regno delle cose che
possono essere colte con la mente.