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O. Al centro delle pagine che seguono verrà posta la possibilità di teorizzare una psicopatologia nell'ambito della riflessione concettuale del mondo greco, in un arco temporale limitato, che va dall'età periclea a quella ellenistica 1. Per essere ancora più precisi, lo scopo del lavoro sarà quello di "selezionare" 2 alcune occorrenze testuali relative al complesso problema della "malattia dell'anima" 3, per cercare di evidenziare l'atteggiamento della mentalità 'classica' di fronte alle esigenze di equilibrio psico-fisico, quotidianamente vissute dai singoli uomini, ma coerentemente analizzate in modo specifico dal pensiero filosofico. Sarà quindi attraverso la lente filosofica, che verrà letto il complesso delle testimonianze aggregabili intorno al tema della psicopatologia, la cui essenza sembra del resto essere quella di un "mosaico" aperto alle più diverse, e talora metodologicamente lontane, discipline di studio. Come è stato scritto, infatti, «biologia, psicologia, filosofia, medicina, magia, religione, legge, arte, letteratura, tutti questi territori hanno un reale ed intimo contatto con il soggetto dello spirito e delle sue aberrazioni» 4. Nel momento in cui l'interprete del materiale antico giunto sino a noi decide di affrontare l'indagine secondo una sola di tali prospettive, nel nostro caso quella storico-filosofica, diviene pertanto inevitabile il riconoscimento preliminare della parzialità del suo approccio, che non rende conto, ad esempio, della "massa magmatica", concettualmente ricchissima, costituita dal pensiero mitico 5. Del resto non e infrequente che il "problema del cominciamento" debba essere risolto attraverso una drastica riduzione di complessità ed un'altrettanto radicale opzione tematica e cronologica. Nel caso specifico di questa variegata "terra di frontiera" rappresentata dalle teorizzazioni greche sulla malattia dell'anima questo significa scegliere un punto di inizio assolutamente determinato, inevitabilmemte collegato alla «nascita di una medicina coerente» 6, ovvero alla prospettiva "scientifica" della medicina ippocratica 7, ma più chiaramente ;A»ntifirezhilo romP filrgenfira In tal senso un esame necessariamente sintetico dei modelli e delle definizioni offerti dalla tradizione ippocratica relativamente alla natura degli stati patologici sarà forse l'introduzione più appropriata alle concezioni di Democrito e di Platone, non a caso scelte come figure iniziali della ricerca, perché è con loro «che l'utilizzazione dell'analogia dell'anima e del corpo diviene sistematica» 8.
1. Per rendere adeguatamente conto dell'intero universo concettuale rappresentato dal pensiero ippocratico 9, non basterebbe forse lo spazio ampio di una monografia 10. Fortunatamente il particolare angolo prospettico della nostra analisi autorizza ad evidenziarne solo alcuni aspetti, funzionali innanzitutto alla determinazione del valore e del significato degli stati patologici ". Da questo punto di vista la malattia non sembra caricarsi, nel mondo antico, di caratteri essenziali, di una sussistenza ontologica; «per i Greci, al contrario, il nome di una malattia denota semmai semplicemente una sindrome di sintomi. Secondo Ippocrate questo può avere una sua utilità schematica; ma la "malattia" in fondo è un'astrazione, dietro la quale occorre scorgere il malato nella sua realtà di uomo che soffre, che è localizzato nel tempo e nello spazio, che presenta nella sua concretezza caratteri differenziali assolutamente irriducibili alla genericità di un nome comune il quale potesse valere per ogni luogo, ogni tempo e ogni uomo» 12. Si delinea così la concezione della salute come "armonia", equilibrio di forze, funzioni e/o umori, sulla scia dell'insegnamento di Alcmeone di Crotone, il quale aveva espressamente affermato che "la salute dura fintantoché i vari elementi, umido secco, freddo caldo, amaro dolce, hanno uguali diritti [isonomia] e che le malattie vengono quando uno prevale sugli altri [monarchia]. (...) La salute è l'armonica mescolanza delle qualità (opposte)" 13. Anche per Ippocrate, del resto, lo stato morboso non può essere concepito isolatamente, ma va inserito nel contesto dell'intero organismo, in un'ottica globale, che condiziona conseguentemente lo stesso approccio del medico. La cura, in tal senso, non è indirizzata al ripristino del benessere del singolo elemento, ma ha il carattere onnicomprensivo di un regime, la cui articolazione interna si scandisce tra l'uso dei farmaci, a base essenzialmente allopatica, la prescrizione della dieta e, soprattutto, I'attenzione al malato nella sua interezza, attraverso una forma di dialogo non distante, nelle sue motivazioni profonde, da esigenze psicoterapeutiche. La salvaguardia (o la ricostituzione) di un equilibrio sicuramente definibile come psico-fisico è dunque il frutto non di una piatta, quasi "precettistica" diagnostica, né di presunte evocazioni magico-misteriche della divinità, ma, in un senso pienamente laico 14, dello sforzo scientifico del medico, impegnato a ricostruire la storia personale del malato attraverso un'anamnesi, che possa fungere da base Der aualsiasi intervento proiettato nel futuro, ovvero per una prognosi indisgiungibile dalla concreta terapia e consapevole dei legami esistenti tra l'individuo ed il suo ambiente 15. Questo è il ricco, sebbene non angustamente sistematico, patrimonio ermeneutico messo a disposizione della cultura greca del V sec. a.C. dalla medicina ippocratica; e se è vero che «non si esagera dicendo che la scienza etica di Socrate, che nei dialoghi platonici occupa il centro della disputa, non sarebbe stata pensabile senza il modello della medicina, a cui Socrate così spesso si richiama» 16, altrettanto verosimile è la relazione delle tesi ippocratiche con la dottrina atomistica originaria, che giunge con Democrito ad un'esplicita estensione del concetto di malattia dalla sfera del corpo a quella dell'anima, anch'essa composta di atomi e distinta dal corpo solo nella funzione, non secondo un dualismo di carattere ontologico, proprio invece di quella tradizione orfico-pitagorica confluita in (e rielaborata da) Platone17.
2. Se dunque esiste un'analogia tra i "morbi" del corpo e quelli dell'anima, ciò implica la possibilità di collocare sulla medesima linea operativa anche medicina e filosofia. Come afferma Democrito, infatti, la medicina «è l'arte che cura le malattie del corpo, la filosofia quella che sottrae l'animo al dominio delle passioni» 18. Il valore "tecnico" dell'attività del filosofo ha qui un riconoscimento esplicito; anzi, potremmo dire che egli, avendo compreso la vera natura dell'anima, è l'unico in grado di analizzarne gli stati, definendone di conseguenza le condizioni di normalità/patologia. Una simile analisi si colloca evidentemente sul terreno della morale, dello sguardo etico indirizzato alla determinazione del comportamento migliore dell'uomo, quello che gli consente di superare le angosce, di vivere felice e di raggiungere, quale suo scopo ultimo, una piena tranquillità d'animo o, per dirla con Democrito, una completa euthymie. Letteralmente questo vocabolo indica lo "star bene del carattere", ma nella ricca esemplificazione democritea esso è affiancato da un altro termine, immediatamente rivelativo della sfera d'azione entro cui si muove la forza "liberatrice" della filosofia: euesto, che significa proprio "ben-essere", ovvero « [equivale a] felicità, [vocabolo tratto] dallo star bene nella vita domestica» 19. Il composto atomico dell'anima può dirsi in una tale condizione di "ben-essere" e di "tranquillità" solo nel momento in cui regna in esso un perfetto "equilibrio" (inteso come armonica composizione e distribuzione dei suoi costituenti ultimi), cioè quando da esso è assente ogni eccesso di movimento o agitazione, che mette in pericolo l'ideale della misura, alla base tanto della realtà psichica quanto di quella corporea 20. Anche qui, dunque, come abbiamo visto nella tradizione ippocratica, si stabilisce un'eauazione forte tra salute (dell'anima) = equilibrio e malattia (dell'anima) = squilibrio, condizioni ricondotte entrambe, però, ad uno status fisico/materiale degli elementi ultimi del reale nel loro aggregarsi. Invece di moltiplicare le parole di commento, è forse utile concludere citando per esteso un lungo frammento democriteo, nel quale i punti-cardine della concezione dell'euthymie vengono riassunti ed esposti in modo chiaro ed immediatamente comprensibile: «la tranquillità dell'anima ci è procurata dalla misura nei godimenti e dalla moderazione in generale nella vita: il troppo e il poco son facili a mutare e quindi a produrre grandi turbamenti nell'animo. E quegli animi che sono sempre sballottati tra gli estremi opposti non sono ben fermi né tranquilli. Si deve, dunque, rivolger la mente alle cose possibili e contentarci di quello che si ha, poco curandoci delle persone che vediamo invidiate ed ammirate e senza tener sempre il pensiero dietro a loro; e si deve guardare, piuttosto, alla vita che conducono quelli che son carichi di guai, riflettendo seriamente a quel che essi sopportano, e allora quel tanto che possediamo presentemente ci apparirà grande ed invidiabile, e non ci accadrà più di soffrire in cuor nostro per il desiderio di beni maggiori. Difatti, se uno ammira i ricchi e tutti quelli che dagli altri uomini son stimati fortunati e ad ogni momento il suo pensiero è rivolto a loro, sarà costretto a cacciarsi continuamente in cerca del nuovo e persino a desiderare di compiere qualche azione irrimediabile, una di quelle azioni che son proibite dalle leggi. Perciò bisogna non cercare tutto quel che vediamo, ma contentarci di quel che abbiamo noi, paragonando la nostra vita con quella di coloro che si trovano in condizioni peggiori, e stimarci fortunati pensando quanto sopportano essi e quanto migliore del loro è il nostro stato. E se tu effettivamente ti atterrai a questo modo di considerare le cose, vivrai con animo veramente tranquillo e respingerai da te durante la vita non poche funeste ispiratrici, come l'invidia, I'ambizione e la malevolenza» 21.
3. Sarebbe forse pretesa vana quella di esaurire in poche pagine l'esame delle differenti tappe che hanno segnato «un organico e pieno assorbimento della medicina nell'antropologia filosofica di Platone» 22. Più giustificato, invece, si rivelerà senza dubbio un esame consapevolmente limitato alla sottolineatura della funzione paradigmatica della "tecnica" medica all'interno dei dialoghi platonici, accompagnata dalla ricerca degli sforzi di definizione teorica di "malattia dell'anima" da parte di Platone. In un orizzonte concettuale, che pone una superiorità di valore dell'anima rispetto al corpo 23, il compito fondamentale della filosofia, concretamente intesa anche nelle sue valenze pratiche owero politiche, diviene quello di preoccuparsi della salute della psiche, del raggiungimento della virtù (arete) morale, di quel "meglio" verso cui tende la vita tanto del singolo uomo quanto della collettività socio-politica. Sulla strada di tale analogia, dunque, «la struttura della medicina è il modello della politica. La cura, che caratterizza la medicina come la politica, non modifica propriamente la natura dell'oggetto, perché la natura è intesa da Platone, sulla scorta dei medici, come la situazione ottimale di normalità di un ente qualsiasi. La medicina riporta il corpo alla normalità, che era stata turbata dalla malattia. Allo stesso modo per la politica si tratta di effettuare una cura che riporti l'anima nella sua condizione normale e naturale» 24. Sia sul piano fisico, sia su quello psichico, del resto, la sanità si impone come ordine, proporzione, simmetria 25. Così si giustifica l'orientamento che il Socrate platonico sembra indicare quale mèta ultima dell'agire umano: «Questo, sono convinto, il fine a cui bisogna tenere fisso lo sguardo nella vita, a questo scopo volgere ogni sforzo, nostro e dello stato, perché giustizia e temperanza mettano radice in chi voglia essere felice, e in tal modo agire, non lasciando andare senza freno alcuno gli appettiti, dando a tutti piena soddisfazione—male senza rimedio—, in una vita da vero scellerato» 26. Se lo scopo della terapia filosofica è quello di tenere a freno gli istinti più bassi, di non cedere alle lusinghe irrazionali dei piaceri 27, si comprende come Platone abbia potuto costruire, contro ogni forma di "adulazione", una vera e propria analogia proporzionale tra le tecniche legittimate ad occuparsi rispettivamente del corpo e dell'anima. Così le "virtù" della bellezza e della perfetta salute vengono perseguite da arti, che si pongono sulla stessa linea, secondo uno schema ordinato del seguente tipo: ginnastica: legislazione = medicina: giustizia (tecniche "sane") bellezza corpo: bellezza anima = salute corpo: salute anima [cosmetica: sofistica = culinaria: retorica (tecniche "adulatorie") 2h]. Questa impostazione metodologica consente a Platone di fornire una classificazione coerente delle condizioni nosologiche dell'anima, come si legge ad esempio nel Sofista (228d-e): «Lo straniero: Ci sono dunque, come appare evidente, questi due generi di vizio nell'anima, l'uno chiamato da molti "cattiveria" e che senza alcun dubbio è una malattia dell'anima. Teeteto: Si. Lo straniero: L'altro viene chiamato ignoranza dai molti, i quali però non vogliono invece riconoscere che esso, da solo, costituisce un vizio dell'anima. Teeteto: Bisogna senz'altro ammettere ciò di cui io or ora dubitavo ascoltando le tue parole, che ci sono due generi di vizio nell'anima e cioè da una parte la viltà, l'intemperanza, l'ingiustizia, e tutto ciò deve essere giudicato come una malattia in noi, d'altra parte bisogna invece definire bruttezza delI'anima auella affezione che è l'ignoranza nella sua multiforme molteplicità». Anche quando si muove nel campo della diagnosi delle malattie dell'anima, dunque, Platone offre sistemazioni concettuali, la cui chiarezza pub essere tradotta in schemi immediatamente comprensibili: malattia ~ingiustizia / cura~giustizia bruttezza~ignoranza / cura~confutazione 29. Il tema delle patologie psichiche, comunque, trova la sua trattazione più completa ed articolata nel Timeo, opera che ebbe grandissima influenza e che servì, non dimentichiamolo, «a trasmettere all'alto Medio Evo il poco che conobbe della scienza antica, e rimase durante i secoli il breviario dei sapienti, fisici, medici e astronomi» 30. In quest'opera tarda Platone, dopo aver individuato nel disordine degli elementi la causa generica di qualsiasi stato patologico e dopo aver descritto in modo immaginoso tre tipi di malattie corporee, dedica una lunga trattazione anche alle malattie dell'anima, analizzate secondo un'ottica fisiologica, che, come è stato scritto, «è diventata per questo problema capitale, un'autorita medica» 31, e che «legittima biologicamente e socialmente (...) I'assioma preferito di Socrate: "Nessuno è cattivo volontariamente"» 32. Nonostante l'apparente tono materialistico della diagnosi relativa alle patologie psichiche, ricondotte a cause corporee con l'aggravante di fattori socio-politici, la proposta terapeutica platonica non riduce semplicemente la morale a dietetica, ma indica la necessità di una cura che coinvolga contemporaneamente corpo e anima: «ora, v'è una sola salvezza per questi due mali: non esercitare né l'anima senza il corpo, né il corpo senza l'anima, affinché entrambi difendendosi conservino l'equilibrio e la salute» 33. Cib comporta il ricorso innanzi tutto alla ginnastica (una prima giustificazione teorica dell'adagio mens sana in corpore sano) ed alla forza terapeutica della musica, lasciando spazio alla "purgazione farmaceutica" solo nei casi di assoluta necessità 34. Questo approccio alle realtà patologiche corporee e psichiche, che potrebbe essere ragionevolmente definito "olistico", ovvero riferito allo holon, a quel tutto costituito dalla relazione armonica anima-corpo, si rivela in conclusione come la più adeguata traduzione filosofica dell'apprezzamento già espresso da Platone nei confronti della metodologia medica ippocratica nel Fedro, in vista della definizione di una "retorica bella". In questo dialogo, infatti, il Socrate platonico rende manifesta la "via" della «sua nuova "arte" politico-filosofica cui spetta di guidar le anime degli uomini al loro vero bene» 35 «Socrate: Lo stesso modo tengono su per giù la medicina e la retorica. Fedro: Cioè? Socrate: In entrambe le arti dobbiamo determinarne la natura; del corpo nell'una, dell'anima nell'altra se si vuole somministrare scientificamente, e non per pratica empirica, le medicine e la dieta al corpo, onde apportare sanità e forza, o ragionamenti e norme di condotta all'anima, onde infondere la persuasione o la virtù come si desidera. Fedro: Hai probabilmente ragione, o Socrate. Socrate: Ma credi sia possibile conoscere la natura dell'anima in maniera degna di parlarne, se si prescinde dalla natura del tutto? Fedro: Se Ippocrate fa testo—e lui è un Asclepiade—non si può neppure capire il corpo senza un simile procedimento. Socrate: Ed ha ragione, amico mio» 36.
4. La questione delle "malattie dell'anima" sembra perdere di importanza e di centralità sia tra gli immediati successori di Platone alla guida delI'Accademia, Speusippo e Senocrate, sia, seppure in misura minore, all'interno della speculazione filosofica di Aristotele, visto che «nell'ambito della generale concezione aristotelica del pathos il tema costituito dai pathe tes psukes rappresenta senza dubbio un argomento assai circoscritto» 37. Nella riflessione morale aristotelica è comunque rinvenibile almeno una consapevole ripresa ed utilizzazione dell'analogia medicina/filosofia pratica, cosiderata in particolare da un punto di vista metodologico 38. Diffuso in tutti i trattati etici di Aristotele, questo parallelo appare radicato soprattutto nell'Etica Nicomachea, in cui «Aristotele, è vero, prende l'esempio medico come un'arma dall'arsenale del maestro, ma egli lo usa contro le conclusioni stesse di Platone: egli mostra che l'esempio prova la necessità di un differente tipo di conoscenza, che è capace di rintracciare il "bene" nel caso individuale invece di trascendere le differenze presentate nell'esperienza pratica» 39. Sul piano della prassi morale, poi, I'analogia viene ulteriormente estesa. Se nel realizzare le azioni buone, viste come giusta proporzione tra i due estremi opposti dell'eccesso e del difetto 40, infatti, occorre sottoporre il mondo delle passioni 41 ad un rigoroso controllo razionale, ripetuto fino a diventare "abitudine" ed equivalente ad una corretta "dietetica" 42, è nella definizione della virtù etica come «disposizione del proponimento, consistente nella medietà rispetto a noi stessi, definita dalla ragione e come l'uomo saggio la determinerebbe» 43 che il richiamo al mondo concettuale della medicina si fa più palese. Non solo l'idea di una disposizione del soggetto (o hexis) riconduce alla terminologia ippocratica, ma l'intero campo d'azione ruotante intorno al cardine teorico del giusto mezzo si rifà alla tradizione medica 44. La posizione di Aristotele al riguardo, dunque, è stata così opportunamente riassunta: «nel formulare la sua famosa definizione della virtù egli ha di nuovo in mente il parallelo della medicina. La medicina soffre della stessa difficoltà dell'etica: invece di presentare una regola essa può solo far riferimento al logos del perfetto medico, come la teoria etica deve far riferimento al logos di chi è genuinamente phronimos 45.
5. «Se Aristotele fosse potuto tornare ad Atene nel 272 a.C., per il cinquantesimo anniversario della sua morte, difficilmente l'avrebbe riconosciuta come l'ambiente intellettuale nel quale egli aveva insegnato e ricercato per gran parte della sua vita. Vi avrebbe trovato nuove filosofie di gran lunga diverse e più autoconsapevolmente sistematiche di quelle in corso ai suoi giorni. Alcuni dei problemi centrali, e molta della terminologia tecnica in cui essi venivano discussi, gli sarebbero sembrati non familiari» 46. Il nostro immaginario fantasma aristotelico avrebbe avuto buone ragioni per sentirsi disorientato. Non solo a causa del mutato clima politico, caratterizzato dal crollo di quegli ideali che avevano retto le fondamenta delle città-stato greche in epoca classica 47, ma anche per il ritmo vertiginoso ed instabile delle alternanze di potere tra i monarchi ellenistici 48, infatti, si era progressivamente modificato il modo stesso di concepire il ruolo della filosofia, ormai privata delle sue funzioni propositive a livello politico 49. In tutte le scuole ellenistiche, dunque, vengono praticati «esercizi destinati ad assicurare il progresso spirituale verso lo stato ideale della saggezza, esercizi della ragione che saranno, per l'anima, analoghi all'allenamento dell'atleta o alle cure di una terapia medica. In termini generali, consistono soprattutto nel controllo di sé e nella meditazione» 50. Figlio di questa temperie culturale ellenistica, Epicuro attribuì alla filosofia un compito, che riproponeva in modo originale 51 I'analogia con la medicina già avanzata da Democrito e resa "canonica" in ambito socratico 52, tenendo però ben ferma la teoria dell'impossibilità «di ogni esistenza indipendente dell'anima una volta dissolto il composto corporeo che la contiene» 53. Le citazioni possono al riguardo moltiplicarsi: «vano è il discorso di quel filosofo che non cura le passioni dell'uomo. Come infatti non c'è alcun vantaggio dalla medicina che non cura le malattie dei corpi, così nemmeno dalla filosofia se non caccia la passione dell'anima» 54. Si tratta di un imperativo, cui la filosofia è chiamata ad assolvere senza ipocrisie: «Non fingere di filosofare, ma filosofare davvero bisogna; non abbiamo infatti bisogno di apparire sani, ma di esserlo dawero» 55. Perseguire la sanità psichica: questa è la parola d'ordine che apre la più nota sintesi della morale epicurea, quella Epistola a Meneceo «scritta con preoccupazioni "pastorali" cioè ferma restando l'intenzione della personale cura d'anime» 56. Scrive infatti Epicuro: «nessuno che sia giovine indugi a filosofare, né divenuto vecchio si stanchi di filosofare: perché l'età di ognuno non è mai immatura né troppo matura per la salute dell'anima» 57 e poiché in fondo «bisogna che la lode da parte degli altri ci segua spontanea, ma che siamo noi a medicarci» 58. La "dottrina della salvezza" epicurea pone chiaramente come ideale filosofico quello di una salute, che abbracci in modo inscindibile il corpo e l'anima: «una corretta intelligenza di questa teoria sa dirigere ogni scelta e avversione alla salute del corpo e alla perfetta tranquillità dell'anima, perché questo è il compimento supremo della vita beata. E a questo fine indirizziamo ogni nostra azione, perché il corpo non soffra né l'anima si sgomenti, e, una volta che ciò abbiamo ottenuto, si dissolve tutta la tempesta dell'anima» 59. Al di là di qualsiasi distorsione polemica operata malevolmente dai suoi avversari, Epicuro riteneva che il benessere del corpo fosse situato in forme razionali di autarchia dietetica 60. E la salute dell'anima? Essa, in quanto ataraxia, si determina non solo come vaglio e controllo da parte del raziocinio dei desideri 61, ma anche e soprattutto come eliminazione attiva di qualsiasi turbamento. Da questo punto di vista le "malattie dell'anima", secondo Epicuro, sono essenzialmente paure, timori irrazionali, come quelli suscitati dalla divinità e dalla morte, o desideri privi di limite, frustrati dalla presunta irraggiungibilità del bene ( = piacere) e dall'altrettanto fittizia insopportabilità del male ( = dolore) 62. Esse possono comunque essere curate e la terapia è affidata al ricordo ed all'applicazione soprattutto delle prime quattro Massime Capitali, «una specie di breviario o catechismo della "Parola del Maestro"» 63, a loro volta condensate in una «ricetta» di efficacia sicura, quella famosa «quadruplice medicina» (la tetrapharmakos) generosamente restituitaci da un papiro ercolanese filodemeo: «non ci atterrisce il dio, non ci spaura la morte, il bene è di facile acquisto, il male è facilmente tollerabile» 64. Il fiducioso atteggiamento epicureo nei confronti di «un sobrio calcolo che ricerchi le cause di ogni scelta e di ogni avversione e bandisca le vane opinioni per opera delle quali un intenso tumulto si impadronisce delle anime» 65 si colora dunque continuamente di metafore legate alla terminologia medica e destinate a costituire un patrimonio acquisito della scuola nel corso dei secoli 66.
6. Il tema della passione come "malattia dell'anima" trova però la sua più netta esplicazione teorica nell'ambito della dottrina morale e psicologica degli Stoici 67. Se dal punto di vista platonico ed aristotelico, infatti, le passioni stesse avevano rappresentato un momento ineliminabile della vita psichica umana, che poteva essere sottoposto al dominio ed al controllo della razionalità 68; e se le passioni primarie del piacere e del dolore erano state poste «come l'unico criterio etico epicureo, il canone per ogni scelta e rifiuto» 69, ben diversa e molto più radicale fu la strategia adottata dallo stoicismo '°, fin dalle prime prese di posizione del suo fondatore Zenone ". Con Crisippo, poi, le definizioni si fecero ancora più stringenti e le modaliltà della terapia, di conseguenza, sempre più raffinate 72. La passione viene fatta consistere in uno stato patologico della ragione, in una forma di eccesso che si sottrae al controllo naturale del logos, ancora più radicalmente «in un giudizio della ragione, e precisamente in un errato giudizio di valore (I'eco del socratismo qui non potrebbe essere piu chiara)» 73. Nonostante i possibili riflessi di carattere sociale, dunque, la passione «è soprattutto patologia del soggetto, malattia dell'anima: pathos riassume così il suo valore primario, medico, di condizione morbosa» 74. In quanto tale essa può essere sottoposta a rigida tassonomia ~5, per favorire la diagnosi dello stato patologico del soggetto morale, la possibile individuazione delle cause della malattia 76 e, naturalmente, la prescrizione della cura. La soluzione, di difficile impostazione, almeno per il primo stoicismo, della terapia, passa per «la meditazione preventiva capace di sradicare gli errati giudizi di valore sul bene e sul male, i desideri e le paure, e di fortificare la conoscenza del mondo e del suo senso per il soggetto» ". Il rimedio terapeutico risiede dunque in un esercizio di "conoscenza", che si rivela, socraticamente, come l'unico farmaco efficace contro il male dell'ignoranza 78. L'analogia crisippea tra passione dell'anima e malattia rappresenta forse il momento più caratteristico dell'intersezione tra sapere filosofico e scienza medica 79, ancora sentita, quest'ultima, come un "serbatoio" cui attingere strumenti ermeneutici ed immagini concettuali utili alla chiarificazione del pensiero etico. Solo più tardi, a partire dagli inizi dell'età imperiale, si assisterà ad un mutamento di rotta. Da questo punto di vista, è stato scritto giustamente, «stoicismo ed epicureismo preparano, per vie diverse, un esito in un certo senso comune. La teoria stoica della passione come malattia, il calcolo epicureo dei piaceri corporei, convergono verso una medicalizzazione del problema in cui i medici stessi finiranno per impegnarsi in prima persona. Il rapporto metaforico tra medicina e filosofia verrà cioè a trasformarsi in una tendenza alla sostituzione della filosofia da parte della medicina: se la passione è malattia, se il corpo ha un ruolo decisivo nella sofferenza e nel piacere anche psichici, la terapia della passione potrà essere non soltanto analoga a quella del corpo ma direttamente governata da questa, e la sua pertinenza passerà dunque dalla parola filosofica al sapere igienico e dietetico dei medici. (...) Ma la tendenza alla sostituzione del filosofo da parte del medico, mediante una terapia somatica che risulta immediatamente anche psichica, è ancora piu forte, sorprendentemente, in un medico di ispirazione platonica e aristotelica come Galeno, che la sperimenta in un piccolo trattato inteso a dimostrare che "i costumi dell'anima dipendono dai temperamenti del corpo"» 80, in una soluzione che accomuna significativamente le posizioni delle più importanti scuole filosofiche greche e che è segnata da un ritorno del tutto personale alle teorie del Timeo platonico 81.
Note 1. Ecco perché nel sottotitolo, per fornire coordinate più chiare, si è specificato il campo di indagine ricorrendo a due "figure di confine": Democrito e Crisippo. 2 Questa indicazione va presa nel senso letterale del termine: la "selezione" sarà una vera e propria scelta personale, che tenderà a privilegiare alcuni momenti e autori, ponendone sullo sfondo altri. Anche la bibliografia citata non pretende di costituirsi come punto di riferimento assolutamente esaustivo, bensì unicamente come un insieme di indicazioni rispondenti a suggestioni del tutto personali. 3 Inevitabile è, al riguardo, il riferimento al lavoro di J. Pigeaud, La maladie de l'ame, Paris 1981 (d'ora in poi semplicemente Pigeaud). Per una rapida sintesi sulla paleo-patologia del mondo antico cfr. C. Roberts-K Manchester, The Archeo/ogy of Disease, Ithaca 1995. 4 I.E. Drabkin, Remarks on ancient psichopathology, «Isis», 46 (1955), p. 223. 5 Per una trattazione dichiaratamente vicina alla psichiatria dinamica sulla dimensione di analisi mitica e sacrale della malattia psichica si veda almeno G. Roccatagliata, Le origini della psicoana/isi nella cu/tura c/assica, Roma 1981, sp. i primi tre capitoli. 6 Pigeaud, p. 17 7 Nonostante la cautela che deve essere usata per evitare di contrapporre troppo semplicisticamente medicina e magia nel mondo antico (è il tema di fondo della fine analisi di G.E.R. Lloyd, Magia Ragione Esperienza. Nascita eforme della scienza greca, Torino 1982), si deve riconoscere la novità teorica e meodologica introdotta proprio dalle tesi ippocratiche. 8 Pigeaud, p. 17 9 Cfr. al riguardo Opere di Ippocrate, a c. di M. Vegetti, Torino 1965, p. 9 (d'ora in avanti semplicemente Vegetti, Ippocrate); le annotazioni di A. Lami in Ippocrate, Testi di medicina greca, intr. di V. Di Benedetto, premessa al testo, tr. e note di A. Lami, Milano 1982, sp. pp. 49-53; più in generale, infine, J. Jouanna, Hippocrate, Paris 1992 e in modo ancor più sintetico Id., La nascita dell'arte medica occidentale, in Storia del pensiero medico occidenta/e, 1. Antichità e Medioevo, a c. di M. Grmek, Roma-Bari 1993, pp. 3-72 (d'ora in avanti semplicemente Jouanna, Nascita). 10 In tal senso mi pare opportuno rinviare al lavoro di V. Di Benedetto, n medico e la ma/attia. La scienza di Ippocrate, Torino 1986. 11 Per una trattazione esaustiva della presenza e del significato da attribuire alla coppia pathos/pathema in Ippocrate cfr. M. Vegetti, Tra passioni e malattia. Pathos nel pensiero medico antico, Elenchos, 16 (1995), pp. 217-30 (d'ora in avanti semplicemente Vegetti, Passioni). 12 Vegetti, Ippocrate, p. 54. Cfr. pure La chirurgia ippocratica, saggio introduttivo e tr. di A. Roselli, Firenze 1975, sp. pp. XXXIII-XLVII; J. Pigeaud, Qu'est-ce qu'etre malade? Quelques réflexions sur le sens de la maladie dans Ancienne Médicine, in Corpus hippocraticum, a c. di R. Joly, Mons 1977, pp. 196-219. Si noti infine, come fa opportunamente rilevare Vegetti, Passioni, sp. pp. 224-7, come di fronte al presentarsi della malattia si sviluppino in ambito ippocratico due modelli di spiegazione: quello di una eziologia esogena o del conflitto esterno, destinato a giocare un ruolo centrale nella concezione stoica delle passioni, e quello di una eziologia endogena o del conflitto interno, che sarà fondamentale nella riflessione teorica di Platone prima e di Galeno poi. 13 È il fr. 4 di Alcmeone nella tr. di A. Maddalena in Presocratici. Testimonianze eframmenti, Roma-Bari 19833 (d'ora in avanti semplicemente Presocratici), t. 1, p. 244, su cui cfr. in particolare G. Cambiano, Pathologie et ana/ogie politique, in Formes de pensée dans la Co//estion hippocratique, a c. di F. Lasserre/P. Mudry, Genève 1983, pp. 441-58. 14 Cfr. almeno Vegetti, Ippocrate, p. 12. 15 «L'ambiente, sia esso geografico, climatico o sociale, diveniva cosi parte integrante della scienza medica, e l'analisi delle sue relazioni con l'individuo diventava essenziale alla comprensione della vicenda individuale di sofferenza e guarigione» (ivi, p.46). Cfr. pure La chirurgia ippocratica, cit., sp. pp. XLIX-LVII. 16 W. Jaeger, Paideia. Laformazione dell'uomo greco, Firenze 19782, vol. III (d'ora in poi semplicemente Jaeger), p. 3. Resta inteso, in ogni caso, che è difficile individuare precisi riferimenti testuali per l'atteggiamento del "Socrate storico", anche se sono convinto che la più chiara (e fedele) esposizione della dottrina socratica della "cura dell'anima" si possa leggere nella platonica Apologia di Socrate, 28d-30c. Una trattazione a sé, molto più approfondita e capace di tenere nel debito conto tanto la testimonianza platonica quanto i sintetici, ma importanti riferimenti aristotelici (cfr. soprattutto eth. nic. Vll 2. 1145b21-7 e 3. 1147bl4-7; magn. mor. III 6. 1200b25-9, su cui si veda almeno D. Wiggins, Weakness of Will, Commensurability, and the Objests of Deliberation and Desire, in Essays on Aristotle's Ethics, ed. A.O. Rorty, Berkeley 1981, pp. 241-65), meriterebbe inoltre la negazione operata da Socrate della akrasia. Una simile analisi imporrebbe tuttavia la tematizzazione di alcuni noti paradossi socratici ed esulerebbe dagli spazi e dai "ritmi" secondo cui ho cercato di costruire il presente contributo. Mi limito pertanto a rinviare, per una prima indicazione dei confini filosofici e storiografici di tale questione, ai seguenti contributi: D.E. Waterfall, Plato and Aristotle on 'akrasia', Diss., Princeton 1969; J.J. Walsh, The Socratic Denial of Akrasia, in The Philosophy oJSocrates. A colleotion of Critical Essays, ed. G. Vlastos, Notre Dame (Ind.) 1980, pp. 235-63; G. Watson, Skepticism About Weakness of Will, «The Philosophical Review», 86 (1977), pp. 316-39 (con intento marcatamente "anti-socratico"); e infine, per la permanenza del problema nel Platone "politico", C. Bobonich, Akrasia and agency in Plato 's Laws and Republic, «Archiv fur Geschichte der Philosophie», 76 (1994), pp. 3-36. 17 Sulla centralità religiosa e morale dell'anima in ambito orfico, pitagorico e dionisiaco (e successivamente socratico-platonico) cfr. M. Vegetti, L 'etica degli antichi, Roma-Bari 1989 (d'ora in poi semplicemente Vegetti), sp. p. 75. Quanto al rapporto Democrito/lppocrate, problematico dal punto di vista cronologico, esso è significativamente al centro delle Epistole pseudo-ippocratiche, composte forse nel I sec. a.C., un "romanzo filosofico" d'ineguale valore, ma molto utile per oomprendere lo sviluppo delle dottrine relative al rapporto anima/corpo sia in campo medico che filosofico (atomistico): cfr. perciò Pigeaud, pp. 452-77. 18 Fr. 31, tr. di V.E. Alfieri in Presocratici, cit., t. II, p. 761 (per i problemi di autenticità del fr. cfr. almeno Pigeaud, p. 17, n. 22); cfr. anche i frr. 57 e 288. Questa concezione sarà ripresa anche da Epicuro: cfr. più avanti pp. 46-7. 19 Fr. 140, sempre nella tr. di Alfieri sopracitata (p. 777). Cfr. pure le precisazioni di carattere terminologico di K. von Fritz, Philosophie und sprachlicher Ausdruck bei Demokrit, Plato und Aristoteles, New York [1938], p. 35. 20 Resta ferma, comunque, la funzione direttiva dell'anima, sede di felicità e infelicità, rispetto al corpo: cfr. i frr. 170 e 171. 21 Fr 191, tr. Alfieri, pp. 788-9. 22 Jaeger, p. 43. Cfr. anche P.-M. Schuhl, Ploton et la médecine, «Revue des Etudes Grecques», 83 (1960), pp. 73-9; D.S. Hutchinson, Doetrines of the Mean and the Debate Concerning Skilis in Fourth-Century Medicine, Rhetoric and Ethiss, «Apeiron», 21 (1988), pp. 17-52, per un'analisi che spazia da Platone alla medicina empirica; e infine, su di un piano più generale e critico in merito ai rapporti filosofia/medicina, alcune osservazioni di L. Edelstein, The Relation of Ancient Philosophy to Medicine, in Id., Ancient Medicine, Baltimore 19942, pp. 349-66. 23 Dal punto di vista dei testi cfr. almeno Protagora, 313a e Gorgla, 477a ss.; utili spiegazioni forniscono Vegetti, sp. cap. V e F. Wehrli, DerArztvergleich beiPlaton, «Museum Helveticum», 8 (1951), p. 183. 24 G. Cambiano, Platone e le tecniche, Torino 1971 (d'ora in poi semplicemente Cambiano), p. 120; cfr. pure Jaeger, p. 47. 25 Cfr. Corgia, 504c e la presentazione della somma virtù della giustizia nel libro IV della Repubblica, con le riflessioni di Vegetti, p. 136. 26 Gorgia, 507d. Non si tratta di affermazione episodica, quanto, al contrario, di convinzione profonda, che Platone mantiene salda sino alla conclusione della sua vita: cfr. Leggi, 644b, con i rilievi di Pigeaud, pp. 48494 e di W. Jaeger, Aristotle's Use of Medicine as Model of Method in His Ethics in Id., Scripta Minora, Roma 1960, vol. II (d'ora in avanti semplicemente Jaeger, Medicine), p. 492. 27 Anche attraverso interventi drastici e apparentemente "paradossali" (cfr. Corgia, 477e ss. e le reazioni stizzite del Callicle platonico). Per una diversa spiegazione si veda F. Wehrli, Der Arztvergleich, cit., pp. 183-4. 28 Letterariamente affascinante, al riguardo, è il modo in cui Platone presenta la querelle medico/cuoco in Gorgia, 521e ss., su cui cfr. anche Jouanna, Nascita, pp. 63-4. 29 Sullo sfondo resta operante la convinzione platonica secondo cui «in un'anima divisa, la passione è la rottura dell'equilibrio gerarchico fra i diversi centri psichici: cioè il diventare "piu debole di se stesso" (resp. IV 430e sgg.) in quel "polemos che c'è in ciascuno di noi contro se stesso" (leg. I 626e)» (Vegetti, Passioni, pp. 226-7). Sulla forza psico-terapeutica dei discorsi confutatori cfr. infine Charm. 157a, con le osservazioni di P. Lain-Entralgo, Die platonische Rationalisierung der Besprechung (EnDlJH) und die Erfindung der Psychotherapie durch das Wort, «Hermes», 86 (1958), pp. 298-323 e Platone, Teage, Carmide, Lachete, Liside, a c. di B. Centrone, Milano 1997 (di prossima pubblicazione: ringrazio l'Autore per avermi gentilmente messo a disposizione il dattiloscritto). 30 P.-M. Schuhl, L'opera di Platone, Roma 1977, p. 158. 31 Pigeaud, pp. 47-8; cfr. anche Jouanna, Nascita, pp. 64-5. 32 P.-M. Schuhl, L'opera di Platone, cit., p. 157. Si legga comunque per intero il lungo brano in Timeo, 86b-87b, con le riflessioni di Vegetti, Passioni, p. 223. 33 Timeo, 88b. 34 Cfr. Timeo, 89b. 35 Jaeger, p. 37. 36 Fedro, 270b-c. Per il modo in cui va inteso il riferimento alla natura dell'intero cfr. Cambiano, p. 219. L'impostazione metodologica cui fa riferimento qui Platone sembra propria dell'autore di Sulla medicina antica (lo stesso Ippocrate?): così vogliono Jaeger, pp. 38-9 e Cambiano, pp 41-ó; una spiegazione differente si legge invece in F. Wehrli, Der Arztvergleich, cit., pp. 181-2; per ulteriori indicazioni bibliografiche cfr. Jouanna, Nascita, p. 72, n. 209. 37 C. Rossitto, «Elenchos», 16(1995), p. 155, la quale fornisce in questo contributo una specifica analisi delle connessioni fra pathe e anima, in particolare nei capp. I e 4 del libro I del de anima. 38 Cfr. A.G. Spagnolo, La medicina come modello dell'etica di Aristotele, «Aufidus», 16 (1992), pp. 31 -40, che offre un rapido excursus di tale analogia nel corpus aristotelico, con l'aggiunta di cenni relativi a problemi di etica medica e bioetica. Cfr. inoltre G.E.R. Lloyd, The role of medical and biological analogies in Aristotle'sethics, «Phronesis», 13 (1968), pp. 68-83 e S. Gastaldi, Le immagini della virtù. Le strategie metaforiche nelle 'Etiche ' di Aristotele. Varese 1994. SD. caD. 2. 39 Jaeger, Medicine, p. 495. Il discorso di Aristotele tende a far valere l'esigenza di una molteplicità di beni contro l'unità e la separatezza dell'ldea del Bene platonica: cfr. ad es. Etica Nicomachea, 1, con le ancor valide osservazioni di H.G. Gadamer, ll problema ermeneutico e /'etica di Aristotele, in Id., 11 problema della coscienza storica, Napoli 19742). Il "differente tipo di conoscenza" rappresentato dal sapere pratico presuppone la distinzione tra varie forme d razionalità: su questo interessante problema cfr. soprattutto E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Roma-Bari 1989. 40 Singolare si rivela il confronto della tesi aristotelica con un'affermazione di Democrito, purtroppo isolata da qualsiasi contesto significativamente esplicativo: "Bella in tutte le cose è l'eguaglianza; l'iperbole e l'ellissi non mi piacciono" (fr. 102, tr. Alfieri, p. 770). 41 Cfr. Vegetti, pp. 186-9. 42 È questa l'opinione di Jaeger, Medicine, p. 501. 43 Etica Nicomachea, II ó. 1106b36-1 107a2. 44 Convincenti sono, in tal senso, le argomentazioni di F. Wehrli, Ethik und Medizin. Zur Vorgeschichte der aristotelischen Mesoniehre, «MuseumHelveticum», 8(1951), pp. 36-62 e soprattutto di W. Fiedier, Analogiemodelle bei Aristoteles, Amsterdam 1978, sp. pp. 180-259; sulla teoria del giusto mezzo utili osservazioni anche in C. Natali, La saggezza di Aristotele, Napoli 1989, sp. pp. 46-57. 45 Jaeger, Medicine, p. 503. Sull'ambiguità della figura del phronimos, cioè dell'uomo serio e virtuoso, del gentiluomo ateniese, «una figura socialmente riconoscibile e approvata per la sua conformità agli standards morali condivisi», cfr. Vegetd, pp. 182-3. 46 A.A. Long-D.N. Sediey, The Hellenistic philosophers, Cambridge 1987, vol. I (d'ora in poi semplicemente Long-Sediey), p. 1. 47 Sul valore di questo illustre "mito storiografico" cfr. Ie osservazioni equilibrate di Vegetti, pp. 219-25. 48 Cfr. Opere di Epicuro, a c. di M. Isnardi Parente, Torino 19832 (d'ora in poi semplicemente Isnardi), pp. 50-1. 49 Anzi perfino lo studio della realtà naturale veniva ora indirizzato a un unico scopo: quello di procurare al singolo il massimo grado di tranqullità e benessere interiori attraverso la "somministrazione" di una dottrina aica situata al culmine dell'attività speculativa umana: cfr. almeno RS XI (per Epicuro) e Diogene Laerzio (d'ora in poi sempEcemente DL) VII 38-40 (per gli Stoici). Per una corretta impostazione del problema si veda W. Schmid, Epicuro e l'epicureismo cristiano, Brescia 1984 (d'ora in avanti semplicemente Schmid), p. 61. 50 P. Hadot, Esercizi spirituali e fiosofia antica, Torino 1988, p. 15. 51 Cfr. Isnardi, p. 42. 52 Cfr. A.J. Festugière, Epicuro e gli dei, Milano 1987, p. 125, n. 84 e Isnardi, pp. 41-2, la quale richiama l'attenzione sulla figura di Antifonte sofista. 53 Ivi, p. 40. 54 È il frammento [247] in Epicuro, Opere, a c. di G. Arrighetti, Torino 19732 (d'ora in poi semplicemente Arrighetti), p. 570. 55 Gnomologio Vaticano 54, tr. Arrighetti, p. 150. 56 Schmid, pp. 27 e 30-1 per il retroterra dell'Episto/a, con ulteriore bibliografia. 57 DL X 122; la tr. è tratta da Diogene Laerzio, Vite deifiosofi, a c. di M. Gigante, Roma-Bari 19833 (d'ora in avanti semplicemente Gigante, Vite), p. 440. 58 Cnomo/ogio Vaticano 64, qui citato nella tr. di M. Gigante, «Philosophia medicans» in Filodemo, «Cronache Ercolanesi», 5 (1975) (d'ora in poi semplicemente Gigante), p. 55. 59 DL X 128, tr. Gigante, Vite, p. 441. 60 «E pane ed acqua danno il supremo piacere quando li riceve chi ne ha un effettivo bisogno. Avere la consuetudine di cibarsi semDlicemente e non sontuosamente non solo ci garantisce la buona salute e fa sì che l'uomo affronti senza indugio le inevitabili occupazioni della vita, ma anche ci dispone meglio a gustare le mense sontuose che di quando in quando ci sopraggiungono e ci rende impavidi dinanzi alla sorte» (DL X 131, tr. Gigante, Vite, p. 442; su tale forma di "allenamento alla frugalità" cfr. 1. Avotins, Training in Frugality in Epicurus and Seneca, «Phoenix», 31, 1977, pp. 2147). Qui sta il "piacere del ventre" di cui parla Epicuro, su cui si veda T. Gargiulo, Epicuro e il piacere del ventre (fr. 409 Us. =227 Arr.), «Elenchos», 3 (1982), pp. 153-8. 61 È nota la classificazione epicurea dei desideri in naturali e necessari, naturali ma non necessari, né naturali né necessari: cfr. ad es. RS XXIX e le utili osservazioni di J. Annas, La natura nell'etica epicurea, in Epicureismo greco e romano, Atti del Congresso internazionale, Napoli, 19-26 maggio 1993, a c. di G. Giannantoni e M. Gigante, Napoli 1996, pp. 299-311. 62 Cfr. almeno Schmid, pp. 64-9 e Vegetti, pp. 245-7. 63 Schmid, pp. 31-2 64 Si tratta del Papiro Ercolanese 1005, col. V, 7-13, citato nella tr. presente nell'ottima edizione di Filodemo, Ag/i amici di scuola (PHerc. 1005), ediz., tr. e commento a c. di A. Angeli, Napoli 1988, p. 191 e relativo commento alle pp. 265-9. 65 DL X 132, tr. Gigante, Vite, pp. 442-3. 66 Quello della philosophia medicans diviene infatti tema caratteristico all'interno del Giardino epicureo, "rinverdito" soprattutto da Filodemo (cfr. soprattutto Gigante, pp. 53-61), ma non estraneo all'epicureismo latino di un Orazio ed in particolare di un Lucrezio, nel cui poema sembra talora trasparire un atteggiamento da "psicoterapeuta": cfr. ancora Gigante, p. 59, il quale rinvia opportunamente a de rerum natura, 111 1053-89. 67 Per comprendere a pieno il quadro di riferimento di questa estensione metaforica (male dell'anima = passione) occorre naturalmente tener presenti alcuni presupposti teorici dello stoicismo: I) innanzi tutto una psicologia assolutamente unitaria, particolarmente marcata in Crisippo [cfr. Stoici antichi, a c. di M. Isnardi Parente, Torino 1989 (d'ora in poi semplicemente Isnardi, Stoicl), vol. 1, p. 60; diversamente Long-Sediey, p. 422]; 2) una concezione materialistica e fisicistica dell'anima, i cui stati patologici vengono dunque a essere veri e propri fenomeni fisici di contrazione o espansione di una sostanza corporea (il pneuma) (cfr. pure Pigeaud, p. 267); 3) una contrapposizione che non conosce mediazioni possibili tra la virtù, unico bene, e il vizio, unico male, essendo relegati in posizione di intermediaria indifferenza tutti gli altri presunti valori (ricchezza, bellezza, salute, nobiltà di nascita, ecc. e i loro contrari); 4) I'incommensurabilità totale tra gli stolti e i saggi, che del resto compaiono nella storia umana «forse di rado e a grandi intervalli di età» (come dice Seneca, de constantia, 7), insomma quasi non esistono (sulla problematicità del concetto di progresso morale nello stoicismo cfr. almeno O. Luschnat, Das Problem des ethischen Fortschritts in der a/ten Stoa, «Philologus», 102, 1958, pp. 178-214 e alcune interessanti osservazioni della Decleva Caizzi in F. Decleva Caizzi-M.S. Funghi, Un testo sul concetto stoico di progresso morale (PMil Vogliano inv. 1241), in [AA.VV.], Aristoxenica Menandrea Fragmenta Philosophica, Firenze 1988, pp. 85-124; sul "mito del saggio" cfr. I'efficace sintesi offerta da Vegetti, pp. 271-300). 68 Cfr- ivi, pp. 225-ó 69 Long-Sediey. p. 90. 70 Sulla necessita di estirpare senza mezzi termini tutte le passioni insisterà ad es. Seneca: cfr. epist. 116,1; cfr. anche, sulla stessa linea, Epitteto, diss. Il 16, 45. 71 Cicerone è al riguardo chiarissimo: cfr. Acad. post., 10, 38. 72 Cfr. al riguardo P. Donini, Struttura delle passioni e del vizio e loro cura in Crisippo, «Elenchos», 16 (1995), pp. 305-29 e Id., Pathos nello stoicismo romano, «Elenchos», 16 (1995), nn 193-216 73 Vegetti, p. 227; per una lettura globale del fenomeno del pathos in ambito stoico cfr. inoltre A.M. Ioppolo, La dottrina stoica della passione, Elenchos, 16 (1995), pp. 23-55. In DL Vll 111 leggiamo al proposito una testimonianza illuminante, tratta dall'opera crisippea Sulle passioni: «La passione non è altro che ragione malvagia e sfrenata, che riceve forza e veemenza da un giudizio cattivo ed errato» (tr. Isnardi, Stoici, p. 583). 74 Vegetti, p. 233. 75 «1I variegato mondo delle passioni appare riconducibile a due grandi coppie polari, piacere/dolore (hedone/lype) e desiderio/paura (epithymia/phobos» (Vegetti, p. 230, il quale ricorda anche come gli Stoici arrivino ad elencare «sei forme del piacere, ventisei del dolore, tredici della paura e trentuno del desiderio», ivi, p. 231). 76 Sulle oscillazioni dell'eziologia stoica cfr. Vegetti, p. 236. 77 Ivi, p. 241; fondamentale al riguardo la prospettiva di lettura di P. Hadot, Esercizi spirituali..., cit. 78 Cfr. almeno Cic. Tusc. IV 10, 24 e 11, 26 (= SV7F 111 424 e 427). 79 Cfr. almeno Vegetti, p. 234 e Pigeaud, p. 267. 80 Vegetti, pp. 247-8. 81 Cfr. soprattutto Pigeaud, sp. pp. 55-70 e Vegetti, Passioni, pp. 227-30.
Da: http://lgxserver.uniba.it/lei/sfi/bollettino/159_spinelli.htm
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