"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Meneceo,
Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità. A
qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro. Chi sostiene
che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che
ormai è troppo tardi, è come se andasse dicendo che non è ancora il momento di
essere felice, o che ormai è passata l'età. Ecco che da giovani come da vecchi è
giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità. Per sentirci sempre
giovani quando saremo avanti con gli anni in virtù del grato ricordo della
felicità avuta in passato, e da giovani, irrobustiti in essa, per prepararci a
non temere l'avvenire. Cerchiamo di conoscere allora le cose che fanno la
felicità, perché quando essa c'è tutto abbiamo, altrimenti tutto facciamo per
possederla. Pratica e medita le cose che ti ho sempre raccomandato: sono
fondamentali per una vita felice.
Prima di tutto considera l'essenza del divino materia eterna e felice, come
rettamente suggerisce la nozione di divinità che ci è innata. Non attribuire
alla divinità niente che sia diverso dal sempre vivente o contrario a tutto ciò
che è felice, vedi sempre in essa lo stato eterno congiunto alla felicità. Gli
dei esistono, è evidente a tutti, ma non sono come crede la gente comune, la
quale è portata a tradire sempre la nozione innata che ne ha. Perciò non è
irreligioso chi rifiuta la religione popolare, ma colui che i giudizi del popolo
attribuisce alla divinità. Tali giudizi, che non ascoltano le nozioni
ancestrali, innate, sono opinioni false. A seconda di come si pensa che gli dei
siano, possono venire da loro le più grandi sofferenze come i beni più
splendidi. Ma noi sappiamo che essi sono perfettamente felici, riconoscono i
loro simili, e chi non è tale lo considerano estraneo. Poi abìtuati a pensare
che la morte non costituisce nulla per noi, dal momento che il godere e il
soffrire sono entrambi nel sentire, e la morte altro non è che la sua assenza.
L'esatta coscienza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la
mortalità della vita, senza l'inganno del tempo infinito che è indotto dal
desiderio dell'immortalità. Non esiste nulla di terribile nella vita per chi
davvero sappia che nulla c'è da temere nel non vivere più. Perciò è sciocco chi
sostiene di aver paura della morte, non tanto perché il suo arrivo lo farà
soffrire, ma in quanto l'affligge la sua continua attesa. Ciò che una volta
presente non ci turba, stoltamente atteso ci fa impazzire. La morte, il più
atroce dunque di tutti i mali, non esiste per noi. Quando noi viviamo la morte
non c'è, quando c'è lei non ci siamo noi. Non è nulla né per i vivi né per i
morti. Per i vivi non c'è, i morti non sono più. Invece la gente ora fugge la
morte come il peggior male, ora la invoca come requie ai mali che vive. Il vero
saggio, come non gli dispiace vivere, cosi non teme di non vivere più. La vita
per lui non è un male, né è un male il non vivere. Ma come dei cibi sceglie i
migliori, non la quantità, così non il tempo più lungo si gode, ma il più dolce.
Chi ammonisce poi il giovane a vivere bene e il vecchio a ben morire è stolto
non solo per la dolcezza che c'è sempre nella vita, anche da vecchi, ma perché
una sola è la meditazione di una vita bella e di una bella morte. Ancora peggio
chi va dicendo: bello non essere mai nato, ma, nato, al più presto varcare la
soglia della morte. Se è cosi convinto perché non se ne va da questo mondo?
Nessuno glielo vieta se è veramente il suo desiderio. Invece se lo dice cosi per
dire fa meglio a cambiare argomento. Ricordiamoci poi che il futuro non è del
tutto nostro, ma neanche del tutto non nostro. Solo cosi possiamo non aspettarci
che assolutamente s'avveri, né allo stesso modo disperare del contrario. Cosi
pure teniamo presente che per quanto riguarda i desideri, solo alcuni sono
naturali, altri sono inutili, e fra i naturali solo alcuni quelli proprio
necessari, altri naturali soltanto. Ma fra i necessari certi sono fondamentali
per la felicità, altri per il benessere fisico, altri per la stessa vita. Una
ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere
del corpo e alla perfetta serenità dell'animo, perché questo è il compito della
vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di
allontanarci dalla sofferenza e dall'ansia. Una volta raggiunto questo stato
ogni bufera interna cessa, perché il nostro organismo vitale non è più bisognoso
di alcuna cosa, altro non deve cercare per il bene dell'animo e del corpo.
Infatti proviamo bisogno del piacere quando soffriamo per la mancanza di esso.
Quando invece non soffriamo non ne abbiamo bisogno. Per questo noi riteniamo il
piacere principio e fine della vita felice, perché lo abbiamo riconosciuto bene
primo e a noi congenito. Ad esso ci ispiriamo per ogni atto di scelta o di
rifiuto, e scegliamo ogni bene in base al sentimento del piacere e del dolore. È
bene primario e naturale per noi, per questo non scegliamo ogni piacere.
Talvolta conviene tralasciarne alcuni da cui può venirci più male che bene, e
giudicare alcune sofferenze preferibili ai piaceri stessi se un piacere più
grande possiamo provare dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è
bene per sua intima natura, ma noi non li scegliamo tutti. Allo stesso modo ogni
dolore è male, ma non tutti sono sempre da fuggire. Bisogna giudicare gli uni e
gli altri in base alla considerazione degli utili e dei danni. Certe volte
sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene.
Consideriamo inoltre una gran cosa l'indipendenza dai bisogni non perché sempre
ci si debba accontentare del poco, ma per godere anche di questo poco se ci
capita di non avere molto, convinti come siamo che l'abbondanza si gode con più
dolcezza se meno da essa dipendiamo. In fondo ciò che veramente serve non è
difficile a trovarsi, l'inutile è difficile. I sapori semplici danno lo stesso
piacere dei più raffinati, l'acqua e un pezzo di pane fanno il piacere più pieno
a chi ne manca.
Saper vivere di poco non solo porta salute e ci fa privi d'apprensione verso i
bisogni della vita ma anche, quando ad intervalli ci capita di menare
un'esistenza ricca, ci fa apprezzare meglio questa condizione e indifferenti
verso gli scherzi della sorte. Quando dunque diciamo che il bene è il piacere,
non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che
ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto
aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno. Perché non sono di per
se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e
tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita
felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di
respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa
sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è l'intelligenza delle
cose, perciò tale genere di intelligenza è anche più apprezzabile della stessa
filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non
si dà vita felice senza che sia intelligente, bella e giusta, né vita
intelligente, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate
alla felicità e da questa inseparabili. Chi suscita più ammirazione di colui che
133 ha un'opinione corretta e reverente riguardo agli dei, nessun timore della
morte, chiara coscienza del senso della natura, che tutti i beni che realmente
servono sono facilmente procacciabili, che i mali se affliggono duramente
affliggono per poco, altrimenti se lo fanno a lungo vuol dire che si possono
sopportare? Questo genere d'uomo sa anche che è vana opinione credere il fato
padrone di tutto, come fanno alcuni, perché le cose accadono o per necessità, o
per arbitrio della fortuna, o per arbitrio nostro. La necessità è
irresponsabile, la fortuna instabile, invece il nostro arbitrio è libero, per
questo può meritarsi biasimo o lode. Piuttosto che essere schiavi del destino
dei fisici, era meglio allora credere ai racconti degli dei, che almeno offrono
la speranza di placarli con le preghiere, invece dell'atroce, inflessibile
necessità. La fortuna per il saggio non è una divinità come per la massa – la
divinità non fa nulla a caso – e neppure qualcosa priva di consistenza. Non
crede che essa dia agli uomini alcun bene o male determinante per la vita
felice, ma sa che può offrire l'avvio a grandi beni o mali. Però è meglio essere
senza fortuna ma saggi che fortunati e stolti, e nella pratica è preferibile che
un bel progetto non vada in porto piuttosto che abbia successo un progetto
dissennato. Medita giorno e notte tutte queste cose e altre congeneri, con te
stesso e con chi ti è simile, e mai sarai preda dell'ansia. Vivrai invece come
un dio fra gli uomini. Non sembra più nemmeno mortale l'uomo che vive fra beni
immortali.