"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Molti sono i fili
che connettono la tradizione della filosofia greca con quella latina medievale
attraverso la mediazione araba. Uno dei più seducenti è quello della "felicità
mentale",, che ha le sue radíci forse píù remote nell'Ethica Nicomachea di
Aristotele e che, dipanato in chiave cosmologica da al-F‰r‰b" sino ad Averroè,
si annoda in Dante e nell'eredità dell'intellettuale medievale (1) . La felicitá
mentale è uno stato di beatitudine, appunto mentale o intellettuale, acquisibile
per altro dai soli filosofi, che consente loro di "farsi simili a Dio" se non
proprio di attingerlo direttamente. Si tratta di una sorta di misticismo, il cui
fulcro non è però l'esperienza estatica o religiosa, quanto la sapienza e la
conoscenza teoretica. Aristotele aveva parlato della vita contemplativa ed
esaltato il nobile piacere dell'intelletto che deriva dalla pratica filosofica e
dalla conoscenza. Tra i primi al- F‰r‰b" nelle Idee degli abitantí della città
virtuosa aveva recuperato questa prospettiva elaborando il concetto di felicità
mentale. "L'impressione dei primi intelligibili sull'uomo costituisce il suo
primo perfezionamento. Questi intelligibili sono dati a lui affinché egli se ne
serva per realizzare il suo perfezionamento più alto. Tale è la felicità (sa'‰dah),
la quale consiste nel fatto che l'anima umana raggiunge la perfezione
dell'esistenza senza aver bisogno di sussistere nella materia, diventando quindi
uno degli esseri privi di corporeità e una delle sostanze separate dalla materia
in uno stato (di sublimità) che conserva eternamente e per sempre" (2).
Presupposto di siffatta concezione è la struttura emanatistica del cosmo, dì
origine questa volta neoplatonica ma articolata e sviluppata in tutta la sua
complessità dai fal‰sifah musulmani, da al-F‰r‰b" stesso ad Avicenna (più tardi
Averroè apporterà significativi mutamenti, su cui non è il caso di puntualizzare
in questa sede, pur conservando la struttura delle Intelligenze motrici dei
cieli). E' una cosmologia che individua i cieli e la Terra uno stretto legame,
perché, come diceva anche Dante, l'incessante moto delle sfere governa il mondo
(3). L'Uno, Dio è il Primo Essere, assolutamente autosufficiente, collocato al
vertice della realtà cosmica in una trascendenza inavvicinabile; l'Uno o Primo
Essere conoscendo se stesso emana una gerarchia scalare di Intelligenze che
terminano con la decima. la cosiddetta Intelligenza Agente. L'intelligenza
Agente può - ma non tutti i pensatosi condividono questa opinione - conferire le
forme al mondo sublunare, ma soprattutto ha la funzione di illuminare
l'intelletto possibile umano e di attualizzarlo, rendendo vivi e imprimendo in
lui gli intelligibili. L'intelletto umano che si volge verso l'intelligenza
Agente e cerca con essa la "congiunzione" (copulatio) diventa intelletto
acquisto si fa uno con l'Agente (e dunque prossimo a Dio) e attinge il grado più
alto della sua perfezione e felicità. Viene ripercorsa a ritroso la strada
dell'emanazione: come dalla sovrana trascendenza dell'Uno si discende fino alla
materia, così dall'oscurità materiale dello spazio sublunare l'intelletto è in
grado di salire alla luce della divinità, sia pur mediata dalle Intelligenze e
in qualche modo depotenziata nell'Agente. In questo modo, tuttavia, si genera un
uomo nuovo, nobile, superiore, virtuoso, e il "profeta" Dante ne è stato uno dei
più consapevoli enunciatori.
"Pensata ad un tempo biologicamente, psicologicamente e cosmologicamente, la
connessione perfetta del mondo superno col mondo di quaggiù dà luogo a un tipo
d'uomo nuovo: l'uomo nobile, l'intellettuale" nel senso dell'uomo secondo
l'intelletto. Questa connessione - quella che i filosofi arabi chiamano
"congiunzione con l'Intelligenza separata" - è voluta- dalla natura stessa,
presa nella sua totalità. Come Averroè, Dante aderisce alla tesi secondo la i
quale la filosofia è necessariamente realizzata in qualche parte del mondo in
qualche istante qualsiasi, il che implica dire che l'esistenza di un uomo
nobile, d'almeno una congiunzione tra il mondo sublunare e il Primo Motore, è un
postulato di natura. Un mondo senza nobiltà non è pensabile, poiché è nell'uomo
nobile che si realizza l'ordine totale delle cose, il legame completo tra le
parti. Se, come si è visto in un capitolo [precedente], la Monarchia fa della
vita secondo l'intelletto il fine di tutta la società umana" e impone
all'umanità tutta intera il compito di pensare e il peso della grazia
filosofica, nel Convivio l'esistenza filosofica è descritta in termini che
strutturalmente l'apparentano, secondo l'ordine della natura, a ciò che può
essere l'incarnazione nell'ordine della salvezza. L-'intellettuale non è
semplice intermediario, un funzionario della divinità, è un uomo "divino" che,
attraverso la filosofia - la felicità terrestre - si fa compagno, altro, del Dio
incarnato venuto ad annunciare la beatitudine celeste. (4). La prospettiva di
Dante è una prospettiva cristiana. Ma nel delineare la figura del filosofo che
si "india" attraverso l'intelletto e la conoscenza, qualche volta i filosof i
arabi sono "laici". E' il caso di Avempace (Ibn B‰jjah) che nel Regime del
solitario delinea la figura del filosofo che rifiuta di scendere a patti con la
società perversa e corrotta e si isola per perseguire in autonomia e solitudine
la perfezione spirituale. Questo filosofo sembra del tutto immune dalla
necessità di praticare una religione, sia pure la religione islamica. Si fa
divino rendendosi uno con le Intelligenze, contemplandole; con la corporeità è
semplicemente esistente, con la spiritualità è nobile, ma con l'intellettualità
è virtuoso, un uomo nobile come appunto voleva Dante, che sublima le forze
spirituali al punto di sapersi distaccare completamente dalla materia e da
scegliere addirittura il suicidio dell'onore piuttosto che cedere al nemico e
alle passioni (6). E' questo il quadro concettuale che fa da sfondo al libro di
Augusto Illuminati Completa beatitudo (7), in cui non solo si pubblicano tre
opuscoli pseudo-averroistici sulla beatitudine dell'anima e la congiunzione, ma
si riprendono ricerche che avevano già avuto un esito positivo in Averroè e
l'intelletto pubblico (8). Illuminati segue la storia del concetto di
congiunzione dalle premesse nella filosofia greca (Plotino Alessandro d'Afrodisia,
Temistio) fino ad Averroè, passando per al-Kind", al-F‰r‰b", Avempace e
Maimonide. Alessandro d'Afrodisia e Plotino impostano il quadro di riferimento
della questione, ma le loro soluzioni non sono per più versi accettabili in una
prospettiva che deve fare i conti con la religione rivelata.
"Con Alessandro l'esigenza diffusa di una relazione diretta al divino entra
massicciamente nel quadro della noetica nazionalistica aristotelica. Per un
verso, però, resta una relazione impersonale, per lo meno a parte obiecti, per
l'altro è strettamente connessa all'ordinario processo del pensiero, dato che,
il principio attivo si identifica con un Dio che è pensiero di pensiero. In
Plotino il principio intellettuale attivo (Nous = Intelligenza) è diverso
dall'Uno, anteriore all'essere e al pensiero che sono pluralizzazione, pur se
discende per immediata processione da esso. L'intimo commercio con l'Uno
impersonale, evento singolare (pur se in esso temporaneamente la personalità si
annulla), differisce dall'ordinario meccanismo conoscitivo, in cui ad agire è
l'Intelligenza, che fornisce direttamente gli intelligibili all'intelletto umano
senza che essi scaturiscano da una laboriosa procedura di astrazione delle forme
dai dati sensibili e immaginativi. Soprattutto il trascendimento della sfera del
pensiero è così radicale da aprire la strada, al di là delle intenzioni
plotiniane, a pratiche teurgiche e magiche - come avverrà per ì suoi discepoli
(9). AI-F‰r‰b", Avempace e Averroè, d'altro canto, sono le tre pietre miliari di
un percorso che invece ha come presupposti, da un lato, il monoteismo, di cui la
concezione emanatistica è un corollario quasi obbligato da un punto dí vista
filosofico, stante la necessità di garantire la trascendenza di Dio e la sua non
compromissione con la materia; dall'altro lato, la necesità di f are della
copulatio un'esperienza straordinaria di piena realizzazione del piacere del
pensare. Illuminati ripercorre, dove possibile, l'evoluzione interna del
pensiero di questi autori, evidenziando per esempio come aI-F‰r‰b", passi
dall'accettazione della possibilità della congiunzione nel trattato sulla Città
virtuosa al suo rifiuto nel perduto commentano all' Ethica Nicomachea di
Aristotele (10) . Nel primo caso la congiunzione è i frutto di un
perfezionamento gnoseologico:
" " ... L'intelletto passivo è come la materia e il sostrato dell'intelletto
acquisito, il quale è come la materia e il sostrato dell'Intelligenza Agente. La
potenza razionale, che è una disposizione naturale, è materia sottoposta
all'Intelligenza Agente, che è tale in atto". Il primo grado, grazie a cui
l'uomo è uomo, è l'acquisizione della disposizione naturale ricettiva pronta a
diventare intelligenza in atto (l'intelletto potenziale). Vi sono ancora due
gradi tra questa e l'intelligenza Agente: l'intelletto attualizzato e
l'intelletto acquisito in via di formazione. Quando l'uomo si è attualizzato
come composizione di materia e forma raggiungendo la sua auentica forma umana,
fra lui e l'intelligenza Agente non vi è più che un passo che li separi: "quando
la disposizione naturale [ricettiva] diviene materia dell'intelletto passivo,
che a sua volta si trasformerà in intelletto in atto, e quando l'intelletto
passivo diviene -materia dell'acquisito e l'acquisito diviene materia
dell'Agente -, nel momento in cui tutte queste cose convergono insieme, l'uomo
[che ne risulta così perfezionato] è precisamente quello in cui l'intelligenza
Agente trova la sua residenza" ("the man on whom the Active Intellect has
descended", come conclude la versione di Walzer) " (11); nel secondo caso, la
possibilità della congiunzione è negata come "favola da vecchie". Illuminati,
pur evidenziando il fatto che si dà una convergenza tra analisi politologica e
dottrina della congiunzione, non risolve la questione se la copulatio sia
riservata all'im‰m, filosofo-profeta-re reggitore della città virtuosa, oppure
se sia un obiettivo perseguibile da qualsiasi filosofo. La risposta al quesito
sarebbe importante per valutare della verosimiglianza dell'ipotesi che fa di al-
F‰r‰b" uno sciita o forse addirittura un proto-ism‰'"lita.
Certamente la congiunzione è esperienza sublime riservata ai solitari per
Avempace.
"L'uomo, microcosmo che costituisce il termine medio fra 1'ordine della
contingenza materiale e della stabile spiritualità, ha due facce, una
(contingente) volta ai fantasmi immaginativi, l'altra (immortale) volta
all'intelligenza Agente, quella per cui, come nell'esaltazione aristotelica
delle virtù dianoetiche, è un essere divino e perfetto (f‰dil il‰h"), ormai
esonerato da paura e dolore. Solo a pochi è riservato questo grado ulteriore,
che nel ricorsivo sistema triadico assume il nome risonante di "conoscenza di
terzo genere". Viene subito da pensare all'identico termine spinoziano, che nel
Tractatus de intellectus emendatione § 25, figura nella forma canonica di
-perceptio iper solam suam essentiam ed in Ethica II, prop. XL, scolio 2,
diventa non meno classicamente scientia intuitiva, da cui nasce l'amor Dei
intellectualis e grazie a cui si elimina la sofferenza e il timore della morte"
(12).
La ricostruzione del pensiero di Avempace è tuttavia per molti aspetti
indiziaria data la frammentarietà e l'incompletezza dei testi che ci sono
pervenuti e la cripticità di una scrittura filosofica particolarmente complessa.
Un problema estremamente interessante che si pone è il seguente: è forse
ipotizzabile che i solitari nelle città pervertite, proprio grazie alla
perfezione raggiunta attraverso l'affinamento delle capacità intellettuali,
possano costituire una rete interattiva di intelligenze preparate alla
trasformazione della società e - in qualche modo - alla rivoluzione? Avempace
non lo dice espressamente, ma i solitari nelle città deviate sono "piante",
fruttiferi arbusti tra le erbacce della devianza, e quindi uniche speranze di
una potenziale rivivificazione della scienza e della virtù e dunque di una
rifondazione della società.
Dal canto suo, Averroè mantenne costante la convinzione della possibilità della
congiunzione. La dottrina dell'intelletto umano e delle Intelligenze (celesti) è
evoluta parecchio nelle opere averroistiche alla ricerca, dalle più giovanili
epitomi ai più maturi commentaria magna, di una più rigorosa fedeltà al modello
di Aristotele. E' per ottemperare a questo principio di fedeltà che Averroè
finirà per abbandonare nella sostanza il modello emanatistico, pur conservando
la struttura delle Intelligenze animate da un Dio aristotelicamente primo motore
del cosmo. Col passare del tempo, Averroè si rese conto che in un sistema
emanatistico la congiunzione non sarebbe stata possibile poiché avrebbe posto
sullo stesso piano la causa (l'Intelligenza Agente separata) e il causato
(l'intelletto umano). Rídotta la funzione dell'Intelligenza Agente da dator
formarum, come in Avicenna, a semplice strumento dell'attualizzazione
dell'intelletto umano, la possibilità di un trascendimento verso le sfere
superne è comunque conservata dal filosofo di Cordova Egli anzi evidenzia,
soprattutto nel grande commentario al De Anima di Aristotele, una continua
tendenza all'unificazione: unico è l'intelletto possibile, anch'esso separato e
in pratica strettamente connesso alle Intelligenze; unico l'intelletto
acquisito; unica, naturalmente, l'intelligenza Agente separata. La prospettiva è
quella di una continuità tra le varie stratificazioni degli intelletti; e anche
se in qualche modo il rapporto tra intelletto umano e Intelligenza rimane
analogo a quello di materia e forma,
"si creerà fra noi e l'Intelligenza Agente lo stesso pseudo- rapporto di materia
e forma che si era creato tra forme immaginative e intelletto in abito e l'uomo
intenderà per intellectum sibi proprium omnia entia e compirà un'azione a sé
propria in tutti gli enti. Al punto culminante "l'uomo sarà simile a Dio"
conclude trionfalmente il commento richiamando Temistio (De Anima, p. 99, 24 ss.),
"poiché è ormai in qualche modo tutte le cose e tutte le cose in qualche modo
conosce", dato che gli enti non sono altro che la sua scienza, né la causa degli
enti è altro che la sua scienza. Et quam mirabilis est iste ordo, et quam
extraneus est iste modus essendi ! L'identità greco-araba di recipiente e
ricevuto fonda adesso positivamente il transumanare dell'uomo nell'universo
intelligibile, senza perdere contatto con ragione ed esperienza" (13).
Il saggio di Illuminati è esauriente e indubbiamente fornisce una panoramica
stimolante della affascinante questione della copulatio, ma si limita ad un
ambito per lo più gnoseologico, mentre vi è un importante sviluppo sotto il
profilo politico. Questo si evidenze particolarmente in al-F‰r‰b".. In al-F‰r‰b".
la congiunzione non permette soltanto la felicità a chi è in grado di realizzare
le sue capacità intellettive; ma permette all'im‰m, il reggitore della città
virtuosa, di concretizzare pienamente le sue facoltá divine e profetiche.
"Il reggitore supremo della città virtuosa (...) è un uomo che ha attinto la
perfezione ed è divenuto intelligenza e intelligibile in atto. La sua
immaginazione è pervenuta per natura a quel grado massimo di completamento e
perfezione secondo il modo cui si è accennato prima, ed è disposta per natura a
ricevere dall'Intelligenza Agente, nella veglia e nel sonno, i particolari, sia
in se stessi sia secondo le loro imitazioni, e quindi le imitazioni degli
intelligibili. L'intelletto passivo [del governante della città virtuosa] ha
attinto la sua perfezione per mezzo di tutti gli intelligibili, senza che nulla
gli sia mancato, ed è perciò che è diventato intelligenza in atto. [Egli] è
l'uomo in cui l'intelletto passivo si è perfezionato per mezzo di tutti gli
intelligibili in modo da divenire intelligenza e intelligibile in atto, cosicché
l'intelligibile in lui [corrisponda] a ciò che intellige" (14). L'im‰m in quanto
intelletto, intelligibile e intelligenza è da un lato identico a Dio;
dall'altro, in quanto dotato della capacità di pronosticare il futuro e in grado
di padroneggiare un'immaginazione da sgorgano le metafore e i miti utili a
insegnare al volgo, è idoneo a farsi latore della Legge è, appunto, profeta. Per
questo il reggitore farabiano della città virtuosa è ad un tempo filosofo,
profeta e re; e per questo potrebbe sembrare rivestire i compiti riservati dalla
tradizione sciita-ism‰'"lita proprio a quell'im‰m che è ad un tempo parusìa di
Dío, guida e maestro della comunità dei credenti, e individuo in cui si è
perfettamente realizzata la sintesi del pensiero e della spiritualità.
Anche in Dante la compiuta realizzazione della virtù intellettiva sembra
rivestirsi di panni politici. Pur negando la dottrina averroistica dell'unicità
dell'intelletto possibile, il poeta individua in tutta la collettività umana il
sostrato idoneo affinché la sapienza si attualizzi garantendo alla collettività
certamente, ma anche ai singoli, l'attingimento della perfezione e dunque della
felicità:
"E' dunque evidente che il termine ultimo della potenza dell'intera umanità è
potenza o virtù intellettiva. E poiché questa potenza tutta insieme non può
essere ridotta in atto per mezzo di un unico uomo o per mezzo di una delle
comunità particolari distinte più sopra, è necessario che esista nel genere
umano una moltitudine per mezzo della quale tutta questa potenza si attui. (…) E
con questa sentenza concorda Averroè nel suo commento al De anima" (15).
L'unità della comunità è il fine cui deve tendere il percorso di perfezionamento
degli intelletti; ma essa è possibile soltanto in un regime monarchico.
"Il genere umano si trova in uno stato di benessere e di felicità quando, nei
limiti delle sue possibilità, è simile a Dio. Ma il genere umano è assolutamente
simile a Dio quando è assolutamente uno: infatti la vera natura dell'uno è in
Dio soltanto; per questo è stato scritto.- "Ascolta, Israele, uno solo è il
Signore, Dio tuo". Ma allora il genere umano è assolutamente uno quando è tutto
unito in uno: e questo non può essere se non quando soggiace interamente ad un
unico principe" (16).
Il sogno della Monarchia di Dante è il sogno dell'unificazione, politica e
spirituale ad un tempo, delle potenzialità intellettive e civili degli uomini.
Analogamente, nella città virtuosa di al-F‰r‰b"., la monarchia dell'im‰m e il
saggio governo della filosofia supportata dalla Legge garantiscono, nella vita
associata, il più alto livello possibile di felicità attingibile dalle masse. La
copulatio non è riservata alle masse; ma nella traduzione politica, e quindi
collettiva e comunitaria, della sublime esperienza della mistica intellettuale
propria dei sapienti e dei filosofi, si scopre una via praticabile per far
comunicare anche gli uomini comuni con la dimensione superiore dei cieli e delle
Intelligenze.
NOTE
(1) M. Corti, La felicità mentale, Einaudi,
Torino, 1983; Fumagalli
Beonio-BrocchierieE.
Garin, Lintellettuale
tra Medioevo e Rinascimento, Laterza,
Roma-Bari, 1994; L.
Bianchi, La felicità intellettuale come professione nella Parigi del Duecento.
in "Rivista di filosofia", 78 (1987), pp. 181-199 e
dello stesso il capitolo apposito in Il vescovo e i filosofi.
La condanna parigina del 1277 e l’evoluzione
dell’aristotelismo-scolastico, Lubrina, Bergamo,
1990, pp. 149-195.
(2) Al-F‰r‰b»., La città virtuosa, a cura di M.
Campanini, Rizzoli,
Milano, 1996, cap. XXIII, p.183 (3) Convivio, II, iv, 13.
(4) A. De Libera, PenserauMovenAge,
Seuil, Paris, 1991, pp. 285-286. (5) Avempace,
ElRegimen del
Solitario, a cura di J. Lomba, Trotta,
Madrid, 1997.
(6) Cfr. ibidem,' cap.
XI. La nobiltà del suicidio è un topos non ignoto
alla storia della filosofia.
(7) A. Illuminati, Completa beatitudo.
L’intelletto felice in tre opuscoli averroisti,
L’Occhio di VanGogh,
Chiaravalle (An), 2 000. (8) A. illuminati,Averroè e l'intelletto pubblico,
Manifestolibri, Roma, 1996.
(9) Completa beatitudo, cit.,
pp. 17-18.
(10) Tra le due opere per altro, entrambe appartenenti alla piena
maturità dell'autore, non dovrebbe esservi grande scarto temporale,
per cui sembrerebbe doversi ipotizzare un’improvvisa
svolta scettica in al-F‰r‰b»..
(11) Completa beatitudo,
cit., pp. 47-48.
(12) Cfr. La città virtuosa,
cit., cap. XXVII, pp.
217-219. Si fa riferimento a R. Walzer, Alfarabian the PerfectState, Clarendon Press,
Oxford, 1985.
(13) Completa beatitudo, p. 56. Ibidem, p.
102.
(14) La città virtuosa, cit.,cap: XXVII, pp. 215-217.
(15) Dante, Monarchia, a cura di P. Sanguineti,
Garzanti, Milano, 1985, I, iii,
p. 9.
(16) Ibidem, I, viii,
p. 17.