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Emanuele Crescimanno
Le riflessioni che caratterizzano al meglio l’odierno statuto disciplinare dell’estetica evidenziano una nuova definizione dei confini della disciplina e la contestuale apertura di nuovi orizzonti tematici: questo stato di cose impone un continuo riadattamento dell’identità della disciplina che può dare i frutti più significativi rileggendo la propria tradizione e soffermandosi su alcune figure particolarmente brillanti ed eccentriche che, in analoghi periodi di passaggio, hanno saputo indicare alcune linee direttrici interessanti e capaci di riconfigurare in maniera nuova gli orizzonti dell’estetica. Si tratta insomma di definire al meglio sia l’oggetto della propria riflessione sia l’opportuna metodologia della ricerca: la via più complessa ma anche più ricca di prospettive è quella che rilegge alcuni punti focali della tradizione alla ricerca di opportune chiavi interpretative che riattualizzate e ricontestualizzate diano la possibilità di comprendere il presente. Una figura particolarmente interessante in tale ottica è senza dubbio Paul Valéry poiché sviluppò la sua complessa riflessione a cavallo delle radicali rivoluzioni che segnarono il passaggio dall’Ottocento al Novecento, comprese al meglio la portata innovativa degli apporti delle differenti discipline alla riflessione filosofica e la seppe coniugare con la tradizione e con la rilettura della storia del pensiero. Infatti l’imponente riflessione che Valéry sviluppa dal 1894 al 1945 nei suoi Cahiersnecessita per una corretta interpretazione e per una profonda comprensione che il lettore si assuma la responsabilità di individuare in via preliminare una chiave ordinatrice che possa indicare una via da percorrere: l’obiettivo non è quello di ridurre la complessità o la ricchezza dei temi presentati ma solamente quello di non smarrirsi né procedere seguendo le affascinanti analogie presenti; le ventinovemila pagine di riflessione impongono piuttosto all’interprete l’utilizzo di affilati strumenti capaci di evidenziare i temi presenti e svilupparli in maniera ordinata e coerente. La redazione mattutina dei Cahiers infatti è distante da ogni formalismo o codificazione dell’ordinaria scrittura, dalla sistematicità, poiché porta avanti il tentativo di ridurre al massimo l’irriducibile scarto tra pensato e scritto: le riflessioni di Valéry infatti sono sotto il segno della correlazione tra i differenti temi trattati che si riarticolano di continuo nella loro stessa costante evoluzione. Optare dunque per un approccio metodologico certo consente di individuare un filo rosso capace di creare un ordine – seppure provvisorio e suscettibile di ulteriori modificazioni –necessario per una completa comprensione dei temi, un ordine capace di evidenziare la complessa struttura di argomenti e motivi che compongono il pensiero di Valéry. Non è certamente un caso che Valéry fu presidente onorario della Société Française d’esthétique sin dalla sua fondazione nel 1931 né che numerose considerazioni dei Cahiers siano riconducibili a quest’ambito disciplinare: rileggere dunque sub specie aestheticae queste riflessioni può oggi essere di profonda utilità. La riflessione di Valéry presenta infatti un modello di esperienza che si propone di tenere insieme in maniera dialettica dimensioni che spesso la tradizione filosofica ha considerato come antitetiche e che invece sono fondamentali sia per la nascita storica dell’estetica sia per i suoi intrecci teorici più rilevanti: le classiche contrapposizioni tra teorico e pratico, tra agire e subire, tra corporeo e spirituale, trovano nei Cahiers una nuova dimensione che mira a creare una rete di relazioni capace non solo di superare la rigidità delle opposizioni, ma soprattutto di valorizzare e potenziare la portata di questi nuovi nodi teorici. Un simile approccio è riscontrabile nei modelli di esperienza proposti dal pragmatismo di John Dewey e Richard Shusterman: la rivalutazione delle esperienze del quotidiano o del popolare mira in fin dei conti non solo a evidenziare la medesima radice di esperienza ed esperienza estetica ma più in generale rileva la medesima strategia presente nella riflessione di Valéry. Un modello dunque che fa della sensibilité la modalità esperienziale più ricca di potenzialità euristiche e conoscitive perché capace di attivare al meglio tutte le facoltà del soggetto e di rispondere in modo completo agli stimoli provenienti dall’ambiente. L’ipotesi che sosterrò in queste pagine è dunque che esiste nell’intera riflessione di Valéry un’attitudine che si può definire pragmatista sulla scia delle considerazioni di Arte come esperienza di John Dewey e della rilettura contemporanea della tradizione del pragmatismo che dà Richard Shusterman nella sua Estetica pragmatista. L’esistenza di questa attitudine ha una duplice funzione: indicare innanzi tutto una modalità ordinatrice nel pensiero di Valéry e dare all’estetica la funzione di coordinare le differenti dimensioni di questo pensiero; sarà inoltre utile per evidenziare come la sensibilità non vada opposta o sottomessa all’intelligenza speculativa, ma vada piuttosto intesa come elemento su cui questa necessariamente si fonda e che questa alimenta con la ricchezza delle proprie esperienze. 1. Un’attitudine pragmatista dell’estetica: John Dewey e Richard Shusterman Come già detto i momenti di crisi o di svolta richiedono un contestuale adattamento delle classiche forme di sapere: sulla base della consapevolezza della propria storia bisogna dunque rilanciare le dimensioni ancora ricche di prospettive teoriche e riannodare i fili più fecondi per proseguire nello sviluppo1. Ritengo che la riflessione di Dewey degli anni Trenta del Novecento, il suo sviluppo attuale portato avanti da Shusterman seppure evidentemente successivo e non immediatamente coordinato con la complessa scepsi di Valéry, e questa stessa abbiano in comune le stesse esigenze e gli stessi obiettivi; tutti e tre i pensatori infatti riorganizzano in maniera simile concetti e termini chiave della riflessione estetologica: i rapporti tra l’uomo e il suo mondo, il luogo dove questi conduce la propria esperienza; l’interazione tra l’ambiente e il soggetto (e il contestuale superamento di ogni contrapposizione tra soggetto-oggetto nell’esperienza); l’attitudine a connettere e a creare relazioni di reciprocità e interdipendenza; il ruolo della sensibilità, del corpo e dell’esperienza sensibile2. Le tre posizioni in questione insomma riprendono – in maniera più o meno esplicita – il progetto che sta alla base della nascita dell’estetica, ne valutano le implicazioni storiche e ne confrontano i risultati con la propria contemporaneità con l’obiettivo di comprendere il ruolo e le potenzialità ancora attuali dell’estetica. Se dunque si dimostrerà che esiste un’attitudine pragmatista e che essa è presente anche nella riflessione di Valéry sarà possibile evidenziare come l’estetica sia l’elemento guida e ordinatore di tutto il pensiero del francese. Arte come esperienza di Dewey è dunque il primo luogo in cui ricercare dei caratteri per evidenziare i temi e i metodi di un’estetica pragmatista: quello che in questa sede quindi interessa è la ricerca di alcuni elementi essenziali relativi ai termini chiave sopra ricordati, elementi in grado di indicare una nuova e proficua modalità di interrogare l’esperienza a partire dal ruolo che i nostri sensi (e il nostro corpo) svolgono. In prima istanza è fondamentale evidenziare come lo sforzo principale di Dewey sia quello di superare ogni rigido dualismo soggetto-oggetto, mente-corpo, agire-subire per privilegiare l’interazione che sta alla base dell’esperienza e la centralità di questa nozione: il momento fattuale dell’esperienza è quello in cui creatura e ambiente interagiscono, in cui la conoscenza astratta e teorica è messa alla prova del pratico e dell’azione, in cui ogni cosa acquisisce il proprio significato in relazione al soggetto che l’esperisce. Prima e immediata conseguenza di tutto ciò è il ritorno all’esperienza del quotidiano, alle esperienze che accompagnano e compongono la nostra esistenza di giorno in giorno; vi è dunque un necessario e continuo adattamento soddisfacente alla realtà, alle specifiche condizioni ambientali che determinano sia il soggetto che esperisce sia le qualità e le modalità dell’esperienza in atto e fanno inoltre sì che questa sia significativa: «L’esperienza, nella misura in cui è esperienza, è vitalità intensificata. Anziché riferirsi a un essere chiuso entro i suoi propri privati sentimenti e sensazioni, comporta un commercio attivo e vigile con il mondo; al suo culmine comporta una completa compenetrazione tra sé e il mondo degli oggetti e degli eventi. Anziché comportare la resa a capriccio e disordine, fornisce la nostra unica dimostrazione di una stabilità che non è stagnazione, ma è ritmica e in evoluzione» (Dewey [1934]: 45). Il modello dell’esperienza proposta da Dewey non è dunque a compartimenti stagni ma basato sulle connessioni che a partire dal corpo, dall’esperienza sensoriale e dalla sua rielaborazione intellettuale il soggetto crea con il mondo: fare esperienze è ricevere e comprendere uno stimolo, dare un senso al fluire della vita, organizzarla creando connessioni nuove, rielaborando il passato e proiettandosi nel futuro. Dewey propone di conseguenza di ripensare il ruolo del corpo, di superare la paura dei sensi e l’opposizione tra carne e spirito: i sensi e le sinestesie sono i modi con cui il soggetto necessariamente esperisce il reale; «i sensi sono gli organi mediante i quali la creatura vivente partecipa direttamente ai processi del mondo, e i suoi splendori divengono concreti nelle qualità di cui fa esperienza» (ivi, 48). La complessità che contraddistingue la creatura uomo rispetto agli altri animali fa sì che questi sia capace di una più profonda ed efficace interazione con il suo ambiente, una elaborazione più profonda ed utile dei dati e delle interazioni e di conseguenza una capacità di agire più cosciente e performante. L’uomo ha così la capacità di organizzare il reale, i dati dell’esperienza, di creare una scansione dello spazio e del tempo perché ne ha preso coscienza e ha prodotto dei punti fermi, delle certezze: ha insomma organizzato la sua esperienza e da questa ne ha tratto conoscenza del reale. Ciò che più rileva sottolineare è che i sensi, e dunque il corpo, svolgono un ruolo centrale e privilegiato: la percezione sensoriale non è mero subire lo stimolo dell’ambiente bensì è anche un agire sull’ambiente, mettere il gioco le relazioni che a partire dal proprio corpo si creano con il mondo circostante e infine in esso agire in maniera performante. Dewey attua quindi un ripensamento dei limiti e delle modalità secondo cui il soggetto esperisce: ritorna a quello che si può definire come un “grado zero” del termine, al suo uso ordinario e quotidiano rappresentato da affermazioni quali “un artigiano esperto” o “avere una particolare esperienza di qualcosa”: esperienza significa dunque dimestichezza con una questione di ordine pratico poiché ci si basa su acquisizioni passate e reiterate; esperienza significa dunque vissuto, partecipazione attiva e in prima persona a un determinato evento per mezzo della rielaborazione dei dati veicolati in prima istanza dai sensi. Seconda tappa della ricerca di un’attitudine pragmatista è la proposta di una rimodulazione dell’estetica sulla base dell’acquisizione delle risultanze di Arte come esperienza di Dewey e sul ripensamento delle funzioni che l’estetica può e deve svolgere a partire dal ruolo che il soma svolge nell’esperienza: questo in sintesi è l’intento di Richard Shusterman in Estetica pragmatista. L’obiettivo principale del filosofo americano è infatti quello di riprendere la tradizione dell’Estetica di Baumgarten al fine di comprendere come una nuova valutazione del corpo possa aprire nuovi spazi alla nostra disciplina e rafforzarne le potenzialità ancora inespresse. Il punto centrale della proposta di Shusterman è senza dubbio la somaestetica ma essa va compresa a partire dalla rilettura dell’opera di Dewey: il ruolo principale dell’estetica è infatti quello di includere nel proprio alveo il pratico e la prassi della vita sino a giungere a plasmare quest’ultima; per fare ciò è necessario un ripensamento della posizione di Dewey confrontandola con le condizioni in cui avviene oggi l’esperienza. La ripresa del testo di Dewey consente a Shusterman di sottolineare che l’esperienza è radicata nella connessione della dimensione corporea ed intellettuale della creatura; di conseguenza è possibile opporsi a ogni ipotesi isolazionistica e a ogni contrapposizione tra estetico, cognitivo e pratico. Bisogna inoltre superare la contrapposizione tra corpo e spirito, materiale e ideale, pensiero e sentimento, forma e sostanza, uomo e natura, sé e mondo, soggetto e oggetto, mezzi e fini e riconoscere che queste distinzioni possono funzionare solo come tendenze significative all’interno di costellazioni complesse di aspetti connessi(cfr. Shusterman [2000]: 45 ss.). Il punto di snodo del pragmatismo di Shusterman è dunque connesso al ruolo del corpo senziente e delle potenzialità che a partire da una piena coscienza di esso – quella che Shusterman definisce body consciousness –è possibile sviluppare in relazione con l’ambiente: il soma è in quest’ottica il corpo che concretamente vive ed esperisce, si addestra e mira a una esperienza sempre più performante3. Riprendendo infatti il progetto fondativo dell’estetica di Baumgarten, Shusterman propone di focalizzare l’attenzione sull’educazione del corpo e sul ruolo che questo può svolgere in una prospettiva estetica; nota infatti il filosofo americano che l’originaria definizione dell’estetica come «scienza della conoscenza sensibile» fa sì che il corpo debba essere la via privilegiata attraverso la quale si veicolano le sensazioni, i desideri e il dolore: eppure Baumgarten non sviluppa la sua riflessione sul ruolo del corpo seppure attraverso esso si manifestano gli stati d’animo e si interagisce con la realtà4. La somaestetica deve dunque essere una ricerca critica, volta a un miglioramento performativo dell’esperienza e dell’utilizzo del corpo come luogo privilegiato della valutazione delle sensazioni estetiche e della propria fondazione creativa, del radicarsi al mondo in maniera prospettica. In altre parole, la somaestetica indica le modalità con cui a partire dalle sensazioni e dalle modalità primarie di relazione del corpo con il mondo è possibile indicare dei criteri organizzativi dell’esperienza e dare a questa un carattere fondativo e condiviso tenendo tuttavia presenti i limiti fisiologici insiti in tale approccio, la prospetticità di tale modello, la difficoltà di passare dalla soggettività di un’esperienza alla sua universalizzazione: tali condizionamenti sono le caratteristiche imprescindibili del modello esperienziale proposto, non ne limitano la portata bensì ne costituiscono le modalità operative. La somaestetica non è una estetica speciale; essa non si definisce per mezzo di una teoria ma grazie alla sua stessa pratica, alla sua natura di esercizio, di allenamento; essa è in fin dei conti un modo di vivere secondo un modello aperto e collaborativo5. Oggetto e scopo dell’estetica oggi per Shusterman deve essere l’acquisizione di modalità cognitive capaci di migliorare la vita a partire dalle esperienze che il nostro corpo e i nostri sensi veicolano in un continuo processo di auto-addestramento ed esercizio che accompagni uno studio teorico verificabile nella pratica: l’estetica dunque «si occupa di conoscenza, discorsi, pratiche, e di discipline corporee che strutturano questa cura somatica o possono migliorarla» (Shusterman [2000]: 220). L’esercizio e la verifica della teoria nella pratica fa sì che i sensi (e il corpo) raggiungano di continuo un maggior grado di affidabilità, il compimento di un’azione sempre più performante; tale processo è scandito da tre differenti dimensioni della somaestetica: una prima dimensione analitica ha funzione puramente descrittiva della natura delle percezioni, delle attività del corpo nel momento dell’esperienza, dell’acquisizione delle conoscenze e della conseguente costruzione della realtà; una successiva dimensione pragmatica, con caratteri normativo e prescrittivo, indica le modalità di azione in base all’analisi precedentemente svolta. Infine una terza dimensione, quella performativa, completa le precedenti manifestando la raggiunta padronanza e salute del corpo come pieno equilibrio delle differenti funzioni e modalità che fanno capo al soggetto vivente. Il senso ultimo dell’estetica proposta da Shusterman è dunque di riconoscerle un valore poiché amplia la nostra esperienza sia in termini quantitativi sia in termini qualitativi: tale strategia è condotta dal basso cioè cercando di ampliare la portata conoscitiva dell’esperienza, affinando i sensi e la capacità di fare del nostro corpo il centro di una fitta rete di relazioni con l’ambiente. In sintesi è dunque possibile evidenziare che l’attitudine pragmatista dell’estetica prevede che l’esperienza abbia luogo a partire da quegli stimoli sensoriali di base che attraversano il corpo e che lo mettono in relazione con l’ambiente in cui l’esperienza ha luogo; la padronanza e la coordinazione dei sensi consente, per mezzo dell’esercizio, una maggiore ricchezza dell’esperienza e la sua completa performatività. È bene dunque adesso verificare quali di questi caratteri si possono rintracciare nella complessa riflessione di Valéry e comprenderne le modalità operative. 2. Dall’estetica all’estesica: l’apertura al sensibile I Cahiers sono stati per Valéry il necessario esercizio per prendere coscienza della complessità del proprio pensiero, il mettere la necessaria distanza da ciò che pensava per meglio comprenderlo, analizzarlo e coordinarlo: un esercizio filosofico di autocomprensione, di costituzione di un Système capace di tener insieme la ricchezza di una riflessione non propriamente sistematica perché frutto della varietà dell’esperienza che la determina; un Système dunque frutto del continuo rimando tra teorico e pratico, tra riflessione e sue conseguenze pratiche e dunque risistemazione teorica in base alla verifica che si ha nell’esperienza. L’esigenza di una nozione operativa dell’estetica manifesta in Valéry quella che ho definito attitudine pragmatista: il soggetto esperisce e mette in primo piano i dati ottenuti nell’esperienza, su questi riflette e a partire da questi, con un metodo che possiamo definire sperimentale, mette alla prova dell’esperienza la teoria. Continuamente presente in tutta la riflessione di Valéry è infatti il rimando a due dimensioni che devono articolarsi in maniera coordinata: l’esperienza quotidiana in presa diretta sul reale e l’esercizio continuo delle proprie capacità di riflessione poiché a partire dalle prime sensazioni che i nostri sensi e il nostro corpo veicolano è necessario svolgere un continuo addestramento, un esercizio performativo delle nostre capacità che conduca a un costante miglioramento e adattamento. La «grande e irresistibile tentazione»6 dell’estetica che Valéry subisce non è semplicemente spiegabile come riflessione a partire dalla o sulla propria attività artistica, con il bisogno di comprenderne la natura e le modalità operative; va piuttosto inserita in un più generale ripensamento del ruolo e delle funzioni di questa disciplina e sulla capacità ordinatrice che essa può svolgere nell’intero pensiero di Valéry. Le riflessioni che questi svolge nel celeberrimo Discorso sull’estetica nel 1937 forniscono utili indicazioni per supportare una via di accesso estetica all’intero complesso delle riflessioni: al di là infatti della più canonica declinazione tematica del termine estetica connessa alla «Scienza del Bello», vi è un continuo riferimento a un ulteriore significato, «Scienza delle Sensazioni», ancora più «seducente» (Valéry [1937]: 176) dell’altro che può dare importanti indicazioni «per elaborare una nozione di Estetica che mi sia di qualche utilità»7. Nota infatti Valéry che l’estensione dell’estetica è vasta e comprende differenti ulteriori ambiti; è sotto il segno della complessità; è composta da una rete di pratiche unite da un comune motivo teorico a metà tra «la sfera dell’intelligenza pura, […] quella della sola sensibilità [e i] campi dell’azione ordinaria dell’uomo» (ivi, 178). Vi è insomma una sorta di positiva indeterminatezza (basti pensare alle riflessioni coeve di Heisenberg più volte oggetto di interessanti considerazioni da parte di Valéry) che crea il fascino della disciplina, che alimenta la sua ricchezza tematica, che consente di andare al di là di una teoria del bello e del riferimento al piacere che questo suscita: questa ricerca, questa «caccia magica» infatti rischia di catturare semplicemente delle ombre e di rilanciare il «valore di enigma» (ivi, 181-182) connesso all’irriducibilità del bello a detrimento del riconoscimento del valore conoscitivo del sensibile. Privilegiare l’aspetto connesso alla scienza del bello ha significato per l’estetica, secondo Valéry, svalutare le cose belle che incontriamo nel quotidiano obbligati alla ricerca di un ipotetico bello ideale; ha inoltre comportato misconoscere il ruolo della sensibilità e l’apertura che i nostri sensi operano verso la realtà a vantaggio di una idea di bello totalmente altro dalle nostre esperienze, superiore a esse e il cui raggiungimento è in fin dei conti impossibile. Il ruolo e gli ambiti operativi dell’estetica vanno dunque secondo Valéry rivisti e risistematizzati grazie all’osservazione del modo in cui questa disciplina si è sviluppata: vi è dunque l’Estesica che si occupa di tutto ciò che è relativo «allo studio delle sensazioni; ma più in particolare vi troveranno posto i lavori che hanno per oggetto le eccitazioni e le reazioni sensibili che hanno un ruolo fisiologico uniforme e ben definito» (ivi, 192). L’estesica dunque è relativa a tutte quelle sensazioni che, seppure non strettamente connesse alla nostra sopravvivenza e alle nostre funzioni fisiologiche vitali, determinano il nostro essere uomini, le nostre specifiche capacità che ci distinguono dagli altri esseri animali, la «nostra ricchezza» (ibid.) e gli aspetti significativi delle nostre esperienze. L’altro ambito dell’estetica è quello dellaPoietica e fa riferimento alla produzione delle opere e a «un’idea generale dell’azione umana completa» (ibid.) e di conseguenza alle tecniche operative e alle modalità di produzione. Ciò che più interessa in questa sede è l’ambito tematico definito dall’estesica, il ruolo che le sensazioni hanno nel determinare e guidare l’esperienza, la possibilità stessa dell’estetica di svolgere non solo il ruolo che lo stesso Baumgarten le aveva assegnato, di essere insomma scienza della conoscenza sensibile, e di dar dunque luogo alla rivalutazione del sapere dei sensi: bensì la funzione di far sì che la nostra esperienza vissuta, l’Erlebnis, possa aspirare a una sorta di universalizzazione8. 3. Corps, Esprit, Monde: la sensibilità all’opera Un ulteriore supporto a questa scelta di accesso e di metodo può fornirla Mikel Dufrenne quando ricorda che «l’estetica può essere il principio che informa tutta la riflessione di Valéry»9 poiché consente di evidenziare alcuni temi specifici della tradizione di questa disciplina, di porli dunque al centro dell’attenzione e di organizzare nella loro complessità tutti gli altri temi presenti. Tutto ciò consente di conseguenza di dare la giusta misura all’ambito operativo dell’estetica che, declinata secondo le due modalità di estesica e poietica, pone al centro dell’attenzione il corpo, le sue sensazioni e il ruolo di mediazione che esso svolge. La rivalutazione delle sensazioni può infatti svolgere il ruolo di discrimine di tutta l’esperienza e dunque attivare i nessi tra soggetto e mondo, quei nessi che Valéry evidenzia nella triade Corps, Esprit, Monde (CEM), nozione che coordina e articola positivamente i tre elementi. L’esprit infatti è sempre in relazione con il corps e con il monde, è elemento che consente il passaggio dall’uno all’altro, crea un nesso tra i due: il monde risulta essere il luogo in cui si mettono alla prova le conquiste dell’esprit, luogo di verifica e di attribuzione di senso; di conseguenza l’esperienza estetica comporta «un plaisir intelligent, le plaisir qu’on prend à l’intelligence de ce qui n’est pas intelligent» (Dufrenne [1975]: 41), comporta l’apertura verso il mondee l’operare su di esso, il confronto con esso; l’uomo così soddisfa la propria tendenza a mettersi alla prova, a dispiegare tutte le potenzialità dell’esprit, a conoscersi comeesprit, ad agire e creare. L’esprit, si vedrà bene più avanti, vive incarnato nel corps, agisce per suo tramite – con la mano, a esempio – ed è con esso solidale, senza lasciar spazio ad alcun tipo di dualismo o contrapposizione: il corpo può camminare, ma se ben addestrato e ben guidato dall’esprit con cui è in simbiosi può danzare, dimostrando che «ce n’est pas l’esprit qui s’incarne, c’est plutôt le corps qui se spiritualise» (ivi, 45). Un soggetto dunque che deve conoscere e che per farlo deve innanzitutto conoscersi: per fare ciò deve agire, esperire e in questa azione dispiegare le proprie capacità, le proprie potenzialità che altrimenti rimarrebbero inespresse, lasciando il soggetto sconosciuto anche a se stesso. Vi è dunque secondo Valéry un’intima connessione tra il soggetto, il suo corpo e il mondo in cui vive e tra le loro funzioni, i loro movimenti, il loro divenire influenzandosi e intrecciandosi, senza che sia possibile determinarli singolarmente10. È piuttosto necessario indagarli muovendo dal nesso che li lega nella triade CEM, –«i 3 punti cardinali di conoscenza» (Valéry [1973-74]: III, 397) –: fisico e psichico, mente e corpo, esprit e matière non sono dunque due generi di fenomeni differenti, ma aspetti diversi di un medesimo fenomeno. La distinzione in coppie contrapposte è possibile soltanto per comodità di utilizzo, solamente come momentanea differenziazione relativa a un determinato punto di vista: non è invece possibile tracciare alcuna linea di demarcazione netta e definitiva, né contrapporre soggetto e oggetto, esprit e monde. Risulta dunque impossibile pensare o analizzare in modo separato il corpo, la mente e il “mondo esterno”, cioè senza dare il giusto rilievo alle loro connessioni; essi infatti non sono tre piani distinti e separati, bensì la loro ricchezza risiede nel loro articolarsi insieme. Tale rete di relazioni determina il reale che non è qualcosa di distinto dal soggetto – all’interno del quale non è possibile opporre corporeo e mentale –, qualcosa a esso antitetico. Le esperienze che il soggetto ha nascono da qualcosa che desta l’attenzione, dalla presa d’atto di uno scarto nel fluire delle esperienze (Valéry [1973-74]: II, 157): qualcosa richiama l’attenzione, uno stimolo esterno invita il soggetto a prendere coscienza dell’esperienza in corso. Si attua una sorta di assestamento prospettico rispetto all’ambiente circostante, si osserva da un determinato punto di vista la realtà: essa non è quindi indipendente dal soggetto né oggettiva, bensì determinata dal suo specifico punto di vista, soggetta a continue messe a fuoco; non è qualcosa di autonomo rispetto alla nostra esperienza, bensì qualcosa che necessariamente assume dei contorni e delle caratteristiche nel momento in cui il soggetto ne ha raccolto lo stimolo. La sollecitazione proveniente dalla realtà è la sua parte più autentica, originale, quella parte che ancora sfugge all’uomo, che rimane indistinta nella classificazione e organizzazione che questi ne fa; essa è quella parte che dà origine all’esperienza e che fa sì che il soggetto si ponga la domanda sulla natura di tale esperienza. L’esperienza è dunque un reticolo formato dai nessi che dall’interno del soggetto si proiettano all’esterno e dall’esterno si ripresentano al soggetto che deve organizzare il proprio mondo; snodo fondamentale di tale rete e delle relazioni che la percorrono si ha nella triade CEM11. La presa di coscienza del proprio corpo è il primo passo in cui questi tre elementi si articolano. Ma anche il corpo ha una sua complessa articolazione: vi è Il-Mio-Corpo, «quell’oggetto privilegiato in cui ci imbattiamo a ogni momento, anche se la conoscenza che ne abbiamo può essere, a rigore, continuamente diversa»; il Secondo Corpo «è quello visto dagli altri, ed è anche quello che noi vediamo, più o meno in uno specchio o in un ritratto»; il Terzo Corpo «il quale gode di unità soltanto nel mio pensiero, giacché lo conosco solamente dopo averlo diviso e frammentato» 12. Il-Mio-Corpo è qualcosa di estremamente vicino a me, un qualcosa che mi appartiene allo stesso modo in cui noi apparteniamo a questo, è il punto di vista con cui ci affacciamo al mondo, che ne resta distinto e opposto ma strettamente connesso e dipendente dalla definizione che ne diamo; esso è la nostra stessa presenza, il nostro mezzo di agire e le nostre azioni; eppure noi non lo conosciamo, non lo possiamo vedere nella sua interezza, non possiamo ben determinare le relazioni tra le parti che lo compongono. Queste ultime riflessioni rendono possibile il passaggio al Secondo Corpo, il corpo provvisto di forma, quello che viene rappresentato e mostrato, il mio corpo ma anche altro: di tale corpo conosciamo l’aspetto esterno, non il suo funzionamento interno né la sua struttura, caratteristiche che non risaltano in tale rappresentazione. Il Terzo Corpomette invece in risalto il suo stesso operare, esso è oggetto di analisi, sezionamento, osservazione microscopica, definizione dei rapporti di funzionamento, è dunque il corpo degli scienziati13. Come si vede, la natura del corpo non è univoca e rigida, la sua pretesa unità è una finzione concettuale, una comodità, un termine che nasconde, se non compreso sino in fondo, la molteplicità del corpo stesso. La caratteristica fondamentale che salta agli occhi è piuttosto la poliedricità del corpo che provoca lo stupore di riconoscersi e al contempo non riconoscersi, di trovarsi diverso e plurimo, luogo in cui convivono e si esprimono differenti modalità contrapposte. A partire da questa complessità strutturale del corpo è possibile tessere i rapporti con gli altri termini della relazione CEM: essi sono plurivoche, non esauriscono la complessità dei termini che le determinano ma indicano ulteriori aperture di senso poiché «il presente è il legame della sensazione corporea con la percezione delle cose circostanti e con quella della produzione psichica. Esso è dunque percezione di un accordo CEM e dei legami fra questi costituenti. La coscienza esige questi tre termini»14. Il corpo è dunque la chiave d’accesso privilegiata e la più immediata all’esperienza: in essa un soggetto si disloca al mondo con tutta la propria complessità, consapevole della composita struttura che è il proprio corpo con unesprit incarnato e consapevole che per mezzo di esso si veicola la conoscenza. Il corpo infatti svolge il ruolo di medium tra esprit e monde, è l’elemento per mezzo del quale questi due termini entrano in contatto e sviluppano un proficuo nesso: solo per mezzo di un corretto e continuo addestramento il soggetto può riappropriarsi di se stesso, potenziare tutte le proprie capacità e ottenere come risultato una conveniente sintesi tra il proprio corpo e il proprio intelletto15. L’obiettivo dell’addestramento è dunque di raggiungere la riappropriazione cosciente del proprio corpo e delle sue specifiche funzioni al fine di farne uno strumento di una corretta e proficua esperienza del reale. 4. Il potenziale estetico del corpo: nuotare nel Mediterraneo La sensibilità svolge in questo quadro un ruolo di cerniera tra i differenti elementi che compongono il complesso sistema delineato da Valéry: gli intrecci che essa media sono stati spesso al centro delle riflessioni dei Cahiers con l’obiettivo di creare connessioni tra i differenti livelli; infatti «il primo passo dell’intelletto è rifare al più presto ciò che la sensibilità ha appena dipinto, suonato, sciupato e improvvisato sul niente. Esso ripete tentando di comprendere e a poco a poco comprende per aver ripetuto, ridetto» (Valéry [1973-74]: III, 412). Vi è una sorta di continua connessione e riadattamento tra i dati sensibili e la loro rielaborazione intellettuale: i primi restano in background rispetto alle rielaborazioni che ne fa l’intelletto, creano una sorta di griglia interpretativa dell’esperienza, una serie di relazioni tra i differenti elementi percepiti in base alla quale l’intelletto svolge le proprie operazioni, con l’implicita certezza di poter contare sui dati forniti dai sensi (ivi, 419-20). L’attitudine pragmatista che è stata fino a ora delineata si basa sulla considerazione che – come evidenzia Shusterman ([2000]: 229 ss.) – il processo di riappropriazione di sé attraverso la piena presa di coscienza di tutte le capacità mediate dal corpo e dai sensi non è un puro lavoro teorico ma una disciplina nel duplice senso del termine: lavoro teorico, insegnabile, codificabile che si vivifica continuamente nel rigoroso esercizio. La matrice deweyana alla base della proposta di Shusterman evidenzia inoltre che l’esperienza avviene esclusivamente con la presa di coscienza di un’aritmia nell’ordinario fluire dell’interazione tra creatura e ambiente: in base a questa irregolarità il soggetto prende coscienza che un’esperienza ha luogo e di questa può fare tesoro per ampliare il proprio bagaglio di conoscenze (cfr. Dewey [1934]: 40 ss.). Un meccanismo simile è quello che lega sensibilità e intelletto per Valéry: «Sensibilità è proprietà di un essere di venire provvisoriamente modificato, in quanto separato, e in quanto esso comporta di esistere soltanto attraverso eventi. È l’esistenza attraverso eventi – a mezzo di, durante l’evento. La conoscenza, allora, sarebbe la risposta all’evento mediante tutto ciò che occorre per sistemare l’evento in un’organizzazione i cui mezzi sono il corpo e gli atti del corpo, – giacché il tutto tende ad annullare l’evento. Donde sorgono i problemi del prolungamento, della previsione, della reviviscenza, della trasformazione, della misura – degli eventi – del loro sviluppo» (Valéry [1973-74]: III, 424). La sensazione fornisce dunque una informazione, segnala un elemento di discontinuità; attraverso il corpo si mette in relazione il soggetto con il mondo, si instaura un meccanismo di domande e risposte tra i due; il soggetto si modifica e opera sul mondo, produce un ulteriore equilibrio che dà luogo a nuovi stimoli sensibili: la sensibilità è quindi sia la facoltà di sentire sia di reagire e operare sul sensibile, reagire a questo e ordinarlo16. Si tratta dunque di mettere in gioco quelle facoltà specificamente umane che vanno al di là del mero soddisfacimento dei bisogni primari e che invece segnano l’apertura a quelle esperienze che rendono significativa l’esistenza, esperienze che, seppure veicolate in prima istanza dai sensi, appagano a pieno il soggetto. Abbondantemente noto e dibattuto dagli studiosi di Valéry è il principale modello di questo tipo di esperienze, quello della danza: questa è un’attività che anche se si serve dell’apparato locomotore, lo strumento principale che permette il movimento, lo fa in maniera differente, con scopi e finalità diverse, utilizzando differenti capacità; un’attività che prevede una gestione del proprio corpo per mezzo di un severo addestramento capace di amplificarne le sensazioni. Vi è tuttavia a partire da questi temi un’ulteriore suggestione che vale la pena raccogliere e che ben si sposa con la proposta di Shusterman di “estetizzazione dell’etico” e di “un’arte di vivere” come scopo principale del vivere. Il mare ha sin dall’infanzia affascinato Valéry e ha contribuito alla sua formazione; il mar Mediterraneo, i suoi miti, i suoi orizzonti hanno più volte popolato le sue riflessioni: un breve testo d’occasione pronunciato nel 1933, Ispirazioni mediterranee, può offrire utili spunti per concludere queste riflessioni e prospettare al meglio i rapporti tra gli elementi proposti. I paesaggi marini, l’orizzonte in cui mare e cielo si incontrano visto da un promontorio, la ricchezza della natura, il sole, il vento sono elementi che forniscono un’esperienza peculiare capace di mettere alla prova i sensi e la conoscenza: «uno sguardo sul mare è uno sguardo sul possibile»(Valéry [1933]: 62), su infinite esperienze immaginabili che il mare consente, sulle avventure che esso offre, sugli spazi lontani che separa e unisce al contempo. L’osservazione del mare, del sole e del vento, la loro diretta conoscenza hanno il potere di generare esperienze formative, significative: lo sguardo sul mare abbraccia infatti «gli ingredienti sensibili […]: luce e spazio, libertà e ritmo, trasparenze e profondità …» (ivi, 63) e fa sì che questi concetti siano messi direttamente alla prova, stimolino l’immaginazione e aprano al desiderio di conoscenza. Valéry riconosce infine una sorta di attitudine mediterranea, capace di sviluppare in base agli stimoli sensibili del mare una forma di conoscenza: un percorso che a partire dalla comune esperienza mediterranea si è specializzato nell’osservazione dei fenomeni e nella ricerca delle loro cause che può essere sintetizzato dalla massima protagorea dell’uomo misura di tutte le cose, capace quindi di cercare l’universalizzazione della sua esperienza, di far sì che essa divenga esperienza condivisa, sapere; sulle rive del Mediterraneo «la scienza si è liberata dall’empirismo e dalla pratica, l’arte si è spogliata delle sue origini simboliche, la letteratura s’è nettamente differenziata e costituita in generi ben distinti, e la filosofia, infine, ha saggiato quasi tutte le possibilità di considerare l’universo e di considerare se stessa» (ivi, 73). Ma oltre a formare un immaginario connesso alla storia che si è svolta lungo le sue rive, il Mediterraneo ha prodotto in Valéry un particolare piacere, scaturito dallo «svago più puro: il nuoto»; questo ha generato delle complesse impressioni precipitate in una forma di «poesia involontaria» (ivi, 55-56) capace di restituire in parole la stessa natura del nuoto. Come già detto, il nuoto – in maniera simile alla danza – assume una funzione di verifica e messa in atto del Système Valéry poiché attraverso le sensazioni veicolate dal corpo conduce alla sua piena padronanza e, di conseguenza, a esperienze più ricche e soddisfacenti. Immergendosi nell’acqua, andando in profondità, muovendosi liberati dal peso si assume una nuova consapevolezza di sé; nel nuoto infatti «tutto il corpo si dà, si riprende, si conosce, si prodiga e vuole esaurire le sue possibilità. […] Per mezzo suo, io sono l’uomo che voglio essere. Il mio corpo diviene lo strumento diretto dello spirito, e insieme l’autore di tutte le sue idee» (ivi, 57). Solo un esperto nuotatore può sentire sino in fondo l’impressione di libertà connessa con il suo esercizio, può ricavarne un benessere che dal corpo pervade l’intero organismo, può dare un senso alla propria abilità (e all’esercizio necessario per acquisirla) capace di manifestare la piena padronanza del proprio io. Bibliografia Celeyrette-Pietri, N., 1979: Valéry et le moi. Des Cahiers à l’oeuvre, Klincksieck, Paris. D’Angelo, P., 2011: Estetica, Laterza, Roma-Bari. Desideri, F., 2007: Sur la polarité entre ‘esthésique’ et ‘poïétique’. Une analyse duDiscours sur l’esthétique de Valéry, “Forschungen zu Paul Valéry – Recherches Valéryennes”, 20, pp. 9-43. Desideri, F., 2011: La percezione riflessa. Estetica e filosofia della mente, Raffaello Cortina, Milano. Dewey, J., 1934: Art as Experience, Minton, Balch & Company, New York. Trad. it.Arte come esperienza, Aesthetica, Palermo, 2007. Dufrenne, M., 1975: L’Esthétique de Paul Valéry, in Madison, G.B. (a cura di), Sens et existence: en hommage à Paul Ricœur, Seuil, Paris, pp. 31-45. Löwith, K., 1971: Paul Valéry. Grundzüge seines philosophischen Denkens, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen. Trad. it. Paul Valéry, Celuc, Milano, 1986. Papparo, F.C., 1990: L’inquieto senso del possibile. Saggio su Paul Valéry, Liguori, Napoli. Pietra, R., 2000: Art et esthétique, in Signorile, P. (a cura di): La pensée, la trace. En hommage a Simon Lantieri, Publications de l’Université de Provence, Aix-en-Provence, pp. 219-29. Robinson, J., 1963: L’analyse de l’esprit dans les Cahiers de Valéry, Librairie José Corti, Paris. Russo, L., 2011: Neoestetica: un archetipo disciplinare, “Rivista di estetica”, n.s., 47 (2/2011), anno 51, pp. 197-209. Shusterman, R., 2000: Pragmatist Aesthetics. Living Beauty, Rethinking Art, Rowman & Littlefield, Boston. Trad. it. Estetica pragmatista, Aesthetica, Palermo, 2010. Shusterman, R., 2008: Body Consciousness. A Philosophy of Mindfulness and Somaesthetics, Cambridge University Press, Cambridge-New York. Valéry, P., 1933: Ispirations méditerranéennes, in Conférencia; successivamente inVarieté III, Gallimard, Paris 1936; ora in Valéry 1957-1960, vol. I, pp. 1084-1098. Trad. it. Ispirazioni mediterranee, Mesogea, Messina, 2011. Valéry, P., 1937: Discours sur l’Esthétique, in Actes du Deuxième Congrès International d’Esthétique et de Science de l’Art, Alcan, Paris, vol. I, pp. IX-XXXIII; successivamente in Valéry 1957-1960, vol. I, pp. 1294-1314. Trad. it. Discorso sull’Estetica, in La caccia magica, Guida, Napoli, 1985, pp. 175-196. Valéry, P., 1943: Réflexions simples sur le corps, “Formes et Couleurs”, 5, 3; successivamente in Variété V, Gallimard, Paris, 1944; ora in Valéry 1957-1960, vol. I, pp. 923-31. Trad. it. Varietà, SE, Milano, 1990, pp. 303-313. Valéry, P., 1957-60: Œuvres, Gallimard, Paris, 2 voll. Valéry, P., 1973-74: Cahiers, Gallimard, Paris, 2 voll. Trad. it. Quaderni, Adelphi, Milano, 1985-2002, 5 voll. Zima, P.V., 2002: La négation esthétique. Le sujet, le beau et le sublime de Mallarmé et Valéry à Adorno et Lyotard, L’Harmattan, Paris.
1 Un importante sforzo di riorganizzazione dell’estetica capace di tenere insieme la sua dimensione storica e di proporre utili indicazioni per il futuro della disciplina è condotto in questi anni da Luigi Russo: la proposta della Neoestetica è capace di coniugare diversamente la tradizione dell’estetica, di metterla in dialogo con l’innovazione e di fornire i necessari strumenti per interrogare il presente; si tratta dunque di comprendere come la contemporaneità declina i temi connessi alle due principali matrici che hanno dato luogo alla nascita dell’estetica, il problema del bello artistico e quello del piacere disinteressato (cfr. Russo [2011]). 2 Un modello particolarmente convincente del riassestamento disciplinare in atto è quello proposto da Paolo D’Angelo che evidenzia come il primato del momento esperienziale e delle sue modalità conoscitive possa indicare oggi i compiti più proficui dell’estetica (cfr. D’Angelo [2011]). 3 Cfr. Shusterman (2008): 1 ss. Presupposto e al contempo completamento di questa consapevolezza è per Shusterman l’«estetizzazione dell’etico», cioè far sì che «le considerazioni estetiche [siano] o [debbano] essere decisive e in definitiva probabilmente eminenti per determinare come scegliamo di condurre o plasmare la nostra vita e come stabiliamo che cosa è una vita buona» (Shusterman [2000]: 190). 4 Questa “lacuna” di Baumgarten è dovuta sia alla incompletezza dell’Estetica a causa della morte dell’autore sia alle radici cartesiane che consideravano il corpo semplicemente come una macchina, un supporto per la res cogitans. 5 Il modello con cui confrontarlo è a mio avviso quello del software open source: l’utilizzo condiviso, il confronto con l’esperienza e le esigenze dello specifico utilizzatore, la possibilità di modificarne le modalità applicative consentono a questo tipo di software di raggiungere una maggiore complessità e performatività e al contempo una piena condivisione di queste esperienze. 6 Valéry (1957-60): I, 1235 (trad. mia). 7 Valéry (1937): 177 (corsivo mio). Si è già visto più sopra come, in un’ottica pragmatista, l’utilità di una definizione rafforzi il legame tra teorico e pratico, renda dinamico questo rapporto e di conseguenza conduca a una definizione operativa di estetica. 8 È inoltre possibile indicare un’ulteriore dimensione dell’estetica riconducibile alla riflessione di Kant: come già detto, secondo Valéry le sensazioni su cui si fonda l’esthésique sono quelle che superano la semplice e immediata conservazione della vita e di conseguenza implicano una nuova apertura verso il piacere estetico. Sulla scia di ciò che ha evidenziato Kant è bene sottolineare che provare un piacere estetico è mettere in gioco sensibilità e intelletto, la connessione tra il sentimento e il giudizio fa riferimento a ciò che il soggetto prova in sé quando riconosce finalità e bellezza dando quindi luogo al giudizio di gusto. Si tratta insomma di «une sorte de luxe vital» (Pietra [2000]: 221): davanti l’opera che ci colpisce dunque «nous ne cessons d’imaginer et de ne pas comprendre» e «au fond, l’émotion esthétique c’est l’esprit se réfléchissant lui-même à travers ses différentes instances, s’éprouvant lui-même en train de réfléchir»; il sensibile è dunque «le senti et le sentant» (ivi, 222). Di conseguenza dunque la dimensione dell’esthésique può indicare una nuova consapevolezza e un differente modo di agire esteticamente nel quotidiano. Sulle analogie con Kant presenti nel pensiero di Valéry cfr. anche Zima: «Le kantisme de Valéry se trouve dans la valorisation de la connaissance sensible par rapport à la pensée conceptuelle, du domaine esthétique par rapport au domaine logique. A l’instar de Kant, le rationaliste Valéry s’oppose à un rationalisme qui manque d’autocritique et qui croit pouvoir soumettre tous les phénomènes au logos […]. Comme Kant, Valéry trace les limites de la raison, tout en évitant l’irrationalisme et un empirisme unidimensionnel. A ses yeux, l’expérience esthétique apparaît comme une expérience sui generis qui ne saurait être dépassée (comme chez Hegel) par un discours scientifique proclamant la fin de l’art, c’est-à-dire sa dissolution dans la pensée conceptuelle. Pour lui, un poème remplit une fonction cognitive sans pour autant être réductible à des structures logiques» (Zima [2002]: 104-05). 9 Dufrenne (1975): 31 (trad. mia). Cfr. inoltre la rilettura che Fabrizio Desideri fa del Discorso sull’estetica «come un accesso privilegiato al ritmo architettonico» dell’intera riflessione di Valéry, accesso che permette di mantenere ed evidenziare la dimensione policentrica e plurale del pensiero di Valéry (Desideri [2007]: 12, trad. mia). 10 Seppure soltanto di passaggio è bene ricordare come anche il soggetto sia frutto di un’articolazione interna tra Moi pur, Je, Personnalité: tale articolazione rende conto della ricchezza del soggetto, dei processi che questi attua nella conoscenza a partire da se stesso (cfr. innanzi tutto Monsieur Testee inoltre Celeyrette-Pietri [1979] e Papparo [1990]). 11 Con una felice e sintetica formula Papparo ha parlato, a proposito di CEM, di «tridimensionalità del possibile», riportando i tre elementi al sentire, al fare e al pensare (Papparo [1990]: 101). Del resto oggi le neuroscienze hanno “dimostrato” che il cervello umano e il corpo costituiscono un organismo non dissociabile, integrato grazie all’azione di circuiti regolatori neurali e biochimici interagenti; l’organismo interagisce con l’ambiente come un insieme: l’interazione non è del solo corpo né del solo cervello; i processi fisiologici che noi chiamiamo «mente» derivano dall’insieme strutturale e funzionale, piuttosto che dal solo cervello. 12 Valéry (1943): 308 ss. Cfr. anche Valéry (1973-74): III, 383, 400-401, in cui tali idee sono abbozzate. 13 Questa prima serie di nessi dà inoltre luogo a un ulteriore corpo, il Quarto Corpo, il Corpo Reale oCorpo Immaginario: esso è il risultato di quel sentimento istantaneo di se stessi che è alla base della psicologia. Il Quarto Corpo rappresenta il nesso fra i tre precedenti: il primo corpo offre all’osservazione e alla ricerca «solo degli istanti», il secondo «alcune visioni», il terzo «a prezzo di operazioni spaventose e di preparazioni complesse, una quantità di figure più indecifrabili dei testi etruschi» (Valéry [1943]: 313). Eppure del Quarto corpo se ne ha un’idea unitaria e chiara: pur non essendo, cela qualcosa che noi consideriamo esistente ed è la risoluzione delle nostre domande sulla natura del corpo. Karl Löwith ha rilevato che «la formula di Valéry per l’Intero, C E M, è riferita in maniera prospettica, volta a volta, all’osservatore e codeterminata dal pronome possessivo: il mio corpo, il mio spirito, il mio mondo» sottolineando così l’importanza dell’individuo, delle sue esperienze e della sua ricerca condotta in prima persona (Löwith [1971]: 94). 14 Valéry (1973-74): III, 396. L’impossibilità di contrapporre in maniera rigida soggetto e oggetto e il bisogno di definire nessi a partire dalle tipiche relazioni tra corps, esprit, monde è accostabile secondo Robinson al principio di indeterminazione di Heisenberg, che dimostra «l’impossibilité foncière de séparer le savant, ses instruments et les organes de ses sens du monde matériel qu’ils explorent ensemble, et avec lequel ils forment un tout indissoluble» (Robinson [1963]: 94 ss.). 15 La figura che riassume questo processo è per Valéry quella di Gladiator «lo sforzo dell’essere contro la probabilità. Sforzo chiamato Arte, cambiamento del caso in quasi certezza – analisi della congiuntura fortunata in vista della sua riproduzione o per trasportarla da un istante nella stabilità (o nello stant), o da un numero di dimensioni (anche materia) in uno più grande» (Valéry [1973-74]: I, 396). 16 Cfr. Desideri ([2011]: 74-76) che evidenzia la dimensione “energetica” dell’estetico attivata dalla sensibilità per mezzo dello scambio tra i termini di CEM.
Da: www.fupress.net/index.php/aisthesis/article/view/11054/10529
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