Vatthupama Sutta
Il paragone della veste
Riscrittura a partire
dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito. Una volta il
Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel
parco di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci: "Monaci, se
un tintore prendesse una veste sudicia e piena di macchie, e la
immergesse in una tintura, non importa quale, azzurra, gialla, rossa o
violetta, essa potrebbe prendere solo una tinta brutta e impura perché
la veste non è pulita. Allo stesso modo da un cuore immondo c'è da
aspettarsi una cattiva riuscita.
Se invece il tintore prendesse
una veste netta e pura, essa potrebbe prendere solo una tinta buona e
pura. Allo stesso modo da un cuore non immondo c'è da aspettarsi una
buona riuscita.
Ora, monaci, cos'è il turbamento
del cuore? Esso è dannoso egoismo, malvagità, abiezione, ipocrisia,
invidia, gelosia, interesse, frode, malizia, ostinazione, violenza,
presunzione, superbia, negligenza e leggerezza.
Ora, un monaco che abbia
riconosciuto tutte queste cose, le rinnega, e se ciò accade allora è
provato e proclamato il suo amore per lo Svegliato in questo modo:
"Questo è il Sublime, il Santo, il perfetto Svegliato, l'Esperto di
sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo,
l'incomparabile Guida dell'umano gregge, il Maestro degli dei e degli
uomini"; è provato il suo amore alla dottrina: "Bene annunziata è dal
Sublime la dottrina evidente, senza tempo, incitante, invitante, ad ogni
intelligente intelleggibile"; è provato il suo amore ai discepoli:
"L'ordine, il Sangha, è, presso il Sublime, bene, degnamente,
rettamente, convenientemente affidato, quattro paia di uomini, otto
specie di uomini [?]: questo è l'ordine del Sublime, che merita
devozione e doni, elemosina e saluto, che è la più santa sede del
mondo". Il detto monaco ha però abbandonato, smesso, disciolto,
rinnegato e rigettato il riguardo: conosce il distacco da tutto [?].
"Il mio amore per lo Svegliato,
per la dottrina e per i discepoli è provato": così egli acquista la
comprensione del senso, la comprensione della dottrina, l'intelligente
deliziarsi della dottrina. Tale delizia lo rende beato. Il corpo del
beato si calma. Il calmo prova fisica serenità. Il cuore del sereno
prova raccoglimento.
Ora un monaco che possiede tale
virtù, tale dottrina, tale sapienza, può anche godere cibo mendicato che
sia fatto di riso scelto, ben saporito e condito, e ciò non lo
danneggia. Così come una veste sudicia e piena di macchie, lavata in
acqua chiara diviene nitida e tersa, oppure l'oro fuso nel crogiolo
diventa schietto e puro; così pure un monaco che possiede tale virtù,
tale dottrina, tale sapienza, può anche godere cibo mendicato.
Rimanendo con animo amorevole
egli irradia in tutte le direzioni, nord, sud, est, ovest, zenit e
nadir, dappertutto riconoscendosi, il mondo intero amorevolmente, con
ampio, profondo, illimitato animo, schiarito da rabbia e rancore.
Lo stesso egli fa con animo
compassionevole, con animo lieto, con animo immoto.
"Così è", egli comprende; "Vi è
ciò che è volgare e vi è ciò che è nobile, e vi è una libertà più alta
di questa percepita dai sensi". E in tale contemplazione, in tale
visione il suo cuore viene redento dalla mania del desiderio, dalla
mania dell'esistenza, dalla mania dell'errore. Sorge in lui questa
conoscenza: "Nel redento è la redenzione". Comprende allora: "Esaurita è
la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non esiste più questo
mondo". Questo si chiama, monaci, un monaco purificato nell'intimo."
In quel frattempo si era
avvicinato al Sublime il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo che si rivolse a
lui chiedendo: "Va forse il signore Gotamo a bagnarsi nella Bâhukâ?"
"Che c'è, brâhmano, che c'entra
la Bâhukâ?"
"Si crede, Gotamo, che essa
purifichi, che essa santifichi, che nelle sue onde si lavino le proprie
colpe."
Allora il Sublime si volse verso
il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo e recitò questi versi:
"La Bâhukâ, l'Adhikâ, la Gayâ,
Anche la Sundarî e Sarassatî,
E la corrente del Payâgo fluido,
E di Bâhumatî veloce il fiume,
Non lavano giammai lo scellerato,
Se anch'uno si lavasse in ogni tempo.
Che gioverebbe mai la Sundarî,
O l'onda del Payâgo o la Gayâ?
Già l'acqua mai deterge dai suoi falli
Chi passo passo va per falsa strada.
Al giusto sempre ride lieto
maggio,
Al giusto sempiterno è dì di festa,
Al giusto, a lui, che valoroso vive,
Adempito vien sempre il suo desir.
Bàgnati dunque, o brâhmano, sol
qui:
Per tutto ciò che vive abbi pietà.
E se rinunzia hai fatto alla
menzogna,
Se non offendi più vivente alcuno,
E più non prendi ciò che non è dato,
Nella rinunzia ognora sei costante,
A che verrai più mai alla Gayâ?
Fiumana la Gayâ, non altro è a te."
Dopo queste parole il brâhmano
Sundariko Bhâradvâjo disse al Sublime:
"Benissimo, Gotamo, benissimo!
Così come quasi, Gotamo, se uno raddrizzasse ciò che è rovesciato, o
scoprisse ciò che è coperto, o mostrasse la via a chi s'è perso, o
portasse lume nella notte: "Chi ha occhi vedrà le cose": così anche
appunto il signore Gotamo in vari modi ha esposto la dottrina. Anche io
prendo rifugio presso il signore Gotamo, presso la Dottrina e presso
l'Ordine. Voglia il signore Gotamo concedermi accoglienza, conferirmi
l'ordinazione."
E il brâhmano Sundariko
Bhâradvâjo venne accolto dal Sublime, venne investito dell'ordinazione.
Ma non molto dopo che era stato accolto nell'ordine, egli, solitario,
appartato, infaticabile, con fervido, intimo sforzo aveva rapidamente,
ancora durante la vita, scoperto, realizzato e raggiunto quell'altissimo
scopo dell'ascetismo che porta i nobili figli dalla casa all'eremo.
"Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non esiste più
questo mondo", egli comprese allora. Anche l'onorevole Bhâradvâjo era
adesso divenuto uno dei santi.
Da:
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