Saccako - 2 (Mahâ-Saccakasuttam) - MN 36

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Il Sito di Gianfranco Bertagni

 

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Grande discorso a Saccako - 2 (Mahâ-Saccakasuttam) - MN 36

Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.

 

Questo ho sentito.

Una volta soggiornava il Sublime presso Vesali, nella Grande Selva, nell'atrio dell'eremitaggio. Ora una mattina, quando il Sublime, già approntato, fornito di mantello e scodella era in atto di avviarsi verso la città per l'elemosina, Saccako, il giovane Nigantho, facendo una passeggiata per diporto, arrivò nella grande Selva. E avendolo visto venire da lungi, l'onorevole Anando disse al Sublime così:

-- Ecco che viene, o Signore, quel Saccako, il giovane Nigantho, un esercitato dialettico, un eccellente parlatore, altamente stimato da molti. Ora quest'uomo, o Signore, cerca difetti dello Svegliato, difetti della Dottrina, difetti dell'Ordine. Sarebbe bene, o Signore, che il Sublime sedesse un momento, mosso da compassione! Il Sublime si sedette al posto offerto.

Quindi Saccako Niganthaputto giunse là, dove stava il Sublime, e, dopo aver scambiato cortese saluto ed amichevoli, notevoli parole, parlò al Sublime così:

-- Vi sono, o Gotamo, alcuni asceti e brahmani che hanno potere sul corpo,ma non sull'animo. Essi quindi, o Gotamo, sentono il dolore corporale, e a volte uno, colpito da dolore corporale, è pigliato da un tocco, e gli scoppia il cuore, o il sangue caldo gli sgorga dalla bocca, oppure eglicade in preda ad alienazione di mente, a turbamento di spirito. In questo caso, quindi, l'animo è soggetto al corpo, obbedisce al volere del corpo. Equale ne è il motivo? L'impotenza dell'animo.

D'altro lato, poi , o Gotamo, vi sono alcuni asceti o brahmani, che hanno potere sull'animo ma non sul corpo. Essi quindi, sentono il dolore spirituale e a volte uno, colpito da dolore spirituale, è pigliato da un tocco, gli scoppia il cuore, o il sangue caldo gli sgorga dalla bocca, oppure egli cade in preda ad alienazione di mente, a turbamento dispirito. In questo caso, quindi, il corpo e' soggetto all'animo. E quale ne è il motivo? L'impotenza del corpo. Ora dunque io, o Gotamo, non posso sottrarmi al pensiero: evidentemente idi scepoli del signore Gotamo hanno potere sull'animo, ma non sul corpo.

-- Che cosa hai tu dunque, Aggivessano, sentito chiamare avere potere sul corpo?

-- Ecco, per esempio Nando Vaccho, Kiso Sankicco, Makkhali Gosalo: costoro, o Gotamo, sono ignudi, svincolati, disciplinati di mano; che non arrivano, non aspettano; che non accettano offerta, non favore, non invito; che nel ricevere l'elemosina non spiano verso la pentola, non verso il piatto, non sopra la soglia, non sopra la grata, non dentro il caldaio; che non accettano da quelli che mangiano in due, non da una incinta, non da unache allatta, non da una che viene dall'uomo, non da sudici, non dove stapresso un cane, non dove ronzano mosche; che non mangiano pesce, non carne; non bevono vino, non liquore, non succo d'avena fermentato. Essi vanno ad una casa e si contentano di una manciata di elemosina; vanno a due case e si contentano di due manciate di elemosina; vanno a sette case e sicontentano di sette manciate di elemosina. Essi sostentano la loro vita con la beneficenza di una sola largitrice, di solo due largitrici, di solo sette largitrici; essi prendono cibo solo una volta al giorno, solo ogni due giorni, solo ogni sette giorni. In tale guisa mutando essi osservano rigidamente quest'esercizio di digiuno esteso fino a mezzo mese.

-- Come dunque, Agivessano: sostentano essi la loro vita unicamente aquesto modo?

-- Questo poi no, o Gotamo! Anzi di poi essi consumano abbondantemente cibi solidi, godono abbondantemente di cibi liquidi, gustano squisite pietanze, sorbiscono squisite bevande. Con ciò, naturalmente, essi guadagnano dinuovo forza nel corpo, s'impinguano e s'ingrossano, come è noto.

-- Ciò che essi dunque, Aggivessano, per l'innanzi hanno rifiutato, in seguito essi l'esagerano, e così ha origine questo gonfiarsi e sgonfiarsi del corpo. E che cosa tu, Aggivessano, hai tu sentito chiamare aver potere sull'animo?

A questa domanda del Sublime, Saccako Niganthaputto non seppe dare alcuna risposta. Quindi ora parlò il Sublime a Saccako così:

-- Quel che tu prima, Aggivessano, hai indicato come aver potere sul corpo, ciò nell'ordine del Santo non significa aver veramente potere sul corpo.Tu proprio non conosci, Aggivessano che sia l'aver potere sul corpo; come potresti poi conoscere l'aver potere sull'animo? Osserva, Aggivessano: se non si ha potere sul corpo, allora non si ha neanche potere sull'animo; ma se si ha potere sul corpo, allora si ha anche potere sull'animo. Ciòascolta e fa bene attenzione al mio discorso: Come dunque, Aggivessano, non si ha potere sul corpo, non poteresull'animo?

Ecco, Aggivessano, in un inesperto uomo comune sorge una sensazione piacevole. Toccato dalla sensazione piacevole, egli diviene bramoso di piacere, cade in preda alla brama di piacere. In seguito questa sensazione di piacere gli passa e sorge una sensazione dolorosa. Toccato dalla sensazione dolorosa, egli diviene triste, affranto, si lagna, si batte gemendo il petto, cade in preda alla disperazione. Ora quella sensazione piacevole sorta in lui, vincola l'animo per l'impotenza del corpo; ma quella sensazione dolorosa vincola l'animo per l'impotenza dell'animo. Quando l'animo viene così duplicemente vincolato dalla sensazione dipiacere per l'impotenza del corpo; dalla sensazione di dolore per l'impotenza dell'animo, allora, Aggivessano, non si ha potere sul corpo, non potere sull'animo.

E come poi, si ha potere sul corpo, potere sull'animo? Ecco che, quando sorge una sensazione piacevole, egli non diviene bramoso di piacere, non cade in preda alla brama di piacere. Quando questa sensazione di piacere gli passa e sorge una sensazione dolorosa, egli non diviene triste, non affranto, non si lagna, non si batte gemendo il petto, non cade in preda alla disperazione. Ora, quella sensazione piacevole sorta in lui, non può -- per il potere che si ha sul corpo -- vincolare l'animo; e quella sensazione dolorosa non può vincolare l'animo, per il potere che si ha sull'animo. In questo caso si ha potere sul corpo, si ha potere sull'animo.

-- Così io posso credere al signore Gotamo: il signore Gotamo ha potere sul corpo, ha potere sull'animo?

-- Certo Aggivessano tu mi hai posto questa domanda solo per attirarmi piu' oltre; ma io ti voglio rispondere. Da che io, Aggivessano, rasi capelli e barba, ho indossato l'abito fulvo e ho lasciato la casa per l'eremo, nessuna sensazione di piacere che in me sorga, nessuna sensazione di dolore che in me sorga, può infatti vincolare l'animo mio.

-- Allora forse il signore Gotamo non conosce una tale sensazione di piacere che possa vincolare l'animo, o una tale sensazione dolorosa che possa vincolare l'animo?

-- E come no Aggivessano?

A me, Aggivessano, ancor prima del perfetto risveglio, come imperfetto svegliato, al risveglio solo anelante, venne questo pensiero: " Un carcere è la casa, un letamaio; libero cielo il pellegrinaggio. Non si può, restando a casa, adempiere punto per punto l'ascetismo completamente purificato, completamente rischiarato. E se io ora, rasi capelli e barba, vestito dell'abito fulvo, traessi via dalla casa nell'eremo?

Ed io, Aggivessano, dopo qualche tempo, ancora in fresco fiore, splendente di capelli neri, nel godimento della felice giovinezza, nella prima età virile, contro il desiderio dei miei genitori gementi e piangenti, rasi capelli e barba, vestito dell'abito fulvo, trassi via dalla casa nell'eremo.

Così, divenuto pellegrino, cercando il vero bene, io mi recai da Alamo Kalamo e gli dissi: io vorrei, o fratello Kalamo, menare la vita ascetica in tale dottrina ed ordine. Replicò Alaro Kalamo: resta, onorevole! Di tal guisa è questa dottrina che un uomo intelligente, anche in breve tempo può comprenderla e raggiungerne il possesso.

Ed io compresi in breve tempo questa dottrina. Io andai allora da Alaro Kalamo e gli dissi così: è stata questa dottrina, fratello Kalamo, fino a tale punto da me compresa, fatta palese e raggiunta? E il fratello Kalamo così rispose:

-- Fortunati siamo noi, altamente favoriti, noi che ravvisiamo un tale onorevole come vero asceta! Così come io annunzio la dottrina, così l'hai tu raggiunta; così come io conosco la dottrina, così tu la conosci; così come io sono, così tu sei. Vieni dunque, fratello: insieme vogliamo dirigere questa schiera di discepoli. Così, Aggivesano, Alaro Kalamo, mio maestro, dichiarò me, suo discepolo, quale suo pari e mi onoro' con alto onore.

Quindi mi venne, Aggivessano, il pensiero: "Questa dottrina non mena al distacco, al rivolgimento, alla dissoluzione, all'annientamento, alla contemplazione, al pieno risveglio, all'estinzione, ma solo all'apparizione nella sfera della non esistenza."

Ed io trovai questa dottrina insoddisfacente, e da essa inappagato, trassi via di là.

Io mi recai ora, cercando il vero bene, investigando per per l'incomparabile, altissimo sentiero di pace, da Uddako, il figlio di Ramo, e gli dissi: io vorrei, fratello Ramo, menare la vita ascetica in tale dottrina ed ordine. Così replicò Uddako Ramaputto: resta, onorevole! di tal guisa è questa dottrina che un uomo intelligente, anche in breve tempo può rendersi comprensibile e palese la propria maestrìa e può raggiungerne il possesso. Ed io compresi in breve tempo questa dottrina, mi divenne palese e ne raggiunsi il possesso. Io andai allora da Uddako e gli dissi così: è stata questa dottrina, conforme al'esposizione di Uddako, fino a tal punto da noi compresa, fatta palese e raggiunta? E il figlio di Ramo così rispose:

Fortunati siamo noi, o fratello, altamente favoriti, noi che ravvisiamo un tale onorevole come un vero asceta! così come Ramo ha annunziato la dottrina, così tu hai raggiunto la dottrina; così come Ramo ha conosciuto la dottrina, così tu hai conosciuto la dottrina; così come era Ramo, così sei tu; vieni dunque, o fratello, sii tu il capo di questa schiera di discepoli.

Così Uddako Ramaputto mi investì del grado di maestro e mi onorò con alto onore. Ma a me venne, o Aggivessano, il pensiero: questa dottrina non mena al distacco, al rivolgimento, alla dissoluzione, all'annientamento, alla contemplazione, all'estinzione, ma solo all'apparizione nella sfera del limite di possibile percezione. Ed io trovai questa dottrina insoddisfacente, e da essa inappagato, trassi via di là.

Io ora, cercando il vero bene, investigando per l'incomparabile altissimo sentiero di pace, passai per la terra di Magadha di luogo in luogo e giunsi in vicinanza del borgo Uruvela. Là io vidi un ben situato pezzo di terra: un sereno fondo boschivo, un limpido fiume corrente, adatto al bagno, rallegrante, e tutt'intorno prati e campi. Allora mi venne il pensiero: ben situato è invero questo pezzo di terra, ciò basta per l'ascesi. E mi sedetti allora, ed ivi mi si presentarono tre paragoni conformi a natura, mai prima sentiti:

Così come se un'umida e fangosa scheggia di legno fosse gettata nell'acqua e giungesse un uomo fornito di legno da sfregare e usasse la scheggia per far fuoco; pensi tu che potrebbe egli produrre fuoco sfregando l'umida e fangosa scheggia di legno?

-- Certo no, o Gotamo, ogni pena e fatica dell'uomo sarebbe vana.

-- Or così anche appunto, Aggivessano, avviene di quegli asceti o brahmani che non sono svezzati del corpo, non dei desideri, che non hanno internamente scacciato, smorzato, ciò che nei loro desideri è voglia di desiderio, vischio del desiderio, vertigine del desiderio, sete del desiderio, febbre del desiderio; se ora essi provano sensazioni dolorose, brucianti, amare, che in loro sorgano, allora essi sono incapaci della sapienza, della chiaroveggenza, dell'incomparabile pieno risveglio; ed anche se essi non provassero sensazioni dolorose, brucianti, amare, anche allora essi sarebbero incapaci della sapienza, della chiaroveggenza, dell'incomparabile, pieno risveglio. Questo fu il primo paragone. Mi si presentò quindi un secondo paragone: così come un'umida e fangosa scheggia di legno fosse gettata lungi dall'acqua, sulla terra, e un uomo volesse usarla per far fuoco sfregandola, pensi tu che egli potrebbe far fuoco con quell'umida e fangosa scheggia di legno gettata lungi dall'acqua, sulla terra?

-- Certo no, o Gotamo, anche se la scheggia giace fuori dall'acqua, è pur sempre umida e fangosa, dunque inadatta a far fuoco.

-- Or così anche, appunto, avviene di quegli asceti o brahmani che sono svezzati del corpo e dei desideri, ma che però non hanno interamente scacciato, smorzato, ciò che nei loro desideri è voglia di desiderio, vischio del desiderio, vertigine, sete e febbre del desiderio: se quindi essi provano sensazioni dolorose, brucianti, amare, essi sono incapaci della sapienza, della chiaroveggenza, dell'incomparabile, pieno risveglio.

-- E se, Aggivessano, un'asciutta e secca scheggia di legno fosse gettata lungi dall'acqua sulla terra e vi si accostasse un uomo fornito di un legno da sfregare, potrebbe costui far fuoco, produrre fuoco?

-- Sicuramente, Gotamo, egli potrebbe produrre fuoco, perchè quella scheggia di legno è asciutta e secca e giace lungi dall'acqua.

-- Or così anche, appunto, avviene di quegli asceti o brahmani che sono svezzati del corpo e dei desideri, che hanno internamente scacciato e smorzato ciò che nei loro desideri è voglia di desiderio, vischio del desiderio, vertigine, sete, febbre del desiderio. Se quindi provano sensazioni dolorose, brucianti, amare, allora essi sono capaci della sapienza, della chiaroveggenza, dell'incomparabile, pieno risveglio. E anche se non provasserio sensazioni dolorose, brucianti, amare, anche allora essi sarebbero capaci della sapienza, chiaroveggenza e dell'incomparabile, pieno risveglio.

Dopo questi tre paragoni, Aggivessano, mi venne il pensiero: e se io, coi denti stretti e la lingua aderente al palato costringessi, comprimessi, abbattessi l'animo con la volontà? E così io feci, e così facendo mi stillava il sudore dalle ascelle. Ferrata era la mia forza, inflessibile, presente il sapere, irremovibile; ma sensibile era ancora il mio corpo, non divenuto calmo con quella ascesi così dolorosa che mi animava. E la sensazione di dolore in tal guisa sorta in me, non poteva vincolare l'animo mio.

Quindi mi venne il pensiero: e se io ora mi perdessi in concentrazione senza respiro? Ed io ora trattenni le inspirazioni e le espirazioni dalla bocca e dal naso, in tal guisa che mi divenne sensibile nelle orecchie l'alto fragore delle correnti del sangue. In seguito, continuando a trattenere le inspirazioni e le espirazioni, violente pulsazioni mi battevano il capo. Poi provavo nel capo assordanti dolori. E in seguito violente palpitazioni mi lancinavano il ventre. Proseguendo nel trattenere il respiro, provavo nel corpo un intenso, ardente strazio. Ma la mia forza era ferrata, inflessibile, presente il sapere, irremovibile, e le sensazioni di dolore in tal guisa sorte in me, non potevano vincolare l'animo mio.

Allora mi videro alcune divinità che dissero: è morto l'asceta Gotamo; altre dissero: non è morto, sta per morire; altre ancora dissero: non è morto, santo è l'asceta Gotamo.

Quindi mi venne, Aggivessano, il pensiero: e se io mi astenessi completamente dal nutrimento? Allora mi si presentarono alcune divinità e dissero: non volere fare cio', altrimenti noi ti infonderemo nei pori celeste rugiada e tu rimarrai in vita. Mi dissi: se dovessi pretendere fare del tutto senza cibo, con queste divinità infondendomi cibo celeste nei pori, io mentirei. Così rinunziai al proposito di astenermi completamente dal nutrimento.

E mi venne il pensiero di prendere poco nutrimento, quanto ne va nel cavo di una mano, e così facendo il mio corpo divenne straordinariamente magro; come canne secche, appassite, divennero le mie gambe e braccia; come un piede di cammello divenne il mio sedere; come un rosario la mia spina dorsale, con le vertebre sporgenti e rientranti; le mie costole sporgevano come le travi di una vecchia casa; le mie pupille rilucevano come in un profondo pozzo i sottostanti specchi d'acqua; la pelle del mio capo divenne come una zucca che al sole caldo diviene vuota e grinzosa. Quando volevo toccare il ventre giungevo alla spina dorsale, quando volevo toccare la spina dorsale giungevo di nuovo al ventre. Se io volevo svuotarmi di sterco o di urina, cadevo in avanti; se strofinavo con le mani le membra, se ne cadevano i peli putridi alle radici, a causa di questo nutrimento estremamente scarso.

Quindi mi venne il pensiero: quel che nel passato, nel presente e nel futuro possano aver provato di sensazioni amare, dolorose, brucianti, asceti e brahamani, più di questo non è possibile, più oltre non si va. Ma nonostante questa dolorosa ascesi io non raggiunsi la sopraterrena, santa dovizia della chiarezza della saggezza: forse vi è un'altra via per il risveglio. Quindi mi ricordai che una volta, sedendo all'ombra di un fresco albero di melarosa, aver raggiunto il grado della prima contemplazione: questa può essere, forse, la via del risveglio. Ma non è possibile farlo con un corpo così straordinariamente spossato, così io presi nutrimento solido, riso cotto. In quel tempo, Aggivessano, vivevano cinque monaci attorno a me, e quando io presi nutrimento solido, essi si staccarono da me ed andarono via dicendo: abbondante diviene l'asceta Gotamo, infedele all'ascesi, proclive all'abbondanza.

Ed io ora dopo aver preso nutrimento solido, guadagnai forze e raggiunsi il grado della prima contemplazione, poi della seconda quindi della terza. Dopo rigetto di gioia e dolore io raggiunsi la non triste, non lieta, equanime savia perfetta purezza, il grado della quarta contemplazione. E la sensazione di piacere per tal guisa sorta non poteva vincolare l'animo mio. Con tale animo saldo, puro, terso, schietto, schiarito da scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io drizzai l'animo alla memore cognizione di anteriori forme di esistenza, e mi ricordai di una anteriore vita, poi due, poi dieci, venti, cento vite, mille, centomila vite...là ero io ,avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato, quello il mio ufficio, provai tale bene e male, così fu la fine di mia vita, di qua trapassato entrai io qui di nuovo in esistenza.

Con tale animo io drizzai quindi l'attenzione alla cognizione dello sparire ed apparire degli esseri. Con l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno, io vidi gli esseri sparire e riapparire volgari e nobili, belli e non belli, felici ed infelici, io riconobbi come gli essseri sempre secondo le azioni riappaiono: questi cari esseri sono certo non retti in azioni, parole e pensieri, biasimano ciò che è salutare, stimano ciò che è dannoso, fanno ciò che è dannoso; con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi pervengono giù, su cattivi sentieri, alla perdizione, in mondo infernale. Quei cari esseri, invece, sono retti in pensieri, parole e azioni; non biasimano ciò che è salutare, stimano e fanno ciò che è retto; con la dissoluzione del corpo, dopo la morte, esi pervengono su buoni sentieri, in mondo celeste. Con tale animo io drizzai l'attenzione alla cognizione dell'estinguersi della manìa. Questo è il dolore, compresi conforme a verità. Questa è l'origine, l'annientamento e la via che conduce all'annientamento del dolore, compresi conforme a verità.

Così riconoscendo e vedendo, il mio animo fu redento dalla manìa del desiderio, dell'esistenza, dell'errore. Nel redento è la redenzione, esausta è la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non esiste più questo mondo, compresi allora.

Io so bene, o Aggivessano, se io ho esposto la dottrina ad una schiera di molte centinaia, allora ognuno di essi pensa: solo per me l'ascta Gotamo ha esposto la dottrina! Pure non è così, perchè certo il Compiuto espone la dottrina per rischiaramente agli altri. Ma quando tale esposizione è finita, allora io indirizzo anche l'animo di ciascuno che cerchi pace, lo porto alla quiete, lo unifico, lo compongo. E così io mi regolo ogni volta, ogni volta.

-- Concede forse il Signore Gotamo di dormire durante il giorno?

-- Io concedo, o Agivessano, nell'ultimo mese dell'estate, dopo il pasto, quando si è tornati dal giro di elemosina, di stendere il mantello piegato in quattro e, giacendo sul fianco destro, addormentarsi con animo raccolto.

-- Ma ciò, o Gotamo, da parecchi asceti e brahamani viene designato come pericolosa rilassatezza!

-- Non per questo, Aggivessano, si è rilassati o non rilassati. Chi non ha rinnegato la manìa insozzante, seminante rinascita, orrenda, covante dolore, rinnovante vita, vecchiezza e morte, quello io chiamo rilassato. Chi però ha rinnegato la manìa, quello io chiamo non rilassato. Il Compiuto, o Aggivessano, ha rinnegato la manìa, l'ha stroncata dalle radici, fatta simile ad un ceppo di palma, così che essa non possa mai più germogliare, svilupparsi.

Dopo queste parole Saccako, il giovane Nigantho, parlò al Sublime così: E' mirabile, o Gotamo, è straordinario come dopo con tranquillo e sicuro procedere avere trattato di più di una suggestiva questione, il signore Gotamo ha il volto così sereno e il colore della pelle è rimasto così chiaro, come ciò è proprio del Santo Perfetto Svegliato. Io riconosco, o Gotamo, di essermi impegnato in discussioni con Purano Kassapo, Makkali Gosalo, Ajjito Kesakambali, Pakudho Kaccayano, Nigantho Nathaputto: costoro però discutendo con me passavano da una cosa all'altra, divagavano dall'oggetto e palesavano collera, avversione e fastidio. Il Signore Gotamo invece, è rimasto sereno come è proprio del Santo, Perfetto Svegliato. Allora Saccako Niganthaputto, rallegrato ed appagato dal discorso del Sublime, si alzò dal suo posto ed andò via.

 

Da: http://utenti.multimania.it/tipitaka/majjhima/mn036.html

 

 

 

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