Mahâsaropama Sutta
Il paragone del legno
Riscrittura a partire
dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava
presso Râjagaham, sull'alpe del Picco dell'Avvoltoio, poco dopo che
Devadatto s'era staccato dall'Ordine. Là egli si rivolse ai monaci
pensando a Devadatto:
"Ecco un nobile figlio che ha
lasciato la casa per l'eremo pensando: 'Sono precipitato nella nascita,
nella vecchiaia e nella morte; in guai, sofferenze e pene; nello strazio
e nella disperazione; immerso e perduto nel dolore! Oh, se potessi
mettere fine a tutto questo tronco di dolore!'. Con tale intenzione egli
ha rinunciato al mondo ed ottiene elemosina onore e gloria. Tutto ciò lo
allieta ed egli cambia. Finisce col diventare altero e disprezza il suo
prossimo: 'Io sono amato e glorificato, questi altri monaci però sono
ignoti e insignificanti'. Egli s'inebria, diviene negligente, leggero; e
chi è leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che vuole
legno, cerca legno, uscisse, s'arrampicasse su un grande albero vi
salisse sopra, staccasse un ramoscello con foglie e si allontanasse
pensando: 'Questo è legno': un uomo di buona vista che lo avesse
osservato penserebbe: 'Questo caro uomo non conosce né il legno duro, né
quello tenero; non conosce la corteccia, né i rami. né il fogliame. Si è
arrampicato sino ai rami, ha staccato un ramoscello con foglie, e se lo
è portato via convinto che fosse legno; ma ciò che di legno può
ricavarne, non gli servirà a nulla'. Proprio così un uomo che ha
lasciato la casa per l'eremo con la giusta motivazione, ma, pur avendo
ottenuto i giusti riconoscimenti, si lascia fuorviare da essi, diventa
altero, disprezza chi gli sta intorno, diviene negligente e leggero; è,
monaci, un monaco che ha preso per sé le foglie dell'ascetismo e ne è
appagato.
Ma ecco un uomo che, spinto
dalle giuste motivazioni, rinuncia al mondo e lascia la casa per
l'eremo. Ottiene i giusti riconoscimenti ma questi non lo allietano, non
lo cambiano. Non diviene altero, non disprezza il suo prossimo; non
s'inebria, non diviene negligente né leggero e, lottando con seri
intendimenti, conquista le virtù dell'Ordine. Ma queste virtù lo mutano,
lo rendono altero, gli fanno disprezzare il suo prossimo: 'Io sono
virtuoso, sono giusto, però questi altri monaci non lo sono, sono
cattivi'. Le virtù lo inebriano, lo rendono negligente, leggero; e chi è
leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca
legno s'arrampicasse sopra un grande albero, ne staccasse un ramo e se
ne andasse pensando: 'Questo è legno': un uomo di buona vista che avesse
osservato tutto penserebbe che costui non conosce niente delle parti
dell'albero, e che quel poco legno che può ricavare dal ramo non gli
servirà a nulla. Allo stesso modo un nobile figlio che con giuste
motivazioni avesse lasciato la casa per l'eremo, avesse ottenuto i
giusti riconoscimenti e non diventasse altero e sprezzante del suo
prossimo, non s'inebrierebbe, non diverrebbe negligente né leggero e
conquisterebbe le virtù dell'Ordine. Per queste virtù egli si allieta e
cambia, diventa altero e sprezzante: 'Io sono virtuoso, sono giusto, gli
altri monaci non sono virtuoso, sono cattivi'. Le virtù lo inebriano, lo
rendono negligente, leggero; e chi è leggero è toccato dal dolore.
Costui è un monaco che si accontenta di un solo ramo dell'ascetismo.
Ecco un altro nobile figlio che
lascia la casa per l'eremo e vive le stesse esperienze degli altri.
Conquista le virtù dell'Ordine e non si lascia inebriare da esse. Non
diventa negligente né leggero, e, lottando con seri intendimenti,
conquista la grazia del raccoglimento. Ma ancora una volta questa grazia
del raccoglimento lo altera; diventa superbo e disprezza gli altri
monaci: 'Io sono raccolto, di animo unificato, gli altri monaci non sono
raccolti, hanno l'animo distratto'. Il raccoglimento lo inebria, lo
rende negligente e leggero, e il leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca
legno si arrampicasse su un grande albero e ne prendesse solo la
corteccia, convinto d'aver preso del legno; uno di buona vista che lo
osserva lo giudicherebbe un incompetente: allo stesso modo si
comporterebbe un nobile figlio che, divenuto monaco e raggiunto il
raccoglimento, disprezzasse gli altri monaci per non esserci riusciti.
Costui è un monaco che si accontenta della sola corteccia
dell'ascetismo. Un altro nobile figlio che, divenuto monaco, vive tutte
le esperienze che abbiamo visto, raggiunge la grazia del raccoglimento,
non se ne inebria; lottando seriamente conquista la chiarezza del
sapere. Se ne allieta, cambia, e pensa: 'Io sono chiaro sciente, gli
altri monaci sono ignoranti'. La chiarezza del sapere lo inebria,
diviene negligente e leggero; e il leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca
legno, arrampicatosi su un grande albero, si accontentasse di legno
tenero, e fosse convinto d'avere preso autentico legno; un competente
che l'avesse osservato, saprebbe che si è accontentato di legno
inadatto. Altrettanto un nobile figlio, divenuto monaco e raggiunta la
chiara scienza, inebriato da ciò diverrebbe negligente e leggero; e il
leggero è toccato dal dolore. Costui è un monaco che è appagato dal
legno tenero dell'ascetismo. Un altro nobile figlio, divenuto monaco, ha
raggiunto la chiaroveggenza e, lottando seriamente, ha conquistato una
imperdibile temporanea redenzione . Così come se un uomo che cerca
legno, segasse proprio il tronco di legno duro d'un grande albero, lo
prendesse e lo portasse via, certo d'aver preso buon legno duro: un uomo
competente di buona vista che l'avesse osservato, approverebbe il suo
operato.
Così un nobile figlio che ha
lasciato la casa per l'eremo pensando: 'Sono precipitato nella nascita,
nella vecchiaia e nella morte; in guai, sofferenze e pene; nello strazio
e nella disperazione; immerso e perduto nel dolore! Oh, se potessi
mettere fine a tutto questo tronco di dolore!'. Con tale intenzione egli
ha rinunciato al mondo ed ottiene elemosina onore e gloria. Tutto ciò lo
allieta ma non lo cambia. Non diviene altero per le virtù dell'Ordine
acquisite, non diventa negligente, non leggero e, lottando con seri
intendimenti, egli conquista la grazia del raccoglimento. Se ne
rallegra, ma non cambia. Lottando ancora conquista la chiarezza del
sapere. Se ne rallegra, ma non cambia. Lottando ancora con seri
intendimenti conquista l'eterna redenzione che non è cosa che si possa
perdere.
E così il frutto dell'ascetismo,
non è elemosina, onore e gloria, non virtù dell'Ordine, non grazia del
raccoglimento, non chiarezza del sapere. Ma quella imperturbabile
redenzione dell'animo, ciò è lo scopo: questo, monaci, è l'ascetismo,
questo ne è il nocciolo, questo il fine."
Così parlò il Sublime. Contenti
si rallegrarono i monaci della sua parola
Da:
http://membres.lycos.fr/zenmontpellier/majjhimait.html |