Dvedhâvitakka Sutta
Due specie di deliberazioni
Riscrittura a partire
dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava
presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel giardino di
Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci: "Una volta, quando
ancora non avevo conseguito il pieno risveglio e, da Bodhisatta, anelavo
solo ad esso, mi venne questo pensiero: 'Se io ora dividessi il mio
pensare in due parti contrapposte?'. E allora divisi da un lato il
pensiero dell'insistere, del danneggiare e dell' infuriare, e dall'altro
il pensiero del rinunciare, del non danneggiare e del non infuriare.
Ora, quando in questo sforzo serio, solerte, impegnativo, mi si
presentava il pensiero dell'insistere, del danneggiare o dell'infuriare,
mi dicevo: 'Mi si sono presentati i pensieri dell'insistere, del
danneggiare o dell'infuriare, ma essi limitano se stessi, limitano altri
pensieri, limitano entrambi, distolgono dalla sapienza, portano
turbamento, non conducono all'estinzione, sono limitanti'. E mentre
pensavo ciò l' insistere, il danneggiare e l'infuriare si dissolvevano.
Ciò che un monaco considera e
pondera a lungo, influenza la mente. Se considera e pondera di
insistere, allora ha ripudiato quella del rinunciare, ha accresciuto la
decisione di insistere, e il suo cuore è influenzato da tale decisione.
Lo stesso accade se a lungo delibera e pondera di danneggiare o di
infuriare: il cuore è influenzato da tali decisioni. Quando un
mandriano, nell'ultimo mese della stagione delle piogge, in autunno,
quando la messe è raccolta, raduna le sue mandrie, sollecita e spinge i
buoi qua e là e li porta alle stalle, perché lo fa? Perché altrimenti il
mandriano dovrebbe attendersi inconvenienti o perdite, disgrazie o
danni: allo stesso modo io vidi la miseria, la bassezza, la sozzura di
ciò che è dannoso, e l'utile effetto di ciò che è salutare nella
rinunzia.
Quindi, allorché in questo
sforzo serio, solerte, impegnativo, mi si presentava la decisione di
rinunziare, io mi dicevo: 'Ho deciso di rinunziare: ciò non mi limita,
non limita gli altri, non limita nessuno, promuove la sapienza, non
porta turbamento, conduce all'estinzione. Se ora decidessi la rinunzia e
la esaminassi di giorno e di notte, non trovando in essa nulla di
temibile, ma continuassi a considerare ed esaminare a lungo tale
decisione, il corpo si stancherebbe, col corpo stanco il cuore s'
infiacchirebbe, e il cuore fiacco non favorisce il raccoglimento'.
Quindi, monaci, io raccoglievo strettamente il mio cuore, lo placavo, lo
riunivo, lo rafforzavo perché non si indebolisse. Allorché in questo
sforzo serio, solerte, impegnativo, mi si presentava la decisione di non
danneggiare, di non infuriare, io pensavo e facevo le stesse cose.
Ciò che un monaco considera e
pondera a lungo, influenza la mente. Se considera e pondera di
rinunziare, allora egli ha ripudiato la considerazione dell'insistere,
ha accresciuto la considerazione del rinunziare, e il suo cuore è
influenzato da tale decisione. Lo stesso accade per la deliberazione di
non danneggiare e di non infuriare.
Come quando un mandriano,
nell'ultimo mese dell'estate, quando la messe nei campi tutt'intorno è
in piena maturazione, deve guardare le sue mandrie e fare bene
attenzione nel bosco come sul prato; così dovevo fare anch'io bene
attenzione alle mie cose. Ferrea era però la mia forza, inflessibile;
presente il sapere, irremovibile; placato il corpo, impassibile;
raccolto l'animo, unificato. E io restavo, monaci, lontano da brame,
lontano da cose non salutari, in sentita, pensante, nata da pace beata
serenità, nella prima contemplazione. Dopo il compimento del sentire e
pensare io raggiunsi con l'interna calma, l 'unità dell'animo, la beata
serenità libera di sentire e pensare, nata dal raccoglimento, la seconda
contemplazione. In serena pace io restavo equanime, savio, chiaro
cosciente, provavo nel corpo la felicità di cui i santi dicono:
'L'equanime savio vive felice'; così raggiunsi la terza contemplazione.
Dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo l' annientamento della
letizia e della tristezza di prima, io raggiunsi la non triste, non
lieta, equanime, savia, perfetta purezza, quarta contemplazione.
Con tale animo, saldo,
purificato, terso, schietto, libero da scorie, malleabile, duttile,
compatto, incorruttibile, io indirizzai l'animo alla memore conoscenza
di anteriori forme di esistenza. E mi ricordai di molte diverse
anteriori forme di esistenza. Una vita, due, tre, quattro, cinque vite;
dieci vite, venti, trenta, quaranta, cinquanta vite; poi di cento,
mille, centomila vite; poi delle epoche durante parecchie formazioni e
trasformazioni di mondi. 'Là ero io, avevo quel nome, appartenevo a
quella famiglia, quello era il mio stato, quella la mia attività, provai
tale bene e tale male, così finì la mia vita; trapassato di là, io
entrai altrove di nuovo in esistenza: ora ero qua, avevo questo nome,
appartenevo a questa famiglia, questo era il mio stato, questa la mia
attività, provai tale bene e male, così fu la fine della mia vita; .
Così io mi ricordai di molte
diverse anteriori forme d'esistenza, ognuna coi propri contrassegni,
ognuna con le sue speciali relazioni. Questa prima conoscenza, monaci,
io l'avevo conquistata nelle prime ore della notte, dissipata
l'ignoranza, acquistata la conoscenza, dissipata la tenebra, acquistata
la luce, mentre io rimanevo in così serio, solerte, impegnativo sforzo.
Con tale animo, saldo,
purificato, terso, schietto, libero da scorie, malleabile, duttile,
compatto, incorruttibile, io indirizzai l'animo alla cognizione dello
sparire e apparire degli esseri. Con l'occhio celeste, rischiarato,
sopraterreno io vidi gli esseri sparire e riapparire, volgari e nobili,
belli e brutti, felici e infelici; io riconobbi come gli esseri
riappaiono sempre secondo le azioni. 'Questi cari esseri sono certo non
retti in azioni, in parole, in pensieri, biasimano ciò che è salutare,
stimano ciò che è dannoso, fanno ciò che è dannoso; con la dissoluzione
del ;corpo, dopo la morte, essi giungono giù, su cattivi sentieri, alla
perdizione, in un mondo infernale. Quest'altri esseri però che sono
retti in azioni, parole, pensieri, non biasimano ciò che è salutare,
stimano e fanno ciò che è retto; con la dissoluzione del corpo, dopo la
morte, essi pervengono su buoni sentieri, in un mondo celeste. Ciò vidi
io. Questa è la seconda conoscenza che io avevo conquistata nelle ore
mediane della notte, dissipata l'ignoranza, acquistata la scienza,
dissipata la tenebra, acquistata la luce mentre il mio sforzo
continuava.
Con tale animo io indirizzai
l'animo alla cognizione dell'estinguersi della mania. 'Compresi conforme
a verità: questo è il dolore, questa è la sua origine, questo è il suo
annientamento e questa è la via che porta al suo annientamento. Compresi
conforme a verità: questa è la mania, questa la sua origine, questo il
suo annientamento e questa la via che porta al suo annientamento'. Così
riconoscendo, così vedendo, il mio animo fu redento dalle manie del
desiderio, dell'esistenza, dell'errore. Sorse questa conoscenza: 'Nel
redento è la redenzione. Esausta è la vita, compiuta la santità, operata
l'opera, non esiste più questo mondo.' Questa, monaci, è la terza
conoscenza che avevo conquistata nelle ultime ore della notte.
Così come se un grosso branco di
selvatici di una boscosa valle fosse giunto ad un vasto suolo paludoso;
e un cert'uomo che volesse il male dei selvatici, che tramasse contro di
essi perdizione e danno, per questo sbarrasse loro la via sicura,
favorevole, giusta da percorrere, e lasciasse aperta la via sbagliata
che conduce alla palude e là li facesse finire: allora il grosso branco
presto sparirebbe, non potrebbe sopravvivere. Se invece un altro uomo,
impietosito per il branco, che pensasse al suo bene e alla sua salvezza,
indicasse la via verso la salvezza e sbarrasse l'altra via, sprangasse i
valichi verso la palude e allontanasse di là gli animali: allora il
branco si salverebbe, crescerebbe, fiorirebbe e prospererebbe.
Questo che vi ho fatto è un
paragone il cui senso è questo: il vasto suolo paludoso indica il
desiderio; il grosso branco di selvatici indica la comunità dei viventi;
l'uomo malvagio indica la natura maligna; la via errata, monaci, è il
contrario dell'ottuplice sentiero ossia falso sentiero, false
conoscenza, intenzione, parola, azione, vita, falsi sforzo, sapere e
raccoglimento. I valichi verso la palude indicano il piacere della
soddisfazione; l'andare verso la palude indica l'ignoranza. Ma l'uomo
pietoso che pensa al bene, alla salvezza, monaci, indica il Compiuto, il
Santo, perfetto Svegliato. E la via sicura che è favorevole, che porta
alla salvezza indica il santo sentiero ottopartito.
E così, monaci, ho indicato la
via sicura, favorevole, lieta da percorrere, ed ho sbarrata la via
maligna, ho sprangato i valichi che portano alla palude, ho impedito
l'andare nella palude. Ciò che un maestro, per amore e simpatia, mosso
da compassione, deve ai discepoli, voi lo avete da me ricevuto. Qui,
monaci, vi invitano gli alberi, e là vuoti eremi. Operate
contemplazione, monaci, per non diventare negligenti, per non dovervene
poi pentire: questo è il nostro precetto.
Così parlò il Sublime. Contenti
si rallegrarono i monaci per le sue parole.
Da:
http://membres.lycos.fr/zenmontpellier/majjhimait.html |