"La conoscenza di Dio non si può ottenere
cercandola; tuttavia solo coloro che la cercano
la trovano" (Bayazid al-Bistami)
"Chi non cerca è addormentato, chi cerca è un
accattone"
(Yun Men)
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso
Ukkatthâ, nel parco, al piede d'un albero magnifico. Là il Sublime si rivolse ai
bhikkhu:
"Monaci!" - "Illustre!" replicarono i monaci. Il Sublime
parlò così:
"Voglio mostrarvi, monaci, il principio di tutte le cose:
ascoltate e fate bene attenzione."
"Sì, Signore!" risposero attenti i monaci. Il Sublime disse:
"Ecco, monaci, c'è uno che niente ha conosciuto, un uomo
comune, senza comprensione per ciò che è santo, estraneo alla santa dottrina,
inaccessibile ad essa; senza comprensione per ciò che è nobile, estraneo alla
dottrina dei nobili, inaccessibile ad essa. Egli prende la terra come terra,
pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e si rallegra di
ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io.
Lo stesso gli accade dell'acqua, del fuoco, dell'aria, della
natura, degli dei, del Signore della generazione, di Brahmâ, dei Lucenti, dei
Raggianti, dei Possenti, dell'Ultrapossente, dell'illimitata sfera dello spazio,
dell' illimitata sfera della coscienza, della sfera della non esistenza, del
limite di possibile percezione, del sentito come sentito, del pensato come
pensato, del conosciuto come conosciuto, dell'unità come unità,
dellamolteplicità come molteplicità, del tutto come tutto, dell'estinzione come
estinzione.
Ma chi, monaci, come asceta che lotta, che con coraggio cerca
di conseguire l'incomparabile sicurezza, anche a lui vale la terra come terra,
allora egli deve non pensare terra, non pensare alla terra, non pensare sulla
terra, non pensare 'Mia è la terra', non rallegrarsi della terra: e perché?
Perché impari a conoscerla, dico io. Acqua, fuoco, aria, natura e dei, unicità e
molteplicità, il tutto vale a lui come tutto e allora egli deve non pensare il
tutto, non pensare al tutto, non pensare sul tutto, non pensare 'Mio è il tutto',
non rallegrarsi del tutto: e perché? Perché impari a conoscerlo, dico io.
L'estinzione vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare
all'estinzione, non pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l' estinzione',
non rallegrarsi dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.
Ma chi, monaci, come santo monaco, estinto, giunto alla fine,
avendo compiuta l'opera, essendosi scaricato del peso, avendo raggiunto lo
scopo, ha distrutto i vincoli dell'esistenza, s'è redento in perfetta sapienza,
anche a lui accade la stessa cosa nei confronti della terra e di tutte le altre
cose, e non pensa 'Mia è l'estinzione'. Perché? Perché egli la conosce, dico,
perché estinta la brama, è senza brama. Perché estinta l'avversione, è senza
avversione.
E non pensa nemmeno 'Mio è il tutto' perché egli, estinto
l'errore, è senza errore. Il Compiuto, monaci, il Santo, perfetto Svegliato non
pensa 'Mia è l'estinzione' perché il Compiuto la conosce, dico io. E neppure
pensa 'Mia è la terra' perché ha scoperto 'Il Diletto è radice di dolore; il
divenire genera, il divenuto invecchia e muore'. Perciò dunque, monaci, il
Compiuto ad ogni sete di vita morto, svezzato, divelto, sfuggito, svincolato, è
risvegliato nell'incomparabile perfetto risveglio. Così parlò il Sublime.
Contenti si rallegrarono i monaci della parola del Sublime.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Una volta soggiornava il Sublime nella Selva del Vincitore, il parco di
Anathapindiko, e parlo' ai monaci cosi':
Voglio mostrarvi come ci si difenda da ogni asava; all'esperto io annunzio
l'estinzione degli asava, non all'inesperto, non all'ignaro. Per conoscere come
estinguere gli asava occorre riconoscere leggera attenzione e profonda
attenzione. Leggera attenzione fa germogliare nuovi asava e rinforza gli
antichi; profonda attenzione, o monaci, non fa sorgere nuovi asava e distrugge
gli antichi.
Gli asava devono essere superati: sapendo; difendendosi; curandosi;
pazientando; fuggendo; combattendo; operando.
Quale asava sara' superato sapendo? Supponiamo che vi sia un uomo comune, che
non ha conosciuto niente, senza intendimento per cio' che e' santo, estraneo ed
inaccessibile alla dottrina, a cio' che e' nobile, alla dottrina dei nobili, e
che non riconosce cio' che merita attenzione e non riconosce cio' che non merita
attenzione. Senza conoscenza delle cose degne e di quelle indegne, egli fa
attenzione all'indegno e non al degno.
Cos'e' l'indegno che egli reputa degno? Quello per la cui stima germoglia
nuova smania di desiderio, di esistenza, di errore, e l'antica si rinforza.
E cos'e' il degno che egli non reputa degno? Quello per la cui stima non puo'
sorgere nuova smania di desiderio, di esistenza, di errore e l'antica e'
distrutta. Cosi', mentre reputa degne cose indegne e indegne cose degne, nuovi
asava sorgono in lui e gli antichi si rinforzano.
E con leggera attenzione egli pensa cosi': sono mai esistito nelle epoche
passate? O non sono mai esistito? Che cosa sono stato o non sono stato nelle
epoche passate? E in che modo sono divenuto quel che allora sono stato?
Esistero' o non esistero' nelle epoche future? E in che modo? Anche il presente
lo riempie di dubbi: Esisto o non esisto? Che cosa e come sono, io? Da dove sono
venuto e dove andro'?
E con tali pensieri leggeri egli giunge ad una delle sei opinioni, diviene in
lui ferma persuasione: io ho un'anima; io non ho un'anima; animato prevedo
animazione; animato prevedo disanimazione; senz'anima prevedo animazione; questo
me stesso si trovera' qua e la', a godere la mercede delle buone e delle cattive
opere; e questo me stesso e' permanente, persistente, eterno, immutabile,
rimarra' quindi a se' eternamente eguale.
Questo si chiama, o monaci, vico delle opinioni, caverna delle opinioni, gola
delle opinioni, spina delle opinioni, roveto delle opinioni, rete delle
opinioni. Impigliatosi nella rete delle opinioni, o monaci, l'inesperto figlio
della terra non si libera dal nascere, dall'invecchiare e morire, da bisogno,
miserie e pene, da strazio e disperazione, non si libera, io dico, dal dolore.
Ma l'esperto, santo discepolo, che accede alla dottrina, riconosce cio' che
merita attenzione e riconosce cio' che non merita attenzione, stima cio' che e'
degno e non stima l'indegno, percio' in lui non sorgono nuovi asava e gli
antichi si estinguono.
Questo e' il dolore, pensa egli profondamente; questa e' l'origine del
dolore; questo e' l'annientamento del dolore; questa e' la via che conduce
all'annientamento del dolore. E con tale profondo pensiero gli si sciolgono i
tre irretimenti: la fede nella perduranza personale, la dubbiosa incertezza e
l'ascesi come scopo a se stessa.
Quale asava sara' superato difendendosi?
Ecco, o monaci, un monaco si munisce di riflessione quale arma ed efficace
difesa della vista, perche' se egli lasciasse inerme la sua vista, allora
scenderebbe su di lui turbante, dannosa smania; ma la vista munita di difesa
tiene lontana da lui la turbante, dannosa smania. Alla stessa stregua, egli si
munisce di riflessione quale arma di difesa dell'udito, dell'olfatto, del gusto,
del tatto, del pensiero.
Quale asava sara' superato curandosi?
Ecco, o monaci, un monaco ha cura dell'abito a ragion veduta, solo per
ripararsi dal freddo, dal caldo, dal vento e dalla tempesta, da zanzare e vespe
e fastidiosi animali striscianti, solo per coprire le sue pudende. A ragion
veduta egli ha cura del cibo elemosinato, non per godimento o diletto, non per
essere florido e bello, ma solo per conservare e sostentare questo corpo, per
scansare danni, per poter menare santa vita: "
Cosi' io estinguero' la sensazione di prima e non ne faro' sorgere una nuova,
e ne avro' abbastanza per immacolato benessere".
A ragion veduta egli ha cura del giaciglio, solo per ripararsi dal freddo,
dal caldo, dal vento e dalla tempesta, da zanzare e vespe e fastidiosi animali
striscianti, solo per evitare pericoli, per poter godere di tranquillita'.
A ragion veduta egli ha cura delle medicine nel caso di una malattia, solo
per sedare vive, dolorose sensazioni, per raggiungere il vero scopo:
indipendenza. Se egli fosse trascurato potrebbe essere colpito da turbante,
dannosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e' quello che deve essere superato pazientando?
Ecco, o monaci, un monaco sopporta a ragion veduta freddo e caldo, fame e
sete, vento e tempesta, zanzare e vespe e fastidiosi animali striscianti; ed ai
maligni, malevoli discorsi, alle corporali sensazioni di dolore che lo
colpiscono, violenti, taglienti, pungenti, sgradevoli, moleste, pericolose di
vita, egli pazientando non si cura. Perche' se egli divenisse impaziente, o
monaci, allora scenderebbe su di lui turbante, dannosa smania: percio' egli
rimane paziente e sfugge alla turbante, smaniosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e' quello che deve essere superato fuggendo?
Ecco, o monaci, un monaco fugge a ragion veduta un elefante infuriato, un
cavallo infuriato, un cane infuriato, egli fugge i serpenti, evita il suolo
disboscato, gli spinosi sterpeti, le pozze e i fossi, i pantani e le paludi.
Luoghi che non sono adatti alla dimora, posti che non sono adatti al cammino,
amici che non sono adatti al consorzio e che ad esperti fratelli dell'Ordine non
sarebbero graditi: tali luoghi, tali posti, tali amici egli fugge a ragion
veduta, e cosi' sfugge alla turbante, dannosa smania.
Ma quale asava, o monaci, e' quello che deve essere superato combattendo?
Ecco, o monaci, un monaco a ragion veduta non da' campo a pensieri di brama,
di avversione, di furore che siano sorti in lui, li rinnega, li scaccia, li
estirpa, li soffoca in germe. Ma se egli cedesse, allora scenderebbe su di lui
turbante, dannosa smania: percio' egli li combatte e ne rimane libero.
Ma qual'e', o monaci, l'asava che deve essere superato operando?
Ecco, o monaci, un monaco opera a ragion veduta il risveglio del sapere, del
raccoglimento, della forza, della serenita', della calma, dell'approfondimento,
dell'equanimita'. Senza operare soggiacerebbe a turbante, dannosa smania, ma se
opera nessuna turbante, dannosa smania lo raggiunge.
Se ora, o monaci, un monaco ha superato gli asava sapendo, difendendosi,
curandosi, pazientando, fuggendo, combattendo, operando, allora lo si chiama
monaco che ha reciso la sete di vivere, ha infranto i vincoli, e con la completa
conquista degli asava ha messo fine al dolore.
* Asava = contaminazioni mentali. Per la precisione:
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore,
nel parco di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai monaci così:
"Monaci, siate eredi della dottrina, non eredi del bisogno. Ve lo dico per
compassione e per evitare critiche da parte della gente. Se io a mezzogiorno ho
finito un pasto sufficiente, adeguato, e sono abbastanza sazio, ma mi avanza
ancora un po' del cibo elemosinato che dovrebbe essere gettato, e mi si
presentano due monaci stanchi e affamati, io li inviterò."
Uno dei due monaci potrebbe pensare:
"Se non accetto, il Sublime dovrà gettare l'avanzo, secondo consuetudine, in
un luogo dove non ci sia erba o in acqua corrente".
Egli ricorda l'insegnamento del Sublime che esorta a essere eredi della
dottrina e non del bisogno, quindi si propone di rinunciarvi e, pur affamato e
stanco com'è, di resistere sino al mezzogiorno dell'indomani.
L'altro monaco, pur consapevole di tutto ciò, accetta l'avanzo per vincere la
fame e la stanchezza. Legittimamente il secondo monaco ha accettato l'avanzo, ma
il primo è più degno e meritevole perché il suo comportamento lo farà avanzare
sempre più nella moderazione, nella contentezza, nella semplicità e nella
perseveranza.
Così parlò il Sublime, e, alzatosi, rientrò nell'eremo.
Subito dopo prese la parola l'onorevole Sâriputto:
"Fratelli monaci, ora che il Maestro si è ritirato, in che modo i discepoli
trascurano la solitudine, in che modo la curano?"
E i monaci:
"Verremmo anche da lontano per ascoltare la tua parola, fratello; parla,
terremo a mente le tue parole".
Allora Sâriputto:
"Così voi, discepoli del Maestro che vive solitario, trascurate la
solitudine: non disprezzate ciò che Egli ha indicato come spregevole; diventate
pieni di pretese e importuni, cercate la compagnia e fuggite dalla solitudine
come un grave peso. In tal modo i fratelli più anziani si vergognano per tre
cose: primo, che non amate la solitudine; secondo, che non disprezzate ciò che
il Maestro ha indicato come spregevole; terzo, che cercate compagnia evitando la
solitudine. Ciò fa vergognare i fratelli più anziani, ma anche quelli medi e
quelli nuovi. E in che modo voi curate la solitudine: disprezzando ciò che dev'essere
disprezzato; non diventando pretenziosi e molesti; evitando la compagnia come
grave peso e ricercando la solitudine.
Queste sono le cose che fanno onore ai monaci più anziani come a quelli medi,
come a quelli nuovi. Ora, fratelli, osservate: la brama fa male e l'avversione
fa male. C'è una via di mezzo per sfuggire ad esse: una via che rende veggenti e
sapienti, che produce sollievo, chiara visione che conduce al risveglio, all'
estinzione. E' questo santo sentiero ottopartito, cioè: retti cognizione,
intenzione, parola, azione, vita, sforzo, sapere, raccoglimento. E ira e
discordia fanno male, fratelli, e così pure fanno male ipocrisia e invidia,
gelosia ed egoismo, inganno e astuzia, ostinazione e violenza, superbia e
vanità, accidia e negligenza."
Così parlò l'onorevole Sâriputto. Contenti si rallegrarono quei monaci della
sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Savatthi, nella selva del Vincitore,
nel parco di Anathapindiko. Ecco ora venne Janussoni, un brahmano che saluto' il
Sublime con reverenza e, scambiate amichevoli, notevoli parole, gli si sedette
accanto e cosi' gli si rivolse:
- "Questi nobili giovani, o Gotamo, i quali, fidando nel signore Gotamo,
hanno lasciato la casa per l'eremo, essi onorano, hanno eletto a loro duce e
hanno fatta propria la concezione di vita e la regola di vita del signore Gotamo."
- " Cosi' e', o brahmano, questi nobili giovani hanno fatto ciò."
- " Duramente si vive pero', o Gotamo, nella profonda foresta, in luoghi
remoti; e' difficile amare la solitudine e goderne il ritiro; i recessi della
foresta ad un monaco che non puo' dominarsi, certo fanno agghiacciare il cuore
nel petto."
- "Cosi' e' o brahmano. E' accaduto anche a me, prima del pieno risveglio,
quand'ero ancora imperfetto e cercavo, appunto, di raggiungere il risveglio.
Allora io mi dissi: tutti quei cari asceti o brahamani che, non retti in azioni,
cercano luoghi remoti nel profondo della foresta, quelli, appunto perche' il
loro agire non e' retto, debitamente provano spavento e terrore; ma io, che
essendo retto in azioni, cerco luoghi remoti nel profondo della foresta, io
seguo retto agire: se quindi vi sono uomini probi che, essendo retti in azioni,
cercano luoghi remoti nel profondo della foresta, io sono uno di essi. Quando
io, o brahamano, asservai che possedevo questa rettitudine dell'agire, crebbe il
mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli non retti in parole, provano spavento e terrore; ma io dico rette
parole e quando osservai che possedevo questa rettitudine della parola, crebbe
il mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli non retti in pensieri, provano spavento e terrore; ma io seguo retti
pensieri e percio' crebbe il mio compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che non hanno retto animo, provano spavento e terrore; ma io seguo la
rettitudine d'animo, percio' crebbe il mio compiacimento nella vita della
foresta.
Quelli che sono bramosi e pieni di veementi desideri, provano spavento e
terrore; ma io abbandonai le brame, percio' crebbe il mio compiacimento nella
vita della foresta.
Quelli che sono acri ed irosi, provano spavento e terrore; ma io sento
compassione ed abbandonai l'ira, percio' crebbe il mio compiacimento nella vita
della foresta.
Quelli che sono accidiosi e pigri, provano spavento e terrore; ma io sono
libero da accidiosa pigrizia, percio' crebbe il mio compiacimento nella vita
della foresta.
Quelli che sono agitati e con spirito irrequieto, provano spavento e terrore;
ma io, senza agitazione, sono tranquillo, percio' crebbe il mio compiacimento
nella vita della foresta.
Quelli che sono incerti e dubbiosi, provano spavento e terrore; ma io sono
sicuro e senza dubbi, percio' crebbe il mio compiacimento nella vita della
foresta.
Quelli che lodano se stessi e biasimano il prossimo, provano spavento e
terrore; ma io, senza impettirmi, non disprezzo gli altri, e quando osservai che
il lodare me stesso e biasimare gli altri mi era estraneo, crebbe il mio
compiacimento nella vita della foresta.
Quelli che tremano e sono timorosi, provano spavento e terrore; ma io sono
libero da tremito e timore, percio' crebbe il mio compiacimento nella vita della
foresta.
Quelli che sono avidi di ricompense, onori e riguardi, provano spavento e
terrore; ma io spregiando ricompense, onori e riguardi, mi modero; quando
osservai che possedevo questa moderazione, crebbe il mio compiacimento nella
vita della foresta.
Quelli che sono affranti e frustrati, provano spavento e terrore; ma io, ne'
affranto, ne' frustrato, cerco luoghi remoti nel profondo della foresta.
Quelli che hanno la mente confusa e torbida, provano spavento e terrore; ma
io, che senza confusione ne' turbamento cerco luoghi remoti nel profondo della
foresta, io sono di chiara mente.
Quelli che con inquieti e distratti sensi cercano luoghi remoti nel profondo
della foresta, provano spavento e terrore; ma io, che non inquieto ne' distratto
cerco luoghi remoti nel profondo della foresta, io sono padrone di me.
Quelli che stupidi e stolti, cercano luoghi remoti nel profondo della
foresta, provano spavento e terrore; ma io, che non essendo ne' stupido ne'
stolto, cerco luoghi remoti nella foresta, io sono savio.
Allora io mi dissi, o brahmano: dunque se in certe notti paurose, al
plenilunio e al novilunio, al quarto crescente ed al calante, io cercassi
sepolcri nei boschi, nelle selve, sotto gli alberi, e dimorassi in sedi di
raccapriccio e di orrore, per poter pur'io provare che sia quello spavento e
terrore? E infatti nel corso del tempo, io dimorai in sedi di raccapriccio e di
orrore. E mentre io stavo la', ecco che un capriolo si avvicinava, o un gallo di
bosco spezzava un ramo, o il vento scuoteva il fogliame; ed io pensavo: ora
apparira' certamente quello spavento e terrore. Ed allora io mi dissi, o
brahamano: ma perche' aspettero' inerte l'apparire della paura? Non sarebbe
meglio che, appena quello spavento e terrore dovesse comunque mostrarsi, io
immediatamente l'affrontassi? E quello spavento e terrore scese su di me mentre
io camminavo su e giu'. Ma io ne' mi fermai, ne' mi sedei, ne' mi distesi,
finche', su e giu' camminando, stando dritto e fermo, stando seduto, mentre
giacevo, non ebbi affrontato e disperso quello spavento e terrore.
Pure vi sono anche, o brahmano, parecchi asceti e brahmani che fanno della
notte giorno e del giorno notte. Cio' io chiamo una vanita' di quegli asceti e
brahmani. Io pero' tengo la notte per notte e il giorno per giorno.
Chi ora , o brahmano, puo' dire con diritto di un uomo: un essere senza
vanita' e' apparso nel mondo, per il bene di molti, per la salute di molti, per
compassione del mondo, per utile, bene e salute degli dèi e degli uomini; costui
appunto puo' dire questo di me.
Costante pero' io perseverai, senza vacillare, con mente chiara, senza
confusione, con sensi tranquilli, senza agitazione, con animo raccolto,
unificato. Lungi da brame, lungi da cose non salutari, io restavo in sensiente,
pensante, nata di pace, beata serenita': cosi' raggiunsi la prima
contemplazione.
Dopo compimento del sentire e pensare, io raggiunsi l'interna calma, l'unita'
dell'animo, la libera di sentire e pensare, beata serenita', la seconda
contemplazione.
In serena pace io restavo equanime, savio, chiaro e cosciente, provavo in me
la felicita' di cui i probi dicono: l'equanime savio vive felice; cosi'
raggiunsi la terza contemplazione.
Dopo rigetto di gioie e dolori, dopo annientamento della letizia e della
tristezza anteriore, io raggiunsi la non triste, non lieta, equanime, savia,
perfetta purezza, la quarta contemplazione.
Con tale animo saldo, purificato, terso, sincero, schiarito di scorie,
malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io drizzai l'animo alla memore
cognizione di anteriori forme di esistenza. E mi ricordai di molte diverse
anteriori forme di esistenza come di una vita, di due vite, di tre, quattro,
cinque, dieci vite, venti, trenta, quaranta, cinquanta vite, cento vite, mille,
centomila vite, poi delle epoche durante parecchie formazioni e trasformazioni
di mondi. La' ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era
il mio stato, quello il mio ufficio, provai tal bene e male, e cosi' fu la fine
di mia vita; di la' trapassato entrai io altrove di nuovo in esistenza e cosi'
via. Cosi' io mi ricordai di molte diverse anteriori forme di esistenza, ognuna
con i propri contrassegni, ognuna con le sue speciali relazioni. Questa scienza,
o brahmano, io avevo nelle prime ore della notte conquistato per prima, avevo
dissipato l'ignoranza, conseguito la saggezza, dissipata l'oscurita', conseguita
la luce, mentre con serio intendimento, solerte, infaticabile dimoravo.
Con tale animo saldo, purificato, terso, sincero, schiarito di scorie,
malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, drizzai l'animo alla cognizione
dello sparire ed apparire degli esseri. Con l'occhio celeste, rischiarato,
sopraterreno, io vidi gli esseri scomparire e riapparire, volgari e nobili,
belli e non belli, felici ed infelici, io riconobbi come gli esseri sempre
secondo le azioni riappaiono. Questi cari esseri sono certo non retti in azioni,
non retti in parole, non retti in pensieri, biasimano cio' che e' salutare,
stimano cio' che e' dannoso, fanno cio' che e' dannoso; con la dissoluzione del
corpo, dopo la morte, essi pervengono giu', su cattivi sentieri, alla
perdizione, in mondo infernale. Quei cari esseri, pero' sono retti in azioni,
parole, pensieri, non biasimano cio' che e' salutare, stimano cio' che e' retto,
fanno cio' che e' retto; dopo la dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi
pervengono su buoni sentieri, in mondo celeste. Cosi' io riconobbi come gli
esseri riappaiono sempre secondo le azioni. Questa scienza, o brahmano, io avevo
nelle ore medie della notte conquistato per seconda, avevo dissipato
l'ignoranza, conseguito la saggezza, dissipata l'oscurita', conseguita la luce,
mentre con serio intendimento, solerte, infaticabile dimoravo.
In seguito drizzai l'animo alla cognizione dell'estinguersi degli asava.
Questo e' il dolore; questo e' l'origine del dolore; questo e'
l'annientamento del dolore; questa e' la via che conduce all'annientamento del
dolore, compresi conforme a verita'.
Questo e' contaminazione mentale; questo e' l'origine delle contaminazioni
mentali; questo e' l'annientamento delle contaminazioni mentali; questa e' la
via che conduce all'annientamento delle contaminazioni mentali.
Cosi' riconoscendo, cosi' vedendo, il mio animo fu redento dalla smania del
desiderio, dell'esistenza, dell'errore. Nel redento e' la redenzione: questa
cognizione sorse. Esausta e' la vita, compiuta la santita', operata l'opera, non
esiste piu' questo mondo, compresi allora. Questa scienza, o brahmano io avevo
nella ultime ore della notte conquistata per terza, avevo dissipato l'ignoranza,
conseguita la saggezza, dissipata l'oscurita', conseguita la luce, mentre con
serio intendimento, solerte, infaticabile, dimoravo.
Ma tu forse, brahmano, potresti ora pensare: anche adesso, pero', l'asceta
Gotamo non e' del tutto privo di brama, avversione e vanita'; percio' egli cerca
luoghi remoti nel profondo della foresta. Eppure, brahmano, tu non devi
intenderla cosi'. Due sono le ragioni che mi fanno cercare luoghi remoti nel
profondo della foresta: il mio proprio benessere durante la vita e la
compassione per quelli che mi seguono."
"E compassione ha veramente donato il signore Gotamo, come si conviene al
Santo, Perfetto Svegliato. Benissimo, o Gotamo, benissimo: Cosi' come se uno
drizzasse cio' che e' rovesciato, o scoprisse cio' che e' scoperto, o mostrasse
la via a chi l'ha persa, o recasse lume nella notte; chi ha occhi vedra' le
cose: cosi' il signore Gotamo in vari modi ha esposto la dottrina. E cosi' io
prendo rifugio presso il signore Gotamo, presso la dottrina e presso i
discepoli; quale seguace voglia il signore Gotamo considerarmi, da oggi per
tutta la vita fedele."
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Là l'onorevole Sâriputto così
si rivolse ai monaci: "Fratelli, nel mondo si trovano quattro specie di uomini:
chi è colpevole e non riconosce di esserlo; chi è colpevole e riconosce
d'esserlo; chi è innocente e non riconosce d'esserlo; e che è innocente e
riconosce, conforme a verità, di non avere colpa.
Però il colpevole che non riconosce di essere tale è il peggiore, e l'altro
che riconosce d'essere colpevole è il migliore dei due colpevoli.Ugualmente
l'innocente che non ammette di esserlo è il peggiore, e l' innocente che
riconosce, secondo verità, di non aver colpa è il migliore dei due innocenti".
A queste parole l'onorevole Mahâmoggallâno chiese: "Ma qual è, fratello
Sâriputto, la ragione, la causa, che indica chi è il peggiore e chi il migliore
tra i due colpevoli e tra i due innocenti?"
"Se, fratello, un colpevole non riconosce d'esserlo allora c'è da aspettarsi
che egli non eserciti la volontà, non lotti, non si sforzi di rimediare alla sua
colpa, e invece, carico di brama, di avversione, di errore, di colpa, muoia con
cuore non terso. Così come se vi fosse un piatto di bronzo acquistato al mercato
o dall'artigiano, pieno di sporcizia e di macchie, e i proprietari non lo
usassero né lo pulissero, ma lo gettassero in un angolo: allora, fratello,
questo piatto di bronzo diverrebbe di certo più sporco e macchiato di prima.
Se invece un colpevole riconosce di esserlo, ci si può aspettare che eserciti
la sua volontà, lotti, trovi la forza di rimediare alla sua colpa, e che, senza
brama, senza avversione, senza errore e senza più colpa, muoia col cuore terso.
Così come se un piatto di bronzo acquistato al mercato, fosse pieno di sporcizia
e di macchie, ma i proprietari lo pulissero e lo usassero invece di gettarlo in
un angolo: allora, fratello, il piatto diverrebbe di certo lucente e terso".
"Certamente, fratello!"
"Se, fratello, un innocente non si riconoscesse tale, ci si può aspettare che
egli si lasci attrarre dallo splendore delle cose, e, attratto da esse, faccia
travolgere il suo cuore dalla brama; e poi, carico di brama, di avversione, di
errore, di colpa, muoia col cuore non terso. Così come, fratello, se vi fosse un
piatto di bronzo, acquistato lucente e terso, ma i proprietari, invece di usarlo
o pulirlo lo sbattessero in un angolo: allora, fratello, il piatto dopo qualche
tempo diverrebbe di certo sporco e macchiato. Mentre se egli riconoscesse la
propria innocenza, ci si potrebbe aspettare che non si farebbe attrarre dallo
splendore delle cose, non farebbe travolgere il suo cuore dalla brama, e poi,
senza brama, senza avversione, senza errore, senza colpa, muoia col cuore terso.
Così come se un piatto di bronzo acquistato, fosse lucente e terso, e i
proprietari lo pulissero e lo usassero, senza gettarlo in un angolo: allora,
fratello, il piatto diverrebbe anche più lucente e più terso di prima.
Questa dunque, fratello Moggallâno, è la ragione, questa è la causa per cui
uno dei due ugualmente colpevoli lo si indica come il peggiore e l'altro come il
migliore; lo stesso dicasi dei due ugualmente innocenti.
"La colpa, la colpa", così si esclama, fratello; ma cosa s'intende
propriamente sotto tale concetto?"
"I perniciosi, dannosi moti dell'animo, fratello, quelli s'intendono sotto il
concetto di colpa.
E' possibile che a un monaco venga in mente: "Se ho sbagliato, gli altri non
hanno bisogno di saperlo." Ma se lo vengono a sapere egli s'amareggia e s'
adira. Questa amarezza e quest'ira sono entrambe colpe. E' possibile che gli
venga in mente: "Se ho sbagliato, i fratelli mi devono richiamare in segreto,
non davanti agli altri monaci." Se invece essi lo richiamano pubblicamente, non
in segreto, allora egli si amareggia e s'adira. Oppure potrebbe venirgli in
mente: "Se ho sbagliato, può ammonirmi un amico, non un altro monaco".
Potrebbero anche venirgli in mente tutte quest'altre cose:
"Ah, se il Maestro potesse esporre la dottrina ai monaci mentre dialoga con
me, non con un altro monaco." - "I monaci nell'andare verso il villaggio per
l'elemosina dovrebbero mettere alla testa me, non un altro!" - "Oh, se al pasto
toccasse a me la migliore sedia, la migliore acqua, il migliore boccone!"
Oppure: "Oh, se io solo potessi saziarmi al pasto!" E ancora:
"Se i monaci vanno in giardino dovrei essere io e non altri a esporre la
dottrina." - "Se le bhikkhuni, se le monache vanno in giardino dovrei essere io
a spiegare la dottrina." - "Se i seguaci d'ambo i sessi vengono in giardino
dovrei essere io a esporre la dottrina." - "I monaci dovrebbero valutare,
pregiare, stimare me solo, non altri." - "Le monache dovrebbero valutare,
pregiare, stimare me solo, non altri." - "I seguaci dovrebbero valutare,
pregiare, stimare me solo, non altri."
"A me si dovrebbe far ottenere una veste scelta, non ad altri." - "A me si
dovrebbero dare bocconi scelti, giaciglio scelto, medicine scelte in caso di
malattia, e non ad altri."
Se tutti questi pensieri e desideri non si realizzassero e accadesse il
contrario, egli si amareggerebbe e si adirerebbe. Questi due moti dell' animo
sono colpe.
Un monaco, fratello, presso cui questi perniciosi, dannosi moti dell'animo si
mostrano, si manifestano non attenuati, anche se egli fosse un solitario eremita
della foresta, un muto mendicante di briciole, se fosse coperto da una veste di
stracci da lui rappezzati, non sarebbe dai suoi fratelli dell' ordine ben
considerato, pregiato, stimato, onorato. Così come se vi fosse un piatto di
bronzo, lucente e terso, e i proprietari lo riempissero di pezzi di carogna di
serpe o di cane o di uomo, lo coprissero con un altro piatto e lo portassero al
mercato. E se uno chiedesse cosa esso nasconde, sollevasse il coperchio e
guardasse il contenuto provando ripugnanza, nausea e ribrezzo, e persino agli
affamati passasse la voglia di mangiare; lo stesso accadrebbe ai suoi fratelli
dell'ordine.
Un monaco, fratello, presso cui quei perniciosi, dannosi moti dell'animo non
si mostrano più, non si manifestano più, anche se fosse un girovago di campagna,
che mangia invitato, che è coperto da veste donata, verrebbe dai suoi fratelli
dell'ordine altamente valutato, pregiato, stimato e onorato perché in lui quei
perniciosi, dannosi moti dell'animo non si mostrano più, non si manifestano più.
Come se un piatto di bronzo, lucente e terso fosse riempito dai proprietari con
una succosa, ben condita pietanza di riso brillato, bollito, e, copertolo con un
altro piatto, lo portassero al mercato. E uno chiedesse cosa nasconde,
sollevasse il coperchio e guardasse il contenuto, proverebbe piacere, non
nausea, non disgusto, e persino ai sazi verrebbe voglia di mangiare, non dico
agli affamati!"
A queste parole si volse l'onorevole Mahâmoggallâno all'onorevole Sâriputto e
disse: "Mi viene un paragone." "Dimmelo, fratello Moggallâno." "Una volta,
fratello, io soggiornavo sulla Costa del monte presso Râjagaham. Mi alzai di
prima mattina, presi mantello e scodella, e andai alla città per l' elemosina.
Proprio a quell'ora Samiti, il figlio del fabbricante di carri era occupato a
piallare una ruota, e Panduputto, un penitente nudo, un sâdhu, che prima era
stato fabbricante di carri, gli era vicino. Allora a Panduputto, pratico di
quell'attività venne questo pensiero: "Oh, se Samiti piallasse questa scheggia,
questa vena, questo nodo; allora la ruota, liberata da tutto ciò, risulterebbe
di legno purissimo." E mentre a Panduputto sorgeva un pensiero dopo l'altro,
Samiti, come se lo sentisse, piallava scheggia dopo scheggia, vena dopo vena,
nodo dopo nodo. Allora il nudo penitente, antico fabbricante di carri,
allegramente commosso esclamò:
"Egli pialla come mosso dal cuore!" Ora, fratello, vi sono anche qui persone
che malvolentieri, per bisogno e non per fiducia si sono allontanate da casa per
ritirarsi nell'eremo, ipocriti, bigotti, santocchi, goffi millantatori,
affaccendati ciarloni, cattivi custodi delle porte dei sensi, senza moderazione
al pasto, alieni dalla vigilanza, indifferenti all' ascetismo, negligenti nei
doveri dell'ordine, pretenziosi, importuni, che cercano anzitutto compagnia, che
schivano la solitudine come grave peso, cuori languidi, deboli, teste confuse,
privi di chiarezza, spiriti incostanti, distratti, uomini limitati e ottusi: a
questi l'onorevole Sâriputto con la sua esposizione ha piallato come mosso dal
cuore. E vi sono anche nobili giovani che mossi da fiducia si sono allontanati
da casa per ritirarsi nell'eremo; giovani che sono l'esatto contrario di ciò che
ho detto dei primi, e a questi l'esposizione dell'onorevole Sâriputto fu quasi
cibo e bevanda per il cuore e per l'orecchio. In modo eccellente, invero, tu hai
distolto i fratelli dell'ordine da ciò che è dannoso e li hai rinforzati in ciò
che è salutare.
Così, in verità, si confortavano reciprocamente quei due grandi con piacevole
dialogo.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella
Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai
monaci: "Monaci, se un tintore prendesse una veste sudicia e piena di macchie, e
la immergesse in una tintura, non importa quale, azzurra, gialla, rossa o
violetta, essa potrebbe prendere solo una tinta brutta e impura perché la veste
non è pulita. Allo stesso modo da un cuore immondo c'è da aspettarsi una cattiva
riuscita.
Se invece il tintore prendesse una veste netta e pura, essa potrebbe prendere
solo una tinta buona e pura. Allo stesso modo da un cuore non immondo c'è da
aspettarsi una buona riuscita.
Ora, monaci, cos'è il turbamento del cuore? Esso è dannoso egoismo,
malvagità, abiezione, ipocrisia, invidia, gelosia, interesse, frode, malizia,
ostinazione, violenza, presunzione, superbia, negligenza e leggerezza.
Ora, un monaco che abbia riconosciuto tutte queste cose, le rinnega, e se ciò
accade allora è provato e proclamato il suo amore per lo Svegliato in questo
modo: "Questo è il Sublime, il Santo, il perfetto Svegliato, l'Esperto di
sapienza e di vita, il Benvenuto, il Conoscitore del mondo, l'incomparabile
Guida dell'umano gregge, il Maestro degli dei e degli uomini"; è provato il suo
amore alla dottrina: "Bene annunziata è dal Sublime la dottrina evidente, senza
tempo, incitante, invitante, ad ogni intelligente intelleggibile"; è provato il
suo amore ai discepoli: "L'ordine, il Sangha, è, presso il Sublime, bene,
degnamente, rettamente, convenientemente affidato, quattro paia di uomini, otto
specie di uomini [?]: questo è l'ordine del Sublime, che merita devozione e
doni, elemosina e saluto, che è la più santa sede del mondo". Il detto monaco ha
però abbandonato, smesso, disciolto, rinnegato e rigettato il riguardo: conosce
il distacco da tutto [?].
"Il mio amore per lo Svegliato, per la dottrina e per i discepoli è provato":
così egli acquista la comprensione del senso, la comprensione della dottrina,
l'intelligente deliziarsi della dottrina. Tale delizia lo rende beato. Il corpo
del beato si calma. Il calmo prova fisica serenità. Il cuore del sereno prova
raccoglimento.
Ora un monaco che possiede tale virtù, tale dottrina, tale sapienza, può
anche godere cibo mendicato che sia fatto di riso scelto, ben saporito e
condito, e ciò non lo danneggia. Così come una veste sudicia e piena di macchie,
lavata in acqua chiara diviene nitida e tersa, oppure l'oro fuso nel crogiolo
diventa schietto e puro; così pure un monaco che possiede tale virtù, tale
dottrina, tale sapienza, può anche godere cibo mendicato.
Rimanendo con animo amorevole egli irradia in tutte le direzioni, nord, sud,
est, ovest, zenit e nadir, dappertutto riconoscendosi, il mondo intero
amorevolmente, con ampio, profondo, illimitato animo, schiarito da rabbia e
rancore.
Lo stesso egli fa con animo compassionevole, con animo lieto, con animo
immoto.
"Così è", egli comprende; "Vi è ciò che è volgare e vi è ciò che è nobile, e
vi è una libertà più alta di questa percepita dai sensi". E in tale
contemplazione, in tale visione il suo cuore viene redento dalla mania del
desiderio, dalla mania dell'esistenza, dalla mania dell'errore. Sorge in lui
questa conoscenza: "Nel redento è la redenzione". Comprende allora: "Esaurita è
la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non esiste più questo mondo".
Questo si chiama, monaci, un monaco purificato nell'intimo."
In quel frattempo si era avvicinato al Sublime il brâhmano Sundariko
Bhâradvâjo che si rivolse a lui chiedendo: "Va forse il signore Gotamo a
bagnarsi nella Bâhukâ?"
"Che c'è, brâhmano, che c'entra la Bâhukâ?"
"Si crede, Gotamo, che essa purifichi, che essa santifichi, che nelle sue
onde si lavino le proprie colpe."
Allora il Sublime si volse verso il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo e recitò
questi versi:
"La Bâhukâ, l'Adhikâ, la Gayâ,
Anche la Sundarî e Sarassatî,
E la corrente del Payâgo fluido,
E di Bâhumatî veloce il fiume,
Non lavano giammai lo scellerato,
Se anch'uno si lavasse in ogni tempo.
Che gioverebbe mai la Sundarî,
O l'onda del Payâgo o la Gayâ?
Già l'acqua mai deterge dai suoi falli
Chi passo passo va per falsa strada.
Al giusto sempre ride lieto maggio,
Al giusto sempiterno è dì di festa,
Al giusto, a lui, che valoroso vive,
Adempito vien sempre il suo desir.
Bàgnati dunque, o brâhmano, sol qui:
Per tutto ciò che vive abbi pietà.
E se rinunzia hai fatto alla menzogna,
Se non offendi più vivente alcuno,
E più non prendi ciò che non è dato,
Nella rinunzia ognora sei costante,
A che verrai più mai alla Gayâ?
Fiumana la Gayâ, non altro è a te."
Dopo queste parole il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo disse al Sublime:
"Benissimo, Gotamo, benissimo! Così come quasi, Gotamo, se uno raddrizzasse
ciò che è rovesciato, o scoprisse ciò che è coperto, o mostrasse la via a chi
s'è perso, o portasse lume nella notte: "Chi ha occhi vedrà le cose": così anche
appunto il signore Gotamo in vari modi ha esposto la dottrina. Anche io prendo
rifugio presso il signore Gotamo, presso la Dottrina e presso l'Ordine. Voglia
il signore Gotamo concedermi accoglienza, conferirmi l'ordinazione."
E il brâhmano Sundariko Bhâradvâjo venne accolto dal Sublime, venne investito
dell'ordinazione. Ma non molto dopo che era stato accolto nell'ordine, egli,
solitario, appartato, infaticabile, con fervido, intimo sforzo aveva
rapidamente, ancora durante la vita, scoperto, realizzato e raggiunto
quell'altissimo scopo dell'ascetismo che porta i nobili figli dalla casa
all'eremo. "Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non esiste
più questo mondo", egli comprese allora. Anche l'onorevole Bhâradvâjo era adesso
divenuto uno dei santi.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito. Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthi, nella
Selva del Vincitore, nel parco di Anâtapindiko. Là l'onorevole Sâriputto si
rivolse così ai monaci: ""La retta conoscenza, la retta conoscenza", di questo
si parla, fratelli. Ma fino a che punto un nobile uditore ha la retta
conoscenza, la sua conoscenza è giusta, il suo amore alla dottrina provato ed
egli appartiene a questa nobile dottrina?"
"Verremmo dall'onorevole Sâriputto persino da lontano per avere su ciò un
chiarimento: se egli vorrà spiegare ciò i monaci conserveranno le sue parole."
"Allora, fratelli, ascoltate con attenzione. Se il nobile uditore conosce ciò
che è dannoso e ne conosce la radice, egli ha retta conoscenza, la sua
conoscenza è giusta, il suo amore per la dottrina è provato, egli appartiene a
questa nobile dottrina. Ma cos'è dannoso, cos'è la radice del dannoso, cos'è
salutare e qual è la radice del salutare? Uccidere è dannoso e tutte quest'altre
cose sono dannose: rubare, darsi a stravizi, mentire, dire male, parlare
aspramente, ciarlare, bramare, infuriarsi, avere falsa conoscenza.
La radice di ciò che è dannoso poi sono la brama, l'avversione e l'errore.
E cosa è salutare? Astenersi da tutte le cose dannose. E qual è la radice del
salutare? Mancanza di brama, di avversione e di errore è la radice del salutare.
Se ora il nobile uditore conosce ciò che è dannoso, ciò che è la radice di
quello, ciò che è salutare e ciò che è la radice del salutare, e se ha
completamente rinnegata l'agitazione del bramare, fugata quella della
ripugnanza, schiantata l'agitazione dell'Io, se ha perduta l'ignoranza e
acquistata la sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore."
"Bene, fratello, ma vi è anche un altro modo per il nobile uditore per
raggiungere tutto ciò?"
"Certo, fratelli, se l'uditore conosce il nutrimento e l'origine del
nutrimento, conosce la sua distruzione e la via che conduce alla distruzione del
nutrimento, egli ha retta conoscenza, giusta conoscenza, il suo amore per la
dottrina è provato, egli appartiene a questa nobile dottrina. Ma che cos'è il
nutrimento, qual è la sua origine, come lo si distrugge e qual è la via che
conduce a ciò? Vi sono quattro specie di nutrimento: primo, cibo elementare,
grosso o fino; secondo, contatto fisico; terzo, percezione spirituale; quarto,
coscienza. L'origine della sete di vivere determina l' origine del nutrimento;
la sua distruzione determina la distruzione del nutrimento. La via che conduce a
ciò è il nobile sentiero ottopartito, cioè: retti conoscenza, intenzione,
parola, azione, vita, sforzo, sapere, raccoglimento.
Se ora il nobile uditore conosce il nutrimento, la sua origine, la sua
distruzione e la via che conduce a ciò, e ha completamente vinto la brama e
l'avversione, se ha schiantata l'agitazione dell'Io, se ha perduto l' ignoranza
e acquistato la sapienza, egli già in questa vita mette fine al dolore."
"Bene, fratello, ma vi è ancora un altro modo per il nobile uditore per
raggiungere tutto ciò?"
"Certamente, fratelli. Se egli conosce il dolore, l'origine del dolore, l'
annientamento del dolore e la via che conduce a ciò, egli ha la conoscenza
giusta, è provato il suo amore alla dottrina ed egli appartiene ad essa. Ma
cos'è il dolore, qual è la sua origine, cos'è il suo annientamento, e cosa la
via che porta all'annientamento del dolore? Nascita è dolore, vecchiaia è
dolore, lo è la malattia, lo è il morire e così pure sono dolore i guai, l
'afflizione, la pena, lo strazio, la disperazione, non ottenere ciò che si
desidera.; in breve, sono dolore i cinque elementi dell'attaccamento alla vita.
E qual è l'origine del dolore? E' questa sete di vivere, che produce nuova
esistenza, alimentata dalla soddisfazione che si nutre qua e là; è l'
attaccamento al sesso, l'attaccamento all'esistenza e al benessere. E l'
annientamento del dolore? E' il completo, totale annientamento, allontanamento,
respingimento; è la soppressione, il rinnegamento di questa sete di vivere. Ma
qual è la via che porta all'annientamento del dolore? E ' questo nobile
ottuplice sentiero, cioè: retti conoscenza, intenzione, parola, azione, vita,
sforzo, sapere, raccoglimento.
Se ora il nobile uditore conosce tutto ciò, e più non brama, più non ha
repulsione, ed ha schiantato il turbamento dell'Io, se, perduta l'ignoranza, ha
acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore."
"Bene, fratello! Ma vi è forse anche un altro modo?"
"Certo, fratelli. Se il nobile uditore conosce vecchiaia e morte,(jarâ-marana),
e la loro origine; se ne conosce l'annientamento e la via che a ciò conduce,
allora egli ha retta e giusta conoscenza. Ma cosa sono la vecchiaia e la morte,
qual è il loro annientamento e qual è la via che lo consente? Vecchiaia è per
ognuno il consumarsi del corpo, il divenire fragili, grigi, pieni di rughe, il
decadere delle forze, l' appassire dei sensi. (chiedete a Pam. ;-) E la morte?
E' il disfarsi, il dissolversi, il decomporsi, il tramontare, l'estinguersi di
ciascun essere, il separarsi degli elementi, il putrefarsi del cadavere.
L'origine della nascita (jâti) determina l'origine della vecchiaia e della
morte, l' annientamento della nascita prova il loro annientamento. E la via che
porta a ciò è il nobile ottuplice sentiero.
Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò ed è lontano da brama,
repulsione, non è più turbato dall'Io, se, vinta l'ignoranza, ha acquistato la
sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è la nascita, la sua origine, il suo annientamento e la via che porta
al suo annientamento? Nascita, formazione, germinazione, concepimento di ciascun
corpo in ogni essere, l'aggregarsi degli elementi, l'entrare in contatto col
mondo esterno: questo è la nascita. L'origine dell'esistenza (bhava) determina
l'origine della nascita, il suo annientamento produce l' annientamento
dell'altra. E la via che porta a ciò è il nobile sentiero ottopartito.
Se ora il nobile uditore conosce tutto ciò, e più non brama, più non ha
repulsione, ed ha schiantato il turbamento dell'Io; se, perduta l'ignoranza, ha
acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è l'esistenza, qual è la sua origine, qual è il suo annientamento e
quale la via che conduce a ciò? Vi sono tre specie di esistenza, fratelli:
esistenza sessuale, esistenza formale ed esistenza senza forma. L'origine
dell'attaccamento alla vita (upâdâna) determina l'origine dell'esistenza, e il
suo annientamento provoca l'annientamento dell'altra. E la via che conduce a ciò
è il nobile sentiero ottopartito. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce
tutto ciò ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se,
vinta l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, alloraegli già in questa vita
mette fine al dolore.
Ma cos'è l'attaccamento alla vita, da cosa è originato, cos'è il suo
annientamento, e qual è la via che provoca il suo annientamento? Ci sono quattro
specie di attaccamento alla vita: attaccamento alla sessualità, alla
multiscienza (i Veda), all'ascesi come scopo a se stessa, l'attaccamento al
perdurare personale. L'origine della sete di vivere (tanhâ) determina l'
attaccamento alla vita, e il suo annientamento determina l'annientarsi dell'
attaccamento alla vita. E la via che conduce a ciò è il nobile ottuplice
sentiero. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da
brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta l' ignoranza, ha
acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è la sete di vivere, qual è la sua origine e la sua distruzione, e
quale la via da percorrere?
Vi sono sei specie di sete di vivere: sete delle forme, dei suoni, degli
odori, dei sapori, dei contatti e delle cose. L'origine della sensazione (vedanâ)
determina l'origine della sete di vivere, il suo annientamento ne determina
l'annientamento, e la via che vi conduce è il nobile ottuplice sentiero. Se ora,
fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama,
repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la
sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma che è la sensazione, da cosa origina, cosa la distrugge e qual è la via
che lo consente? Vi sono sei specie di sensazioni: sensazioni prodotte da
contatto visivo, uditivo, olfattivo, gustativo, tattile, intellettivo. L'
origine del contatto (phassa) determina l'origine della sensazione, il suo
annientamento determina quello della sensazione. E la via che conduce a ciò è il
nobile santiero ottopartito. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto
ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall 'Io; se, vinta
l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita mette
fine al dolore.
Ma cos'è il contatto, da che è originato, cosa lo annienta e qual è la via
per annientarlo? Vi sono sei specie di contatti: quelli legati ai rispettivi sei
sensi compreso quello mentale. L'origine della sestupla sede (salâyâtâna)
determina l'origine del contatto, e il suo annientamento annienta il contatto. E
la via per annientarla è il nobile sentiero ottuplice. Se ora, fratelli, il
nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più
turbato dall'Io; se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli
già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è la sestupla sede, cosa la origina, cosa l'annienta e quale via
conduce a ciò? Vi sono sei sedi dei sensi compresa la sede del senso del
pensiero. L'origine di immagine e concetto, di nome e forma (nâma-rûpa)
determina l'origine delle sei sedi dei sensi, la sua distruzione conduce alla
loro distruzione, e la via che conduce a ciò è l'ottuplice sentiero. Se ora,
fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama,
repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta l'ignoranza, ha acquistato la
sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è immagine e concetto, cosa ne è l'origine, cosa produce il suo
annullamento e con quale via lo si ottiene? Per concetto si intende la
sensazione, la percezione, la comprensione e la riflessione. Le quattro materie
principali e ciò che esiste come forma di esse è ciò che si chiama immagine.
L'origine della coscienza (viññana) determina l'origine di immagine e concetto,
il suo annientamento ne determina l'annientamento. E la via che conduce a ciò è
l'ottuplice sentiero. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed
è lontano da brama, repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta
l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in questa vita mette
fine al dolore.
Ma cos'è la coscienza, qual è la sua origine, cosa l'annienta e quale
viaporta a ciò? Vi sono sei specie di coscienza che coinvolgono i sei sensi
compreso quello mentale. L'origine delle distinzioni che predispongono (samkhâra)
determina l'origine della coscienza, il loro annientamento annienta la
coscienza. E la via che conduce a ciò è il sentiero ottopartito. Se ora,
fratelli, il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama,
repulsione, non è più turbato dall'Io; se, vinta l' ignoranza, ha acquistato la
sapienza, allora egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cosa sono le distinzioni, qual è la loro origine, come annientarle e qual
è la via per farlo? Vi sono tre specie di distinzioni: quella fisica, quella
verbale e quella spirituale. L'origine dell'ignoranza (avijjâ) è ciò che
determina l'origine delle distinzioni, il suo annientamento le annienta, e la
via che permette ciò è il nobile ottuplice sentiero. Se ora, fratelli, il nobile
uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è più turbato
dall'Io; se, vinta l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora egli già in
questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è l'ignoranza, cosa la origina, cosa la distrugge, e quale via lo
consente? Non conoscere il dolore (dukkha), non conoscerne l'origine, non
conoscere come annientarlo, e non conoscere la via che lo permette; ciò,
fratelli, si chiama ignoranza. L'origine della mania (âsava) determina l'
origine dell'ignoranza, il suo annientamento ne determina l'annientamento.
E la via che conduce a ciò è il nobile ottuplice sentiero. Se ora, fratelli,
il nobile uditore conosce tutto ciò, ed è lontano da brama, repulsione, non è
più turbato dall'Io; se, vinta l'ignoranza, ha acquistato la sapienza, allora
egli già in questa vita mette fine al dolore.
Ma cos'è la mania, qual è l'origine della mania, cos'è l'annientamento della
mania, qual è la via che porta all'annientamento della mania? Vi sono tre specie
di mania, fratelli: mania di desiderio (kâma-âsava), mania d' esistenza (bhava-âsava),
mania d'ignoranza (avijjâ-âsava). L'origine dell' ignoranza determina l'origine
della mania, l'annientamento dell'ignoranza determina l'annientamento della
mania. Ma la via che conduce all' annientamento della mania è il nobile
ottuplice sentiero, cioè: retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo,
retto sapere, retto raccoglimento. Se ora, fratelli, il nobile uditore conosce
così la mania, così la sua origine, così il suo annientamento, così la via che
conduce al suo annientamento, e ha completamente rinnegata l'agitazione del
bramare, fugata l'agitazione del respingere, schiantata l'agitazione dell'Io; se
ha perduta l'ignoranza, acquistata la sapienza, allora egli già in questa vita
mette fine al dolore. Pertanto, fratelli, un nobile uditore ha la retta
conoscenza, la sua conoscenza è giusta, il suo amore alla dottrina provato, egli
appartiene a questa nobile dottrina."
Così parlò l'onorevole Sâriputto. Contenti si rallegrarono quei monaci per la
sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava nella terra dei Kurû, presso la città dei
Kurûni detta Kammâsadamman (1). Là il Sublime si rivolse ai monaci: "La diritta
via, monaci, che conduce alla purificazione degli esseri, al superamento del
dolore e della miseria, alla distruzione della sofferenza e della pena, al
conseguimento di ciò che è giusto, alla realizzazione dell'estinzione, è data
dai quattro pilastri del sapere. Ecco che un monaco vigila presso il corpo sul
corpo, instancabile, con chiara mente, sapiente, dopo aver superato le brame e
le cure del mondo; allo stesso modo vigila presso le sensazioni sulle
sensazioni; presso l'animo sull'animo; presso i fenomeni sui fenomeni. E come lo
fa? Un monaco si reca all'interno della foresta, o sotto un grande albero, o in
un vuoto eremo, si siede con le gambe incrociate, il corpo diritto, e si
esercita nel sapere. Cosciente egli inspira, cosciente espira. Se inspira
profondamente egli lo sa; se inspira brevemente, egli ne è consapevole. "Voglio
inspirare sentendo tutto il corpo", "Voglio espirare sentendo tutto il corpo",
"Voglio inspirare calmando questa combinazione corporea", "Voglio espirare
calmando questa combinazione corporea"; così egli si esercita. Così come un
abile tornitore o garzone tornitore tirando fortemente sa "Io tiro fortemente",
tirando lentamente sa "Io tiro lentamente": così accade al monaco allorché
inspira ed espira.
Così egli vigila presso il corpo interno sul corpo, presso il corpo esterno
sul corpo, di dentro e di fuori egli vigila presso il corpo sul corpo. Egli
osserva come il corpo si forma, come esso trapassa; osserva come il corpo si
forma e come trapassa. "Ecco com'è il corpo": tale sapere diviene il suo
sostegno perché esso serve alla comprensione, alla riflessione; ed egli vive
indipendente e non desidera nulla dal mondo. E ancora: il monaco, quando
cammina, sa che lo sta facendo; lo stesso quando è fermo; così pure quando è
seduto e quando giace; egli sa in quale posizione si trova, qualsiasi essa sia.
E ancora: il monaco è chiaramente consapevole nel venire e nell'andare; nel
guardare e nel distogliere lo sguardo; nel chinarsi e nel sollevarsi; nel
portare l'abito e la scodella dell'elemosina; nel mangiare e nel bere; nel
masticare e gustare; nel liberarsi dalle feci e dall'urina; nel camminare o
nello stare seduto; nell'addormentarsi e nel risvegliarsi, nel parlare e nel
tacere.
E inoltre: il monaco esamina questo corpo dalla cima della testa alle piante
dei piedi, la pelle che lo ricopre e come esso è ripieno di varie impurità:
"Questo corpo ha capelli, peli, ha unghie e denti, pelle e carne, tendini, ossa
e midollo, reni, cuore e fegato, diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestini,
mucose e feci, ha bile, secrezioni, marciume, sangue, sudore, linfa, lacrime,
siero, saliva, muco, liquido articolare, urina". Così come se vi fosse un sacco
legato ai due capi, pieno di diversi cereali: riso, fave, sesamo; e un uomo
competente lo slegasse e ne esaminasse il contenuto: "Questo è riso, queste sono
fave, questo è sesamo": allo stesso modo appunto un monaco esamina questo corpo
in tutti i particolari. E ancora: il monaco esamina questo corpo, sia che vada o
che stia, specificando: "Questo corpo ha la specie 'terra', ha la specie 'acqua',
la specie 'fuoco' e la specie 'aria'. Così come se un abile macellaio o un
garzone macellaio, avendo macellata una vacca, la porta al mercato, la seziona
pezzo per pezzo, ne espone le varie parti, le conosce, le osserva, le esamina
bene e quindi si siede (2): proprio così un monaco considera questo corpo.
E inoltre ancora, monaci: come se il monaco avendo visto un corpo che giace
al cimitero, un giorno, due o tre giorni dopo la morte, gonfio, illividito,
divenuto putrefatto, concludesse: "Anche il mio corpo è fatto così, diventerà
così, non può sfuggire a ciò". E ancora: come se il monaco avendo visto al
cimitero un corpo straziato da cornacchie, corvi o avvoltoi, sbranato da cani e
sciacalli, roso da molte specie di vermi, concludesse: "Tutto ciò può accadere
anche a me". E inoltre: come se il monaco avendo visto al cimitero uno scheletro
con brani di carne, sporco di sangue, tenuto assieme dai tendini; o più tardi,
uno scheletro privo di carne, sporco di sangue, tenuto assieme dai tendini; e
più tardi ancora le ossa, senza i tendini, sparse qua e là; qua un osso della
mano, là un osso del piede, una tibia, un femore, il bacino, delle vertebre, il
cranio, concludesse: "Anche il mio corpo è fatto così, diventerà così, non può
sfuggire a ciò". E ancora: come se il monaco avendo visto le ossa, sbiancate
come conchiglie, le ossa sfatte, ammucchiate dopo che è trascorso un anno; le
ossa corrotte, divenute polvere, concludesse: "Tutto ciò accadrà anche a me".
Così egli vigila sul corpo interno, vigila sul corpo esterno, vigila sul corpo
interno ed esterno.
Ma come vigila un monaco sulle sensazioni? Un monaco, quando prova una
sensazione piacevole, ne è consapevole; lo stesso quando prova una sensazione
dolorosa o una sensazione né piacevole né dolorosa. Quando prova una sensazione
piacevole mondana, se ne rende conto, e altrettanto quando si tratta di una
sensazione piacevole trascendente, di una sensazione dolorosa mondana o
trascendente, di una sensazione neutra mondana o trascendente. Così egli vigila
sulle sensazioni, osserva come la sensazione si forma, come passa, e come si
forma e passa. "Ecco cos'è la sensazione": tale sapere diviene il suo sostegno
perché gli serve per conoscere, per riflettere; ed egli vive indipendente e
senza brama del mondo.
Ma come vigila un monaco presso l'animo e sull'animo? Un monaco conosce l'
animo bramoso e l'animo non bramoso, quello astioso e quello non astioso, l'
animo che erra e quello senza errore, quello raccolto e quello che non lo è,
l'animo distratto, l'animo tendente all'alto sentire e quello tendente al basso
sentire, l'animo nobile, quello volgare, l'animo tranquillo, quello inquieto,
l'animo redento e l'animo vincolato; e di tutti si rende conto. Egli osserva
come l'animo si forma, come trapassa, come si forma e trapassa. "Ecco com'è
l'animo": tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla conoscenza,
alla riflessione; ed egli vive indipendente e senza brama del mondo.
Ma come vigila un monaco presso i fenomeni sui fenomeni? Un monaco osserva
sui fenomeni il manifestarsi dei cinque ostacoli (nîvarana): osserva quando la
brama (kâmacchanda) è in lui e quando non lo è; osserva quando in lui vi è
avversione (vyâpâda); quando vi è accidia (thîna-middha); quando vi è superbia (
o agitazione-ansia = uddhacca-kukkucca); quando vi è dubbio (vicikicchâ), e
quando essi non vi sono. E per ognuno dei cinque ostacoli osserva come comincia
a svilupparsi; osserva come quando divenuto evidente viene rinnegato, e osserva
quando gli ostacoli, rinnegati, non compaiono più nell'avvenire. "Ecco i
fenomeni": tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla
conoscenza, alla riflessione; ed egli vive indipendente e senza brama del mondo.
Ma come vigila un monaco presso i fenomeni sul manifestarsi dei cinque
tronchi dell'attaccamento? Un monaco dice a se stesso: "Così è la forma (rûpa),
così è la sensazione (vedanâ), così è la percezione (saññâ), così sono le
distinzioni (sankhâra), così è la coscienza (viññâna) ; così esse hanno origine,
così esse si dissolvono.
E inoltre il monaco vigila presso i fenomeni sul manifestarsi dei sei regni
interni-esterni (sal-âyatana). Come? Un monaco conosce l'occhio e conosce le
forme; conosce l'orecchio e conosce i suoni; conosce il naso e conosce gli
odori; conosce la lingua e conosce i sapori; conosce il corpo e conosce i
contatti; conosce il pensiero e conosce le idee. Conosce come essi si combinano
e cosa ne risulta; conosce quando la combinazione avviene, quando essa cessa, e
quando la cessata combinazione non si verifica più nell' avvenire.
E inoltre il monaco vigila presso i fenomeni sul manifestarsi dei sette
fattori di risveglio (sambojjhanga). Come? Un monaco s'accorge quando sono in
lui la consapevolezza (sati), il raccoglimento (l'esame dei fenomeni =
dhammavicaya), la forza (viriya), la serenità gioiosa (pîti), la calma (passaddhi),
la concentrazione (samâdhi), l'equanimità (upekkhâ). Conosce quando i sette
fattori di risveglio si destano, quando divenuti desti si sciolgono.
E inoltre ancora un monaco vigila presso i fenomeni sul manifestarsi delle
quattro nobili verità. Come? Un monaco comprende secondo verità "Questo è il
dolore", "Questa è l'origine del dolore", "Questo è l'annientamento del dolore",
"Questa è la via che conduce all'annientamento del dolore".
Chi, monaci, sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere può
aspettarsi queste due possibilità: sicurezza durante la vita o non ritorno dopo
la morte. Lasciamo stare i sette anni: chi, monaci, sa così sostenere questi
quattro pilastri del sapere per sei anni, cinque, quattro, tre, due, un solo
anno; lasciamo stare l'anno: chi, monaci, per sette mesi sa così sostenere
questi quattro pilastri del sapere può aspettarsi queste due possibilità:
sicurezza durante la vita o non ritorno dopo la morte. Ma lasciamo stare i sette
mesi: chi, monaci, per sei mesi, cinque, quattro, tre, due, un mese, per un
mezzo mese sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere. lasciamo stare
persino il mezzo mese: chi, monaci, per sette giorni sa così sostenere questi
quattro pilastri del sapere può aspettarsi queste due possibilità: sicurezza
durante la vita o non ritorno dopo la morte.
"La diritta via che conduce alla purificazione degli esseri, al superamento
del dolore e della miseria, alla distruzione della sofferenza e della pena, al
conseguimento di ciò che è giusto, alla realizzazione dell'estinzione, è data
dai quattro pilastri del sapere": se questo è stato detto lo è stato di
proposito."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci della parola del
Sublime.
Note
(1) Forse sepolta sotto l'attuale Kamasin, nella piana Kurukshetram della
Jamna (o Yamunâ), ad occidente di Allâhâbâd.
(2) Dato che, in India, da più di 2000 anni l'uccisione di una vacca è
considerato un orribile delitto, risulta che la redazione di questo testo dev'essere
anteriore di alcuni secoli ad Ashoka e risalire ai tempi in cui il macello di
vacche per la pubblica vendita era accettato come normale.
Pur considerando l'orrore che questa descrizione, considerata come un resto
barbarico dell'antichità, poteva suscitare, essa fu conservata e tramandata
intatta. Ciò prova la straordinaria venerazione per le parole del Maestro e lo
scrupolo con cui le Sue parole furono tramandate.
Attenzione! Riporto qui sotto un brano iniziale tradotto in inglese da
Nyanasatta Thera con le sue note di commento, per chiarire il senso di ciò che
il De Lorenzo ha tradotto: ''... vigila presso il corpo sul corpo...''; ''vigila
presso le sensazioni sulle sensazioni''; e via dicendo.
Quivi (in questo insegnamento) un monaco vive contemplando il corpo nel
corpo, [1] ardente, chiaramente comprendendo e attento, avendo superato, in
questo mondo, la cupidigia e l'afflizione; vive contemplando i sensi nei sensi,
ardente, chiaramente comprendendo e attento, avendo superato, in questo mondo la
cupidigia e l'afflizione; vive contemplando la coscienza nella coscienza,[2]
ardente, chiaramente comprendendo e attento, avendo superato, in questo mondo la
cupidigia e l'afflizione; vive contemplando gli oggetti mentali negl'oggetti
mentali,[2] ardente, chiaramente comprendendo e attento, avendo superato, in
questo mondo la cupidigia e l'afflizione.
Note
1. La ripetizione delle frasi 'contemplando il corpo nel corpo, sensi nei
sensi, ecc., si vuole insistere presso il meditante sull'importanza di stare
coscienti se nell'attenzione sostenuta diretta ad un singolo oggetto scelto, si
ci è tenuti saldi o se non si è fuggiti nel campo di un'altra contemplazione. Ad
esempio, quando si contempla un processo corporeo, un meditante può alla sua
insaputa farsi trascinare in una considerazione dei suoi sentimenti in relazione
con questo processo corporeo. Dovrebbe allora essere chiaramente cosciente
dell'aver lasciato il suo soggetto originale, ed è impegnato nella
contemplazione del sentimento.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella selva del Vincitore,
nel giardino di Anâthapindiko. Là così si rivolse ai monaci: " 'Qui finalmente,
monaci, mentre altrove si trovano solo parolai dell'ascesi, qui si trovano sino
a quattro veri asceti': questo, monaci, è il vero ruggito che dovete fare
risuonare. Ma penitenti d'altro indirizzo potrebbero obbiettare: 'Con quale
diritto e ragione, onorevoli, parlate così?'. La vostra risposta dovrebbe essere
questa: 'Fratelli, il Sublime, il Conoscitore, il Veggente, il Santo, il
perfetto Svegliato ci ha spiegato quattro cose che ora noi comprendiamo
intimamente, ecco perché parliamo così. Quali quattro cose? Noi, fratelli,
amiamo il maestro, amiamo la dottrina, adempiamo la regola dell'Ordine, e i
probi ci sono cari e graditi, siano essi laici o religiosi. Ma potrebbe darsi
che penitenti d'altro indirizzo dicessero: 'Anche noi amiamo il nostro maestro,
anche noi amiamo la nostra dottrina, anche noi adempiamo la nostra regola, anche
a noi sono cari i probi, siano essi laici o religiosi: che differenza c'è dunque
tra voi e noi?' A tale discorso sarebbe da replicare: 'Che ne pensate voi,
fratelli: la perfezione è individuale o generale?' E la giusta risposta dei
penitenti sarebbe: 'Individuale è la perfezione, non generale'. 'E la perfezione
l'ha il bramoso o chi è senza brama?' E la giusta risposta degli altri penitenti
sarebbe: 'Chi è senza brama'. 'E la perfezione l'ha l' astioso?' E la giusta
risposta degli altri sarebbe: 'Chi è senza astio' 'E la perfezione l'ha chi
erra?' E la giusta risposta dei penitenti sarebbe: 'Chi è senza errore'. E la
perfezione l'ha chi trova la vita gradevole, o chi non la trova gradevole?'
Giusta risposta: 'Chi non la trova gradevole'.
E la perfezione l'ha chi è attaccato all'esistenza o chi è da essa staccato?
' Giusta risposta: 'Chi è staccato da essa'. 'E la perfezione l'ha il
sapiente o l'ignorante?' Giusta risposta dei penitenti: 'Il sapiente, non l 'ignorante'.
'E l'avrebbe chi è ora lieto e ora triste o chi non è né lieto né triste? Giusta
risposta sarebbe: 'Chi non è lieto né triste'. 'Ed è perfetto chi ama la
diversità e da essa è soddisfatto o il contrario?'.
Giusta risposta sarebbe: 'Colui al quale non piace nessuna diversità, non
soddisfa nessuna diversità'.
Vi sono due specie di idee: L'idea dell'essere e quella del non essere.
Tutti gli asceti o i brâmani che sono attaccati all'idea dell'essere, che
indulgono ad essa, che dipendono da essa, sono rattristati dall'idea del non
essere. Tutti gli asceti o i brâmani che sono attaccati all'idea del non essere,
che indulgono ad essa, che dipendono da essa, sono rattristati dall' idea
dell'essere. Tutti gli asceti o i brâmani che non hanno meditato conforme alla
verità il principio e la fine, l'assuefazione, il disgusto e il superamento di
queste due idee, e sono bramosi, astiosi, in errore, contenti della vita,
attaccati all'esistenza, ignoranti, ora lieti ora tristi, amanti e soddisfatti
della diversità: costoro non si redimono da nascita, vecchiaia e morte, da cure,
pene e tormento, da strazio e disperazione, non si redimono dal dolore. Ma tutti
gli asceti o i brâmani che hanno meditato conforme a verità tutte quelle cose, e
sono senza brama, senza astio, senza errore, senza sete di vivere, staccati
dall'esistenza, sapienti, né lieti né tristi, che non amano né sono soddisfatti
dalle diversità: costoro si redimono da nascita, vecchiaia e morte, si redimono,
io dico, dal dolore.
Vi sono quattro specie di attaccamento, monaci: attaccamento alla sessualità,
alla multiscienza vedica, all'ascesi fine a se stessa e al perdurare personale.
Vi sono parecchi asceti o brâmani che si dichiarano capaci di spiegare tutta la
vita dalle fondamenta; ma tale spiegazione essi non la danno: essi esaminano
l'attaccamento alla sessualità, ma non l' attaccamento alla multiscienza, non
quello all'ascesi fine a se stessa, non l'attaccamento al perdurare personale. E
perché no? Quei cari asceti o brâmani non hanno convenientemente meditato su
queste tre cose, e perciò, sebbene pensino di comprendere tutta la vita dalle
fondamenta, non possono compiere tale esame. Vi sono asceti o brâmani che
esaminano l'attaccamento alla sessualità, l'attaccamento alla multiscienza, ma
non l'attaccamento alle altre due cose. Non avendolo fatto, sebbene pensino di
comprendere tutta la vita dalle fondamenta, non lo possono fare. Altri asceti o
brâmani esaminano i primi tre attaccamenti, ma non l'attaccamento al perdurare
personale, e, sebbene pensino di comprendere tutta la vita dalle fondamenta, non
possono farlo.
In quel modo, monaci, non possono essere perfetti né l'amore per il maestro,
né quello per la dottrina, né l'adempimento della regola, né la valutazione e il
gradimento dei probi. Perché? Perché non può essere diverso se un ordine è male
annunziato, mal esposto, repellente, turbativo, non annunziato da un perfetto
Svegliato.
Ma il Compiuto, monaci, il Santo, il perfetto Svegliato si dichiara capace di
spiegare tutta la vita dalle fondamenta, e lo fa. Egli esamina l' attaccamento
alla sessualità, quello alla multiscienza, quello all'ascesi fine a se stessa, e
l'attaccamento al perdurare personale.
In quel modo, monaci, sono perfetti l'amore al maestro, quello alla dottrina,
l'adempimento della regola, la valutazione e il gradimento dei probi, perché è
ciò che ci si può aspettare in un ordine ben annunziato, ben esposto, attraente,
che dà calma, annunziato da un perfetto Svegliato.
Ma questo quadruplice attaccamento, monaci, dove ha radice, da dove germina,
da dove sorge, da dove cresce? Esso ha radice nella sete (tanhâ), germina, sorge
e cresce dalla sete. E la sete dove ha radice, da dove germina, da dove sorge,
da dove cresce? La sete ha radice nella sensazione (vedanâ). E la sensazione? La
sensazione ha radice nel contatto (phassa). E il contatto? Il contatto ha radice
nella sestupla sede (sal-âyatana). E la sestupla sede? Essa ha radice in
immagine e concetto (nâma-rûpa). E immagi ne e concetto? Essi, che sono un tutt'uno,
hanno radice nella coscienza (viññâna). E la coscienza? La coscienza ha radice
nelle distinzioni (predisposizioni = samkhâra). E le distinzioni? Le distinzioni
hanno radice nell'ignoranza (avijjâ).
Ora, monaci, se un monaco ha rinnegato l'ignoranza e ha acquistato la
sapienza, egli non è più attaccato alla sessualità, non alla multiscienza, non
all'ascesi fine a se stessa, non al perdurare personale. Senza attaccamento egli
diviene incrollabile. Incrollabile egli raggiunge la propria estinzione. Egli
allora comprende: 'Esausta è la vita, compiuta la santità, operata l'opera, non
esiste più questo mondo'."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci della parola del
Sublime.
Il grande discorso sul ruggito del leone, o Il rabbrividire
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Vesali, fuori della citta', al
margine della foresta. Allora Sunakkhatto, un principe Licchavio, da poco uscito
dall'Ordine, diceva per tutta Vesali: "L'asceta Gotamo non possiede il
sopraterreno ricco santuario della chiarezza del sapere: l'asceta Gotamo
proclama una sottile, intricata dottrina, che egli stesso ha ideato ed
escogitato; e lo scopo per cui egli espone la sua dottrina, e' semplicemente
questo: che chi riflette raggiunge totale annientamento del dolore."
Ora avvenne che l'onorevole Sariputto, munito di mantello e scodella,
avviatosi per l'elemosina verso Vesali, udi' cio' che il principe Sunakkhatto
diceva in giro per tutta Vesali. Quindi, allorche' torno' indietro, dopo aver
consumato il cibo elemosinato, si reco' presso il Sublime e Gli riferi' cio' che
il principe diceva.Cosi' disse il Sublime:
"O Sariputto, Sunakkhatto e' vano e iracondo, perche' solo per l'ira ha
pronunciato quelle parole: egli vuole biasimare il Compiuto, ma con cio' loda il
Compiuto, perche' e' lode al Compiuto dire: lo scopo per cui egli esprime la sua
dottrina e' semplicemente questo: che chi riflette raggiunge totale
annientamento del dolore.
Certo, Sunakkhatto non pensa di me, conforme a verita', : Questo e' il
Sublime, il perfetto Svegliato, il Santo, l'Esperto di sapienza e di vita, il
Benvenuto, il Conoscitore del mondo, l'incomparabile duce dell'umano gregge, il
maestro degli dèi e degli uomini, lo Svegliato, il Sublime. E inoltre: questo e'
il Sublime, che in vari modi si allegra di magica potenza: che da uno diviene
molteplice, e molteplice, uno; che appare e dispare; che attraverso rupi, valli
e muri si libra e passa come per l'aria; che sulla terra emerge e s'immerge come
nell'acqua; che sull'acqua cammina senza affondare come sulla terra; che
attraverso l'aria procede sedendo come l'uccello con i suoi piccoli; che sente e
tocca con mano questa luna e questo sole, cosi' possenti, cosi' violenti; che ha
il corpo in suo potere fino ai mondi di Brahma. E ancora: questo e' il Sublime,
che con l'orecchio celeste, purificato, sopraterreno, sente due specie di suoni,
i celesti e i terreni, i lontani e i vicini. E ancora: questo e' il Sublime, che
agli altri esseri, alle altre persone, scruta a fondo e riconosce animo e cuore;
riconosce il cuore bramoso e quello senza brama, il cuore astioso e quello
senz'astio, il cuore errante e quello senza errore, il cuore raccolto e quello
distratto, il cuore tendente all'alto e quello di basso sentire, il cuore nobile
e quello volgare, il cuore calmo e quello inquieto, il cuore redento e quello
vincolato.
Vi sono dieci virtu', o Sariputto, che convengono e spettano al Compiuto, per
comprendere quel che e' sorprendente, per far risonare tra le genti il ruggito
del leone, per fondare il regno della santita'; queste dieci virtu' sono: il
Compiuto, o Sariputto, comprende il vero e il falso, conforme a verita'.
Comprende vere e reali conseguenze di azioni passate, presenti e future,
conforme a verita'. Conosce la Via che mena dappertutto, conforme a verita'.
Conosce, conforme a verita', come il mondo sia composto da singoli elementi e da
diversi elementi. Conosce, conforme a verita', le diverse inclinazioni degli
esseri. Conosce la misura data dai sensi agli altri esseri, alle altre persone,
conforme a verita'. Conosce, conforme a verita', colpa, purezza ed esito del
contemplante redento e raccolto. Si ricorda di diverse forme di esistenza
anteriori come di una vita, due vite, cento vite, mille vite, centomila vite;
la' ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio
stato, il mio officio, provai tale bene e male, cosi' fu la fine della mia vita;
di la' trapassato entrai io altrove di nuovo in esistenza. Cosi' egli si ricorda
di molte diverse anteriori forme di esistenza, ognuna con i propri contrassegni,
ognuna con le sue speciali relazioni. E inoltre, ancora o Sariputto, il
Compiuto con l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno vede gli esseri
sparire e riapparire, volgari e nobili, belli e non belli, felici ed infelici,
ed egli riconosce come gli esseri sempre secondo le azioni riappaiono: questi,
non retti in azioni, parole e pensieri con la dissoluzione del corpo, dopo la
morte, pervengono giu', su cattivi sentieri, alla perdizione, nel precipizio;
quelli, retti in azioni, pensieri e parole, con la dissoluzione del corpo, dopo
la morte, pervengono su buoni sentieri, in mondo elevato. E inoltre il Compiuto,
estinta la manìa, ancora durante la vita ha reso a se' palese, realizzato e
conquistato la redenzione dell'animo.
Queste sono, o Sariputto, le dieci virtu' che spettano al Compiuto.
Quattro specie di sicurezza vi sono che spettano al Compiuto, che chichessia
non potrebbe obiettarmi perche' false, e che percio' mi lascerebbero tranquillo,
imperturbato, sicuro, e sono:
Perfetto Svegliato, tu ti chiami, e' vero, ma queste cose non le hai
riconosciute; esausto di manìa tu ti chiami, e' vero, ma tale manìa non e'
estinta; cio' che tu indichi come dannoso, cio' a chi lo fa non riesce dannoso;
e se anche tu esponi la tua dottrina con una certa intenzione, pure essa non
giunge a dare a chi riflette totale annientamento del dolore.
Chi, ora, o Sariputto, in tal modo parlasse: l'asceta Gotamo non possiede il
sopraterreno, ricco santuario della chiarezza del sapere; l'asceta Gotamo
proclama una sottile, intricata dottrina, che egli stesso ha ideata ed
escogitata, chi non si pentisse di parlare cosi' e non rinunciasse a tale
opinione, costui potrebbe, per suo stesso volere, rovinare per mala via.
Otto adunanze, vi sono, o Sariputto: quella dei nobili, dei sacerdoti, dei
borghesi, degli asceti, degli dei delle quattro regioni, dei trentatre' dei,
degli dei naturali e degli dei celesti. Ebbene il Compiuto, cinto di quella
quadrupla sicurezza si reca alle otto adunanze. Ed io ricordo di essere stato
tra molte centinaia di nobili; innanzi a me essi sedevano, ed io parlavo con
essi e noi scambiavamo cosi' domande e risposte. Che io potessi allora cadere in
confusione o imbarazzo, tale possibilita' o Sariputto, non esiste. Percio'
rimango tranquillo, imperturbato, sicuro. Alla stessa stregua io ricordo di
essere stato tra molte centinaia di sacerdoti, borghesi, asceti e molteplici
dei.
Vi sono, o Sariputto, quattro specie di grembi, e sono: il grembo dell'uovo,
dove gli esseri vengono al mondo rompendo il guscio dell'uovo: il grembo del
corpo, dove gli esseri vengono al mondo fuoriuscendo dall'involucro del corpo;
il grembo del fermento dove gli esseri si formano nel pesce o nella carne o nel
cibo putrefatto, o vengono al mondo in paludi o pantani; e il regno
dell'apparizione, dove si manifestano dei, demoni, alcuni uomini e vari spiriti.
Cinque tracce vi sono, o Sariputto, ed io conosco che esse sono la falsa via,
ovvero il sentiero che mena giu' ed il suo agire, seguendo i quali si giunge,
dopo la morte a perdizione e danno, in luogo di spasimo e strazio; la
generazione animale, l'agire e il sentiero che mena alla generazione animale; il
regno degli spiriti, ed il sentiero e l'agire che ivi conduce; gli uomini,
l'agire ed il sentiero che mena al mondo degli uomini; gli dei ed il sentiero
che mena al loro mondo di gioia celeste.
E l'estinzione, io conosco, ed il sentiero e l'agire che mena all'estinzione,
seguendo i quali, dopo l'estinguersi della manìa, ancora durante la vita, si
rende palese, si realizza, si conquista e si possiede la redenzione dell'animo
senza manìa, redenzione di saggezza: anche questa via io conosco. Queste sono le
cinque tracce.
E inoltre, o Sariputto, io ricordo i tempi delle quattro ascesi da me
esercitate: ascesi fervente, orrenda, afflitta, solinga.
Cosi' ho praticato il fervore: io ero un ignudo, uno svincolato, un
flagellante, uno che non arriva, che non aspetta; non accettavo offerta, non
favore, non invito; nel ricevere l'elemosina, non spiavo verso la pentola, non
verso il piatto, non sopra la soglia, non sopra la grata, non dentro il caldaio;
non prendevo da chi mangia a due, non da una incinta, non da una lattante, non
da una che viene dall'uomo, non da insudiciati, non dove sta presso un cane, non
dove ronzano mosche; non mangiavo pesce, non carne; non bevevo vino, non
liquore, non succo d'avena fermentata. Io andavo ad una casa e mi contentavo con
una manciata di elemosina; andavo a due case e mi contentavo di due manciate;
andavo a sette case e mi contentavo di sette manciate d'elemosina. Io sostentavo
la mia vita con l'elemosina di una sola largitrice, di solo due largitrici, di
solo sette largitrici. Io mi cibavo solo una volta al giorno, solo ogni due
giorni, solo ogni sette giorni. Cambiando in questo modo, io osservavo
rigorosamente questo esercizio di digiuno fino a mezzo mese.
Ed io vivevo di erbe e di funghi, di riso e grani selvaggi, di semi e
noccioli, di latte di piante e resina d'alberi, di gramigne, di sterco di bue;
mi sostentavo di radici e frutti del bosco; vivevo di frutti caduti.
Ed io portavo la tunica di canapa, di crini, una veste rattoppata di pezze
raccolte al cimitero o sulla strada; mi avvolgevo in stracci, in pezzi di pelle,
di cuoio; mi cingevo con trecce di gramigna, di scorza, con trecce di foglie;
nascondevo le nudita' sotto grembiali di crini, di setole, sotto un'ala di
civetta.
Ed io mi strappai i peli del capo e della barba, seguendo la regola di coloro
che cosi' fanno; fui un sempre alzato, rigettai sedile e giaciglio; fui un
sedente sui calcagni; fui uno di quelli che si coricano sulle spine; scesi per
tre volte ogni sera nel bagno di penitenza. E questo e' stato il mio fervore.
E cosi' o Sariputto, ho poi curato l'orridezza: io lasciavo accumulare sul
corpo la sporcizia e la polvere di molti anni, fino a cadersene, come sul tronco
dell'ebano si addensa la polvere di anno in anno fino a cadersene. E non mi
veniva nessun pensiero di questo genere: ' ah, potessi finalmente tergermi da
questa polvere e sporcizia, o potessero farlo altri!'. E questa e' stata la mia
orridezza.
E cosi' o Sariputto, ho poi coltivato afflizione: ogni mio passo era guidato
da chiara coscienza, e perfino una goccia d'acqua muoveva in me la compassione:
' ah, che io non apporti danno ai piccoli esseri perduti!'.
E cosi', Sariputto, ho appreso la solitudine: io mi addentravo in qualche
bosco e vi dimoravo; ma se scorgevo un mandriano o un pastore, un cercatore
d'erbe o legnaiolo o raccoglitore di fascine, allora fuggivo di foresta in
foresta, di selva in selva, di valle in valle, di monte in monte, perche' quelli
non dovevano vedermi ed io non volevo vedere loro: alla stessa stregua di una
fiera del bosco che abbia visto uomini. E questa e' stata la mia solitudine.
Ed io poi, Sariputto, quando i mandriani erano via, scendevo alle mandre,
alle vacche attaccate e raccoglievo, camminando carponi, lo sterco dei giovani
vitelli lattanti, e mi nutrivo di cio'. E cio' che ne rimaneva indigerito, come
mio proprio escremento o urina, anche quello io prendevo. E questo, Sariputto,
e' stato il mio grande calice di feccia.
Ed io mi sono poi recato in un'altra orrenda selva a dimorarvi. In quella
spaventosa solitudine, regnava tale orrore, che ad ogni non santificato
viandante subito si rizzavano i capelli. E durante le fredde, glaciali notti
d'inverno, al tempo del gelo, io mi trattenevo di notte in una radura, e di
giorno nel folto del bosco. E mi si presento' allora questa spontanea strofa,
mai prima sentita:
Al sole avvampa e intirizzisce al gelo un eremita in tant'orrenda selva
spirando ed inspirando via via, ignudo, solo, senza focolare.
Ed io passai poi oltre, ad un cimitero, e mi distesi sopra un mucchio d'ossa
imputridite. Ed allora vennero figli di pecorai che mi sputarono, mi bagnarono e
mi lordarono di sporcizia e mi introdussero erbe aguzze nelle orecchie. Eppure
io non ricordo che in me fosse sorto un cattivo pensiero contro di essi. E
questa, Sariputto, e' stata la mia equanimita'.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: il nutrimento purifica, ed
ammoniscono: viviamo di giuggiole. E consumano giuggiole, mangiano conserva di
giuggiole, bevono succo di giuggiole, gustano ogni sorta di pietanza di
giuggiole. Io ricordo di aver mangiato solo una giuggiola come nutrimento
quotidiano. Tu forse pensi, o Sariputto, che a quel tempo le giuggiole fossero
piu' grosse di quelle odierne, ma cosi' non e'. E mentre io prendevo solo una
giuggiola come nutrimento quotidiano, il mio corpo divenne straordinariamente
magro.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: il nutrimento purifica, ed
ammoniscono: viviamo di fave; viviamo di sesamo; viviamo di riso. Ed essi
consumano riso, mangiano zuppa di riso, bevono acqua di riso, gustano ogni sorta
di pietanza di riso. Io ricordo di aver mangiato solo un grano di riso come
nutrimento quotidiano, e cosi' il mio corpo divenne straordinariamente magro.
Le mie braccia e le gambe divennero come canne secche, appassite, per questo
nutrimento estremamente scarso; il mio sedere divenne come un piede di cammello,
la mia spina dorsale con le vertebre sporgenti divenne come un rosario; come le
travi del tetto d'una vecchia casa sporgono, cosi' sporgevano le mie costole;
come in una profonda fontana i sottostanti specchi d'acqua rilucono
evanescentemente piccoli, cosi' rilucevano nelle mie orbite le infossate
pupille; come una zucca selvaggia, tagliata fresca, al caldo diviene vuota e
grinzosa, cosi' divenne la mia pelle del capo vuota e grinzosa. E quand'io
volevo toccare il ventre, giungevo alla spina dorsale, e quando volevo toccare
la spina dorsale, giungevo di nuovo al ventre. E se io volevo svuotare feci e
urina cadevo innanzi; per rinforzare allora questo corpo, io strofinavo con la
mano le membra: e mentre cosi' facevo se ne cadevano i peli, putridi alle
radici.
E anche questa via, questa disciplina, questa dura ascesi, non mi porto' piu'
vicino al sopraterreno, ricco santuario della chiarezza del sapere; questo
perche' io non avevo ancora conquistato quella saggezza la cui conquista da' a
chi riflette totale annientamento del dolore.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: il giro purifica; eppure non
e' affatto gradevole il girare: ed io in questo lungo cammino in nessun altro
luogo l'ho trovato tale se non presso i puri dei. Ma se anche io dovessi
rigirare tra i puri dei, non vorrei tornare a questo mondo.
Parecchi asceti e brahmani dicon e insegnano: la nascita purifica; eppure non
e' affatto gradevole la nascita: ed io in questo lungo cammino in nessun altro
luogo l'ho trovata tale se non presso i puri dei. Ma se anche io dovessi
rinascere tra i puri dei, non vorrei tornare a questo mondo.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: la vita purifica; oppure:la
beneficenza purifica; oppure: il sacrificio del fuoco purifica. Eppure non e'
affatto gradevole la vita; ed io in questo lungo cammino in nessun luogo l'ho
trovata tale se non presso i puri dei. Ma se anche dovessi rivivere tra i puri
dei, non vorrei tornare a questo mondo. E non e' affatto facile la beneficenza:
ed io in questo lungo cammino non ho potuto farla se non come re guerriero o
potente brahmano. E non e' affatto facile il sacrificio del fuoco; ed io in
questo lungo cammino non ho potuto offrirlo se non come re guerriero o potente
brahmano.
Parecchi asceti e brahmani dicono e insegnano: Fintanto che questo caro uomo
e' giovane e forte, splendente di capelli neri, nel godimento ella felice
giovinezza, nella prima eta' virile, egli possiede anche le piu' alte forze
dello spirito. Ma quando quest' uomo e' divenuto vecchio e grigio, grave d'anni,
vicino alla fine, vissuto, un ottantenne o novantenne, o centenario, allora si
dileguano da lui quelle forze dello spirito. Eppure cio' o Sariputto, non e' in
tutti i casi esatto. Io sono gia' ora divenuto vecchio e grigio, e grave d'anni,
vicino alla fine, vissuto, sono nell'ottantesimo anno. Cosi' come un nervoso
arciere ammaestrato e provetto, potrebbe con facilita' lanciare una freccia
leggera al di sopra di una palma, cosi' potrebbero fare quattro eventuali miei
discepoli che fossero sempre sensibili, virtuosi, forti, e dotati delle piu'
alte forze dello spirito. Ed essi mi ponessero domande su domande, come sui
quattro pilastri del sapere, ed io rispondessi loro fornendo spiegazioni.
Inespletata rimarrebbe la testimonianza e l'indicazione del Compiuto sulla
verita', perche' anche quei quattro eventuali discepoli diverrebbero a loro
volta vecchi di cent'anni, morendo poi in seguito. E quando voi mi porterete sul
letto, o Sariputto, la forza di spirito del Compiuto sara' immutata.
Chiunque di me a buon diritto puo' dire: un essere senza vanita' e' apparso
nel mondo, pel bene di molti, per la salute di molti, per compassione del mondo,
per utile, bene e salute degli dei e degli uomini.
Ora durante questo tempo l'onorevole Nagasamalo era stato dietro il Sublime
sventolandogli aria fresca e si rivolse al Sublime cosi': e' mirabile, o
Signore, straordinario, che io, mentre ascoltavo questa esposizione, mi sono
sentito rabbrividire; come deve chiamarsi, Signore, questo discorso? Orsu',
dunque, Nagasamalo, serbalo allora sotto il nome di discorso del rabbrividire.
Cosi' parlo' il Sublime. Contento si rallegro' l'onorevole Nagasamalo della
parola del Sublime.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore,
nel giardino di Anâtapindiko. Ora, un giorno molti monaci, preparatisi per
tempo, provvisti di mantello e scodella, si avviarono verso la città, per
l'elemosina. Ma essi pensarono: 'È ancora troppo presto per andare in città a
elemosinare; non sarebbe meglio se ora visitassimo il giardino dei pellegrini
d'altro orientamento?' E così fu fatto ed essi scambiarono con gli altri cortesi
saluti e amichevoli, notevoli parole e si sedettero da una parte. E i pellegrini
d'altro orientamento, rivolgendosi ai monaci, dissero: "L'asceta Gotamo,
fratelli, esamina la brama dalle fondamenta, lo facciamo anche noi; egli esamina
dalle fondamenta anche il corpo e il sentimento: quale limitazione, quale
distinzione e differenza esiste dunque tra l'asceta Gotamo e noi, sia riguardo
all'esposizione come ai precetti?"
Ma i monaci, a queste parole dei pellegrini, senza rallegrarsi e senza
provare fastidio, si alzarono e se ne andarono, dicendo: "Dal Sublime
intenderemo il senso di queste parole".
Ed essi andarono a Sâvatthî, passarono di casa in casa per elemosinare il
cibo, tornarono indietro, si cibarono e si recarono dal Sublime. Là giunti, essi
lo salutarono rispettosamente e si sedettero accanto a lui raccontando ciò che
era loro accaduto e riferendo ciò che era stato loro chiesto dai pellegrini
d'altro orientamento.
E il Buddha replicò: "A queste parole dei pellegrini bisognava rispondere:
'Cos'è dunque la soddisfazione, la miseria e il superamento della brama?
Cos'è la soddisfazione, la miseria e il superamento del corpo e del sentimento?'
Se li aveste interrogati così, quei pellegrini non avrebbero trovato una
risposta soddisfacente, sarebbero anzi stati imbarazzati. Perché? Perché ciò è
qualcosa che non sanno interpretare. Non vedo nessuno, monaci, nel mondo con i
suoi dèi, i suoi cattivi e buoni spiriti, con le sue schiere di asceti e brâmani,
dèi e uomini, che possa, spiegando queste domande, guadagnare il cuore della
questione, eccetto il Compiuto, o un suo discepolo, e quelli che qui lo
ascoltano.
Cos'è ora, monaci, la soddisfazione della brama? Vi sono cinque facoltà di
bramare: quali? Le forme che tramite la vista penetrano nella coscienza, forme
desiderate, amate, appaganti, gradite, corrispondenti ai desideri, eccitanti; i
suoni, gli odori, i sapori, i contatti anch'essi e tramite essi penetranti nella
coscienza, desiderati, amati, appaganti, graditi, corrispondenti ai desideri,
eccitanti. Ecco, monaci, le cinque facoltà di bramare. Ciò che vi è di
desiderabile e gradito, adatto a queste cinque facoltà di bramare, è la
soddisfazione della brama.
E cos'è la miseria della brama? Un figlio di buona famiglia si mantiene con
un'attività come scrivano, contabile o amministratore; come agricoltore o
mercante o allevatore di bestiame; come soldato o ministro del re, o in
qualsiasi altro modo. È esposto al caldo, al freddo; deve sopportare sole e
vento, dibattersi tra zanzare, vespe e rettili; patisce fame e sete. Ma ciò è
miseria della brama, è il palese tronco del dolore, originato da brama,
intessuto di brama, mantenuto da brama e determinato da brama.
Se questo figlio di famiglia che così si affatica, si danna e si martirizza,
non acquista ricchezza, allora egli diventa accorato e triste, si lagna,
piangendo si percuote il petto, cade nella disperazione: 'Vano, ahimè, è il mio
sforzo, la mia fatica non ha scopo!' Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il
palese tronco del dolore, originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato
da brama.
Se invece questo figlio di famiglia si arricchisce, allora lo rode ansiosa
cura per la conservazione della ricchezza: 'Purché i miei beni non mi vengano
confiscati dal re, o rubati dai briganti, o divorati dalla fiamme, o spazzati
via dall'acqua, o strappati da parenti ostili!' E mentre guarda e custodisce i
suoi beni essi gli vengono sottratti proprio da ciò che temeva.
Allora egli diventa accorato e triste, si lamenta, si batte il petto
piangendo, si dispera: 'Quello che possedevo non l'ho più!' Ma ciò, monaci, è
miseria della brama, è il palese tronco del dolore, originato, intessuto,
mantenuto da brama e determinato da brama.
E inoltre, monaci, mossi da brama, incitati, spinti da brama, appunto soloper
brama re contendono con re, principi con i principi, sacerdoti con sacerdoti,
cittadini con cittadini; la madre litiga col figlio, il figlio con la madre, il
padre col figlio, il figlio col padre; litiga il fratello col fratello, il
fratello con la sorella, la sorella col fratello, l'amico con l'amico. Caduti
così in discordia, lite e contesa, essi si scagliano l' uno sull'altro coi
pugni, con pietre, bastoni e spade. E così si affrettano incontro alla morte o a
dolore mortale. Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il palese tronco del
dolore, originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato da brama.
E inoltre ancora, monaci, mossi da brama, incitati, spinti da brama, solo per
brama essi si precipitano, impugnando scudo e spada, cinti di faretra ed arco,
dai due lati dello schieramento di battaglia, e le frecce fischiano, le lance
ondeggiano e le spade lampeggiano. Ed essi si trafiggono con frecce, con lance;
si spaccano le teste con le spade, si rovesciano addosso sabbia rovente,
scaraventano blocchi che schiacciano. E così si affrettano incontro alla morte o
a mortale dolore. Ma ciò, monaci, è miseria della brama, è il palese tronco del
dolore, originato, intessuto, mantenuto da brama e determinato da brama.
E ancora, monaci, mossi da brama, incitati, spinti da brama, solo per brama
essi irrompono nelle case, rapiscono i cari degli altri, rubano, ingannano,
seducono spose. E i re fanno arrestare costoro e li condannano a pene e tormenti
come: percosse con fruste, con bastoni, con verghe; amputazioni della mano, del
piede o di entrambi; amputazione delle orecchie, del naso o di entrambi;
tormenti come il caldaio di pasta, il raschiamento con le conchiglie, la bocca
di drago, la corona di pece, la mano a fiaccola; correre sugli aculei, giacere
su scorze, la veste di setole; la carne da amo, il pezzo di moneta, la
corrosione con liscivia; il rullo, il graticcio di paglia; l'irrigazione con
olio bollente, lo sbranamento coi cani, l' impalamento, la decapitazione. E così
si affrettano incontro alla morte o a mortale dolore. Ma ciò, monaci, è miseria
della brama, è il palese tronco del dolore, originato, intessuto, mantenuto da
brama e determinato da brama.
E, sempre a causa della brama essi procedono sulla cattiva strada con azioni,
parole, e pensieri; in tal modo essi pervengono con la dissoluzione del corpo,
dopo la morte, giù, su cattivi sentieri a perdersi e dannarsi.
E cos'è il superamento della brama? Rinnegare la volontà e il desiderio di
brama, annientare la volontà e il desiderio di brama, ciò è il superamento della
brama.
Ma che asceti o brâmani che non conoscono, conforme a verità, il soddisfare,
la miseria e il superamento della brama, non è possibile che comprendano la
brama o guidino un altro a farlo. Mentre voi, monaci, che conoscete, conforme a
verità, la brama, potete farlo.
Cos'è, ora, monaci, la soddisfazione del corpo? Per esempio una figlia di
principi, o una vergine brâmana, o una fanciulla borghese, nel fiore dei
quindici o sedici anni, non troppo alta né troppo piccola, non troppo sottile né
troppo piena, non troppo scura né troppo chiara: non appare di una splendente
bellezza nel momento della sua massima magnificenza?
"Certamente, Signore!"
Ciò che scaturisce di desiderabile e gradito da questa splendente bellezza, è
soddisfazione del corpo.
Ma cos'è la miseria del corpo? Si veda pure questa stessa sorella in altro
tempo, nell'ottantesimo, novantesimo o centesimo anno d'età, curva, affranta,
consunta, trascinarsi tremolante, appoggiata alle grucce, macilenta, appassita,
sdentata, le ciocche imbiancate o il capo calvo, vacillante, aggrinzito, la
pelle piena di macchie: cosa ne pensate, monaci?
È sparita quella che era un dì una splendida bellezza, ed è divenuta evidente
miseria?
"Certo, Signore!"
Ciò è miseria del corpo. E ancora: osservate questa sorella inferma,
sofferente, gravemente ammalata, giacere sporca di feci e di urina, da altri
sollevata, da altri accudita: cosa ne pensate, monaci? È sparita quella che era
un dì una splendida bellezza, ed è divenuta evidente miseria?
" È così, Signore!"
Anche ciò è miseria del corpo. Immaginate ancora questa sorella, il corpo al
cimitero, uno, due, tre giorni dopo la morte, gonfio, annerito, imputridito:
cosa ne pensate? È sparita quella che era un dì una splendida bellezza, ed è
divenuta evidente miseria?
"Così è, Signore!"
E inoltre ancora: immaginate, monaci, il suo corpo a cimitero, straziato da
cornacchie, corvi e avvoltoi, sbranato da cani e sciacalli, roso da molte specie
di vermi.
O ancora: lo scheletro con brani di carne attaccata, insozzato di sangue,
tenuto insieme dai tendini; oppure lo scheletro senza carne, tenuto insieme dai
tendini; oppure le ossa, senza i tendini, sparse qua e là; qua un osso della
mano, là un osso del piede, qua una tibia, là un femore, qua un bacino, là
vertebre, qua il cranio. E ancora le sue ossa imbiancate, del colore delle
conchiglie; trascorso un anno, le ossa ammucchiate; le ossa, imputridite, cadute
in polvere: cosa ne pensate, monaci? È sparita quella che era un dì una
splendida bellezza, ed è divenuta evidente miseria?
"Sì, Signore!"
Ciò è miseria del corpo, ma cos'è il superamento del corpo? Ciò che nel
corpo, monaci, è rinnegamento di volontà e desiderio, annientamento di volontà e
desiderio, ciò è superamento del corpo.
Ma asceti o brâmani che non conoscono così, conforme alla verità,
soddisfazione, miseria e superamento del corpo, non è possibile che capiscano il
corpo o possano guidare un altro ad arrivare a capirlo. Ma voi, monaci, che
avete compreso, conforme alla verità, potete farlo.
Cos'è ora la soddisfazione del sentimento? Un monaco, lungi da brame, lungi
da cose non salutari, in sentita, pensata, nata da pace beata serenità,
raggiunge la prima contemplazione. Egli, a questo punto, non dipende da sé né da
altri, e prova solo un sentimento di indipendenza. L'indipendenza, io dico,
monaci, è la più alta soddisfazione del sentimento.
Successivamente, monaci, dopo il compimento del sentire e pensare, un monaco
raggiunge la calma interiore, l'unità dell'animo, la libera beata serenità nata
dal raccoglimento, libera dal sentire e pensare; raggiunge la seconda
contemplazione. Egli, a questo punto, non dipende da sé né da altri, e prova
solo un sentimento di indipendenza. L'indipendenza, io dico, monaci, è la più
alta soddisfazione del sentimento.
E inoltre ancora, monaci: in serena pace se ne sta un monaco, equanime,
savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo la felicità di cui i santi dicono:
'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge la terza contemplazione.
Quando ciò accade, egli non dipende da sé né da altri, e prova solo un
sentimento di indipendenza. L'indipendenza, io dico, monaci, è la più alta
soddisfazione del sentimento.
E ancora, monaci: dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo l'
annientamento della letizia e della tristezza, un monaco raggiunge l' equanime,
savia, perfetta purezza, la quarta contemplazione. Quando ciò accade, egli non
dipende da sé né da altri, e prova solo un sentimento di indipendenza.
L'indipendenza, io dico, monaci, è la più alta soddisfazione del sentimento.
Cos'è ora miseria del sentimento? Ciò che vi è di un sentimento caduco,
doloroso, mutevole, quello è la miseria del sentimento.
E il superamento del sentimento? Ciò che nel sentimento è rinnegamentodella
volontà e del desiderio, annientamento della volontà e del desiderio, quello è
il superamento del sentimento.Ma non è possibile che asceti o brâmani che non
conoscono, conforme averità, soddisfazione, miseria e superamento del
sentimento, comprendano il sentimento stesso o guidino un altro a farlo.Invece è
possibile che asceti o brâmani i quali conoscano così, conforme alla verità,
tutto ciò, comprendano il sentimento stesso o guidino un altroa farlo.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci per la Sua
parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava nella terra dei Sakki (Sakyâ), presso
Kapilavatthu, nel parco dei fichi. Allora un principe dei Sakki, Mahânâmo, si
recò là dove il Sublime dimorava, lo salutò rispettosamente si sedette da una
parte e parlò così: "Già da lungo tempo mi pare che la dottrina del Signore sia
questa: 'Brama, avversione ed errore sono turbamento del cuore'. Così io la
conosco, ma, ciò malgrado, il mio cuore si lascia a volte influenzare da motivi
di brama, di avversione e di errore. Mi chiedo, Signore, cosa in me ancora mi
domina per essere così influenzato?"
"Mahânâmo, se così non fosse, tu non vorresti rimanere nella famiglia, né
soddisfare alcuna brama. 'Inappaganti sono le brame, piene di spasimo, piene di
strazio: la miseria prepondera': se il santo uditore Mahânâmo ha riconosciuto
vera questa massima, con perfetta sapienza, ma non trova fuori dalle brame,
fuori da ciò che è dannoso, nessuna felicità e niente di meglio, allora egli si
aggira appunto sempre intorno alle brame. Ma appena il santo uditore ha
riconosciuto vera, con perfetta sapienza, quella massima, e trova fuori dalle
brame, fuori da ciò che è dannoso, felicità e meglio ancora, allora egli non
s'aggira più intorno alle brame.
Anche io, Mahânâmo, prima del pieno risveglio, quale Bodhisatta solo al
risveglio anelante, avevo riconosciuto conforme a verità, con perfetta sapienza
quella massima, eppure, fuori dalle brame e dal dannoso, io non trovavo alcuna
felicità e niente di meglio; fu così che mi accorsi di ciò che mi accadeva. Ma
appena me ne accorsi ed ebbi riconosciuto la verità di quella massima, con
perfetta sapienza, e trovai felicità fuori da ciò che è dannoso, mi accorsi che
le brame non erano più un'attrattiva.
Ma cos'è l'appagamento delle brame? Vi sono cinque facoltà di bramare.
Quali? Le forme che penetrano tramite la vista nella coscienza; i suoni che
penetrano attraverso l'udito nella coscienza; gli odori che penetrano tramite il
naso nella coscienza; i sapori che penetrano tramite la lingua nella coscienza;
i contatti che penetrano tramite il tatto nella coscienza, tutti desiderati,
amati, appaganti, graditi, adatti alle brame, eccitanti; sono queste le cinque
facoltà del bramare. Ciò che riesce desiderabile e gradito per queste cinque
facoltà è appagamento della brame.
E qual è la miseria delle brame? Un figlio di buona famiglia si mantiene con
un incarico: come scrivano, come contabile o amministratore, come agricoltore,
mercante, allevatore di bestiame, soldato o ministro del re, o con qualsiasi
altro servizio. È esposto al caldo e al freddo, deve sopportare sole e vento,
barcamenarsi tra zanzare, vespe e rettili; patisce fame e sete. Questa è la
miseria delle brame.
Se a questo figlio di famiglia che così si affatica, si tormenta e soffre non
viene ricchezza, egli diventa accorato e triste, si lamenta, si batte piangendo
il petto, si dispera: 'Vano, ahimè, è il mio sforzo, la mia fatica non ha
raggiunto lo scopo!' Anche questo è la miseria delle brame.
Se invece si arricchisce, allora si preoccupa di conservare la ricchezza:
'Che i beni non mi siano sequestrati dal re; o rubati dai briganti, o distrutti
dal fuoco, o spazzati via da un'alluvione, o strappati da parenti ostili!' E,
mentre cerca di amministrare i suoi beni, gli capita proprio ciò che ha temuto.
Allora diventa accorato e triste, si lamenta, piange, si percuote il petto, si
dispera: 'Quello che possedevo non c'è più!' Ecco la miseria delle brame, ecco
l'evidente tronco del dolore originato da brame, intessuto di brame, mantenuto e
determinato proprio da brame.
E inoltre, Mahânâmo, mossi da brame, incitati e spinti da brame contendono i
re con i re, i principi con i principi, sacerdoti con sacerdoti, cittadini con
cittadini; litiga la madre col figlio, il figlio con la madre, il padre col
figlio, il figlio col padre, litiga il fratello col fratello e con la sorella e
viceversa, litiga l'amico con l'amico. Caduti così in discordia essi si lanciano
gli uni contro gli altri coi pugni, con pietre, bastoni e spade. E così
s'affrettano incontro alla morte o a mortale dolore. Ma ciò, Mahânâmo, è miseria
delle brame, ecco l'evidente tronco del dolore originato da brame, intessuto di
brame, mantenuto e determinato proprio da brame.
E ancora: mossi da brame essi si precipitano impugnando scudo e spada, cinti
di faretra e arco, si schierano sui due lati dell'ordine di battaglia o sulle
fortificazioni, e le frecce fischiano, le aste ondeggiano, le spade lampeggiano.
E si trafiggono con frecce, con lance; si spaccano le teste con le spade. E così
si affrettano incontro alla morte.
E inoltre: sempre mossi da brame irrompono nelle case, saccheggiano, rubano,
ingannano, violentano spose. E i re li fanno arrestare e li condannano a pene e
tormenti come frustate, bastonate, vergate; amputazioni di mano, di piede o di
entrambi; amputazioni delle orecchie, del naso o d'entrambi: il caldaio di
pasta, il raschiamento con conchiglie, la bocca di drago; la corona di pece, la
mano a fiaccola: il correre su aculei, il giacere in scorze, la veste di setole;
la carne da amo, il pezzo di moneta, la corrosione con liscivia; il rullo, il
graticcio di paglia; l'irrigazione di olio bollente, lo sbranamento con cani,
impalamento da vivo, la decapitazione. E così s'affrettano incontro alla morte.
E ancora: mossi da brame essi agiscono male, parlano male e pensano in modo
malvagio, e così facendo, essi pervengono dopo la morte a perdersi e soffrire.
Ma tutto ciò, Mahânâmo, è miseria delle brame, è l'evidente tronco del dolore
originato da brame, intessuto di brame, mantenuto e determinato proprio da
brame."
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Una volta, Mahânâmo, io soggiornavo a Râjagaham, sui pascoli del Picco dell'
Avvoltoio. In quel tempo, alle falde del Picco del Vate, alla Rocca Nera,
venivano molti Liberi Fratelli, i Niganthâ della grande setta dei Jainâ, ed
esercitavano l'ascesi sempre ritti, rifiutando sedili e giacigli: e soffrivano
dolorose, pungenti, cocenti sensazioni. E, una sera, dopo la meditazione io mi
recai lì e dissi loro: 'Perché, cari fratelli, esercitate l'ascesi così, e
subite queste dolorose sensazioni?'
Essi mi risposero: 'Il Niganthâ Nâthaputto sa tutto, comprende tutto,
professa illimitata chiarezza di sapere: 'Se vado o sto, dormo o veglio, ho
sempre presente l'intera chiarezza del sapere.' Ed egli dice: 'Niganthâ!
Voi nel passato vi siete comportati male e ora espiate ciò con questa amara
ascesi di tormenti. Siccome ora controllate azioni, parole e pensieri, non fate
più del male e, estirpando le vecchie ed evitando nuove errate azioni, non vi
sarà più alcun influsso. Non essendoci influsso, si giunge all'esaurimento delle
azioni e, di conseguenza, all'esaurimento del dolore e, di qui, all'esaurimento
della sensazione. Con l'esaurimento della sensazione ogni dolore sarà superato.'
Questo che ci dice, ci sembra chiaro, e noi lo approviamo e ne siamo
soddisfatti'.
Io replicai: 'Allora, cari fratelli voi sapete se siete già esistiti o no?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Allora sapete se nel passato avete fatto male o siete rimasti senza
nuocere?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Allora sapete quali male azioni avete commesso?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Sapete forse se una parte del dolore è superata, e se un'altra parte resta
da superare; ma se è superato un pezzo del dolore si potrà superare tutto il
dolore?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Sapete forse come, ancora in questa vita, si possa abbandonare il falso e
guadagnare il bene?'
'Noi non lo sappiamo, fratello'.
'Allora se non sapete tutte queste cose, cari fratelli, c'è il rischio che
banditi, uomini sanguinari e delinquenti nati entrino tra di voi.'
'Fratello Gotamo, non si può acquistare gioia con gioia: con dolore si può
acquistare gioia. Se fosse possibile acquistare gioia con gioia, il re del
Magadhâ, Seniyo Bimbisâro, potrebbe acquistare gioia perché lui sta meglio del
mendicante Gotamo'.
'Senza dubbio adesso gli onorevoli Niganthâ hanno parlato prematuramente e
inconsideratamente, perché ora devo chiedervi: 'Chi dei due sta meglio, il re
del Magadhâ o il mendicante Gotamo?' '
'Forse, fratello Gotamo, è come dici, ma lasciamo perdere. Ti preghiamo di
rispondere alla tua stessa domanda.'
'Invece adesso voi dovete rispondere a questa domanda secondo il vostro
parere: può il re del Magadhâ, senza muoversi, senza dire una parola, sentirsi
perfettamente bene per sette giorni e sette notti?'
'No, fratello, non può'.
'Può farlo per sei, cinque, quattro tre, due o per un solo giorno?'
'Egli non può, fratello.'
'Io però, senza muovermi, senza dir parola, posso sentirmi perfettamente non
solo per un giorno e una notte, ma addirittura per sette giorni e sette notti.
Che pensate, fratelli: sta meglio il re del Magadhâ o io?'
'Allora infatti l'onorevole Gotamo sta meglio del re del Magadhâ.'
Così parlò il Sublime. Contento si rallegrò Mahânâmo dei Sakki della sua
parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta l'onorevole Mahâmoggallâno soggiornava nel territorio di Bhaggâ,
presso la città Sumsumâragiram, nel parco da selvaggina della selva Bhesakalâ. E
l'onorevole Mahâmoggallâno così si rivolse ai monaci:
"Se un monaco chiede di essere ammonito perché ne ha bisogno, e con lui ci si
trova male, e gli trovano delle manchevolezze, gli si riconoscono dei difetti;
ed egli diventa impaziente e non accetta la lezione correttamente, allora i
fratelli dell'ordine possono ritenerlo a stento meritevole di ammonizione, di
ammaestramento, possono considerarlo non degno d'essere trattato con
familiarità.
Ma quali cose si dimostrano sfavorevoli? Un monaco è maligno ed è da ciò
motivato, quella è una cosa sfavorevole. Oppure un monaco fa il superbo e
ingiuria il prossimo; o è un collerico divorato dall'ira; o è iracondo e
astioso; o iracondo e bestemmiatore; o si esprime con parole irose. Tutte queste
sono cose sfavorevoli. E inoltre, fratelli: un monaco ammonito scatta contro
l'ammonitore, o lo offende, o lo contraddice; oppure cambia discorso, si
allontana dall'argomento e manifesta fastidio, avversione e sfiducia: ecco altre
cose che sono sfavorevoli. E ancora: un monaco ad una ammonizione non riconosce
d'aver errato; o è ipocrita e invidioso; o è geloso ed egoista; oppure è astuto
e simulatore; o è ostinato e vano; o si interessa solo di ciò che ha davanti
agli occhi, afferra con ambo le mani e difficilmente si fa distogliere: ecco
ancora altre cose sfavorevoli. Se un monaco non chiede d'essere ammonito, ma con
lui si sta bene, ci sono cose a lui favorevoli, è paziente ed accoglie la
lezione in modo conveniente, allora i fratelli dell'ordine possono ben ritenerlo
meritevole di ammonizione, di ammaestramento, possono stimare una tale persona
degna di familiarità.
Ma quali cose, fratelli, sono favorevoli? Un monaco non è maligno, non è
stimolato da cattivi motivi, questa è una cosa favorevole. Un monaco non fa il
superbo, non ingiuria il prossimo; non è iracondo né divorato dall'ira; e
ancora, non è iracondo né bestemmiatore; non fa sentire irose parole: queste
sono cose favorevoli. E inoltre se è ammonito non scatta contro l' ammonitore;
ammonito, non offende chi l'ammonisce e non lo contraddice; e non cambia
discorso, non rivela fastidio, avversione e sfiducia: anche queste sono cose
favorevoli. E ancora, ammonito non nega d'aver sbagliato; è libero da ipocrisia
e invidia; è libero da gelosia ed egoismo; è libero da astuzia e simulazione; è
privo di ostinazione e vanità; non prende in considerazione solo ciò che ha
dinnanzi agli occhi, non arraffa con ambo le mani e facilmente si fa
distogliere: ecco altrettante cose favorevoli.
Ora, fratelli, un monaco deve esaminare se stesso in questo modo: 'Una
persona maligna che segue l'impulso di cattivi motivi, non mi è cara né gradita;
ma se io fossi così, anch'io sarei malvisto e sgradito'. Avendo capito ciò, il
monaco deve decidere di non voler essere maligno né seguire l 'impulso di
cattivi motivi. Lo stesso deve fare per l'insuperbirsi e l' ingiuriare il
prossimo; per l'essere iracondo e divorato dall'ira. Deve decidere di non voler
essere iracondo e bestemmiatore; né iracondo nel parlare. Deve decidere di non
ribellarsi a chi lo ammonisce, di non offenderlo, di non contraddirlo; di non
sviare il discorso saltando da una cosa all'altra, né mostrare fastidio,
avversione e sfiducia. Deve impegnarsi, ad una ammonizione, di non negare d'aver
sbagliato; di non essere ipocrita e invidioso; di non essere geloso ed egoista;
astuto e simulatore; ostinato e vanesio, interessato solo a ciò che è davanti ai
suoi occhi; arraffatore con ambo le mani e difficile da distogliere. Se non si
comportasse così egli sa che si renderebbe antipatico e sgradito a tutti.
Ora, fratelli, un monaco ha da esaminare se stesso così: 'Sono forse maligno
e seguo l'impulso di cattivi motivi?' Se riconosce di esserlo egli deve lottare
per liberarsi da queste cose cattive e dannose. E altrettanto deve fare per
liberarsi da tutte le altre cose dannose che sono già state più volte enumerate
prima.
Ma, fratelli, se il monaco nel suo esame non può più trovare in sé nessuna di
queste dannose, cattive cose, allora egli ha da curare giorno e notte questo
beata, serena consapevolezza di salute per mantenersi tale. Così come quasi,
fratelli, una donna o un uomo, giovane, fiorente, avvenente, prova a osservare
in uno specchio o in una pura, limpida, lucida superficie d'acqua l'immagine del
proprio volto, e, se in essa scorge macchia o sporcizia, cerca di eliminarle; ma
se non vede alcuna macchia né sporcizia, se ne rallegra; or così appunto,
fratelli, un monaco che nota in sé tutte queste dannose, cattive cose, lotta per
liberarsene. Ma se il monaco nel suo esame non può trovare più in sé nessuna di
tutte queste dannose, cattive cose, allora egli ha da curare giorno e notte
questo beato, sereno esercizio di salute.
Così parlò l'onorevole Mahâmoggallâno. Contenti si rallegrarono quei monaci
per le sue parole.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio
Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella selva del Vincitore,
nel giardino di Anâthapindiko. Là egli si rivolse ai monaci: "Chi di voi,
monaci, non ha perduto le cinque angustie del cuore e non ne ha reciso i cinque
vincoli non può certo in quest'Ordine giungere alla riuscita, alla maturità e
allo sviluppo. Quali sono i cinque affanni del cuore? Un monaco è incerto e
dubita del maestro, non ne ha fiducia, perciò è avverso allo sforzo e alla
fatica, non è costante. Ecco la prima angustia.
Un monaco è incerto e dubita della dottrina, non ne ha fiducia, ed è avverso
allo sforzo e alla fatica, non è costante. Ecco la seconda angustia. Dubita
della comunità, non se ne fida. Ecco la terza. Dubita della regola. Ecco la
quarta. Si secca e si duole dei suoi fratelli dell'Ordine, è abbattuto e
angustiato. Ecco la quinta. Egli, per tutte queste angustie di cui non s'è
liberato, è avverso allo sforzo e alla fatica, non è costante.
Quali sono i cinque vincoli del cuore? Un monaco con la volontà non s'è
spogliato della brama, del desiderio, dell'avidità, dell'arsura, della febbre e
della sete. L'animo suo è avverso allo sforzo e alla fatica, non è costante. Lo
stesso gli accade nel sentire e nel vedere. Al pasto ha mangiato tanto da
soddisfare il suo stomaco, e si compiace di sedere, di giacere, di assopirsi
nella comodità. Un monaco conduce una santa vita con l'intenzione di raggiungere
qualche rinascita divina: "Con questi esercizi o voti, mortificazione o
rinuncia, voglio diventare un dio!" Ecco i cinque vincoli che non sono stati
recisi.
Ora, chi di voi, monaci, ha perduto le cinque angustie del cuore e ha
nettamente reciso i cinque vincoli del cuore, può in quest'Ordine ben giungere
alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo.
Quali sono le cinque angustie che ha perduto? Non tentenna né dubita del
maestro, ne ha fiducia; è incline allo sforzo e alla fatica, è costante. Non
dubita della dottrina, non dubita della comunità, non dubita della regola, non
si secca né si duole dei suoi fratelli dell'Ordine. E quali i cinque vincoli del
cuore che costui ha reciso? Con la volontà s'è spogliato della brama, del
desiderio, dell'avidità, dell'arsura, della febbre e della sete. Lo stesso è
avvenuto nel sentire, nel vedere, nel nutrirsi e nel compiacersi di comodità nel
sedersi, nel giacere e nell' assopirsi. Inoltre ha condotto una santa vita senza
l'intenzione di rinascere come un dio. Così facendo, col suo animo incline allo
sforzo e alla fatica, costante, ha nettamente reciso tutti i vincoli del cuore,
e può in quest'Ordine ben giungere alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo.
Egli raggiunge il mirabile sentiero prodotto dall'intensità della costanza e
dal raccoglimento della volontà, della forza, dell'animo, dell'esame e dell'
eroismo. E questo monaco, divenuto quindici volte eroico, monaci, è capace della
liberazione, capace del risveglio, capace di trovare l'incomparabile sicurezza.
Così, a una chioccia che ha ben covato le sue uova, come potrebbe non venire il
desiderio: "Ah, possano i miei pulcini, con le zampe e col becco, rompere il
guscio; possano essi dunque felicemente liberarsi!". E come quei pulcini che
sono divenuti capaci di rompere il guscio e di liberarsi felicemente, così
appunto un monaco, quindici volte eroico, è capace della liberazione, capace del
risveglio, capace di trovare l' incomparabile sicurezza.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci della sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Savatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai
monaci: "Vi voglio spiegare le specie della solitudine silvestre; fate
attenzione. Un monaco vive in una solitudine silvestre e lì, ancora privo del
sapere, non lo acquista, l'animo distratto non si raccoglie, l'inesausta mania
non si estingue, egli non raggiunge l' incomparabile sicurezza che ancora non
possiede, e ciò di cui un asceta si serve per vivere: vesti, nutrimento,
giaciglio e medicine per le malattie; stenta a trovarlo. Un monaco deve
rendersene conto, deve subito, sia giorno o notte, lasciare quella solitudine,
non rimanere.
Un altro monaco vive in un'altra solitudine e non acquista il
sapere di cui è privo, non trova il raccoglimento dell'animo distratto, non gli
si ,estingue l'inesausta mania, non raggiunge l'incomparabile sicurezza che
cerca, ma ciò di cui un asceta si serve per vivere: vesti, nutrimento,
giaciglio, e medicine per curarsi; ne ha in abbondanza. Ed egli riflette:
'Io non ho lasciato la casa per l'eremo in cerca di vesti,
non per il giaciglio, né per le medicine. Eppure, mentre vivo qui in solitudine,
non raggiungo il sapere, l'animo distratto non si raccoglie, l'inesausta mania
non si estingue e non raggiungo l'incomparabile sicurezza'. Anche questo monaco
deve, dopo un po', lasciare questa solitudine, non rimanere.
Un terzo monaco vive solitario nelle selve, ma acquista il
sapere che gli mancava, riesce a raccogliere l'animo distratto, estingue
l'inesausta mania, raggiunge l'incomparabile sicurezza, ma ciò che serve a un
asceta per vivere: vesti, nutrimento, giaciglio e medicine; gli perviene in modo
stentato. Questo monaco, rendendosi conto di tutto ciò, deve rimanere in questa
solitudine per qualche tempo, non andar via.
Un altro monaco vive nella stessa situazione di solitudine
già detta, acquista sapere, raccoglie l'animo, estingue la mania, raggiunge la
,sicurezza e riesce a procurarsi quanto gli serve di vesti, nutrimento,
giaciglio e medicine. Egli allora deve rimanere tutta la vita in tale
solitudine, non andare via.
Un monaco, invece, vive nei dintorni d'un villaggio, o di una
città, o di una residenza, in compagnia di qualcuno, e si rende conto che non
acquista sapere, non si raccoglie, non estingue la mania, non raggiunge la
sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere lo trova a stento; deve
rendersene conto e deve, di giorno o di notte, senza neppure accomiatarsi da
colui col quale vive, lasciarlo e andarsene, non rimanere.
Un monaco vive in compagnia di un'altra persona, e s'accorge
che non acquista sapere, non si raccoglie, non estingue la mania, non raggiunge
la sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere lo trova in abbondanza,
deve rendersene conto, deve allontanarsi da quella persona, e, senza
accomiatarsi, deve andarsene, non rimanere.
Un monaco vive in compagnia di qualche persona e si accorge
che acquista sapere, si raccoglie, estingue la mania, raggiunge la sicurezza, e
ciò che serve a un asceta per vivere lo trova a stento, deve rendersene conto e
deve rimanere per un po' accanto a quella persone, non andare via.
Un monaco che vive anche lui in compagnia d'un'altra persona
e si accorge che acquista sapere, si raccoglie, estingue la mania, raggiunge la
sicurezza, e ciò che serve a un asceta per vivere lo trova in abbondanza, deve
rimanere per tutta la vita con quella persona, non deve andar via, se non è
mandato via."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci
per le sue parole.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Un giorno soggiornava il Sublime nella terra dei Sakki,
presso la citta' di Kapilavatthu, nel parco dei fichi. E il sublime, per tempo
approntato, prese mantello e scodella e s'avvio' verso la citta' per
l'elemosina. Dopo che l'ebbe ricevuta, torno' indietro, si cibo', quindi si
reco' nella Grande Selva dove dimoro' sotto un gruppo di alberi di bilva fino al
tramonto.
Ora Dandapani, un principe Sakko, per diporto era pervenuto
nella Grande Selva, ivi incontro' il Sublime al quale parlo' cosi':
- Cosa conosce ed annunzia l'asceta?
- Che il conoscitore, fratello, per nulla al mondo si turba,
che non pone piu' domanda, ha estirpato ogni disgusto e non brama piu' ne'
esistenza, ne' non esistenza, non aderiscono percezioni: questo conosco, questo
annunzio.
A tali parole il Sakko Dandapani abbasso' il capo, fece
vedere la lingua, sollevo' i sopraccigli con tre rughe nella fronte e,
appoggiato al suo bastone, ando' via di la'.
Ora, quando verso sera il Sublime ebbe finito la meditazione,
si rivolse ai monaci e racconto' loro il dialogo col Sakko Dandapani. A queste
parole si volse uno dei monaci al Sublime e disse:
- E come, o Signore, il Sublime per nulla al mondo si turba,
non aderiscono percezioni, come ha estirpato ogni disgusto e non brama ne'
esistenza ne' non esistenza?
- Se le percezioni di differenza, o monaco, comunque anche
determinate, si presentano secondo la serie all'uomo e non vi trovano incanto,
ne' eco, ne' appoggio, allora e' cio' appunto la fine degli attaccamenti del
piacere, del disgusto, della fede, del dubbio, della vanita', della sete,
dell'ignoranza, dell'infuriare della guerra, discordia, lite e contesa, menzogna
e frode: cosi' queste dannose, cattive cose, vengono totalmente disciolte.
Cosi' parlo' il Sublime. Dopo queste parole si alzo' dal suo
posto e rientro' nell'eremo.
Allora quei monaci si dissero l'un l'altro: il Sublime,
fratelli, ci ha dato questo insegnamento in breve sunto, senza trattarne
estesamente; chi potrebbe ora trattare estesamente il contenuto di questa
dottrina? E dissero tra di loro': l'onorevole Mahakaccano viene dal Maesro
stimato e dagli intelligenti fratelli dell'Ordine onorato, e sarebbe bene in
grado di trattare estesamente questa dottrina; se ora dunque ci recassimo
dall'onorevole Mahakacanno e lo pregassimo di esporcene il contenuto?
Quei monaci si recarono dunque dall'onorevole Mahakaccano e
gli esposero il breve sunto del Sublime pregando di esporre loro il contenuto.
- Cosi' come, o fratelli, se un uomo che cerca legno lo
andasse a cercare nel fogliame di un grande albero, cosi' avete trascurato il
Sublime ed aspettate da me la soluzione del tema. Eppure, fratelli, il Sublime
e' il Conoscitore, il Vate, l'Occhio, divenuto cognizione, verita', santita',
egli e' l'annunziatore, lo scopritore del contenuto, il largitore dell'immortalita',
il signore della verita', il Compiuto. E vi era anche tempo perche' voi poteste
interrogare il Sublime stesso e serbare questo oggetto conforme alla spiegazione
del Sublime.
- E' vero, fratello Kaccano, tuttavia l'onorevole Mahakaccano
e' stimato dal Maestro, onorato dagli intelligenti fratelli dell'ordine, dunque
e' bene il caso che egli esponga estesamente il contenuto di quella dottrina
data in breve dal Sublime.
- Allora dunque, fratelli, ascoltate e fate bene attenzione.
Se le percezioni di differenza, comunque anche determinate, si presentano in
serie all'uomo e non vi trovano incanto, ne' eco, ne' appoggio, allora cio' e'
appunto la fine degli attaccamenti del piacere, del disgusto, della fede, del
dubbio, della vanita', della sete, dell'ignoranza, allora e' la fine
dell'infuriare e versare sangue, guerra, discordia, lite e contesa, menzogna e
frode: cosi' queste cose dannose vengono totalmente disciolte. Questa dottrina
esposta in breve dal Sublime, io l'espongo estesamente cosi': Mediante la vista
e le forme ha origine la coscienza visiva; la combinazione delle tre origina il
contatto, dal contatto e' determinata la sensazione, quel che si sente si
percepisce, quel che si percepisce si distingue, quel che si distingue si
differenzia, quel che si differenzia, determinato da cio', ci si presenta in
serie come percezioni di differenza nelle forme di tempi passati, presenti e
futuri, che penetrano nella coscienza visiva. Lo stesso per l'udito, l'olfatto,
il gusto, il tatto, il pensiero. Ora, o fratelli, se non esiste vista, forma e
coscienza visiva, non appare il contatto, se non appare il contatto, non appare
la sensazione, se non appare la sensazione non appare la percezione, se non
appare la percezione non appare la distinzione, allora non appariranno le
percezioni di differenza presentantesi in serie. Lo stesso per udito, olfatto,
gusto, tatto, pensiero. Cio', o monaci, io considero come l'estesa esposizione
di quella dottrina che il Sublime vi ha dato in breve compendio.
Allora quei monaci, rallegrati dal discorso dell'onorevole
Mahakaccano, si recarono dal Sublime e ripeterono cio' che in tal modo era stato
loro esposto dall'onorevole Mahakaccano.
- Sapiente, voi monaci, e forte di scienza e' Mahakaccano: io
stesso avrei spiegato l'oggetto precisamente cosi' ed e' cosi' che voi dovete
serbarlo.
A queste parole l'onorevole Anando si rivolse al Sublime
cosi':
- Cosi' come, o Signore, un uomo abbattuto da fame debolezza
trovasse un buon boccone; se lo godesse, provasse grato gusto e soddisfazione;
alla stessa stregua un monaco che s'e' imposta la sua educazione spirituale a
poco a poco rendendosi familiare col corso di questa dottrina, puo' ben trovare
appagamento e conseguire tranquillita' di spirito. Che nome, dunque, deve avere
il corso di questa dottrina?
- Allora, Anando, serba il corso di questa dottrina col nome
del buon boccone.
Cosi' parlo' il Sublime. Contento si rallegro' Anando della
parola del Sublime
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai
monaci: "Una volta, quando ancora non avevo conseguito il pieno risveglio e, da
Bodhisatta, anelavo solo ad esso, mi venne questo pensiero: 'Se io ora dividessi
il mio pensare in due parti contrapposte?'. E allora divisi da un lato il
pensiero dell'insistere, del danneggiare e dell' infuriare, e dall'altro il
pensiero del rinunciare, del non danneggiare e del non infuriare. Ora, quando in
questo sforzo serio, solerte, impegnativo, mi si presentava il pensiero
dell'insistere, del danneggiare o dell'infuriare, mi dicevo: 'Mi si sono
presentati i pensieri dell'insistere, del danneggiare o dell'infuriare, ma essi
limitano se stessi, limitano altri pensieri, limitano entrambi, distolgono dalla
sapienza, portano turbamento, non conducono all'estinzione, sono limitanti'. E
mentre pensavo ciò l' insistere, il danneggiare e l'infuriare si dissolvevano.
Ciò che un monaco considera e pondera a lungo, influenza la
mente. Se considera e pondera di insistere, allora ha ripudiato quella del
rinunciare, ha accresciuto la decisione di insistere, e il suo cuore è
influenzato da tale decisione. Lo stesso accade se a lungo delibera e pondera di
danneggiare o di infuriare: il cuore è influenzato da tali decisioni. Quando un
mandriano, nell'ultimo mese della stagione delle piogge, in autunno, quando la
messe è raccolta, raduna le sue mandrie, sollecita e spinge i buoi qua e là e li
porta alle stalle, perché lo fa? Perché altrimenti il mandriano dovrebbe
attendersi inconvenienti o perdite, disgrazie o danni: allo stesso modo io vidi
la miseria, la bassezza, la sozzura di ciò che è dannoso, e l'utile effetto di
ciò che è salutare nella rinunzia.
Quindi, allorché in questo sforzo serio, solerte,
impegnativo, mi si presentava la decisione di rinunziare, io mi dicevo: 'Ho
deciso di rinunziare: ciò non mi limita, non limita gli altri, non limita
nessuno, promuove la sapienza, non porta turbamento, conduce all'estinzione. Se
ora decidessi la rinunzia e la esaminassi di giorno e di notte, non trovando in
essa nulla di temibile, ma continuassi a considerare ed esaminare a lungo tale
decisione, il corpo si stancherebbe, col corpo stanco il cuore s'
infiacchirebbe, e il cuore fiacco non favorisce il raccoglimento'. Quindi,
monaci, io raccoglievo strettamente il mio cuore, lo placavo, lo riunivo, lo
rafforzavo perché non si indebolisse. Allorché in questo sforzo serio, solerte,
impegnativo, mi si presentava la decisione di non danneggiare, di non infuriare,
io pensavo e facevo le stesse cose.
Ciò che un monaco considera e pondera a lungo, influenza la
mente. Se considera e pondera di rinunziare, allora egli ha ripudiato la
considerazione dell'insistere, ha accresciuto la considerazione del rinunziare,
e il suo cuore è influenzato da tale decisione. Lo stesso accade per la
deliberazione di non danneggiare e di non infuriare.
Come quando un mandriano, nell'ultimo mese dell'estate,
quando la messe nei campi tutt'intorno è in piena maturazione, deve guardare le
sue mandrie e fare bene attenzione nel bosco come sul prato; così dovevo fare
anch'io bene attenzione alle mie cose. Ferrea era però la mia forza,
inflessibile; presente il sapere, irremovibile; placato il corpo, impassibile;
raccolto l'animo, unificato. E io restavo, monaci, lontano da brame, lontano da
cose non salutari, in sentita, pensante, nata da pace beata serenità, nella
prima contemplazione. Dopo il compimento del sentire e pensare io raggiunsi con
l'interna calma, l 'unità dell'animo, la beata serenità libera di sentire e
pensare, nata dal raccoglimento, la seconda contemplazione. In serena pace io
restavo equanime, savio, chiaro cosciente, provavo nel corpo la felicità di cui
i santi dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così raggiunsi la terza
contemplazione. Dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo l' annientamento
della letizia e della tristezza di prima, io raggiunsi la non triste, non lieta,
equanime, savia, perfetta purezza, quarta contemplazione.
Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto, libero da
scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io indirizzai l'animo
alla memore conoscenza di anteriori forme di esistenza. E mi ricordai di molte
diverse anteriori forme di esistenza. Una vita, due, tre, quattro, cinque vite;
dieci vite, venti, trenta, quaranta, cinquanta vite; poi di cento, mille,
centomila vite; poi delle epoche durante parecchie formazioni e trasformazioni
di mondi. 'Là ero io, avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era
il mio stato, quella la mia attività, provai tale bene e tale male, così finì la
mia vita; trapassato di là, io entrai altrove di nuovo in esistenza: ora ero
qua, avevo questo nome, appartenevo a questa famiglia, questo era il mio stato,
questa la mia attività, provai tale bene e male, così fu la fine della mia vita;
.
Così io mi ricordai di molte diverse anteriori forme
d'esistenza, ognuna coi propri contrassegni, ognuna con le sue speciali
relazioni. Questa prima conoscenza, monaci, io l'avevo conquistata nelle prime
ore della notte, dissipata l'ignoranza, acquistata la conoscenza, dissipata la
tenebra, acquistata la luce, mentre io rimanevo in così serio, solerte,
impegnativo sforzo.
Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto, libero da
scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, io indirizzai l'animo
alla cognizione dello sparire e apparire degli esseri. Con l'occhio celeste,
rischiarato, sopraterreno io vidi gli esseri sparire e riapparire, volgari e
nobili, belli e brutti, felici e infelici; io riconobbi come gli esseri
riappaiono sempre secondo le azioni. 'Questi cari esseri sono certo non retti in
azioni, in parole, in pensieri, biasimano ciò che è salutare, stimano ciò che è
dannoso, fanno ciò che è dannoso; con la dissoluzione del ;corpo, dopo la morte,
essi giungono giù, su cattivi sentieri, alla perdizione, in un mondo infernale.
Quest'altri esseri però che sono retti in azioni, parole, pensieri, non
biasimano ciò che è salutare, stimano e fanno ciò che è retto; con la
dissoluzione del corpo, dopo la morte, essi pervengono su buoni sentieri, in un
mondo celeste. Ciò vidi io. Questa è la seconda conoscenza che io avevo
conquistata nelle ore mediane della notte, dissipata l'ignoranza, acquistata la
scienza, dissipata la tenebra, acquistata la luce mentre il mio sforzo
continuava.
Con tale animo io indirizzai l'animo alla cognizione
dell'estinguersi della mania. 'Compresi conforme a verità: questo è il dolore,
questa è la sua origine, questo è il suo annientamento e questa è la via che
porta al suo annientamento. Compresi conforme a verità: questa è la mania,
questa la sua origine, questo il suo annientamento e questa la via che porta al
suo annientamento'. Così riconoscendo, così vedendo, il mio animo fu redento
dalle manie del desiderio, dell'esistenza, dell'errore. Sorse questa conoscenza:
'Nel redento è la redenzione. Esausta è la vita, compiuta la santità, operata
l'opera, non esiste più questo mondo.' Questa, monaci, è la terza conoscenza che
avevo conquistata nelle ultime ore della notte.
Così come se un grosso branco di selvatici di una boscosa
valle fosse giunto ad un vasto suolo paludoso; e un cert'uomo che volesse il
male dei selvatici, che tramasse contro di essi perdizione e danno, per questo
sbarrasse loro la via sicura, favorevole, giusta da percorrere, e lasciasse
aperta la via sbagliata che conduce alla palude e là li facesse finire: allora
il grosso branco presto sparirebbe, non potrebbe sopravvivere. Se invece un
altro uomo, impietosito per il branco, che pensasse al suo bene e alla sua
salvezza, indicasse la via verso la salvezza e sbarrasse l'altra via, sprangasse
i valichi verso la palude e allontanasse di là gli animali: allora il branco si
salverebbe, crescerebbe, fiorirebbe e prospererebbe.
Questo che vi ho fatto è un paragone il cui senso è questo:
il vasto suolo paludoso indica il desiderio; il grosso branco di selvatici
indica la comunità dei viventi; l'uomo malvagio indica la natura maligna; la via
errata, monaci, è il contrario dell'ottuplice sentiero ossia falso sentiero,
false conoscenza, intenzione, parola, azione, vita, falsi sforzo, sapere e
raccoglimento. I valichi verso la palude indicano il piacere della
soddisfazione; l'andare verso la palude indica l'ignoranza. Ma l'uomo pietoso
che pensa al bene, alla salvezza, monaci, indica il Compiuto, il Santo, perfetto
Svegliato. E la via sicura che è favorevole, che porta alla salvezza indica il
santo sentiero ottopartito.
E così, monaci, ho indicato la via sicura, favorevole, lieta
da percorrere, ed ho sbarrata la via maligna, ho sprangato i valichi che portano
alla palude, ho impedito l'andare nella palude. Ciò che un maestro, per amore e
simpatia, mosso da compassione, deve ai discepoli, voi lo avete da me ricevuto.
Qui, monaci, vi invitano gli alberi, e là vuoti eremi. Operate contemplazione,
monaci, per non diventare negligenti, per non dovervene poi pentire: questo è il
nostro precetto.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci per
le sue parole.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Signore si rivolse agli
uomini:
"Chi tende all'alto, monaci, deve di tempo in tempo tenere
presenti cinque specie di idee. Se un monaco concepisce o si raffigura un'idea,
e facendo ciò sorgono in lui deliberazioni nocive e indegne, immagini di brama,
diavversione e di accecamento, allora il monaco deve passare a un'altra idea, a
una immagine degna. Così facendo si disperdono, si dissolvono le deliberazioni
nocive e indegne, le immagini di brama, di avversione e di accecamento; cosicché
l'intimo cuore si rinsalda, si calma, diviene unito e forte. Così come un abile
muratore o garzone muratore con un cuneo sottilepuò estrarre e espellerne uno
grosso, così un monaco con un'idea degna e valida può scacciarne un'altra nociva
e indegna.
Se nel farlo sorgono ancora in lui deliberazioni nocive e
indegne, immaginidi brama, di avversione e di accecamento, allora egli deve
considerare la miseria di tali deliberazioni indegne, dannose, che provocano
dolore. Nel farlo esse si disperdono, si dissolvono, e il cuore si rinsalda, si
calma, diviene unito e forte. Così come una donna o un uomo giovani, fiorenti,
avvenenti potrebbero spaventarsi se fosse loro legata al collo una carogna di
serpe, di cane o una carogna umana; allo stesso modo un monaco che nel suo
sforzo di elevarsi vedesse sorgere ancora in lui deliberazioni nocive e indegne,
immagini di brama, di avversione e di accecamento, dovrebbe nel considerarne la
miseria, vederle disperdersi, dissolversi.
Se in costui, mentre considera la miseria di quelle
deliberazioni, sorgono ancora altre considerazioni nocive, indegne, immagini di
brama, avversione e accecamento, egli non deve concedere loro alcun senso,
alcuna attenzione. Nel farlo esse scompaiono, e, avendole superate il suo cuore
si rinsalda, si calma, diventa unito e forte. Così come un uomo di buona vista
che non voglia badare a fenomeni penetranti nel suo spazio visivo, può chiudere
gli occhi o guardare altrove; altrettanto può un monaco non concedere a quelle
considerazioni alcun senso, alcuna attenzione. Così facendo egli le vedrebbe
sparire, e, avendole superate, il cuore gli si rinsalderebbe, si calmerebbe,
diverrebbe unito e forte.
Se in costui, quantunque egli non conceda a quelle
considerazioni alcun senso, alcuna attenzione, sorgono altre deliberazioni
nocive e indegne, egli deve farle svanire una dopo l'altra, in serie. Mentre lo
fa le deliberazioni si disperdono, si dissolvono. Così come se un uomo
camminasse in fretta e gli venisse il pensiero: ' Perché sto camminando in
fretta? Voglio andare più adagio '. E, mentre va più adagio, gli venisse il
pensiero: ' Ma perché cammino anzitutto? Voglio rimanere fermo '. E, essendo
fermo, pensasse: ' Perché sto in piedi? Mi siederò '. E, essendo seduto,
pensasse: ' Perché dovrei solo sedermi? Mi voglio distendere '. E se si
distendesse egli avrebbe tralasciato i movimenti più accentuati e avrebbe
progressivamente attuato quelli meno accentuati; alo stesso modo un monaco, se,
a dispetto del suo disprezzo e rigetto di quelle considerazioni, sorgono ancora
in lui deliberazioni nocive e indegne, deve farle sparire una dopo l'altra, in
serie.
Se ancora una volta, mentre egli fa svanire una dopo l'altra
quelle deliberazioni, ne sorgono delle altre, egli deve, a denti stretti e
lingua aderente al palato, con la volontà, sottoporre, comprimere e abbattere l'
animo. Mentre lo fa le cattive deliberazioni scompaiono e, poiché egli le ha
superate, si rinsalda l'intimo cuore, si calma, diviene unito e forte. Se
dunque, monaci, in uno di voi, nel concepire un'idea, nel raffigurarsi un'idea,
sorgono deliberazioni nocive e indegne, immagini di brama, di avversione e di
accecamento ed egli passa ad un'altra immagine degna; se poi egli considera la
miseria di quelle deliberazioni; non concede a quelle deliberazioni alcun senso,
alcuna attenzione; le fa svanire una dopo l' altra; e, a denti strette e lingua
aderente al palato, con la volontà domina l'animo, lo comprime, lo abbatte, le
deliberazioni nocive e indegne, le immagini di brama, di avversione e di
accecamento si disperdono, si dissolvono, e, poiché le ha superate, si rinsalda
l'intimo cuore, si calma, diviene unito e forte.
Costui, monaci, viene chiamato signore sulle specie delle
deliberazioni. Quale deliberazione vuole, quella avrà; quale deliberazione non
vuole, quella non l'avrà. Egli ha spento la sete, respinto i vincoli, con la
completa conquista della mania ha messo fine al dolore."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci
della sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Proprio allora l'onorevole
Moliyaphagguno si tratteneva in un momento inopportuno in compagnia delle
monache, e, se qualcuno dei monaci biasimava davanti a lui quelle monache, egli,
indispettito e irritato, reagiva subito con un rimprovero; e, se, qualcuno dei
monaci biasimava l'onorevole Moliyaphagguno davanti alle monache, esse,
ugualmente indispettite e irritate, reagivano allo stesso modo.
Allora un monaco si recò dal Sublime, lo salutò
riverentemente, si sedette accanto e gli riferì l'accaduto. Il Sublime allora
chiese a un monaco di andare da Moliyaphagguno e di dirgli che desiderava
vederlo. Quando egli giunse, il Sublime gli disse ciò che gli era stato riferito
e gli chiese se era vero. Moliyaphagguno rispose che sì, era vero.
Il Sublime gli chiese: "Non hai tu dunque, come un nobile
figlio mosso da fiducia, lasciato la casa per l'eremo?" Avendogli Moliyaphagguno
risposto di sì, il Sublime continuò: "Non sta bene che tu abbia fatto ciò che mi
è stato riferito, devi smettere di reagire e devi ben esercitarti così: 'Non
deve l'animo mio essere turbato, nessuna parola cattiva deve sfuggire dalla mia
bocca, voglio rimanere amichevole e compassionevole, con animo amorevole, senza
segreta malizia'. Perciò se anche qualcuno in tua presenza battesse con pugni
quelle monache, tirasse loro pietre, le battesse con mazze, le colpisse con
spade allora tu, Phagguno, dovrai evitare tutti i moti volgari, tutte le
decisioni volgari, e dovrai esercitarti nel modo che ti ho detto. Lo stesso se
qualcuno vuole biasimarti, e ancora lo stesso se qualcuno ti battesse con pugni,
ti gettasse pietre, ti bastonasse con mazze, ti colpisse con spade."
E ora il Sublime si rivolse ai monaci: "Una volta i monaci mi
venivano incontro con fiducia, e io mi rivolgevo ad essi dicendo: 'Io prendo
solitario pasto, e, così facendo, conservo salute e freschezza, validità, forza
e benessere. Fate anche voi come me, e ne avrete gli stessi benefici'. E a quei
monaci non occorreva altra esortazione da me, solo il loro sapere era da
svegliare. Come se sopra un buon terreno, all'imbocco di quattro strade, fosse
pronto un eccellente attacco, fornito della relativa frusta; e un maestro
dell'arte di guidare, un esperto auriga, salisse su questo carro, prendesse le
redini con la sinistra, la frusta nella destra, e andasse come gli pare e piace
qua o là: così appunto quei monaci non avevano bisogno di alcuna esortazione da
me: solo il loro sapere era da svegliare. Perciò, monaci, rinnegate il dannoso,
siate costanti in ciò che è salutare, perché così anche voi, in questo ordine,
giungerete alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo.
Come se, nelle vicinanze d'un villaggio o d'una città, vi
fosse un fitto bosco pullulante di arbusti di ricino, e uno si impietosisse
degli alberi e si mettesse a prendersene cura: tagliasse i tronchi curvi e
secchi, li portasse via e tenesse netta la selva ben diboscata, curasse
attentamente i tronchi diritti, ben cresciuti;certamente tale selva giungerebbe
alla riuscita, alla maturità e allo sviluppo: così anche voi, monaci, rinnegate
il dannoso, siate costanti in ciò che è salutare, e riuscirete. Una volta viveva
qui in Sâvatthî un massaia di nome Vedehikâ. Essa, che godeva buona fama
d'essere mite e pacifica, aveva una serva di nome Kâlî che, lesta e diligente,
svolgeva bene le sue diverse faccende. Alla serva venne un dubbio: 'La mia
padrona gode certo di buona fama, ma nasconde solo internamente la sua bile, o
ne è priva? Forse io faccio tutte le mie faccende così bene che la padrona non
può mostrare il brutto carattere che ha? Voglio proprio, almeno una volta,
mettere la mia padrona alla prova!' La serva allora, il mattino seguente, si
alzò a giorno fatto. La padrona le chiese come mai. La serva rispose che a lei
non importava. La massaia, incollerita e sdegnata, con le sopracciglia corrugate
replicò che invece a lei importava. Ma la serva volle mettere la padrona a più
forte prova, e si alzò ancora più tardi. Vi fu un altro duro scontro verbale.
Per vedere fino a che punto la padrona avrebbe davvero perso la pazienza, Kâlî
si alzò ancora più tardi di prima. La padrona, esasperata, afferrò il paletto
della porta e glielo tirò sulla testa. La serva Kâlî, con la testa rotta,
grondante sangue, corse dai vicini, e gemendo si lamentava: 'Guardate, brava
gente, l'opera della mite, della pacifica; guardate cosa passa una serva sotto
un stimata padrona.' E alla massaia venne ora una brutta fama: 'Violenta è la
massaia Vedehikâ, furiosa, manesca è la massaia Vedehikâ!' Così, monaci, accade
che un monaco è dolce, mite e pacifico quando lo toccano modi di parlare
graditi; ma se i modi sono sgraditi deve ugualmente mostrarsi dolce, mite e
pacifico. Io non chiamo mite il monaco che diviene mite, che guadagna mitezza se
gli vengono offerte vesti, elemosine, giaciglio e, in caso di malattia,
medicine, perché non sarebbe mite se nulla gli fosse offerto. Però un monaco che
stima, onora e pregia la verità, e per questo diviene mite, quello io lo chiamo
mite. Così devono esercitarsi i monaci a sopportare.
Vi sono cinque specie di modi di parlare che le persone che
vi stanno davanti possono usare: tempestivo o intempestivo, sensato o insensato,
civile o villano, conveniente o sconveniente, amorevole o maligno. Le persone
possono parlare in tutti questi modi, quindi voi, monaci, dovete ben esercitarvi
a non esserne turbati, a non lasciar sfuggire dalla bocca nessuna cattiva
parola, a rimanere amichevoli e compassionevoli, con animo amorevole, senza
segreta malizia. E dovete esercitarvi a irradiare la persona che vi sta davanti
con animo amorevole, e poi, cominciando da quella, a irradiare il mondo intero
con animo amorevole, con animo ampio, profondo, illimitato, privo di rabbia e
rancore. Come se arrivasse un uomo provvisto di zappa e cofano e dicesse di
voler sterrare l'intera terra, e scavasse qua e là, rimuovesse qua e là, dicendo
più volte: 'Senza terra devi tu divenire.' Cosa ne pensate? Potrebbe forse
quell'uomo sterrare la terra?" "Certamente no, Signore! La terra è ben profonda,
immensa, non la si può sterrare per quanto quell'uomo voglia affaticarsi e darsi
da fare." "Così appunto le persone possono servirsi di cinque modi di parlare
[impossibili da eliminare], ma voi monaci dovete ben esercitarvi nel modo che
poc'anzi vi ho indicato.
Come se arrivasse un uomo provvisto di lacca o curcuma,
indaco o carminio, e dicesse: 'Io disegnerò nel cielo delle figure, dipingerò un
quadro'. Vi sembra possibile?" "Certamente no, Signore! Il cielo è informe,
invisibile, non vi si può disegnare una figura, dipingere un quadro, per quanta
fatica e impegno quell'uomo possa metterci."
" Così appunto le persone possono servirsi di cinque modi di
parlare, ma voi monaci dovete ben esercitarvi nel modo che vi ho già indicato.
Come se arrivasse un uomo provvisto di un fascio di paglia acceso, e dicesse:
'Con questa fascina accesa farò evaporare il Gange, completamente.' Vi pare che
ci riuscirebbe?"
"Certamente no. Il Gange è profondo, smisurato, non ci
riuscirebbe mai. Oppure se vi fosse un mantice di pelle di gatto, ben conciato,
morbido, e arrivasse un uomo con una pietra o un bastone, e dicesse: 'Riporterò
in vita e in forza questa pelle di gatto.' Potrebbe?"
"Certamente no. Con una pietra o un bastone non potrebbe
assolutamente!'
"O ancora, monaci, se briganti e assassini con una sega da
alberi vi staccassero articolazioni e membra, chi per questo provasse furore non
adempirebbe il mio insegnamento. Quindi voi monaci dovete ben esercitarvi a non
essere turbati, a non lasciar sfuggire dalla bocca nessuna cattiva parola, a
rimanere amichevoli e compassionevoli, con animo amorevole, senza segreta
malizia. E dovete esercitarvi a irradiare chi vi sta davanti, con animo
amorevole, e poi, cominciando da quella, a irradiare il mondo intero con animo
amorevole, con animo ampio, profondo, illimitato, privo di rabbia e rancore. Di
questo insegnamento col paragone della sega vogliate voi spesso ricordarvi.
Sapete, monaci, di un modo di parlare che ora non potreste sopportare?"
"Veramente no, Signore!"
"Perciò, dunque, ricordatevi spesso di questo insegnamento
col paragone della sega: esso vi riuscirà largamente di bene, di salute."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci
delle sue parole.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta soggiornava il Sublime presso Savatti, nella selva
del Vincitore. In quel tempo un monaco a nome Arittho, gia' cacciatore di
avvoltoi, aveva manifestato la seguente falsa opinione:
- Cosi' intendo io la dottrina annunziata dal Sublime, che
quelle azioni designate dal Sublime come dannose, non riescono necessariamente a
danno di chi le fa.
Ora venne a molti monaci agli orecchi cio' che Arittho
diceva, andarono presso di lui e gli chiesero se era vero che egli avesse
concepito tale falsa opinione. Avutane conferma, quei monaci vollero distogliere
Arittho dalla sua falsa opinione, gli si volsero, gli parlarono, lo
ammaestrarono:
- Non parlare cosi', fratelo Arittho, non correggere il
Sublime, non e' bene correggere il Sublime, non puo' il Sublime aver detto cio'.
In varia guisa, fratello Arittho, vennero spiegate dal Sublime le azioni
dannose, ed esse riescono necessariamente di danno a chi le fa. Inappaganti sono
le brame, ha detto il Sublime, piene di dolore, piene di spasimo: la miseria
prepondera. Ad ossa spolpate ha paragonato il Sublime le brame: a brani di
carne; a paglia infiammata; a carboni accesi; a visioni di sogno; ad
accattonaggio; a frutti d'albero; a tagli di spade; a punte di lance; simili a
fauci di serpi sono le brame, piene di dolore, piene di spasimo, la miseria
prepondera.*
Ma Arittho il monaco, gia' cacciatore di avvoltoi, sebbene
cosi' sollecitato, ammonito ed ammaestrato, si tenne tenacemente fermo nella sua
opinione.
Ora, quando i monaci videro che non potevano distogliere
Arittho dalla sua falsa opinione, si recarono dal Sublime, gli dissero delle
false opinioni di Arittho e di come essi avevano tentato di distoglierlo. Allora
il Sublime disse ad uno dei monaci di chiamare il fratello Arittho. Quando fu al
Suo cospetto, gli parlo' cosi':
- E' vero Arittho, che tu hai concepito tale falsa opinione:
cosi' comprendo io la dottrina annunciata dal Sublime, che quelle azioni
designate dal Sublime come dannose, non riescono necessariamente di danno a chi
le fa?
- Cosi' e' sicuro: io, o Signore, comprendo la dottrina in
questo modo.
- Da chi tu dunque, hai sentito, uomo vano, che io abbia
annunziata una tale dottrina? Non ho io, o uomo vano, in varia guisa spiegato le
azioni dannose, ed esposto che esse riescono necessariamente di danno a chi le
fa?
Ed il Sublime si volse ai monaci:
- Comprendete anche voi, o monaci, l'annunziata dottrina
cosi', come l'intende questo monaco Arittho, che malintesamente ci corregge e
scava a se stesso la fossa e si crea grave danno?
- Non cosi' o Signore! In varia guisa il Sublime ci ha ben
spiegato le azioni dannose ed esposto come esse necessariamente riescono di
danno a chile fa. Inappaganti sono le brame, ha detto il Sublime, piene di
dolore, piene di spasimo: la miseria prepondera.
- Bene, voi monaci, bene che voi comprendiate cosi'
l'annunziata dottrina. Ma vi sono, voi monaci, anche uomini vani che apprendono
la dottrina; quantunque abbiano appreso la dottrina, essi non ricercano con
sapienza il senso della dottrina: per cui le dottrine non forniscono loro alcun
sapere. Essi non imparano le dottrine se non per poter esprimere su di esse
discorsi ed opinioni. Lo scopo, per cui apprendono le dottrine, essi non lo
scorgono. A costoro le male apprese dottrine riescono largamente di danno e di
dolore, perche' essi hanno afferrato male le dottrine. E' come se, o monaci, un
uomo che brama serpi, esce per serpi, cerca serpi, trovasse un possente serpe e
l'afferrasse per il corpo o la coda: il serpe si scaglierebbe su di lui e lo
morderebbe alla mano, al braccio o in un altro membro, sicche' l'uomo ne
patirebbe la morte o mortale dolore. Ma vi sono, o monaci, anche nobili figli
che apprendono le dottrine e ricercano con pazienza il senso delle dottrine, e
queste forniscono loro il sapere. Essi non imparano le dottrine solo per poter
esprimere su di esse discorsi ed opinioni, ma scorgono lo scopo delle dottrine
che, in questo modo, riescono loro largamente di vantaggio, di salute, perche'
hanno afferrato bene le dottrine. E' come se, o monaci, un uomo che brama serpi,
cerca serpi, esce per serpi, trovasse un possente serpe e con un bastone forcuto
lo abbattesse quindi lo pigliasse stretto per il collo: anche se il serpe col
suo corpo avvinghiasse mano o braccio od altro membro dell'uomo, non per questo
l'uomo avrebbe da temere morte ne' mortale dolore, perche' egli ha afferrato
bene il serpe.
Percio', voi monaci, cio' che voi del senso del mio discorso
intendete, quello serbate fedelmente, ma cio' che non intendete, quello debbo
discuterlo con voi affinche' vi siano monaci bene istruiti.
Come zattera, voi monaci, voglio mostrarvi la dottrina, atta
a salvarsi, non a tenere. Ascoltate e fate bene attenzione.
Cosi' come se un uomo in cammino pervenisse ad una grande
distesa d'acqua, la riva di qua piena di pericoli e paure, la riva di la' sicura
e senza pericoli, e non vi fosse nessuna barca per il traghetto, nessun ponte.
Se quest'uomo pensasse: se io ora raccogliessi canne e tronchi, foglie e fascine
e costruissi una zattera e mediante questa tragittassi sull'altra riva? E,
costruita la zattera, tragittasse in salvo sull'altra riva e pensasse cosi':
carissima mi e' veramente questa zattera che mi ha portato in salvo sull'altra
riva; e se io ora mi ponessi sul capo questa zattera o me la caricassi sulle
spalle, e me ne andassi dove voglio; che pensate voi di cio', monaci? Quest'uomo
con tale agire tratterebbe forse convenientemente la zattera?
- Certamente no, o Signore!
- Se quest'uomo salvato, tragittato, riflettesse cosi':
carissima mi e' veramente questa zattera che mi ha portato in salvo sull'altra
riva; e se io ora posassi questa zattera sulla riva o la gettassi nell'onda e me
ne andassi dove voglio; con tale agire veramente, voi monaci, tratterebbe
convenientemente la zattera. In questo modo, voi monaci, io ho esposto la
dottrina come zattera, atta a salvarsi, non a tenere.
Voi che il paragon della zattera bene intendete anche il
giusto, taccio l'ingiusto, lasciare dovete.
- Sei false dottrine, voi monaci, vi sono: l'inesperto uomo
comune dei santi inconsapevole, ignaro, estraneo alla dottrina, dei nobili
inconsapevole ignaro ed estraneo alla dottrina dei nobili, considera il corpo;
la sensazione; la percezione; le distinzioni; cio' che e' visto, sentito,
pensato, riconosciuto, raggiunto, esaminato, ricercato nello spirito; la
dottrina che insegna: cio' e' il mondo, cio' e' l'anima, cio' diverro' io dopo
la mia morte, imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente eguale,
certo cosi' io rimarro'; di tutte queste cose egli ritiene: cio' mi appartiene,
cio' sono io , cio' e' me stesso. L'esperto santo uditore pero', voi monaci, di
tutte queste cose egli ritiene: cio' non mi appartiene, cio' non sono io, cio'
non e' me stesso. Considerando cosi' le cose egli non conosce alcun
irragionevole tremore. A queste parole si volse uno dei monaci al Sublime:
- Puo' forse sopravvenire irragionevole tremore per ragioni
esteriori?
- Puo' essere, o monaco, - disse il Sublime - per esempio, un
uomo viene in questo stato d'animo: Io l'ho perduto, ahime', non lo posseggo
piu'! Oh l'avessi io di nuovo! Ah, non l'otterro' mai piu'! Egli e' triste,
affranto, si lagna, si batte gemendo il petto e cade in disperazione. Cosi' o
monaco, sopravviene irragionevole tremore per ragioni esteriori.
- E puo' forse, o Signore, cessare irragionevole tremore per
ragioni esteriori?
- Puo' essere, o monaco, - disse il Sublime - un uomo non
viene in questo stato d'animo: Io l'ho perduto, ahime' non lo posseggo piu'! Oh,
l'avessi io di nuovo! Ah, non l'otterro' mai piu'! Ed egli non e' triste, non
affranto, non si lagna, non si batte gemendo il petto e non cade in
disperazione. Cosi' o monaco, cessa irragionevole tremore per ragioni esteriori.
- Ma puo', o Signore, sopravvenire irragionevole tremore per
ragioni interiori?
- Puo' essere, o monaco, - disse il Sublime - per esempio un
uomo crede: cio' e' il mondo, cio' e' l'anima, cio' diverro' io dopo la mia
morte, imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente eguale, certo
cosi' io rimarro'. Egli sente dal Compiuto o da un discepolo l'annunzio della
dottrina, che distrugge dalle fondamenta ogni attaccamento e soddisfazione in
false dottrine, dogmi e sistemi, che mena alla distruzione di ogni esistenza, al
distacco da ogni attaccamento alla vita, all'annientamento della sete di vivere,
alla fine della manìa, alla dissoluzione, all'estinzione. Allora egli viene in
tale stato d'animo: Io periro', io finiro', ahime'! non saro' piu'. Egli e'
triste, affranto, si lagna, si batte gemendo il petto e cade in disperazione.
Cosi' o monaco, sopravviene irragionevole tremore per ragioni interiori.
- E puo' forse, o Signore, cessare irragionevole tremore per
ragioni interiori?
- Puo' essere, o monaco, se un uomo crede in false dottrine,
ma poi sente dal Compiuto o da un discepolo l'annunzio della dottrina che
distrugge dalle fondamenta ogni attaccamento e soddisfazione in false dottrine,
e percio' egli non viene in tale stato d'animo: Io periro', io finiro' ahime'!
io non saro' piu'. Ed egli non e' triste, non affranto, non si lagna, non si
batte gemendo il petto, non cade in disperazione. Cosi', o monaco, cessa
irragionevole tremore per ragioni interiori.
Potete, voi monaci, conseguire un bene, il cui possesso
rimanga imperituro, persistente, eterno, immutabile, eternamente uguale e
costante? Conoscete, voi monaci, un tale bene?
- Veramente no, o Signore!
- Bene, voi monaci, anche io non conosco un tale bene. Siete
voi forse, o monaci, aderenti ad una fede in immortalita', per la quale il
fedele venga redento da affanno, miseria, dolore, strazio e disperazione?
- Veramente no, o Signore!
- Bene, anche io non conosco una tale fede. Seguite voi forse
una scuola mediante la quale il seguace venga preservato da affanno, miseria,
dolore, strazio e disperazione?
- Veramente no, o Signore!
- Bene, anch'io non conosco una tale scuola. Se l'Io stesso,
voi monaci, esistesse, potrebbe allora anche darsi un: a me proprio?
- Si, o signore.
- Se il Proprio, voi monaci, esistesse, potrebbe allora anche
darsi un: Me Stesso?
- Certamente, Signore.
- Siccome ne' l'Io, ne' il Proprio puo' veramente e realmente
essere conseguito, che n'e' del dogma che insegna: cio' e' il mondo, cio' e'
l'anima, cio' diverro' io dopo la morte, imperituro, persistente, eterno,
immutabile, eternamente eguale, certo cosi' io rimarro'; non e' cio' o monaci,
una ben maturata dottrina di stolti? Che pensate, voi monaci, il corpo, la
sensazione, la percezione, le distinzioni, la coscienza, sono mutabili o
immutabili?
- Mutabili, Signore.
- Ma cio' che e' mutabile, e' doloroso o piacevole?
- Doloroso, Signore!
- Ma cio' che e' mutabile, doloroso, caduco, si puo' di esso
con diritto dire: cio' mi appartiene, cio' sono io, cio' e' me stesso?
- Veramente no, o Signore.
Percio' o monaci, tutto cio' che v'e' del corpo, delle
sensazioni, percezioni, distinzioni, coscienza, passate presenti e future,
proprie od estranee, grosse o fini, volgari o nobili, lontane e vicine, tutte
sono da considerarsi, conforme a verita', con perfetta sapienza, cosi': cio' non
mi appartiene, cio' non sono io, cio' non e' me stesso.
Cosi' vedendo, voi monaci, l'esperto santo uditore, diviene
sazio del corpo, della sensazione, della percezione, delle distinzioni, dell
coscienza. Sazio, rinunzia. Con la rinunzia, si redime. Nel redento e' la
redenzione, questa cognizione sorge. Esausta e' la vita, compiuta la santita',
operata l'opera, non esiste piu' questo mondo, comprende egli allora. Un tale
monaco viene allora chiamato Scardinatore, Colmatore della Fossa, Strappatore
della Freccia, Sganciato, Distaccato.
E perche' Scardinatore? Perche' da questo monaco viene
abbattuta l'ignoranza, stroncata dalle radici, fatta simile a ceppo di palma,
cosi' che essa non puo' piu' germinare, ne' svilupparsi.
E perche' Colmatore della Fossa? Perche' da questo monaco il
mutevole mondo delle nascite, gravido d'esistenza, viene rinnegato, stroncato
dalle radici, fatto simile a ceppo di palma, cosi' che essa non puo' piu'
germinare ne' svilupparsi.
E perche' Strappatore della Freccia? Dal monaco la sete di
vivere viene rinnegata, spenta dalle radici, fatta simile a ceppo di palma,
cosi' che essa non puo' piu' germinare ne' svilupparsi.
E perche' Sganciato? Dal monaco i cinque vincoli vengono
rinnegati, stroncati dalle radici, fatti simili a ceppo di palma, cosi' che essi
non possono piu' germinare ne' svilupparsi.
E perche' Distaccato? Dal monaco la vanita' dell'Io viene
rinnegata, stroncata dalle radici, fatta simile a ceppo di palma, cosi' che essa
non possa piu' germinare ne' svilupparsi.
Il monaco cosi' redento d'animo, non ardiscono avvicinarlo
nemmeno gli dei Indra, Brahma e Pajapati: salda e' la coscienza di questo
Compiuto. Infatti gia' in vita io chiamo il Compiuto intangibile. Me, che cosi'
parlo, cosi' insegno, alcuni asceti e brahmani accusano irragionevolmente,
falsamente, futilmente, a torto cosi': Un distruttore e' l'asceta Gotamo, egli
annunzia distruzione, annientamento, rinnegamento della vera vita. Essi mi
accusano di cio' che io non sono: oggi come prima, voi monaci, io annunzio
soltanto una cosa: il dolore e l'estirpazione del dolore.
Se quindi gli uomini biasimano, condannano, perseguono ed
attaccano il Compiuto, egli non si disgusta, ne' si sdegna, ne' si abbatte. E se
gli uomini valutano, lodano, stimano ed onorano il Compiuto, egli non si
allieta, ne' si allegra o si esalta; allora il Compiuto pensa cosi': perche'
questo e' stato gia' prima pensato, percio' mi fanno essi qui tali onori.
Percio' o monaci, anche voi dovete comportarvi alla stessa
maniera. Rinunziate, voi monaci, a cio' che non vi appartiene, e cio' sara' per
voi largamente di vantaggio. E cos'e' che non vi appartiene? Il corpo, la
sensazione, la percezione, le distinzioni, la coscienza; tutte queste non vi
appartengono: rinunciatevi; cio' vi riuscira' largamente di vantaggio, di
salute.
Che pensate, voi monaci, se un uomo portasse via, bruciasse o
a suo piacimento o trattasse cio' che in questa selva del Vincitore e' sparso di
erbe e fascine, ramoscelli e foglie, pensereste voi forse: costui ci porta via,
ci brucia, ci tratta a suo piacimento?
- Veramente no, o Signore!
- E perche' no?
- Non e' certo cio' il nostro Io o Proprio!
- Or cosi' appunto, rinunziate a cio' che non vi appartiene.
Cosi', voi monaci, ho esposto e svelato la verita'. E per coloro che hanno
raggiunto lo scopo non vi e' piu' girare; coloro che hanno spezzato i cinque
vincoli si estinguono per non tornare piu' in questo mondo: coloro che hanno
spezzato i tre vincoli, scaricati di brama, avversione ed errore, torneranno
solo una volta e poi porranno fine al dolore; coloro che sono inclini alla
verita', inclini alla dottrina, questi si affrettano verso il pieno risveglio.
Cosi' parlo' il Sublime. Contenti si rallegrarono quei monaci
sulla parola del Sublime.
* I primi sette paragoni sono estesamente spiegati nel
discorso n. 54
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Nello stesso tempo l'onorevole
Kumârakassapo dimorava nella Selva Scura. Quando fu sceso il crepuscolo, una
certa divinità illuminò l'intera Selva Scura col suo splendore, si avvicinò
all'onorevole Kumârakassapo, si sedette in disparte e gli disse: "Monaco, questo
formicaio fuma di notte e fiammeggia di giorno. Il brâhmano disse: 'Scava,
Savio, con arma tagliente'. Il Savio scavò etrovò un cuneo. Il brâhmano disse:
'Via il cuneo, continua a scavare Savio.
Il Savio scavò e trovò una bolla, ma il brâhmano lo incitò a
gettarla e a continuare a scavare. La cosa si ripeté quando il Savio trovò uno
dopo l'altro: un bidente, un graticcio, una testuggine, una scure, un pezzo di
carne, un naja. A questo punto il brâhmano disse: 'Ferma, non toccare il naja,
rendigli onore!'." La divinità allora disse all'onorevole monaco: "Ripeti questo
enigma al Sublime, ascoltane la spiegazione e conservala. Non vedo alcuno al
mondo, né dèi, né spiriti cattivi o buoni, né asceti o brâhmani, né uomini che
possa chiarirlo se non il Compiuto, o un suo dottodiscepolo." Detto questo, la
divinità sparì.
Trascorsa la notte, l'onorevole Kumârakassapo si recò dal
Sublime, lo salutò riverentemente, si sedette accanto, gli raccontò l'accaduto e
gli riferì l'elogio della divinità, gli disse l'enigma, e gli chiese: "Cos'è il
formicaio, chi è il brâhmano, chi il Savio, cos'è l'arma tagliente, cosa sono
tutte le altre cose?"
E il Sublime: "Formicaio è il corpo formato dalle quattro
materie principali, generato dai genitori, sviluppato col nutrimento, soggetto
al trapasso, al disfacimento, alla consumazione, alla dissoluzione, alla
distruzione. Il fumare di notte è ciò che il corpo riflette e pondera, mentre il
fiammeggiare di giorno è ciò che esso opera in azioni, parole e pensieri. Il
brâhmano sarei io, il Compiuto, il Santo, perfetto Svegliato. Il Savio designa
il monaco che lotta; l'arma tagliente è la santa sapienza. Lo scavare indica la
costante perseveranza; il cuneo l'ignoranza. La bolla indica l'ira e la
disperazione. Il bidente rappresenta il dubbio e il graticcio designa i cinque
impedimenti: l'impedimento del desiderio, dell'avversione, dell'accidia, della
superbia, dell'esistenza.. La testuggine indica i cinque elementi
dell'attaccamento alla vita: attaccamento alle forme, alle sensazioni, alle
percezioni, alle distinzioni, alla coscienza. La scure indica le cinque facoltà
di bramare: delle forme penetranti tramite la vista; dei suoni penetranti
tramite l'udito; degli odori penetranti tramite l'olfatto; dei sapori penetranti
tramite il gusto; dei contatti penetranti tramite il tatto nella coscienza. Il
pezzo di carne indica il piacere della soddisfazione. Il naja indica il monaco
che ha estinta la mania. Questo è il senso: la santa sapienza è conquistata
tramite la costante perseveranza. Superando l'ignoranza, l'ira e la
disperazione, il dubbio, i cinque impedimenti, i cinque attaccamenti alla vita,
le cinque facoltà del bramare, il piacere della soddisfazione, si giunge
all'estinzione della mania. Onore al monaco che lottando ha compiuto l'opera!"
Così parlò il Sublime. Contento si rallegrò l'onorevole
Kumârakassapo della sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Enrico Federici.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta soggiornava il Sublime presso Rajagaham nel parco
di bambu', al colle degli scoiattoli. In quel tempo, molti monaci che avevano
passato la stagione delle piogge nella loro patria, si recarono dal Sublime il
quale si volse verso di loro cosi':
- Chi di voi, monaci, si e' ben comportato in patria cosi':
di poco avendo bisogno ha discorso della mancanza di bisogno; contento, ha
discorso della contentezza; ritirato, ha discorso del ritiro; distaccato dal
mondo ha discorso del distacco; perseverando, ha discorso della costante
perseveranza; virtuoso, ha discorso della virtu'; raccolto, ha discorso della
grazia del raccoglimento; savio, ha discorso della saggezza; redento, ha
discorso della redenzione; egli stesso chiaramente conoscendo la redenzione, un
ammaestratore, rischiaratore, annunziatore, incoraggiatore, animatore,
rasserenatore dei fedeli dell'Ordine?
- Un onorevole di nome Punno, o Signore, il figlio della
Mantani, si e' in patria, tra i monaci fedeli dell'Ordine, comportato cosi'.
In quel frattempo l'onorevole Sariputto aveva preso posto non
lontano dal Sublime; e gli venne il pensiero: Felice e' l'onorevole Punno
Mantaniputto, il cui molto merito intelligenti fratelli dell'Ordine elogiano
innanzi al Maestro, ed il Maestro se ne rallegra. Oh se anche noi potessimo
incontrarci con l'onorevole Putto e intrattenerci su qualcosa! Ed ora il Sublime
si mise in cammino verso Savatthi, dove prese dimora nella Selva del Vincitore,
nel giardino di Anathapindiko. Allorche' all'onorevole Punno Mantaniputto giunse
all'orecchio che il Sublime dimorava a Savatthi, sollevo' il suo giaciglio,
prese mantello e scodella e si mise in cammino per Savatthi. Giunto che fu dal
Sublime riverentemente si sedette accanto, e a questo Onorevole il Sublime diede
conforto, coraggio, animo e serenita' in isruttivo colloquio. Un monaco riferi'
all'onorevole Sariputto che Punno aveva avuto un colloquio col Sublime, si reco'
da lui, e verso sera, quando ebbe finito la meditazione, sedette accanto e
parlo' all'onorevole Punno cosi':
- Viene dunque menata presso il Sublime santa vita?
- Certamente, fratello.
- E come viene presso il Sublime menata santa vita: a scopo
di pura virtu'?
- Questo no, o fratello.
- Allora a scopo di puro cuore, viene presso il Sublime
menata santa vita?
- Questo no, o fratello.
- Allora a scopo di pura conoscenza?
- Questo no, fatello.
- A scopo di pura sicurezza?
- Questo no, fratello.
- A scopo di pura scienza delle vie?
- Questo no, fratello.
- A scopo di pura scienza del sentiero?
- Questo no, fratello.
- A scopo di pura scienza?
- Questo no, fratello.
- A che scopo allora, o fratello, viene presso il sublime
menata santa vita?
- A scopo di immateriale perfetta estinzione, o fratello,
viene presso il Sublime menata santa vita.
- Come deve dunque, o fratello, essere bene inteso il senso
di questo discorso?
- Se il Sublime, o fratello, avesse indicato pura virtu',
puro cuore, pura conoscenza, pura sicurezza, pura scienza, pura scienza del
sentiero, pura scienza delle vie, come immateriale perfetta estinzione, allora
il Sublime avrebbe indicato cio' che e' materiale come immateriale perfetta
estinzione. Ma se, o fratello, immateriale perfetta estinzione fosse possibile
senza queste cose, allora l'uomo comune raggiungerebbe la perfetta estinzione:
giacche' l'uomo comune, o fratello, e' senza queste cose. Percio' io, ora voglio
proporti un paragone:se un affare urgente chiamasse a Saketam il re Pasenadi
mentre egli risiede a Savatthi, sarebbero approntate per lui sette stazioni di
posta per il viaggio. Dopo che lui fosse salito sulla prima posta e poi passasse
alla seconda e poi alla terza e cosi' via fino alla settima, e la' giunto
ministri e consiglieri gli chiedessero: e' con questa posta che il gran re e'
giunto da Savatthi? Egli dovrebbe rispondere: io salii sulla pima posta, quindi
sulla seconda, la terza e cosi' via fino a questa, che e' la settima. Or cosi'
anche, appunto, fratello, pura virtu' mena a puro cuore, puro cuore a pura
conoscenza, pura conoscenza a pura sicurezza, pura sicurezza a pura scienza
delle vie, pura scienza delle vie a pura scienza del sentiero, pura scienza del
sentiero a pura scienza, pura scienza ad immateriale perfetta estinzione. A
scopo di immateriale perfetta estinzione, o fratello, viene presso il Sublime
menata santa vita.
Dopo queste parole l'onorevole Sariputto disse all'onorevole
Punno Mantaniputto:
- E' mirabile, o fratello, e' straordinario, come un cosi'
esperto discepolo ha esaurientemente risposto a queste domande di profondo
significato. Felici sono i fratelli dell'ordine e felici siamo pure noi che
godiamo la vista e la compagnia dell'onorevole Punno Mantaniputto!
Cosi' si allietavano quei due grandi in reciproco, benfatto,
colloquio.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nellaSelva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là il Sublime si rivolse ai
monaci: "Monaci, il cacciatore non sparge pastura alla selvaggina pensando:
'Possa la selvaggina nutrirsi di questa pastura, rimanere sana e invecchiare';
ma pensa: 'Adescata dalla pastura che qui spargo, la selvaggina ne trarrà cieco
godimento e, soddisfatta, si lascerà andare e la potrò rinchiudere a mio
vantaggio in questo recinto'.
Venne il primo branco di selvaggina adescata dalla pastura
che il cacciatore aveva sparso, e, come aveva architettato il cacciatore, gioì
ciecamente della pastura, si lasciò andare, e fu rinchiuso nel recinto. Un
secondo branco si accorse dell'accaduto, si tenne lontano dalla pastura sparsa e
si ritirò nel profondo della selva. Nell'ultimo mese dell'estate, quando erba e
acqua inaridirono, il secondo branco di selvaggina divenne straordinariamente
magro, perse le forze; spossato, ritornò alla pastura che era stata sparsa dal
cacciatore, godette ciecamente del cibo, ne fu soddisfatto, si lasciò andare e
fu rinchiuso nel recinto. Un terzo branco si accorse che neppure il secondo
branco aveva potuto sottrarsi al potere del cacciatore e decise di trattenersi
nelle vicinanze. A quel punto, il cacciatore e i suoi aiutanti si meravigliarono
della magica astuzia del terzo branco che si nutriva con accortezza della
pastura, senza lasciarsi accecare dal godimento, e non si capiva dove andava
dopo che era venuto a nutrirsi. Decisero allora di circondare da tutti i lati il
luogo della pastura con grandi pali per scoprire dove il branco si nascondeva
dopo il pasto. Così facendo scoprirono i movimenti del branco, lo circondarono e
lo rinchiusero nel recinto.
Un quarto branco di selvaggina che aveva osservato tutto,
pensò di trovare un rifugio che fosse inaccessibile al cacciatore e ai suoi
aiutanti. Venendo di là avrebbe potuto nutrirsi con giudizio della pastura
sparsa, poi si sarebbe di nuovo rifugiato nel luogo inaccessibile se non a lui.
E così fece. Nuovamente il cacciatore e gli aiutanti circondarono di pali il
luogo della pastura e spiarono dove si nascondeva il quarto branco senza
tuttavia riuscire a scoprire dove esso si nascondeva. Pensarono: 'Se ora noi
spaventiamo il quarto branco, questo spaventerà fuggendo gli altri branchi che,
a loro volta, spaventeranno altri branchi, in tal modo la pastura che spargiamo
sarà evitata da tutta la selvaggina. Sarà meglio lasciar perdere il quarto
branco!'. E così, il quarto branco di selvaggina poté sottrarsi alle astuzie del
cacciatore."
"Monaci, il senso del paragone che vi ho detto è questo: la
pastura indica le cinque facoltà del bramare; il cacciatore designa la malvagità
personificata, Maro. Gli aiutanti sono gli agenti della natura, e il branco
indica la comunità degli asceti e degli eremiti. I primi asceti ed eremiti
attratti dalla pastura che la natura sparge, dall' adescamento del mondo, si
sono dati a cieco godimento, divenuti soddisfatti si sono lasciati andare e sono
stati condotti in quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura. Essi non
possono sottrarsi al potere della natura.
Un secondo gruppo di asceti ed eremiti, notato ciò che è
accaduto ai primi, si sono tenuti lontani da ogni adescamento del mondo, lontani
dal cibo nocivo, si sono ritirati nel profondo della selva. Sono vissuti
nutrendosi di erbe e funghi, di riso e grano selvatico, di semi e noccioli, di
latte di piante e resina d'albero, di gramigna, di sterco di vacca, si sono
sostentati di radici e frutti di bosco, sono vissuti di frutti caduti. E
nell'ultimo mese dell'estate, quando tutto inaridì, divennero scarni, persero le
forze; spossati, persero la tranquillità dello spirito; turbati andarono a
quella pastura che la natura sparge, a quell'adescamento del mondo. Adescati,
datisi a cieco godimento, essi divennero soddisfatti; divenuti soddisfatti, si
lasciarono andare; lasciatisi andare, furono condotti in quel recinto, in
quell'adescamento del mondo, alla mercé della natura.
Un terzo gruppo di asceti ed eremiti, per evitare ciò che era
successo ai primi due, decise di trattenersi nelle vicinanze dell'adescamento
del mondo; là rimanendo essi godettero, non adescati e non ciecamente, il
nutrimento; così facendo non divennero soddisfatti, non si lasciarono andare e
non furono condotti in quel recinto, in quell'adescamento del mondo, alla mercé
della natura. Ma essi concepirono opinioni come; 'Il mondo è eterno' o 'Il mondo
è temporaneo', 'Il mondo è finito' o 'Il mondo è infinito', 'Anima e corpo sono
una e medesima cosa' o 'Altro è l'anima, altro è il corpo', 'Il Compiuto
persiste dopo la morte' o 'Il Compiuto non persiste dopo la morte' o 'Il
Compiuto persiste e non persiste dopo la morte' o ancora 'Né persiste né non
persiste dopo la morte'. E così, monaci, neppure il terzo gruppo riuscì a
sottrarsi al potere della natura.
Un quarto gruppo di asceti ed eremiti, consapevole di ciò che
era accaduto ai primi tre gruppi, decise di trovare una sede che fosse
inaccessibile alla natura e ai suoi agenti. Di là essi si avanzarono alla
pastura che la natura sparge, all'adescamento del mondo e godettero, non
adescati e non ciecamente, il nutrimento; non divennero soddisfatti, non si
lasciarono andare e non furono condotti in quell'adescamento del mondo, alla
mercé della natura.
Ma come s'impedisce l'accesso alla natura e ai suoi agenti?
Un monaco, ben lungi da brame, lungi da cose non salutari, in senziente,
pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima
contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il
suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il compimento del sentire e pensare,
il monaco raggiunge l'interna calma serena, l'unità dell'animo, la libera dal
sentire e pensare, nata dal raccoglimento beata serenità e il grado della
seconda contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha
distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: in serena pace permane il monaco equanime,
savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi
dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge il grado della terza
contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il
suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il rigetto delle gioie e dei dolori,
dopo l'annientamento della letizia e della tristezza anteriori, il monaco
raggiunge la non triste, non lieta, equanime, savia, perfetta purezza e il grado
della quarta contemplazione. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha
distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: con il completo superamento delle
percezioni di forma, annientamento delle percezioni riflesse, rigetto delle
percezioni multiple, il monaco, nel pensiero 'Illimitato è lo spazio', raggiunge
il regno dello spazio illimitato. Costui è un vero monaco: ha accecato la
natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata sfera
dello spazio, il monaco, nel pensiero 'illimitata è la coscienza', raggiunge il
regno della coscienza illimitata. Costui è un vero monaco: ha accecato la
natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata sfera
della coscienza, il monaco, nel pensiero 'Niente esiste', raggiunge il regno
della non esistenza. Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha
distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il completo superamento della sfera
della non esistenza, il monaco raggiunge il limite della possibile percezione.
Costui è un vero monaco: ha accecato la natura, ha distrutto il suo sguardo, è
svanito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento del limite della
possibile percezione, il monaco raggiunge la dissoluzione della percettibilità,
e la mania del savio veggente è distrutta. Costui è un vero monaco: ha accecato
la natura, ha distrutto il suo sguardo, è svanito alla sua malignità, è sfuggito
alla rete del mondo."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci
della sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. E il Sublime, pronto da tempo,
prese mantello e ciotola e s'avviò alla città per l'elemosina. Molti monaci si
recarono dall'onorevole Ânando e gli dissero:
"È da lungo tempo che non abbiamo sentito dal Sublime un
istruttivo discorso: sarebbe bene lo potessimo fare."
"Allora, onorevoli, recatevi all'eremo del brâhmano Rammako;
forse potrete sentire dal Sublime un istruttivo discorso."
"Lo faremo!" replicarono i monaci.
Quando il Sublime fu passato di casa in casa e fu tornato dal
giro di elemosina, dopo il pasto si rivolse ad Ânando: "Vieni, andiamo al Bosco
ad oriente, sulla Terrazza della madre di Migâro, e rimaniamo là fino a sera."
"Bene, Signore!" replicò l'onorevole Ânando.
Andarono là e quando il Sublime ebbe finito la meditazione,
disse ad Ânando:
"Vieni, andiamo al Bagno antico a rinfrescare le membra."
"Bene, Signore!" replicò l'onorevole Ânando. E andarono là.
Dopo che il Sublime ebbe fatto il bagno e si fu asciugato, indossò uno dei suoi
tre capi della veste. Allora l'onorevole Ânando disse: "L'eremo del brâhmano
Rammako, che si trova in una bella e serena campagna, non è lontano da qui.
Sarebbe bene se il Sublime si volesse recare là, mosso da compassione."
Il Sublime assentì alla preghiera tacendo, e si recò
all'eremo del brâhmano Rammako.
In quel frattempo s'erano radunati là molti monaci in
istruttivo colloquio, e il Sublime si fermò alla porta dell'eremo in attesa che
il colloquio finisse. Quando ciò avvenne, il Sublime tossì e picchiò col
battente, e i monaci gli aprirono la porta. Il Sublime entrò, si sedette sul
sedile che gli fu offerto, e si rivolse ai monaci: "Di cosa stavate qui
parlando, monaci, e perché vi siete interrotti?"
"Ci siamo interrotti perché ci siamo accorti della venuta del
Sublime."
"Bene, monaci, ciò vi si addice, poiché come nobili figli
mossi da fiducia avete lasciato la casa per l'eremo, è bene che vi siate
radunati ad istruttivo colloquio. Quando vi trovate insieme è conveniente che
pratichiate un istruttivo colloquio o un santo silenzio. Monaci, vi sono due
fini: il fine santo e quello che non lo è. E qual è il fine non santo? Ecco, uno
che sia soggetto alla nascita, cerca ciò che è soggetto alla nascita; soggetto
ad invecchiare, cerca ciò che è soggetto ad invecchiare; soggetto alla malattia,
cerca ciò che è soggetto alla malattia, e lo stesso accade per colui che è
soggetto alla morte, al dolore, alla sozzura. Ma cosa dite essere soggetto alla
nascita? Mogli e figli lo sono, ed anche servi e serve, pecore e capre, porci e
polli, elefanti e buoi, stalloni e giumente, oro e argento. Ed ecco che, essendo
soggetti alla nascita, si è adescati, accecati, attirati da ciò che è soggetto
alla nascita. Ma tutte queste cose sono soggette alla vecchiaia, alla malattia,
alla morte, al dolore, alla sozzura. Ed essendo soggetti a tutto ciò se ne è
adescati, accecati, attirati e li si cerca. Questo, monaci, è il fine non santo!
Ma qual è il fine santo? Uno che sia soggetto alla nascita,
osservando la miseria di questa legge di natura, cerca l'incomparabile sicurezza
del senza nascita, l'estinzione: soggetto alla vecchiaia, alla malattia, alla
morte, al dolore, alla sozzura, osservando la miseria di tutte quelle cose,
cerca l'incomparabile sicurezza priva di tutto ciò, l'estinzione."
"Anche io, una volta, prima del pieno risveglio, come
imperfetto Svegliato, al risveglio solo anelante, essendo io stesso soggetto
alla nascita, alla vecchiaia, alla malattia, alla morte, al dolore, alla
sozzura, ho cercato ciò che era soggetto a tutte quelle cose. Allora mi venne il
pensiero: 'Cosa sto cercando? E se io ora, osservando la miseria di questa legge
di natura, cercassi l'incomparabile sicurezza del senza nascita, del senza
vecchiaia, del senza malattia, del senza morte, del senza dolore, del senza
sozzura: l'estinzione?
Ed io, monaci, dopo qualche tempo, ancora in fresco fiore,
splendente di capelli neri, nel godimento della felice giovinezza, nella prima
età virile, contro il desiderio dei miei genitori piangenti e gementi, rasi
capelli e barba, vestito dell'abito fulvo, mi allontanai dalla casa per l'eremo.
Così, divenuto pellegrino, cercando il vero bene, investigando per
l'incomparabile altissimo sentiero di pace, io mi recai da Âlaro Kâlâmo e gli
dissi: ' Io vorrei, fratello, condurre vita ascetica in questa dottrina ed
ordine'. La risposta fu: 'Resta, onorevole! Questa dottrina è tale che un uomo
intelligente, anche in breve tempo, può comprenderla e, palesando la propria
maestria, può raggiungerne il possesso'. Ed io lo feci, imparai tutto ciò che
labbra e suoni possono trasmettere: la parola della scienza e la parola dei
discepoli anziani. Ma mi venne il pensiero: 'Âlaro Kâlâmo non insegna l'intera
dottrina così come la conosce'. Allora andai da lui e dissi: 'Fino a che punto,
fratello, tu dichiari che noi abbiamo compreso questa dottrina e l'abbiamo fatta
nostra?' Allora egli espose il regno della non esistenza. M io pensai: 'Âlaro
Kâlâmo non ha fiducia, non ha costanza, non ha sapere, non ha raccoglimento, non
ha sapienza, ma io sì! E se ora io mi appropriassi di questa dottrina fino a
padroneggiarla?'. E in breve tempo, monaci, io avevo compreso questa dottrina,
ne avevo raggiunto il possesso. Allora andai di nuovo da Âlaro Kâlâmo e gli
chiesi: 'È stata da me compresa e realizzata questa tua dottrina?' E lui
rispose: 'Così come io annunzio la dottrina, così tu l'hai compresa e
realizzata. Vieni dunque, fratello, sei divenuto pari a me e possiamo dirigere
insieme questa schiera di discepoli'. Così, monaci, Âlaro Kâlâmo dichiarò me,
suo discepolo, come suo pari e mi onorò con alto riconoscimento.
Ma a me venne questo pensiero: 'Questa dottrina non conduce
al distacco, al rivolgimento, alla dissoluzione, all'annullamento, alla
contemplazione, al pieno risveglio, all'estinzione, ma solamente all'apparizione
nella sfera della non esistenza'. E io trovai questa dottrina insoddisfacente,
e, inappagato da essa, mi allontanai.
Alla ricerca del vero bene, investigando per l'incomparabile
altissimo sentiero di pace, io mi recai da Uddako, il figlio di Râmo, e gli
dissi:
'Vorrei, fratello, praticare la vita ascetica della tua
dottrina e nel tuo ordine.' E anche lui mi rispose: 'Resta, onorevole! Questa
dottrina è tale che un uomo intelligente, anche in breve tempo, può comprenderla
e, palesando la propria maestria, può raggiungerne il possesso'. E io compresi
in breve tempo questa dottrina. E, com'era accaduto prima, essendomi accorto che
Uddako Râmaputto, non aveva comunicato l'intera dottrina, mi recai da lui, e,
insistendo, egli mi espose il limite di possibile percezione. Mettendo in atto
le mie qualità, in breve tempo compresi e divenni padrone di quest'altra
dottrina. Mi recai da Uddako e dimostrai la mia padronanza della sua dottrina.
E, ancora una volta, egli mi dichiarò suo pari, mi rese onore e mi investì del
grado di maestro della schiera dei suoi discepoli. Ma nuovamente pensai: 'Questa
dottrina non conduce al distacco, al rivolgimento, alla dissoluzione,
all'annullamento, alla contemplazione, al pieno risveglio, all'estinzione, ma
solamente all'apparizione nella sfera del limite di possibile percezione'. E io
trovai questa dottrina insoddisfacente, e, inappagato da essa, mi allontanai.
Cercando il vero bene, investigando per l'incomparabile
altissimo sentiero di pace, passai di luogo in luogo per la terra di Magadhâ e
giunsi nelle vicinanze del borgo di Uruvelâ. Là vidi un ben esposto pezzo di
terra, un sereno fondo boschivo, un limpido fiume scorrente, adatto al bagno,
rallegrante, e tutt'intorno prati e campi. Pensai che ciò bastava per l'ascesi
di un nobile figlio, e mi sedetti esclamando: 'Ciò basta all'ascesi!'.
E io, monaci, che soggetto alla nascita, osservando la
miseria di questa legge di natura, cercavo l'incomparabile sicurezza del senza
nascita, l'estinzione, trovai proprio quello che cercavo. E ora la chiara
certezza mi si schiuse:
'Per sempre sono redento,
L'ultima vita è questa,
E non v'è più ritorno.'
E pensai: 'Trovato ho io ora questa verità, profonda,
difficile da scoprire, difficile da percepire, tranquilla, preziosa, intima,
inescogitabile, accessibile ai savi. Ma la gente cerca il piacere, ama il
piacere, pregia il piacere. Alla gente una cosa come il rapporto di causa ed
effetto, l'origine da cause, sarà appena intelligibile; ed anche quest'altra
cosa essa a stento intenderà: lo svanire d'ogni distinzione, il distacco da ogni
attaccamento, l'esaurirsi della sete di vivere, il rivolgimento, la
dissoluzione, l'estinzione. Se io quindi espongo la verità e gli altri non mi
intendono, me ne verrà certo amarezza e pena'. E spontanei mi si presentarono
questi versi, mai prima sentiti:
'Quel che con intimo sforzo ho trovato
Or palesare è interamente vano:
Agli uomini, che d'odio ardono e brama
Non conviene davver tale dottrina
Dottrina, che risale la corrente,
Ch'è interna ed è profonda ed è nascosta:
Essa resta invisibile ai bramosi,
Nella più fitta tenebra raccolta.'
Così riflettendo, monaci, inclinava l'animo mio a
rinserrarsi, non ad esporre la dottrina. Allora Brahmâ Sahampati (*) si avvide
della mia riflessione e si dolse: 'Si perderà il mondo, miseramente si perderà
se l'animo del Compiuto, Santo, perfetto Svegliato, inclina a rinserrarsi, a non
esporre la dottrina!' Allora Brahmâ Sahampati disparve dal mondo di Brahmâ con
la stessa facilità con cui un uomo forte stende o piega il braccio, ed apparve
innanzi a me. Scopertasi una spalla, congiunse le mani verso di me e disse:
'Voglia il Sublime esporre la dottrina! Vi sono esseri di più nobile specie:
senza aver udito la dottrina essi si perdono; essi comprenderanno la dottrina'.
Così parlò, ed aggiunse:
'Ben false cose furono annunziate
In Magadhâ; dottrine false e torbide,
Da indegni escogitate e proclamate.
Questa porta di vita apri ora tu,
E guidaci alla nuova verità.
Com'un, che in cima stia ad alto monte
E sulla terra guardi tutt'intorno,
Guarda or così, Tutt'Occhio, tu dal sommo
Vertice del vero su questo mondo
Di dolore, tu dal dolor redento!
Guarda, o Savio, pietoso, all'esistenza:
Formarsi e trapassare è il suo tormento.
Tu, o Eroe, vincitor della battaglia,
Volgiti, o duce senza macchia, al mondo!
Annunziagli, o Signore, la dottrina:
Intelligenti pur si troveranno'.
Per sollecitazione di Brahmâ dunque, e per compassione degli
esseri io guardai con lo svegliato occhio nel mondo. Così come in un lago con
piante di loto, alcuni fiori celesti o bianchi o rosei, hanno origine nell'acqua
e in essa si sviluppano, rimangono sotto la sua superficie e succhiano
nutrimento dalla profondità; altri si spingono sino alla superficie dell'acqua;
e altri ancora emergono sull'acqua: così appunto io vidi, guardando con lo
svegliato occhio nel mondo, esseri di specie nobile e di specie volgare, acuti
di mente e ottusi di mente, bene dotati e male dotati, svelti a comprendere e
tardi a comprendere, e molti che stimano cattiva l'esaltazione di un altro
mondo. E allora replicai a Brahmâ con questa strofa:
'Dell'immortalità s'apron le porte:
Chi ha orecchi per udire venga ed oda.
Repulsione intuendo io non volevo
L'alta dottrina palesar, Brahmâ '.
Allora Brahmâ disse: 'Il Sublime ha consentito ad esporre la
dottrina', mi salutò riverentemente, girò verso destra e sparì di là. E ora mi
chiesi: 'A chi potrei esporre per primo la dottrina; chi potrà comprenderla
presto?' Allora pensai di esporla ad Âlaro Kâlâmo perché era un savio ritirato,
profondo, che viveva da lungo tempo nella rinuncia; lui avrebbe presto compreso,
ma mi si presentarono delle divinità che mi dissero che Âlaro Kâlâmo era morto
da sette giorni. Allora pensai di esporre la dottrina a Uddako Râmaputto, anche
lui un savio ritirato, profondo, che viveva da lungo tempo nella rinuncia; lui
avrebbe presto compreso, ma altre divinità mi riferirono che Uddako era morto la
sera avanti.
Mi tornò il pensiero: 'A chi altri potrei esporre la
dottrina?' E mi ricordai di quei cinque compagni che mi assistevano quando io mi
diedi all'ascesi; perché non esporre la dottrina a loro. Ma dove avrei potuto
trovarli? Con l'occhio celeste, rischiarato, sopraterreno, vidi che essi
soggiornavano presso Benâres, nel Bosco della Pietra del Vate. Ed allora io,
monaci, dopo essermi trattenuto alquanto in Uruvelâ, mi diressi verso Benâres.
Allora mi incontrò Upako, un penitente nudo, sulla via che
dall'albero del Risveglio va verso Gayâ, e mi disse: 'Sereno, fratello, è il tuo
volto, chiaro il colore della pelle e puro! Per quale motivo ti sei ritirato dal
mondo? Chi è il tuo maestro? Di quale dottrina sei seguace?' A queste parole io
dissi ad Upako queste strofe:
'Vittorioso io sono, onniveggente,
Per sempre distaccato da ogni cosa,
Rinnegator di tutto, e senza sete,
Da me maestro, chi mai nomerò?
Nessun maestro inver m'ha illuminato,
Esser non avvi alcuno che m'agguagli;
Il mondo coi suoi dei tutti quanti
Alcun non ha che a pari possa starmi.
Poi che il Signore io ben sono del mondo,
L'altissimo Maestro, tal son'io,
Un unico di tutto Compitor,
Ch'ogni manìa perfettamente ha estinto.
Il vero regno appunto adesso io edifico
E di Benâres vado alla città:
Nel mondo oscuro lieta ha da squillare
Ora la tromba d'immortalità'.
'Così tu dunque, fratello, credi di essere il Santo,
l'illimitato Vincitore?'
'Eguali a me son certo i Vincitori,
Allor che la manìa hann'abbattuto:
Tutto quel ch'è dannoso io ho già vinto,
Ben sono dunque, Upako, un Vincitore'.
A questi versi, il penitente nudo Upako replicò: 'E
quand'anche fosse, fratello! '; scosse il capo, e s'allontanò per una via
laterale. E io, di luogo in luogo, giunsi là dove si trovavano i miei cinque
compagni che, quando mi ebbero visto, si dissero l'un l'altro: 'Ecco che arriva
l'asceta Gotamo, l'abbondante, quello che abbandonata l'ascesi s'è dato
all'abbondanza: non salutiamolo, non alziamoci per togliergli mantello e
ciotola; indichiamogli solo un posto dove, se vuole, può sedersi'. Ma più
m'avvicinavo, meno i cinque compagni poterono persistere nella loro risoluzione:
alcuni mi vennero incontro e mi tolsero mantello e ciotola, alcuni mi pregarono
di prendere posto, alcuni prepararono un lavacro per i piedi, e tutti mi
salutarono chiamandomi fratello. Ma io dissi loro: 'Ascoltatemi: l'immortalità è
trovata. Io guido, io espongo la dottrina. Seguendo la mia guida, voi in breve
tempo, ancora in questa vita, imparerete, realizzerete e conquisterete la più
alta perfezione della santità: quello scopo per il quale nobili figli lasciano
la casa per l'eremo. Non salutatemi col nome di fratello: santo è il Compiuto,
il perfetto Svegliato!'. I cinque mi risposero: 'Perfino con la tua tanto aspra
penitenza, fratello Gotamo, con la tua macerazione, con la tua ascesi dolorosa,
tu non hai conquistato il sopraterreno, ricco santuario della ricchezza del
sapere: com'è che ora che ti sei dato all'abbondanza, che hai abbandonato
l'ascesi, tu ora dici di possedere la somma chiarezza del sapere?'. E io
replicai: 'Non è così come dite: santo è il Compiuto, il perfetto Svegliato.
Ascoltate, vi ripeto ciò che vi ho detto'. Ma i cinque per la seconda e per la
terza volta mi fecero la stessa obiezione. Allora chiesi loro se mi avessero mai
sentito prima fare certe affermazioni. Mi risposero di no. Per la quarta volta
ripetei il messaggio, e finalmente riuscii a rendere i cinque compagni partecipi
di ciò che conoscevo. Prima spiegai come elemosinare: due o tre monaci andavano
a elemosinare, e il cibo che avevano ricevuto in elemosina l'avremmo diviso in
sei parti e avremmo vissuto di ciò. Poi spiegai la dottrina ed essi, così
ammaestrati, così guidati, soggetti essi stessi alla nascita, osservando la
miseria di questa legge di natura, cercando l'incomparabile sicurezza senza
nascita, senza vecchiaia, senza malattia, senza morte, senza dolore, senza
sozzura, trovarono l'incomparabile sicurezza dell'estinzione. La chiara certezza
si schiuse ora a loro:
'Per sempre siam redenti,
L'ultima vita è questa,
E non v' è più ritorno'.
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"Monaci, vi sono cinque facoltà di bramare: le forme
penetranti per la vista, i suoni penetranti per l'udito, gli odori penetranti
per l'olfatto, i sapori penetranti per il gusto, i contatti penetranti per il
tatto, tutti amati, desiderati, appaganti, graditi, corrispondenti alle brame,
eccitanti, entrano nella coscienza. Di tutti gli asceti o brâhmani, che
adescati, accecati, attirati, si servono delle cinque facoltà di bramare, senza
vederne la miseria, senza pensare a scamparvi, si può dire che sono: perduti,
rovinati, caduti in balìa del danno. Se una fiera del bosco fosse presa da un
laccio, allora essa sarebbe perduta, rovinata, caduta in balìa del cacciatore;
se ora arrivasse il cacciatore, essa non potrebbe scappare dove vuole: così
sarebbe degli asceti che si servono delle cinque facoltà del bramare senza
rendersi conto dei rischi. Se invece essi se ne rendessero conto, sarebbero come
una fiera del bosco che non avesse posato la zampa nel laccio del cacciatore.
Così come una fiera, vagando in remoti recessi della selva, è sicura andando,
fermandosi, sedendo e giacendo perché è lontana dalle trappole del cacciatore:
altrettanto un monaco, lungi da brame, lungi da cose non salutari, in sentita,
pensante, nata da pace beata serenità, raggiunge il grado della prima
contemplazione. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la natura, distruttone
lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre, dopo il compimento, la cessazione, del sentire e
pensare, il monaco raggiunge l'interna calma serena, l'unità dell'animo, la
beata serenità nata dal raccoglimento libera dal sentire e pensare, il grado
della seconda contemplazione. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la
natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, in serena pace permane il monaco, equanime,
savio, chiaro cosciente, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi
dicono: 'L'equanime savio vive felice'; così egli raggiunge il grado della terza
contemplazione. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la natura, distruttone
lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, dopo il rigetto delle gioie e dei dolori,
dopo l'annientamento della letizia e della tristezza anteriori, il monaco
raggiunge la non triste, non lieta, equanime savia, perfetta purezza, il grado
della quarta contemplazione. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la
natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, con il completo superamento delle
percezioni di forma, annientamento di quelle riflesse, rigetto di quelle
multiple, il monaco, nel pensiero 'Illimitato è lo spazio' raggiunge il regno
dello spazio illimitato. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la natura,
distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora: dopo il superamento dell'illimitata sfera
dello spazio, il monaco, nel pensiero 'Illimitata è la coscienza' raggiunge il
regno della coscienza illimitata. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la
natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, dopo il completo superamento
dell'illimitata sfera della coscienza, il monaco, nel pensiero 'Niente esiste'
raggiunge il regno della non esistenza. Questo è un vero monaco: egli ha
accecato la natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, dopo il completo superamento della sfera
della non esistenza, il monaco raggiunge il limite di possibile percezione.
Questo è un vero monaco: egli ha accecato la natura, distruttone lo sguardo, è
sfuggito alla sua malignità.
E inoltre ancora, dopo il superamento del limite di possibile
percezione, il monaco raggiunge la dissoluzione della percettibilità, e la manìa
del savioveggente è distrutta. Questo è un vero monaco: egli ha accecato la
natura, distruttone lo sguardo, è sfuggito alla sua malignità, sfuggito alla
rete del mondo. Sicuro egli va, sicuro sta, sicuro siede, sicuro giace, e ciò
perché egli si tiene fuori dal dominio del danno.
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci
della sua parola.
(*) Nota del De Lorenzo
Sahampati = l'Io signore, è il nome proprio di questo Brahmâ.
L'esitazione di Gotamo, il dolore e l'incitamento di Brahmâ Sahampati, nonché
gli annessi, meravigliosi avvenimenti, sono stati giustamente riconosciuti come
apocrifi da Robert L'Orange: essi appartengono difatti alla leggenda del
Mahâvaggo-Mahâvastu e sono posteriori al resto del sutta.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. In quello stesso periodo il
brâhmano Jânussoni uscì di pomeriggio dalla città in un carro con la tenda
bianca, vide arrivare da lontano il pellegrino Pilotikâ e gli chiese: "Caro
Vacchâyano (?) da dove vieni?"
"Dall'asceta Gotamo"
"Cosa ne pensi di lui? Ha uno spirito forte ed è veramente
saggio?"
"Chi sono io per dirlo? Dovrebbe essere uguale a lui quello
che potrebbe riuscire a conoscerne la grande forza di spirito!"
"È una poderosa lode quella che gli fai, Vacchâyano!"
"Chi sono io per poterlo lodare? Solo una persona eccezionale
potrebbe lodare l'asceta Gotamo, il più grande degli uomini e degli dèi."
"Quali doti hai percepito in lui per essergli così devoto?"
"È come se un cacciatore di elefanti, perlustrando un luogo
da essi frequentato, trovasse un orma di elefante talmente grande da pensare:
'Che possente elefante dev'essere questo!'. Altrettanto ho concluso io quando ho
visto quattro orme dell'asceta Gotamo: 'Perfettamente Svegliato è il Sublime,
ben annunciata da lui è la dottrina, ben guidati i suoi discepoli!'. Quali
quattro?
Ho visto parecchi nobili dotti, raffinati ed esperti
dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro, che col loro acume erano
in grado di sviscerare, per così dire, interi sistemi. Essendo giunto alle loro
orecchie che l'asceta Gotamo sarebbe passato in un villaggio o in una città,
essi avevano elaborato una domanda da porgli. Se egli avesse risposto in un
modo, essi l'avrebbero controbattuto in un altro; se avesse risposto in un
altro, ugualmente avrebbero replicato di conseguenza. E si recavano là dove
l'asceta Gotamo si trovava. Ed egli li confortava, li rincuorava, li animava e
rasserenava in un istruttivo colloquio, tanto che essi non gli facevano neppure
una domanda, e non solo non lo contraddicevano, ma diventavano addirittura suoi
seguaci.
Vedendo questa prima orma ho concluso: 'Perfettamente
Svegliato è il Sublime, ben annunciata da lui è la dottrina, ben guidati i suoi
discepoli!'
E inoltre ho visto parecchi brâhmani dotti, raffinati ed
esperti dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro, che col loro acume
erano in grado di sviscerare, per così dire, interi sistemi. Anche essi volevano
proporre domande tranello a Gotamo, ma, com'era accaduto ai nobili, anche loro
divennero suoi seguaci.
E questa fu la seconda orma che vidi.
E inoltre ancora ho visto parecchi borghesi dotti, raffinati
ed esperti dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro, che col loro
acume erano in grado di sviscerare, per così dire, interi sistemi. E, com'era
accaduto ai nobili e poi ai brâhmani, rinunciarono anche loro a fare domande
tranello e divennero seguaci dell'asceta Gotamo.
E questa fu la terza orma che vidi.
E ancora una volta ho visto parecchi asceti dotti, raffinati
ed esperti dialettici, capaci di spaccare un capello in quattro, che col loro
acume erano in grado di sviscerare, per così dire, interi sistemi. E anche loro
supplicarono l'asceta Gotamo di accoglierli nell'Ordine. E Gotamo li accolse.
Accolti essi vivevano isolati, appartati, con seri intendimenti, solerti,
instancabili. Ed in breve tempo essi, ancora in questa vita, avevano a sé fatta
palese, realizzata e conquistata la più alta perfezione della santità: quel fine
per il quale nobili figli abbandonano la casa per l'eremo. Ed essi dicevano:
'Noi dovevamo aver perduto quell'intelletto, che ora abbiamo ritrovato! Noi che
pensavamo di essere degli asceti, eravamo tutt'altro; noi credevamo d'essere
santi e non lo eravamo; noi che pensavamo di essere vincitori, eravamo tutto
meno che vincitori: ora siamo asceti, siamo santi, siamo vincitori.
Quando io ebbi visto questa quarta orma dell'asceta Gotamo,
allora ho concluso: 'Perfettamente Svegliato è il Sublime, ben annunciata da lui
è la dottrina, ben guidati i suoi discepoli!"
A queste parole il brâhmano Jânussoni discese dal carro con
la tenda bianca, denudò una spalla, s'inchinò riverentemente nella direzione in
cui il Sublime dimorava, e per tre volte fece risuonare questo saluto:
"Venerazione al Sublime al santo svegliato Signore!
"Oh, se avessi io pure una volta l'occasione di incontrarmi
con il signore Gotamo e potessi avere con lui un colloquio!" Ed egli si recò là
dove il Sublime dimorava, salutò con cortesia, scambiò con lui amichevoli e
importanti parole, e si sedette accanto raccontandogli del suo incontro col
pellegrino Pilotikâ e del colloquio avuto. E il Sublime disse: "Il paragone con
l'orma dell'elefante è rimasto incompleto, ma ora te lo completerò; fai
attenzione al mio dire. Se un cacciatore d'elefanti perlustra un luogo che essi
frequentano e trova la possente ed enorme impronta di un elefante, esperto com'è
egli non conclude subito: 'Che possente elefante dev'essere questo!'. Perché no?
Perché nella selva vi sono femmine d'elefanti, dette nane, con grossi piedi, e
quella potrebbe essere una loro orma. Egli segue quell'orma e trova nella selva
un'altra possente orma di elefante molto larga di una zampa che ha calpestato e
schiacciato delle canne. Ma, se è esperto, neppure adesso conclude di trovarsi
in vicinanza di un possente elefante. Perché sa che nella selva vi sono femmine
di elefanti dette 'schiacciatrici di canneti', con grosse zampe, e potrebbe
essere una loro orma. Segue quell'orma e trova un'altra grossa orma con canne
schiacciate e, sopra quelle, canne intaccate dalle zanne. Ma ancora una volta
egli non conclude che quella è l'orma d'un possente elefante. Potrebbe essere
l'impronta di una delle elefantesse dette 'dilaniatrici di canneti', dalle
grosse zampe. Il cacciatore continua a seguire le tracce e trova una grossa orma
con canne schiacciate, con canne intaccate dalle zanne e con rami spezzati
sopra. Ed egli scorge l'elefante, al piede d'un albero o in una radura, mentre
va, o sta, o si riposa o giace. Allora egli può concludere: 'Questo è il
possente elefante!' Allo stesso modo, brâhmano, ecco che appare il Compiuto nel
mondo, il Santo, il perfetto Svegliato, Esperto di sapienza e di vita, il
Benvenuto, il Conoscitore del mondo, l'incomparabile Guida dell'umano gregge, il
Maestro degli dèi e cattivi e buoni spiriti, le sue schiere di asceti e brâhmani,
dèi e uomini, dopo che egli stesso lo ha compreso e penetrato. Egli annuncia la
dottrina il cui principio beatifica, il cui mezzo beatifica, la cui fine
beatifica; la dottrina fedele di senso e di parola; egli espone l'ascesi
perfettamente purificata, perfettamente rischiarata. Questa dottrina viene
sentita da un padre di famiglia, o dal suo figlio, o da uno rinato altrove.
Sentita la dottrina, egli concepisce fiducia nel Compiuto. Pieno di questa
fiducia egli pensa e riflette così: 'Un carcere è la casa, un letamaio; libero
cielo è il pellegrinare. Non si può, restando in casa, adempiere punto per punto
l'ascetismo completamente purificato. E se io, ora, rasi capelli e barba,
vestito dell'abito fulvo, andassi via da casa all'eremo?' Dopo qualche tempo
egli abbandona una piccola o una grande proprietà, abbandona una piccola o una
grande cerchia di parenti, si rade capelli e barba, indossa gli abiti fulvi e
allontanatosi da casa va verso l'eremo. Ora egli è divenuto un pellegrino e s'è
assunto gli obblighi dell'ordine dei monaci. Ha smesso d'uccidere, si tiene
lontano dall'uccidere. Senza mazza, senza spada, sensibile, pieno di simpatia,
egli nutre per tutti gli esseri viventi amore e compassione. Ha smesso di
prendere ciò che non gli è dato, se ne guarda bene. Aspetta ciò che gli è dato,
senza intenzione furtiva, con cuore divenuto puro. Ha smesso la lussuria, vive
casto, fedele alla rinuncia, estraneo alla volgare legge dell'accoppiarsi. Ha
smesso il mentire, si tiene lontano dalla menzogna. Dice la verità, è devoto
alla verità, retto, degno di fede, non è un ipocrita adulatore del mondo. Ha
smesso la maldicenza, se ne guarda bene. Ciò che ha sentito qui egli non lo
racconta là, per disunire quelli; e ciò che ha sentito là non lo racconta qui,
per disunire questi. Così egli unisce i disuniti, rafforza gli uniti; la
concordia lo allieta, lo rallegra, lo fa felice; egli dice parole che promuovono
concordia. Ha smesso le parole aspre, se ne tiene lontano. Parole che sono senza
offesa, benefiche all'orecchio, amorose, che vanno al cuore, urbane, che molti
rallegrano, molti sollevano: tali sono le parole che dice. Ha smesso le
chiacchiere, se ne guarda bene. Parla a tempo debito, conforme ai fatti, attento
al senso, fedele alla dottrina e all' Ordine: il suo discorso è ricco di
contenuto, all'occasione ornato di paragoni, chiaro e determinato, adeguato al
suo oggetto. Si astiene dal cogliere frutti e piante. Una volta al giorno egli
prende cibo; di notte resta digiuno; non gli avviene di mangiare fuori tempo. Si
astiene da balli, canti, giochi, rappresentazioni. Rifiuta corone, profumi,
unguenti, ornamenti, acconciature, addobbi. Evita gli alti, ampi e comodi
giacigli. Non accetta oro e argento. Non accetta cereali crudi. Non accetta
carne cruda. Non prende donne e fanciulle. Non prende servi e serve. Non prende
capre e pecore. Non prende polli e porci; elefanti, buoi e cavalli. Non accetta
terreni. Non assume messaggi, invii, incarichi. Si astiene da compravendita. Si
tiene lontano da falso peso e misura. Si tiene lontano dalle oblique vie della
seduzione, simulazione, bassezza. Si tiene lontano da zuffe, baruffe, risse; da
furti, prede e violenze. È contento dell'abito che lo copre, del cibo mendicato
che sostenta la sua vita. Dovunque vada, egli va munito solo dell'abito e della
ciotola con cui elemosina (il cibo). Come un uccello, dovunque esso voli, lo fa
solo col peso delle sue penne, così appunto un monaco è contento dell'abito e
del cibo mendicato. Nell'osservare questi santi precetti di virtù egli prova
un'intima, immacolata gioia.
Se scorge con la vista una forma, non concepisce alcun
interesse. Siccome brama ed avversione, dannosi e nocivi pensieri, ben presto
sopraffanno colui che permane con vista non vigilata, egli si dedica a questa
vigilanza, egli controlla la vista, vigila attentamente sulla vista. Se ora egli
ode con l' udito un suono, se odora con l'olfatto un odore, se gusta con la
lingua un sapore, se tocca con il tatto un contatto, se riconosce col pensiero
unacosa, egli non concepisce alcuna inclinazione, alcun interesse. Siccome brama
e avversione, dannosi e nocivi pensieri, ben presto sopraffanno colui che
permane col pensiero non vigilato, egli si dedica a questa vigilanza, egli
osserva il pensiero, vigila attentamente sul pensiero. Mettendo in atto questo
controllo dei sensi egli prova un'intima, inalterata gioia. Chiaramente
consapevole egli va e viene, guarda o distoglie lo sguardo, si alza e si muove,
porta l'abito e la ciotola dell'elemosina, mangia e beve, mastica e gusta,
libera vescica e intestino, va, sta, siede, s'addormenta, si sveglia, parla o
tace.
Fedele a questi santi precetti di virtù, a questo controllo
dei sensi, fedele a questo santo e chiaro sapere egli cerca un luogo appartato,
un bosco, il piede d'un albero, una grotta, una caverna di montagna, un
cimitero, la profondità di una selva, un giaciglio di strame nell'aperta
pianura. Tornato dall'aver elemosinato il cibo, dopo il pasto, egli siede con le
gambe incrociate, il busto diritto, sollevato, e medita. Ha smesso brama
mondana; ha smesso l'avversione ed è pieno d'amore e compassione per tutti gli
esseri viventi; ha smesso l'accidiosa pigrizia, è amante della luce, saggio,
chiaramente cosciente; ha smesso l'orgogliosa superbia, è intimamente pacato
nell'animo; ha smesso di tentennare, s'è liberato dall'incertezza, non dubita di
ciò che è salutare.
Egli ha così tolto questi cinque impedimenti, ha imparato a
conoscere le paralizzanti scorie dell'animo e, lungi da brame e da cose non
salutari, egli raggiunge in consapevole, pensante, beata serenità il grado della
prima contemplazione.
Ma non è questa che viene chiamata l'orma del Compiuto.
Dopo il compimento del sentire e pensare, il monaco raggiunge
l'interna calma serena, l'unità dell'animo, la beata serenità nata dal
raccoglimento e libera dal sentire e dal pensare, il grado della seconda
contemplazione.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
In serena pace permane il monaco equanime, saggio,
chiaramente cosciente, e prova nel corpo quella felicità di cui i santi dicono:
'L'equanime saggio vive felice'; così egli raggiunge il grado della terza
contemplazione.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
Dopo il rigetto delle gioie e dei dolori, dopo
l'annientamento della letizia e della tristezza antecedenti, il monaco raggiunge
la non triste né lieta, equanime, saggia, perfetta purezza, il grado della
quarta contemplazione.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
Con tale animo, saldo, purificato, terso, schietto, libero da
scorie, malleabile, duttile, compatto, incorruttibile, egli dirige l'animo alla
memore conoscenza di anteriori forme di esistenza. Egli si ricorda di molte e
diverse anteriori forme di esistenza: una vita, due vite, centomila vite; poi
delle epoche durante parecchie formazioni e trasformazioni di mondi. 'Là ero io,
avevo quel nome, appartenevo a quella famiglia, quello era il mio stato, quello
il mio lavoro, tale bene e tale male provai, così terminò la mia vita; di là
trapassato entrai in una nuova esistenza con tutt 'altre caratteristiche.' Così
egli ricorda molte diverse anteriori forme di esistenza, ognuna con le proprie
caratteristiche, ognuna con le particolari relazioni. Con tale animo egli dirige
l'animo alla conoscenza dell'apparire e sparire degli esseri. Con l'occhio
celeste, rischiarato, sopraterreno vede gli esseri sparire e riapparire, volgari
e nobili, belli e brutti, felici ed infelici; egli riconosce come gli esseri
riappaiano sempre secondo le azioni.
Ma neppure questa è l'orma del Compiuto.
Con tale animo egli dirige l'animo alla conoscenza
dell'estinguersi della mania. 'Questo è il dolore' comprende secondo verità.
'Questa è l'origine del dolore' comprende secondo verità. 'Questo è
l'annientamento del dolore' comprende secondo verità. Questa è la via che
conduce all'annientamento del dolore' comprende secondo verità. 'Questa è la
mania; questa è la sua origine; questo è l'annientamento della mania; questa è
la via che conduce all'annientamento della mania' comprende conforme a verità.
Ma ancora una volta non è questa l'orma del Compiuto.
Ma la conclusione è vicina perché così conoscendo, così
vedendo, il suo animo viene redento dalla mania del desiderio, redento dalla
mania dell'esistenza, redento dalla mania dell'errore. Sorge in lui questo
sapere: 'Nel redento è la redenzione'. Egli allora comprende: 'Esausta è la
vita, compiuta è la santità, operata è l'opera, non esiste più questo mondo'.
Questa, brâhmano, viene chiamata l'orma del Compiuto. E il santo uditore può ora
concludere: 'Perfettamente Svegliato è il Sublime, bene annunciata da lui è la
dottrina, ben affidati a lui sono i discepoli'. A questo punto il paragone con
l'orma dell'elefante è divenuto completo,"
Dopo queste parole il brâhmano Jânussoni disse al Sublime:
"Benissimo, Gotamo, benissimo! Così come se uno raddrizzasse ciò che è
rovesciato, o scoprisse ciò che è coperto, o mostrasse la via agli smarriti, o
portasse un lume nella notte: 'Chi ha occhi vedrà le cose': così anche in verità
venne dal signore Gotamo in varia guisa esposta la dottrina. Anche io prendo
rifugio presso il signore Gotamo, presso la dottrina e presso la comunità dei
discepoli. Come seguace voglia il signore Gotamo considerarmi, da oggi per tutta
la vita fedele."
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Sâvatthî, nella Selva
del Vincitore, nel giardino di Anâthapindiko. Là l'onorevole Sâriputto si
rivolse ai monaci: "Così come tutto ciò che è vivente, che si muove fornito di
piedi, sta all'interno dell'orma dell'elefante, perché la sua orma è nota per
essere la più larga di tutte, così pure tutto il bene sta nelle quattro sante
verità: nelle sante verità del dolore, dell'origine del dolore,
dell'annientamento del dolore e della via che conduce all'annientamento del
dolore.
Ma cos'è la santa verità del dolore? Sono dolore: nascita,
vecchiaia, morte, guai, calamità, sofferenze e pene, strazio e disperazione; non
ottenere ciò che si desidera; in breve: i cinque tronchi dell'attaccamento sono
dolore. I tronchi dell'attaccamento alla forma, alla sensazione, alla
percezione, alla distinzione e alla coscienza. Ma qual è il tronco
dell'attaccamento alla forma? Le quattro materie principali e ciò che tramite
esse esiste come forma: la terra, l'acqua, il fuoco e l'aria. La terra può
essere interna o esterna. Quella interna è ciò che in noi si presenta solido e
duro, come: capelli, peli, unghie, denti, pelle, carne, tendini, ossa, midolla,
reni, cuore, fegato, diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestini, mucose,
sterco e così via. Ma interna o esterna è sempre terra e ognuno deve
considerarla, conforme a verità e con perfetta sapienza, come cosa che non gli
appartiene, non è il suo io, non è se stesso. Riconosciuto ciò, la terra non
interessa più, ci si stacca da essa.
Vi sono tempi in cui le acque esteriori s'innalzano, e la
terra esteriore scompare sotto di quelle. Questa terra esterna, che è così
enorme, mostra d'essere impermanente, soggetta alle leggi della distruzione,
della dissoluzione, della mutazione: e questo corpo, alto meno d'otto palmi,
prodotto dalla sete d'esistenza varrebbe la pena di considerarlo un 'Io' o un
'Mio' o un 'Essere'?
Se la gente biasima, condanna, perseguita, assale un monaco,
egli pensa: 'In me s'è originata questa sensazione di dolore provocata da
contatto uditivo, ed essa è determinata da contatto'. Ed egli osserva: 'Tutto è
mutevole: il contatto, la sensazione, la percezione, la distinzione e la
coscienza'. Il suo animo, che scompone così gli elementi, si solleva, si
rasserena, diviene saldo e costante.
Se la gente tratta un tal monaco scortesemente, senz'amore,
lo batte rozzamente con pugni, gli tira pietre, lo percuote con mazze, lo
colpisce con spade, allora egli pensa: 'Così è fatto questo corpo; lo si può
battere coi pugni, colpire con pietre, percuotere con mazze, ferire con spade!
Ma la parola del Sublime nel Paragone della Sega suona: (Se anche, monaci,
briganti ed assassini, con una sega da alberi, vi staccassero articolazioni e
membra, chi per ciò si infuriasse non osserverebbe il mio insegnamento). Ferrea
quindi sarà la mia forza, inflessibile; presente il sapere, irremovibile; calmo
il corpo, impassibile; raccolto l'animo, unificato. Qualunque cosa facciano,
sarà osservato quell'insegnamento degli Svegliati'.
Se a questo monaco che si ricorda così dello Svegliato, così
della Dottrina, così dei Discepoli, manca la nobile costanza
dell'imperturbabilità, allora egli diviene confuso, cade in agitazione; così
come accade alla nuora, incontrando il suocero.
Se invece a questo monaco che si ricorda così dello
Svegliato, così della Dottrina, così dei Discepoli, permane la nobile costanza
dell' imperturbabilità, allora egli è felice, ed ha realizzato molto. L'acqua
può essere interna o esterna. Ciò che specificamente nell'interno si presenta
fluido e liquido, come: bile, muco, pus, sangue, sudore, linfa, lacrime, siero,
saliva, liquido articolare, urina o altre cose del genere, ciò si chiama acqua
interna. E l'acqua interna e quella esterna sono entrambe la materia acqua. E
riconosciuto conforme alla verità, con perfetta sapienza, che ciò non mi
appartiene, ciò non è io, ciò non è me stesso; si diviene disinteressati
all'acqua, ci si distacca da essa.
Vi sono tempi in cui le acque esterne si gonfiano, in cui
esse travolgono un villaggio, una città una residenza, inondano un paese,
inondano terre e regni. Vi sono tempi in cui le acque del grande mare sono
profonde centinaia, migliaia di miglia. Vi sono tempi in cui l'acqua del grande
mare è alta fino a un solo palmo; vi sono altri tempi in cui l'acqua del grande
mare è profonda dall'altezza di sette uomini sino a quella di un solo uomo. Vi
sono tempi in cui l'acqua del mare raggiunge l'altezza di mezzo uomo, in cui
giunge fino all'anca, al ginocchio, al malleolo; ve ne sono altri in cui non
arriva a coprire la falange d'un dito. Quest'acqua esterna, che è così enorme,
si mostra impermanente, soggetta alle leggi della distruzione, della
dissoluzione, della mutazione: e di questo corpo, alto meno di otto palmi,
prodotto dalla sete d'esistenza, varrebbe la pena di considerarlo un 'Io' o un
'Mio' o un 'Essere'?
Se ora nel monaco che così si ricorda dello Svegliato, della
Dottrina e dei Discepoli, dura la nobile costanza dell'imperturbabilità, allora
egli è felice, ed ha realizzato molto. Il fuoco può essere interno o esterno. Il
fuoco interno è ciò che nel corpo si presenta caldo e focoso, come quello per
cui si digerisce, ci si riscalda, per cui il cibo masticato e la bevanda
ingerita soggiacciono a una completa trasformazione, o qualsiasi altra cosa che
nell'interno si presenta calda e focosa. E ciò che vi è di fuoco interno o
esterno è la materia fuoco. E riconosciuto conforme alla verità, con perfetta
sapienza, che ciò non mi appartiene, ciò non è io, ciò non è me stesso; ci
disinteressa del fuoco, ci si distacca da esso.
Vi sono tempi in cui i fuochi esterni infuriano e distruggono
un villaggio, una città, una residenza, divorano un paese, divorano terre e
regni, invadono campi e prati, selve e boschi, campagne fiorenti, e si
estinguono solo quando tutto è bruciato. Vi sono tempi in cui con una penna, con
una piuma bisogna ventilare il fuoco. Questo fuoco, che può essere così enorme,
mostra la sua impermanenza, il suo esser soggetto alle leggi della distruzione,
della dissoluzione, della mutazione: e di questo corpo, alto meno di otto palmi,
prodotto dalla sete d'esistenza, varrebbe la pena di considerarlo un 'Io' o un
'Mio' o un 'Essere'?
Se ora nel monaco che così si ricorda dello Svegliato, della
Dottrina e dei Discepoli, dura la nobile costanza dell'imperturbabilità, allora
egli è felice, ed ha realizzato molto. L'aria può essere interna o esterna. Ciò
che nell'interno si presenta volatile ed aereo, come i venti del ventre e
dell'intestino, i venti della inspirazione e dell'espirazione, o qualsiasi altra
cosa che si presenta volatile ed aerea è materia aria. E ciò è vi è di aria
interna ed esterna è l'elemento aria. E riconosciuto conforme alla verità, con
perfetta sapienza, che ciò non mi appartiene, ciò non è io, ciò non è me stesso;
ci si disinteressa dell'aria, ci si distacca da essa.
Vi sono tempi in cui l'aria esterna infuria e abbatte un
villaggio, una città, una residenza, devasta un paese, devasta terre e regni. Vi
sono tempi, come nell'ultimo mese dell'estate, in cui bisogna farsi vento con
una foglia di palma, con un ventaglio; tempi in cui anche sull'acqua non si
muove uno stelo. Quest'aria, che può essere così enorme, mostra la sua
impermanenza, il suo esser soggetta alle leggi della distruzione, della
dissoluzione, della mutazione: e di questo corpo, alto meno di otto palmi,
prodotto dalla sete d'esistenza, varrebbe la pena di considerarlo un 'Io' o un
'Mio' o un 'Essere'?
Se la gente biasima, condanna, perseguita, assale un monaco,
egli pensa: 'In me s'è originata questa sensazione di dolore provocata da
contatto uditivo, ed essa è determinata da contatto'. Ed egli osserva: 'Tutto è
mutevole: il contatto, la sensazione, la percezione, la distinzione e la
coscienza'. Il suo animo, che scompone così gli elementi, si solleva, si
rasserena, diviene saldo e costante.
Se la gente tratta un tal monaco scortesemente, senz'amore,
rozzamente lo batte con pugni, gli tira pietre, lo percuote con mazze, lo
colpisce con spade, allora egli pensa: 'Così è fatto questo corpo; lo si può
battere coi pugni, colpire con pietre, percuotere con mazze, ferire con spade!
Ma la parola del Sublime nel Paragone della Sega suona: (Se anche, monaci,
briganti ed assassini, con una sega da alberi, vi staccassero articolazioni e
membra, chi per ciò si infuriasse non osserverebbe il mio insegnamento).
Ferrea quindi sarà la mia forza, inflessibile; presente il
sapere, irremovibile; calmo il corpo, impassibile; raccolto l'animo, unificato.
Qualunque cosa facciano, sarà osservato quell'insegnamento degli Svegliati'. Se
a questo monaco che si ricorda così dello Svegliato, così della Dottrina, così
dei Discepoli, manca la nobile costanza dell'imperturbabilità, allora egli
diviene confuso; così come accade alla nuora, incontrando il suocero.
Se ora nel monaco che così si ricorda dello Svegliato, della
Dottrina e dei Discepoli, dura la nobile costanza dell'imperturbabilità, allora
egli è felice, ed ha realizzato molto."
"Così come per mezzo di travi e giunchi, di paglia e creta
viene a costituirsi uno spazio limitato, ossia 'la casa'; così pure per mezzo di
ossa e tendini, di carne e pelle viene a costituirsi uno spazio limitato, ossia
'la forma'.
Se la vista interna non è distratta, e le forme esterne non
entrano nel campo visivo, allora non si verifica il corrispondente contatto
reciproco, e non si viene a formare alcuna formazione nel corrispondente campo
di coscienza.
Se la vista interna non è distratta, e le forme esterne
potrebbero entrare nel campo visivo (ma non lo fanno), non si verifica il
corrispondente contatto reciproco, e non si viene a formare alcuna formazione
nel corrispondente campo di coscienza.
Ma se la vista interna non è distratta, e le forme esterne
entrano nel campo visivo, e ha luogo una corrispondente contatto reciproco,
allora si viene così alla formazione del corrispondente campo di coscienza. Ogni
forma, pertinente a ciò che così si è formato, si dispone nel tronco
dell'attaccamento alla forma; ogni sensazione si dispone nel tronco
dell'attaccamento alla sensazione e lo stesso accade a ogni percezione, a ogni
distinzione, a ogni coscienza. Si comprende adesso: 'Questa è dunque la
disposizione, la riunione, la combinazione di questi cinque tronchi
dell'attaccamento!' E la parola del Sublime suona: 'Chi vede l'origine da cause,
vede la verità: chi vede la verità, vede l'origine da cause'. Da cause sono essi
perciò originati, questi cinque tronchi dell'attaccamento! La volontà, il
piacere, l'affermazione (anunayo), la soddisfazione in questi cinque tronchi
dell'attaccamento: questa è l'origine del dolore. Il rinnegamento (vinayo) della
brama del volere, il suo annullamento in questi cinque tronchi
dell'attaccamento: questo è l'annientamento del dolore. E pertanto, fratelli, un
monaco ha fatto molto.
Se l'udito interno non è distratto,
Se l'olfatto interno non è distratto,
Se il gusto interno non è distratto,
Se il tatto interno non è distratto,
Se il pensiero interno non è distratto, e le cose esterne non
entrano nel campo del pensiero, allora non ha nemmeno luogo la corrispondente
combinazione reciproca, e non si perviene ad alcuna formazione del
corrispondente campo di coscienza.
Se il pensiero interno non è distratto, e le cose esterne
entrano nel campo del pensiero, e non ha luogo alcuna reciproca combinazione,
allora neppure si perviene ad alcuna formazione del corrispondente campo di
coscienza.
Ma se il pensiero interno non è distratto, e le cose esterne
entrano nel campo del pensiero, e ha luogo una corrispondente reciproca
combinazione, allora si viene alla formazione del corrispondente campo di
coscienza. Ogni forma, pertinente a ciò che si è così formato, si dispone nel
tronco dell'attaccamento alla forma, ogni sensazione si dispone nel tronco
dell'attaccamento alla sensazione e lo stesso accade a ogni percezione, a ogni
distinzione, a ogni coscienza. Si comprende adesso: 'Questa è dunque la
disposizione, la riunione, la combinazione di questi cinque tronchi
dell'attaccamento!' E la parola del Sublime suona: 'Chi vede l'origine da cause,
vede la verità: chi vede la verità, vede l'origine da cause'. Da cause sono essi
perciò originati, questi cinque tronchi dell'attaccamento! La volontà, il
piacere, l'affermazione, la soddisfazione in questi cinque tronchi
dell'attaccamento: questa è l'origine del dolore. Il rinnegamento della brama
del volere, l'annullamento della brama del volere in questi cinque tronchi
dell'attaccamento: questo è l'annientamento del dolore. E pertanto, fratelli, un
monaco ha fatto molto'."
Così parlò l'onorevole Sâriputto. Contenti i monaci si
rallegrarono della sua parola.
Riscrittura a partire dall'italiano di De Lorenzo, da
Pier Antonio Morniroli.
Per distribuzione gratuita esclusivamente.
Questo ho sentito.
Una volta il Sublime soggiornava presso Râjagaham, sull'alpe
del Picco dell'Avvoltoio, poco dopo che Devadatto s'era staccato dall'Ordine. Là
egli si rivolse ai monaci pensando a Devadatto:
"Ecco un nobile figlio che ha lasciato la casa per l'eremo
pensando: 'Sono precipitato nella nascita, nella vecchiaia e nella morte; in
guai, sofferenze e pene; nello strazio e nella disperazione; immerso e perduto
nel dolore! Oh, se potessi mettere fine a tutto questo tronco di dolore!'. Con
tale intenzione egli ha rinunciato al mondo ed ottiene elemosina onore e gloria.
Tutto ciò lo allieta ed egli cambia. Finisce col diventare altero e disprezza il
suo prossimo: 'Io sono amato e glorificato, questi altri monaci però sono ignoti
e insignificanti'. Egli s'inebria, diviene negligente, leggero; e chi è leggero
è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che vuole legno, cerca legno, uscisse,
s'arrampicasse su un grande albero vi salisse sopra, staccasse un ramoscello con
foglie e si allontanasse pensando: 'Questo è legno': un uomo di buona vista che
lo avesse osservato penserebbe: 'Questo caro uomo non conosce né il legno duro,
né quello tenero; non conosce la corteccia, né i rami. né il fogliame. Si è
arrampicato sino ai rami, ha staccato un ramoscello con foglie, e se lo è
portato via convinto che fosse legno; ma ciò che di legno può ricavarne, non gli
servirà a nulla'. Proprio così un uomo che ha lasciato la casa per l'eremo con
la giusta motivazione, ma, pur avendo ottenuto i giusti riconoscimenti, si
lascia fuorviare da essi, diventa altero, disprezza chi gli sta intorno, diviene
negligente e leggero; è, monaci, un monaco che ha preso per sé le foglie
dell'ascetismo e ne è appagato.
Ma ecco un uomo che, spinto dalle giuste motivazioni,
rinuncia al mondo e lascia la casa per l'eremo. Ottiene i giusti riconoscimenti
ma questi non lo allietano, non lo cambiano. Non diviene altero, non disprezza
il suo prossimo; non s'inebria, non diviene negligente né leggero e, lottando
con seri intendimenti, conquista le virtù dell'Ordine. Ma queste virtù lo
mutano, lo rendono altero, gli fanno disprezzare il suo prossimo: 'Io sono
virtuoso, sono giusto, però questi altri monaci non lo sono, sono cattivi'. Le
virtù lo inebriano, lo rendono negligente, leggero; e chi è leggero è toccato
dal dolore.
Così come se un uomo che cerca legno s'arrampicasse sopra un
grande albero, ne staccasse un ramo e se ne andasse pensando: 'Questo è legno':
un uomo di buona vista che avesse osservato tutto penserebbe che costui non
conosce niente delle parti dell'albero, e che quel poco legno che può ricavare
dal ramo non gli servirà a nulla. Allo stesso modo un nobile figlio che con
giuste motivazioni avesse lasciato la casa per l'eremo, avesse ottenuto i giusti
riconoscimenti e non diventasse altero e sprezzante del suo prossimo, non
s'inebrierebbe, non diverrebbe negligente né leggero e conquisterebbe le virtù
dell'Ordine. Per queste virtù egli si allieta e cambia, diventa altero e
sprezzante: 'Io sono virtuoso, sono giusto, gli altri monaci non sono virtuoso,
sono cattivi'. Le virtù lo inebriano, lo rendono negligente, leggero; e chi è
leggero è toccato dal dolore. Costui è un monaco che si accontenta di un solo
ramo dell'ascetismo.
Ecco un altro nobile figlio che lascia la casa per l'eremo e
vive le stesse esperienze degli altri. Conquista le virtù dell'Ordine e non si
lascia inebriare da esse. Non diventa negligente né leggero, e, lottando con
seri intendimenti, conquista la grazia del raccoglimento. Ma ancora una volta
questa grazia del raccoglimento lo altera; diventa superbo e disprezza gli altri
monaci: 'Io sono raccolto, di animo unificato, gli altri monaci non sono
raccolti, hanno l'animo distratto'. Il raccoglimento lo inebria, lo rende
negligente e leggero, e il leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca legno si arrampicasse su un
grande albero e ne prendesse solo la corteccia, convinto d'aver preso del legno;
uno di buona vista che lo osserva lo giudicherebbe un incompetente: allo stesso
modo si comporterebbe un nobile figlio che, divenuto monaco e raggiunto il
raccoglimento, disprezzasse gli altri monaci per non esserci riusciti. Costui è
un monaco che si accontenta della sola corteccia dell'ascetismo. Un altro nobile
figlio che, divenuto monaco, vive tutte le esperienze che abbiamo visto,
raggiunge la grazia del raccoglimento, non se ne inebria; lottando seriamente
conquista la chiarezza del sapere. Se ne allieta, cambia, e pensa: 'Io sono
chiaro sciente, gli altri monaci sono ignoranti'. La chiarezza del sapere lo
inebria, diviene negligente e leggero; e il leggero è toccato dal dolore.
Così come se un uomo che cerca legno, arrampicatosi su un
grande albero, si accontentasse di legno tenero, e fosse convinto d'avere preso
autentico legno; un competente che l'avesse osservato, saprebbe che si è
accontentato di legno inadatto. Altrettanto un nobile figlio, divenuto monaco e
raggiunta la chiara scienza, inebriato da ciò diverrebbe negligente e leggero; e
il leggero è toccato dal dolore. Costui è un monaco che è appagato dal legno
tenero dell'ascetismo. Un altro nobile figlio, divenuto monaco, ha raggiunto la
chiaroveggenza e, lottando seriamente, ha conquistato una imperdibile temporanea
redenzione . Così come se un uomo che cerca legno, segasse proprio il tronco di
legno duro d'un grande albero, lo prendesse e lo portasse via, certo d'aver
preso buon legno duro: un uomo competente di buona vista che l'avesse osservato,
approverebbe il suo operato.
Così un nobile figlio che ha lasciato la casa per l'eremo
pensando: 'Sono precipitato nella nascita, nella vecchiaia e nella morte; in
guai, sofferenze e pene; nello strazio e nella disperazione; immerso e perduto
nel dolore! Oh, se potessi mettere fine a tutto questo tronco di dolore!'. Con
tale intenzione egli ha rinunciato al mondo ed ottiene elemosina onore e gloria.
Tutto ciò lo allieta ma non lo cambia. Non diviene altero per le virtù
dell'Ordine acquisite, non diventa negligente, non leggero e, lottando con seri
intendimenti, egli conquista la grazia del raccoglimento. Se ne rallegra, ma non
cambia. Lottando ancora conquista la chiarezza del sapere. Se ne rallegra, ma
non cambia. Lottando ancora con seri intendimenti conquista l'eterna redenzione
che non è cosa che si possa perdere.
E così il frutto dell'ascetismo, non è elemosina, onore e
gloria, non virtù dell'Ordine, non grazia del raccoglimento, non chiarezza del
sapere. Ma quella imperturbabile redenzione dell'animo, ciò è lo scopo: questo,
monaci, è l'ascetismo, questo ne è il nocciolo, questo il fine."
Così parlò il Sublime. Contenti si rallegrarono i monaci
della sua parola