Storia dell'interpretazione
Si
tratta in questa prima parte degli approcci ermeneutici delle Scritture
ebraico-cristiane in base al criterio della secolarità. Secolarità qui
significa "interrogare il testo a partire dalla concretezza della
situazione mondana in cui si é posti ad operare", sviluppando un
atteggiamento critico rispetto alla teologia ed alle ideologie
dominanti. Evidentemente assistiamo ad una non compiutezza di questo
processo ermeneutico anche nel mondo cristiano.. Il valore metodologico
di questa lettura secolare - va da sé - é condivisibile anche da altre
tradizioni religiose a fronte del momento grave che stiamo vivendo di
"scontro di civiltà", contro ogni rivendicazione confessionale di
mistica purezza dell’appartenenza religiosa.
Il
paradigma biblico
Questa tesi insiste sul carattere comparatistico della ricerca per poi
correggere la prospettiva tenendo conto della relatività delle posizioni
di appartenenza. Non si é quindi alla ricerca di un progetto
illuministico che, partendo dalla giusta intuizione che non esiste
trasformazione storica senza un fondo di motivazioni religiose, assembli
sinteticamente dei pezzi delle varie tradizioni o crei una realtà del
tutto nuova ed astratta. Non si tratta di trasformare il proprio
linguaggio religioso in un metalinguagggio che tutto assimili ed
introietti al fine di formare un’unica tradizione.
Occorre innanzitutto accettare l’ineliminabilità del paradigma biblico,
il suo essere la nostra "lingua religiosa materna", ma al tempo stesso
occorre riconoscere l’irriducibile pluralità delle lingue: ciò significa
avere la capacità non di sintetizzare i contenuti, ma di cogliere le
specificità (Weil), in un compito di traduzione che sappia lasciarsi
scuotere dalla lingua degli altri testi normativi (Benjamin),
all’interno di una continuità storica e di un continuo scambio tra
realtà.
Ma
come recuperare l’universalità attraverso l’individuale? Questo
significa comprendere le analogie esistenti della natura umana, sia nel
loro carattere biologico che nel loro essere persistenze di emozioni,
affetti, che hanno diverse formulazioni culturali "comunicanti
attraverso il comune tessuto affettivo".
Questo pecorso ha una immediata rilevanza etico-giuridica. Lasciamo
parlare il testo: "Il primo compito nella direzione di una cultura
dei diritti umani, che offra un solido fondamento ad una prassi
corrente, é infatti quello della critica della propria cultura, e della
conoscenza di culture diverse dalla nostra. Dalla propria cultura é
difficile, probabilmente impossibile uscire. Ma é importante, nel
contatto con altre culture, valorizzare anzitutto nel nostro contesto
quegli elementi che siano suscettibili di un’interpretazione in
direzione universalistica. Questo processo di interpretazione si regge
sulla premessa che particolarità e universalità non sono tra loro in
contrasto, e che una tendenziale, inespressa e mai pienamente
esprimibile universalità. Certo il concetto di natura non é formalmente
indispensabile all’idea dei diritti umani".
Vale
in questo senso l’interessante storia della redazione dell’articolo 1
della dichiarazione universale dei diritti umani che recita: "Tutti gli
uomini nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono dotati di
ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in uno
spirito di fraternità".
Sapienza
Partendo dall’affermazione secondo la quale "Interpretazione di
qualsiasi testo, e primo fra questi il testo biblico, non é possibile
senza comunione spirituale con questo", si
denota come la lettura dovrebbe assumere quale primato quello della
sapienza.
La
sapienza ha carattere pratico e non metafisico, attiene all’
"intelligenza della propria vita" e non ai fini ultimi della realtà.
Essa si accompagna al desiderio della giustizia, ed é come la legge
prossima ed accessibile a tutti; essa soprattutto "ha carattere in
qualche modo sperimentale (oltre che trasmissibile e tradizionale),
razionale, mondano, secolare, suscettibile perciò di accogliere
"sapienze straniere".
Di
fronte ad una scienza, e ad una opinione che è sempre più strumentale,
occorre tornare ad un concetto di sapienza più vicino a quello degli
antichi: alla sapienza socratica che consiste nella capacità di ordinare
rettamente le cose umane, a partire da se stessi sino alle grandi scelte
politiche. Ma questa sapienza e conoscenza la ritroviamo anche nelle
culture orientali, cinese e indiana, sino alla grande tradizione del
sufismo islamico.
Il
testo di Bori si sofferma su personaggi come Simon Weil, Tolstoi.
Il
prototipo del rapporto sapienziale é il rapporto primario tra la madre e
il bambino, rapporto non oggettuale, ma corporeo, centrato sul desiderio
del bambino e sulla capacità strutturante della madre, così come insegna
l’esperienza psicoanalitica. Una interazione fortemente simbolica e
capace di far sorgere il gioco, il pensiero, la creatività, la
distinzione tra sé e l’altro. Si tratta della capacità della madre di
nutrire il bambino e insieme di orientarne e formarne il desiderio. Il
rapporto tra testo e lettore é analogo a quello tra madre e bambino, "un
rapporto spirituale, un legame di adulta lealtà che si fonda su una
infantile affezione".
Questo rapporto amorevole-erotico torna sempre alla lezione di Diotima,
all’amore che aspira alla sapienza e alla bellezza e che si disciplina e
si educa alla contemplazione del bello e del buono, sino alla
liberazione del potere generativo che comporta obbedienza e creatività.
La
legge
Il
tema principale della quarta tesi é di carattere contenutistico e verte
intorno all’idea della legge, partendo dalla consapevolezza che la legge
é al centro della sapienza biblica ebraica e cristiana: una legge da
osservare e mettere in pratica, non da abolire, ma da compiere,
attraverso le sue caratteristiche sapienziali di intimità,
accessibilità, praticabilità e tendenziale universalità.
Il
comandamento é radicato nella creazione e l’obbedienza ne é il bisogno
costitutivo, la sua fonte di gioia. La sua radicalità coincide con la
sua evidenza"razionale-sapienziale" (Tolstoi)
La
sottomissione fiduciosa é inizio di conoscenza prima ancora che di
consolazione: si tratta della reciproca implicanza dell’adempimento
della legge e della conoscenza di Dio. La rivelazione é infatti legata
alla pratica dei comandamenti. Questo circolo tra conoscenza ed azione é
tipico di altre tradizioni religiose e culturali.
Etica
Il
tema finale delle tesi é quello dell’etica: tema imposto dalla "assunzione
metodica di una prospettiva secolare", per una costruzione etica
comune in un mondo dove le crisi che si susseguono hanno in comune anche
il progressivo rifiuto di ogni tentativo di una "modernizzazione
teologica": torna in questo senso la tematica cara a Bonhoeffer
sull’attesa di un nuovo linguaggio non-religioso per un "mondo adulto".
Questo significa accettare realmente il confronto.
Si
perviene quindi al delicatissimo tema del rapporto tra politica ed etica
laddove "si tratta di rendere presente nel politico un’etica che
conservi il nucleo essenziale e radicale della tradizione religiosa, ma
ridimensioni drasticamente le modalità eteronome con cui l’etica
tradizionale si configura, con il rinvio ad autorità esterne alla
coscienza".
Condividendo questo percorso di secolarizzazione e di autonomia della
politica rispetto alle forme confessionali dell’etica, le chiedo, se a
distanza di anni non nota anche lei un progressivo peggioramento della
situazione reale, ovvero di un progressivo abbandono da parte della
politica della rivendicazione della propria laicità ed autonomia, e di
una progressiva intromissione "interessata" delle chiese.
Le
basi della moderna cultura dei diritti sono state elaborate accostando i
diritti civili e politici (la prima generazione, le rivoluzioni
americana e francese) ai diritti economico-sociali (la seconda
generazione, il movimento socialista) mentre si affacciano i diritti di
terza generazione, quelli della pace, dell’ambiente. Eppure richiamarsi
ai valori della cultura dei diritti non basta ad assicurare che i
diritti stessi siano attuati e rispettati, perché essi da soli non sono
sufficienti a costituire un’etica pubblica e privata. Come uscirne?
Attraverso "l’ipotesi di una elaborazione etica collettiva in cui la
pluralità delle tradizioni... tutte accolte criticamente, confluisca in
un complesso di convincimenti fondamentali, comunemente condivisi (sia
pure con inevitabili contrasti e conflitti)".
Questo compito va affrontato mirando ad accrescere il consenso sulla
base dei convincimenti etici fondamentali che ritroviamo alla base del
vivere sociale di buon parte dell’umanità. Il diritto non si attua senza
il sentimento dell’obbligo verso ogni essere umano. Tornano qui le
parole attualissime di Simone Weil e del suo testamento, parole sulle
quali troppo spesso, oggi come allora, si ha un moto di irrisione.L’idea
di obbligo verso l’essere umano in quanto tale, a partire dai suoi
bisogni concreti, viene dopo quello della rivendicazione dei propri
diritti e delle proprie libertà che nulla vogliono sapere dei doveri
verso gli altri. La conclusione é quella per cui "al carattere
incondizionato, assoluto dell’obbligazione morale quanto al suo
fondamento corrisponde, anzi é inversamente proporzionale la concretezza
del suo oggetto, che emerge dalla specificità e determinatezza
antropolgica, storica, politica dei bisogni umani, che costituiscono il
contenuto dei diritti. E se é impossibile una dimostrazione del
fondamento, nella sua purezza incondizionata e nella sua universalità,
giacché la sua verità si può cogliere solo nel fare obbediente, é invece
possibile intraprenderne una verifica nella coscienza dei popoli".
Il
percorso fin qui seguito si situa al centro di una riflessione sulla
possibilità di compiere percorsi politici in un mondo diviso e in una
situazione di emergenza. La democrazia inverte l’acquiescenza di ogni
totalitarismo (politico o religioso) secondo cui il dovere é di credere,
obbedire, combattere. Essa afferma invece che nostro obbligo é
ragionare, decidere e costruire giorno per giorno la giustizia e la
pace.
Alla
fine di questa introduzione vorrei porre alcuni spunti di discussione
partendo proprio dalle tematiche sino a qui sviluppate.
Uno
dei temi che sembra essere centrale in questo momento é quello che
riguarda l’altra metà del cielo: ovvero quello del dominio del corpo
femminile (e vorrei aggiungere anche quello del corpo dei bambini).
Lontana dal ritenere che esso debba essere sbandierato quale
giustificazione tarda di una guerra di liberazione (si sapeva e si
taceva da anni sulla condizione delle donne all’interno del regime dei
talebani), esso é realmente uno dei temi sui diritti umani che devono
essere affrontati urgentemente dall’agenda politica. Vorrei aggiungere
laicamente affrontato, proprio perché una delle dimensioni gravi della
minorità femminile é quella che deriva anche dalla interpretazione dei
testi religiosi: sia dove si santifichi la capacità generativa della
donna, spogliandola e separandola in qualche modo dalla sua naturalità e
quindi levandole il corpo, sia dove di fatto si depersonalizzi il
femminile, non riconoscendogli alcun diritto e vanificandone la
sapienza. Se é vero che la condivisione femminile dei diritti (politici,
economici, religiosi, culturali) é un arricchimento per l’umano tout
court, é vero anche che solo una lettura laica, storica, o come lei
sostiene, una lettura secolare irrinunciabile e necessariamente critica
anche dei testi sacri e della storica misoginia dei cleri può essere un
passo verso una liberazione delle concrete situazioni di vita che le
donne in troppe nazioni vivono.
Come
si affronta il tema delle "gerarchie etiche condivise"? Perché il grande
timore, una volta avvenuto il riconoscimento di quei valori "minimi" di
riferimento, é che si instauri una spirale di delegittimazione dei
doveri e dei diritti, alla fine della quale "anything goes on", tutto va
bene, e ogni cosa é comparabile ad altra, senza alcuna scala di valori e
di riferimenti certi.Il rischio è di ingenerare una grande confusione
per cui tutto diviene diritto riconosciuto senza alcun limite, neppure
quello immediatamente riconoscibile del prossimo che mi sta vicino e
dove soprattutto ogni discorso sui doveri viene bollato quale negazione
della società dei diritti;
Una
straziante riflessione storica credo che debba essere ancora affrontata,
pur nella difficoltà che essa comporta: quella sulla diabolica eredità
del nazismo: aver trasformato una cultura e un popolo che per duemila
anni erano stati inermi - proprio letteralmente senza armi - in una
nazione che non riesce più da anni a trovare percorsi di pace con un
altro popolo.
Le
tesi
1 - storia
dell’interpretazione. L’antica esegesi biblica cristiana si
qualifica per l’ambito ascetico-mistico in cui si situa l’interprete,
l’esegesi dei movimenti evangelici e della riforma é segnata
dall’istanza secolare, nuova ma anche originaria. Questa secolarità,
sotto il profilo conoscitivo, viene assunta metodicamente e sviluppata
dall’esegesi storico-critica, ma in ambito accademico e confessionale
non trova compiuta realizzazione.
2 - il
paradigma biblico. Si propone che la ricerca storico-critica torni a
privilegiare i contenuti etico-dottrinali essenziali al testo biblico
ebraico e cristiano, e abbracci nella comparazione, sotto lo stesso
profilo etico-dottrinale, altre scritture extrabibliche. Compito
dell’interprete tuttavia, secondo questa proposta e a differenza di
molti progetti illuministici, non é di costruire un metalinguaggio che
assimili e porti ad unità le diverse tradizioni religiose, ma di operare
dentro all’ineliminabile paradigma linguistico biblico risvegliandovi la
consapevolezza della pluralità delle lingue e delle culture, della loro
traducibilità, delle continuità storiche che le collegano e della
propria e altrui potenziale universalità. Questo compito ha anche una
immediata rilevanza etico-giuiridica.
3 - sapienza.
"Leggere le scritture nello stesso spirito in cui furono scritte" ovvero
farne una "lettura spirituale" vuol dire leggere il testo biblico come
testo di sapienza. La tradizione classica, in particolare l’insegnamento
socratico, la tradizione biblica, le tradizioni orientali, autori
moderni distinguono tra un conoscere scisso ed astratto e una sapienza
che cerca di cogliere il nesso tra parti e tutto, tra il pensare e
l’agire, e concordano nel considerare quest’ultima l’unica degna di
essere perseguita e nell’indicarne i testi fondamentali e il modo in cui
interpretarli. Il rapporto madre-bambino rappresenta il prototipo che
illumina la situazione sapienziale, dove la disciplina e la liberazione
del potere generativo del desiderio costituiscono il compito della
sapienza e l’aspirazione del desiderio stesso, inteso come forza unica e
indivisa.
4 - La
legge. La legge è al centro della sapienza biblica ebraica e
cristiana. Non si può sospendere la pratica della legge in attesa di
conoscere l’esistenza di Dio, ma la sottomissione fiduciosa ai
comandamenti evidentemente e immediatamente vincolanti, compresi quelli
impliciti nelle beatitudini, é già sin d’ora un inizio di conoscenza,
oltre che di felicità e di comunione.
5 - Etica.
Nel grave momento attuale, il compito più urgente non é quello
teologico, ma quello di superare la separazione tra etica e politica e
di contribuire all’elaborazione di un’etica che, offrendo la base
consensuale e tendenzialmente universalistica della moderna
irrinunciabile cultura dei diritti, sia l’alveo in cui la pluralità
delle tradizioni, accolta criticamente, converga in un complesso di
convincimenti fondamentali.
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intervento di Pier Cesare Bori
Vi
sono molto grato. Devo dire che ho fatto un’altra edizione del libro, di
110 pagine rispetto a questa di 90, e poi c’è un’altra ristampa. La
prima redazione, come sempre, è forse quella più efficace. Magari ne
farò una terza, che ritorna alla prima. Nella prima c’è tutta
l’intuizione di quei momenti.
Forse volete sapere cosa ho fatto dopo questo libro. Dal 1995 io ho
praticato molto nell’insegnamento: io faccio una Filosofia Morale un po’
particolare a Scienze politiche, senza essere proprio docente di
Filosofia Morale. Ho chiesto di insegnare filosofia morale insieme a
Storia della Teologia; ho insegnato a centinaia a migliaia di studenti
perché la cosa piace moltissimo. In un libro edito da Carocci ho
raccolto una sequenza di testi che illustra appunto questo percorso
sapienziale attraverso le grandi culture, le grandi civiltà. Si comincia
con Platone, la Caverna, la liberazione attraverso il sapere, si arriva
al Simposio, Eros che cerca Sapienza, il bisogno di Sapienza; poi al
mondo cinese, Confucio, alla Regola d’Oro, che è centrale (ho scoperto
la rilevanza enorme della Regola d’Oro), poi leggiamo alcuni testi
buddisti, il Deuteronomio, il Discorso della Montagna, alcune Sure del
Corano, una parte della Sunna; chiudiamo con Seneca e Marcaurelio.
Questo per dare un’idea di quale è il nostro orizzonte, un orizzonte
costituito dal mondo greco-romano con al centro la Bibbia. Il discorso è
che non si arriva a delle conclusioni, anche se la Regola d’Oro
probabilmente è la scoperta più importante, ma ci si abitua appunto a
percorrere. Si scopre che è possibile percorrere, è possibile esplorare
questi mondi, è possibile comparare, è possibile classificare, è
possibile giungere ad alcuni risultati, ad alcuni convincimenti etici
fondamentali. Quindi una posizione, diciamo, radicalmente
anti-relativistica, ma al tempo stesso, non è una ricerca di una sintesi
ma è la possibilità di individuare alcuni temi, alcuni convincimenti
fondamentali.
Ecco, ho esplorato personalmente altri mondi cristiani, altre al
cattolicesimo. Mi sono accostato ad una realtà molto interessante, poco
nota fra noi, che è la società degli Amici Quaccheri, che da 350 anni
pratica un tipo di cristianesimo radicale, mistico ed umanistico.
Quando stavo facendo la seconda edizione del libro, stava finendo
un’esperienza che abbiamo condotto a Bologna, il Gruppo
Simone Veil, con Giancarlo Gaeta. Ci siamo riuniti per settimane,
per serate interminabili, abbiamo tentato di portare nella sinistra il
discorso delle culture e delle tradizioni, un discorso etico,
pluralistico; con scarso successo. L’idea era questa: che occorreva un
radicamento secondo l’espressione della Weil.
Per
questo la seconda edizione del libro porta una prima tesi in cui si
parla dell’importanza del leggere, una tesi che non c’è nella prima.
Uno
dei temi più importanti di questo libro è quello che bisogna provare a
mettere in atto ciò che uno dice e se non ci riesce pazienza, perché
siamo tutti inadeguati. Anche questa è una bellissima esperienza, di non
riuscire a fare quello che uno vorrebbe. Il fare è sicuramente
importante ed aiuta anche a capire. Mettersi nelle situazioni e cercare
di provare ad attuarle: in questo modo si capisce meglio il problema, si
capisce meglio se è vero. Io sono per una forte circolarità tra il
pensare e il fare e anche per una forte limitazione del parlare, nella
misura in cui non si è sperimentato. Parlare poco perché se poi non si
vede che funziona, se non riesci a comunicarlo, a chi parli? Parli tra
te e te, o parli tra pochi amici, ecco.
L’esperimento più forte che ho condotto negli ultimi tre anni è
l’insegnamento di queste cose in carcere, come volontario. E’ stata una
cosa un po’ più articolata del semplice andare lì e fare lezioni a
qualcuno. E’ un corso che io conduco insieme a un gruppo di studenti che
si chiama "Una via". Il corso si chiama "Passi verso un ethos
condiviso". Questo corso lo abbiamo già fatto 5 volte con i miei
studenti . In primavere faremo la sesta cosa. I partecipanti sono quasi
esclusivamente magrebini, detenuti di ascendenza islamica, nord-africana
islamica. Io uso un po’ anche l’arabo per questo. Ecco negli ultimi 10
anni ho lavorato molto sull’arabo. Il percorso è abbastanza simile a
quello universitario. C’è un passo di Al Faharabi sulla città perfetta,
la città virtuosa: la necessità del vivere comune; c’è un altro passo di
Averroè sulla razionalità: ragione e fede che non sono due modi per dire
la stessa cosa…. E poi la Regola d’Oro che di trova nella tradizione
della Summa e si trova in molte altre culture. E’ molto importante nella
cultura cinese, che contiene chiarimenti molto interessanti.
La
mia idea è che questa regola è fondamentale. Per Kant essa è banale. Si!
Naturalmente, se uno non l’approfondisce. Tra la dimensione della
legalità e quella dell’attenzione della cura, la Regola d’Oro diventa
uno strumento molto interessante.
Chiudo l’inciso sulla Regola d’Oro. La Regola d’Oro era già al centro
della Dichiarazione delle Religioni per un ethos mondiale, promossa
sopra tutto da Hans Kung nel 1994 (mi pare ’94-‘95) nell’anniversario
del Congresso Mondiale delle Religioni. Non c’è pace senza la pace
religiosa e si individua nella Regola d’Oro il principio fondamentale
della giustizia e della pace.
L’ultima cosa che ho fatto è una certa riflessione sulla figura di Gesù.
C’è una ricerca magnifica in atto su Gesù, con un forte contributo
ebraico, critico e stimolante. Si è usciti dalla storia teologica e c’è
stato un forte impulso allo studio antropologico, allo studio storico.
Negli ultimi 20 anni c’è un meraviglioso sviluppo a partire da quel
libretto di Thissen "Gesù e il suo movimento" (1970). Ma adesso
ci sono delle cose bellissime e affascinanti, soprattutto i lavori di
Crossand. Viene fuori un movimento di Gesù che si delinea fortemente
nella rottura con l’ascetismo separatistico del Battista e si esprime
massimamente nella commensalità e nella cura, nella guarigione, come un
movimento che attraversa il paese, portando comunione e liberazione,
cioè commensalità e terapia nel senso più profondo.
E’
molto bello soprattutto il libro di Crossand "The birth of
Cristianità" (La nascita del Cristianesimo). Naturalmente la
distanza rispetto alle istituzioni attuali è immensa, ma questa
ovviamente non è una novità. Io traggo molta ispirazione da questo anche
per il lavoro che sto sviluppando, che va oltre appunto al fatto
dell’insegnamento in carcere. Io seguo questi detenuti man mano che
escono o sono espulsi. Ho cominciato a visitare le famiglie degli
immigrati stessi in Tunisia. Un’esperienza molto bella, molto
arricchente, di cui non scrivo, non ho voglia di scrivere. Voglio
godermela senza raccontare troppo.
Ieri
guardavo un po’ questo libro e dicevo: ma guarda quante cose ho messo!
Ero impressionato da me stesso. C’è troppo, probabilmente. Forse la
redazione breve è quella più interessante. Prendete in mano le tesi, e
vi dico un po’.
La
prima: volevo dire che ci vuole un’esegesi laica della Scrittura e che
c’è pochissimo di questo. L’interprete, chi legge, ha la sua dignità. Ho
portato avanti un assioma che ho appreso da Benedetto Carati, e che
trovo sommamente espresso nella tradizione degli amici quaccheri. La
Scrittura va letta nello stesso spirito in cui fu scritta; anche il
leggente è ispirato, e non solo il testo. Cioè c’è una dignità
spirituale del leggente accanto alla dignità spirituale del testo. Ecco
appunto Gregorio Magno che parla del carro trainato da animali, ma lo
stesso spirito anima le ruote e gli esseri animati. Le ruote sono la
Scrittura e chi tira sono i leggenti. Hanno lo stesso spirito e quando
il leggente vola, anche la Scrittura vola e quando il leggente è a terra
anche la Scrittura è terra terra; quando il leggente è un bravo
ecclesiastico che vive nelle mura, la Scrittura risponde a queste sue
bisogna. Il problema è appunto di provocare la Scrittura.
Ho
una piccola esperienza di lettura del Qoelet o dell’Ecclesiaste che è
molto significativa da questo punto di vista. Il libro è stato letto
come vanità del mondo nella tradizione ecclesistico-monastica, a parte
Cernetti, che anche lui è a suo modo un asceta e un anacoreta. Il realtà
il Qoelet è un libro della vita, è un libro che dice che c’è la gioia e
l’allegrezza nel cuore. Insomma c’è questo bisogno di un’esegesi laica
della Scrittura e quello che vi dicevo del gesto di Gesù può essere
illuminante con il Qoelet: un invito alla condivisione della semplice
umanità. Bisogna tornare a questo. La mia prima tesi voleva dire questo:
l’esegesi storico-critica in un certo senso è laica. Solo in un certo
senso, perché vi sono sempre chierici e intellettuali che scrivono per i
concorsi, ecc. Non c’è compiuta realizzazione di un’esegesi laica della
Scrittura.
Il
punto fondamentale è: è possibile leggere la Bibbia in modo che essa
entri nel consenso etico? Perché se noi diciamo, per esempio, che il
Cristianesimo non è una religione, come è possibile fare questo
confronto? E’ una cosa che io non dico più, mi sembra in fondo una
formulazione apologetica e anche un po’ presuntuosa. E poi ho trovato
che lo dicono tutti: l’Islam non è una religione; tutte le altre sono
religioni, loro solo non sono religione. E’ un atto di arroganza in
fondo….Il Cristianesimo è una religione se ha un’assolutezza per chi la
vive; d’altro canto, invece , ha una sua relatività, che può essere
comparata con le altre, se la si vede come una Sapienza.
Alla
base del libro c’era il problema: possiamo mettere in sequenza la Bibbia
con le altre culture? Possiamo comparare? Come possiamo cercare un
consenso se l’universalismo consiste nel portare tutti a dire: sì la
Bibbia è la rilevazione e il resto no! Certo è un universalismo, ma è un
universalismo monistico, non pluralistico. Come può entrare invece la
Bibbia in un contesto di universalismo pluralistico? Che tipo di lettura
dobbiamo fare della Bibbia? Anzi tutto una lettura laica, a partire dal
bisogno, a partire dalla vita concreta. Ma questo non basta.
C’è
una seconda tesi, che è una tesi metodologica molto importante, che
dice: universalità e particolarità non sono in contrasto. E’ possibile,
lavorando nel particolare, guardando nel particolare, scoprire in esso
potenzialità universalistiche, corrispondenze e traducibilità.
Nell’altra formulazione ho detto: operare dentro l’ineliminabile
paradigma linguistico biblico, risvegliandovi la consapevolezza della
pluralità delle lingue e delle culture e la loro traducibilità nelle
continuità storiche che le collegano e della propria e altrui potenziale
universalità. Quindi è possibile lavorare nell’ambito biblico. E’ un
ambito ineliminabile. Io non penso che possiamo uscire dal paradigma
biblico, penso che fa parte del nostro linguaggio. Non dico che la
nostra cultura è solo biblica, ci sono tante altre cose (prima citavo
Platone, Vistotele..), ma bisogna lavorare nel testo biblico
risvegliando in noi la consapevolezza della pluralità delle lingue e
delle culture. Della traducibilità, dell’universalità potenziale: questo
è il tipo di scelta, quindi una scelta anti-relativistca. Certo, un
antirelativismo non ingenuo, non basta dire che ci sono delle verità
universali.
E’
complicato, lo so. L’antropologia insiste sulla relatività culturale,
ecc. Tuttavia penso che all’interno del particolare sia possibile
ravvisare l’universale. Qui c’è anche un discorso sul concetto di
"natura". Non credo che si possa più parlare di "natura umana", però
penso che sia possibile istituire, anche qui, un discorso sull’ "umano"
a partire dalla corporeità, a partire dalle emozioni. C’è un
collegamento strano a quel libro, allora appena uscito, di Carlo
Ginzburg sulla decifrazione del Sabbah. Egli scopre isomorfismi nelle
fiabe, nelle storie, per esempio il monosandalismo, la zoppaggine, come
costante culturale. Lo zoppo è sempre quello che ha delle risorse in più
per entrare nel mondo sopranaturale. Un discorso che toccava la lingua
sacra soggiacente, che rende traducibile. Perché si può tradurre un
fenomeno straordinario? Come mai si può tradurre? Che cosa è che rende
possibile?
Di
qui la necessità di un’esegesi laica. La seconda tesi è quella di
lavorare nel nostro particolare ma in direzione universalistica. Quindi
un universalismo critico, consapevole delle alterazioni e delle
difficoltà che possono sorgere.
La
terza tesi è centrale ed è l’applicazione di questo alla Bibbia, ed è
appunto l’idea che anche nella Bibbia è possibile ravvisare quella
categoria che percorre tutto il mondo critico, le civiltà e le culture:
la categoria di Sapienza. La tradizione classica, in particolare quella
socratica, la tradizione biblica, le tradizioni orientali, gli autori
moderni distinguono tra un conoscere scisso e astratto ed un "sapienza"
che cerca di cogliere il nesso tra parti e tutto, tra pensare e agire, e
concordano nel considerare quest’ultima l’unica degna di essere
perseguita e nell’indicare i testi fondamentali e i modi con cui
interpretarli. Quindi se vogliamo stabilire una comparazione dobbiamo
individuare uno strato della Bibbia, alcuni libri, ma anche un punto di
vista della Bibbia presente da per tutto, che è il punto di vista
sapienziale. Qui, nella seconda edizione, ho lavorato di più su questo
tipo di proposizione.
Questa posizione a me viene dalle frequenza di una serie di autori: ho
lavorato moltissimo con Lev Tolstoj, sopra tutto sul secondo Tolstoj.
Tolstoj si convertì ad un cristianesimo critico universalistico alla
fine degli anni ’70. Su questo ho scritto un libro, "L’altro Tolstoj",
che adesso esce anche in russo. Ho individuato proprio questo
cristianesimo critico universalistico come punto fondamentale.
Universalistico vuol dire che Tolstoj ravvisa le stesse idee di fondo
nelle grandi culture. Non è un’etica annacquata, come vorrebbe il suo
grande avversario Soloviev nel Racconto
dell’Anticristo, in cui Tolstoj figura come un specie di Anticristo,
testo amatissimo dal Cardinal Biffi. In realtà il cristianesimo di
Tolstoj è un cristianesimo di resurrezione, un cristianesimo dei deboli,
del discorso della Montagna, dei bambini. Non è un cristianesimo
razionalistico, del secolo della Belle Epoque. E’ il perdere la vita per
ritrovarla. Tolstoj trova questo nel Tao, nelle grandi tradizioni.
Tolstoj espresse questo anche in una serie di libri di lettura che io ho
curato, quando ho fatto la prefazione al libro per Einaudi. Quattro
libri di lettura furono
scritti negli anni dal 1900 al 1910. Io ho tradotto uno di questi, che
si chiama "Pensieri per ogni giorno", Ed.
Cultura della Pace. Ogni giorno due o tre pensieri. Poi sono diventati
libri grossissimi. Ecco una ricerca sapienziale, per lui era una specie
di Nuova Bibbia. Questa è una cosa che ho studiato molto: poi ho
lavorato anche su "Guerra e pace" .
Anche Simone Weil ha questa istanza universalistica. Poi ci sono gli
altri autori, come i trascendentalisti americani dell’800. Trovo in loro
cose bellissime. Anche lì vi è una forma di cristianesimo che va verso
la natura. Non si può essere anti-americani, l’America, è una cosa
complicata.
Infine vorrei accennare ad un autore molto importante, tutto da
scoprire, un gigante: Albert Schweitzer. E’ difficile da studiare perché
il nostro sguardo ne prende solo un pezzo: è un grande musicista, è un
grande medico, è un teologo, un critico della cultura, insomma tutto.
Schweitzer è un grande teologo. Con i suoi due libri, uno sul Gesù
storico e l’altro su Paolo, afferma fortemente la sua adesione ad un
cristianesimo di prassi. Capiamo ciò che vuol dire un cristianesimo
paolino e quindi la possibilità di seguirlo attraverso l’irradiazione
del corpo risorto. Contemporaneamente Schweitzer fa una grande
riflessione sull’etica dell’occidente in una serie di libri non tradotti
della fine degli anni ’20. Egli si confronta anche col pensiero indiano
sul tema del rispetto per la vita, come tema centrale della sua
riflessione. Egli scandaglia il tema di un atteggiamento attivo verso
l’esistenza che caratterizza l’occidente e la difficoltà di ravvisare
questo in oriente, dove invece c’è un monismo mistico che ci può
insegnare molto. Veramente una figura molto importante. Ho visto che gli
studi più recenti sul Nuovo testamento lo valorizzano molto, cioè è la
sua ricerca su Gesù che viene esaltata. Ed è uno che effettivamente ha
provato a mettere in pratica la resurrezione di Gesù, capiva attraverso
la prassi.
Questa categoria è centrale anche per capire la Bibbia.
Poi
ho capito che bisogna sviluppare anche il tema della profezia, cioè la
coppia profezia e sapienza. La profezia è specifica biblica, la sapienza
è universale. Nella Bibbia c’è l’una e l’altra. La sapienza non dice
cose diverse dalla profezia. Il profeta parla dall’alto e riceve il
comandamento dall’alto, ed è questa la specificità di Israele. Ciò è
dimostrato bene dall’egittologo Jan Hasman che dice cose bellissime
anche su questo tema nel bel libro su Mosè l’Egizio (Adelphi). L’ho
conosciuto dopo la seconda edizione. La differenza fra Israele e le
altre culture non sta nei comandamenti, questi ci sono anche in Egitto,
ma nella modalità, quella appunto profetica: Dio parla direttamente al
popolo. La visione egiziana, come quella mediterranea, è una visione
cosmoteista in cui i comandamenti vengono ricavati dalla natura e dal
mondo, o semmai vengono espressi da Colui che rappresenta la divinità,
il Faraone. Nel mondo ebraico, invece, c’è veramente teocrazia: Dio
governa direttamente il popolo ed esercita l’ira e la misericordia, che
sono i grandi attributi del potere. Dio è sconosciuto nella sua essenza,
noto nella sua volontà.
Questo è il nucleo dei monoteismi biblici. Il profeta è la figura
centrale nell’Islam, nel Cristianesimo, nell’Ebraismo. Il profeta
trasmette direttamente questo volere di Dio. Dio è conosciuto nella sua
volontà etica, potremmo dire nella sua volontà morale, nei suoi
imperativi, sconosciuto nella sua essenza. I cosmoteismi mediterranei ed
orientali sono concentrati nella conoscenza della natura divina del
mondo.
Nella Bibbia c’è un nucleo profetico a cui corrisponde una dimensione
sapienziale che traduce i comandamenti biblici in esperienza, ridice dal
basso ciò che viene detto dall’alto trovando conferma nelle tradizioni.
Abbiamo nel libro dei Proverbicompletamente
riprodotto un intero libretto di sapienza egizia presa in blocco. Non si
sapeva cosa fosse, poi si è trovato. Mentre Mosè è il profeta per
eccellenza, che parla dall’alto, anzi che fa parlare Dio, Salomone è per
antonomasia l’autore della Sapienza, con tutte le sue centinaia di mogli
che gli venivano da tutto il mondo. C’è anche questa mediazione
femminile del sapere. Nella Bibbia c’è questo importante filone. Gesù è
profeta ma è anche sapiente. Il Nuovo Testamento è pieno di detti che
sono detti di sapienza. La profezia è autoritaria, la sapienza è
razionale. La Bibbia contiene l’una e l’altra e i contenuti sono, si può
dire, identici, ma l’argomentazione è diversa. Questa è una cosa
estremamente importante in ordine alla comunicazione di chi è in un
contesto monoteistico. Pensate ai problemi degli integralismi: non si
può dire, sì che si può dire! ma è rivelato, si, certo, ma si può
argomentare. Nella Bibbia c’è questo duplice linguaggio. In Gesù ci sono
queste due facce. Io ravviso proprio nella sua discesa in mezzo alla
gente un passaggio dal profetico al sapienziale. C’è un detto di Gesù
molto bello: "voi dite che io sono un leone e un mangione".. La sapienza
viene riconosciuta tra i suoi figli. Gesù realizza il grande banchetto
della sapienza sulle strade, cioè quello che era contemplato nel Libro
dei Proverbi. Questo è il gesto messianico: la sapienza come
commensalità. Che cosa è la Sapienza? E’ il sapere essenziale per vivere
che si può, non solo paragonare, ma porre nel prolungamento
dell’atteggiamento di nutrimento della madre col bambino. La madre al
bambino da cibo e poi parole che sono istruzioni per vivere. La
sapienza, non solo biblica ma quella dei popoli, è questo.
La
quarta tesi era sulla legge. Questa la sento un po’ più lontana. Tu
parli di Bibbia, di Profeti, ma non ci hai ancora chiesto se crediamo o
no in Dio, eppure fai un discorso biblico. Devi cominciare prima dicendo
Dio esiste, Dio si rivela, ecc.
Io
dico: no! La Bibbia, ma anche l’Ebraismo, sono delle religioni del fare
e non del pensare. Non suppongono una speculazione o una contemplazione
della natura. C’è qualcuno che ti dice con forza: fa questo e vivrai.
Dice "tu devi", che ha un’evidenza concreta. Tu devi fare, poi dopo
capirai meglio che cosa c’è dietro questo ordine. Qui ci sono dei testi
molto belli, per esempio quello di Tolstoj, "Confessione".
Adesso invecchiando e diventando sempre più cattivo, mi rendo conto che
praticare è difficile e quindi anche capire è difficile. Mi per metto
allora di dire qualcosa sulla Grazia: quando uno tocca il punto più
basso, sia del capire che del fare, o dell’infedeltà, lì è il momento in
cui capisce di più….. Il fallimento dell’opera può essere il momento
dell’illuminazione. Mi pare che Gesù fosse su questa linea quando Lui si
apre a tutti e lascia la compagnia del Battista per andare da per tutto
e sopra tutto tra le persone poco per bene.
Il
quinto punto era una riflessione, una critica sulla separazione
dell’etica dalla politica. Non era tanto suggerita dalla questione
morale, quanto da una convinzione molto profonda che mi viene dal fatto
di avere una formazione legata alla conoscenza del mondo anglosassone.
Non è affatto vero che lì le cose funzionano perché c’è una rigida
separazione tra Chiesa e Stato, ma al contrario perché c’è una potente
animazione etico-religiosa del politico; salvo che la dimensione
etico-religiosa è molto meno eteronoma, cioè non c’è una Chiesa
fortemente costituita che dà dei comandi; piuttosto tutto viene portato
dentro. Il 90% degli americani prega.
Il
libro di Harold Bloom "La religione americana" che esamina tutti
i movimenti, dimostra che c’è una base comune, dai battisti del Sud, ai
cattolici, ai mormoni, agli ebrei: l’idea di una luce interiore, di
qualcosa che ti sostiene. Sono storie appunto di immigrati, ecc. Lì c’è
questa dimensione religiosa profonda, non è una religione civile.. E’
una religiosità profonda che deve sostenere l’etica.
Vi
dirò ancora una cosa su questo. Eravamo nella sinistra, allora, c’era il
P.D.S. Noi cercavamo di recuperare queste radici, le grandi tradizioni,
al plurale, criticamente. Questa sinistra non capiva, c’era l’esigenza
di distaccarsi dall’ideologia. Insomma noi eravamo fuori tempo. La
nostra rivendicazione era quella che la Weil enuncia ne "La prima
radice".
Di
più rispetto a questo c’è la scoperta e il tema della Regola d’Oro come
convincimento di fondo su cui si può lavorare. Io ho lavorato su Pico
della Mirandola, ho scoperto che nella seconda metà del ‘400, si sono
misurati per la prima volta con culture altre: sono arrivati i greci,
c’erano gli ebrei, poi gli arabi, ci sono le scoperte geografiche, anche
se Pico non ebbe modo di apprezzarne l'importanza. Allora ci fu
veramente un momento in cui la questione del pluralismo fu affrontata e
l’umanesimo dà proprio l’esempio di una soluzione possibile: praticare
da un lato il proprio linguaggio biblico, ma praticare anche
strenuamente il discorso filosofico. Nel discorso filosofico entra
tutto, compresa la Bibbia, ma entra con tutto lo scibile, tutto il
possibile sapere.
Finisco con quell’affermazione della Weil che dice che ogni religione è
l’unica vera, come ogni statua greca e ogni quadro che io contemplo è
l’unico bello. Bisogna avere l’atteggiamento di amore per la propria
tradizione ma sapendo che gli altri, nei confronti della propria, hanno
lo stesso atteggiamento. Questo suppone, in fondo, un duplice sguardo,
un duplice linguaggio: io ho un mio linguaggio, però anche un
metalinguaggio che mi permette di comunicare con l’altro e di
immedesimarmi con lui e di capire perché e come funziona anche la sua
tradizione. Quindi non un atteggiamento sincretistico e relativistico (è
tutto uguale, è tutto falso, è tutto vero), ma la capacità di praticare
insieme la realtà della propria storia e sapere nello stesso tempo che
ci sono tante altre realtà. Qui c’è un’importante esperienza che è
quella dell’umanesimo religioso. Ho finito. |