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Li tre libri dell'arte del vasaio (Cipriano Piccolpasso)
Introduzione
Dell’interpretazione alchemica de “Li Tre Libri dell’Arte del Vasaio” del
Cavalier Cipriano Piccolpassi
“Opus figuli, consistens in sicco et humido, te
doceat”
[1]
(M. Maier, Atalanta Fugiens) Un’opera curiosa quella del misterioso personaggio che si nasconde dietro il nome di cavaliere, o cabaliere dato il suo carattere cabalistico, Cipriano Piccolpassi[2]. Fin dalla prima pagina pone allo studioso attento seducenti analogie con l’opera positiva al forno. Nel sottotitolo la chiave di tutto: ” Nei quai si
tratta non solo la pratica
Ma brevemente
Tutti gli secreti di essa
Cosa che persino al dì d'oggi
E’ stata sempre tenuta ascosta” Ma quali sono i secreti cui allude il nostro autore?
Il suo trattato è pieno di simboli ed allusioni ermetiche, che poco hanno a
vedere con la semplice descrizione della pratica artigianale e rivelano una sua
affiliazione ermetica. D’altronde, nel prologo il Piccolpassi precisa di non
avere gran competenza nell’arte della ceramica ed è probabilmente proprio per
questo motivo, che egli si sentì libero da quel patto di segretezza, che
riconosce esistere ai suoi tempi: In effetti, per quanto le sue formule per la realizzazione degli smalti, le sue descrizioni del ciclo produttivo e le raffigurazioni dell'attività delle botteghe rimangano un punto di riferimento per gli studiosi, uno dei limiti sta proprio nell’incompletezza del trattato. In ogni caso, non dubitiamo della sua rilevanza nella storia dell’arte della maiolica italiana rinascimentale. Le reali intenzioni del Piccolpassi trapelano fin da subito con l’insolito disegno che adorna il frontespizio dei suoi Tre Libri. Nel disegno si vede una colomba che cerca di sollevare una pietra cui è saldamente legata. Simbolo dell’unità della materia, sopra di esso si stende un filatterio in cui vi è iscritta la parola IMPORTUNUM[3], a sottolineare le difficoltà dell’opera fisico-chimica. S’intende facilmente, da questa figura, l’azione dello spirito sulla materia, quella sublimazione alchemica che gioca un ruolo così importante nella seconda opera Magistero Alchemico. Ma – non dimentichiamolo – anche la pietra esercita un’azione sulla colomba trattenendola a terra ed impedendole di fuggire: si vede chiaramente che rimane a terra. Su questo punto oscuro del magistero ermetico siamo d’accordo con Canseliet quando afferma che il prodotto della sublimazione alchemica deve restare legato al suo vaso, altrimenti non avrebbe senso se il risultato di quest’esperienza fuggisse, perdendosi, all’esterno di detto vaso, vanificando così ogni sforzo dell’operatore[4].
Figura 1 . La croce e la colomba. Il disegno inoltre è sormontato da una croce fiorita che
nella tradizione ermetica simboleggia il crogiolo (dal francese antico
croiset, crucible termini legati a croix, crux, vale a
dire croce), strumento di quell’Arte del Fuoco conosciuta come Via Secca
o Via del Crogiolo. Dice l’apostolo San Paolo a riguardo: “Verbum enim
crucis pereuntibus quidem stultitia est: iis autem, qui salvi fiunt, id est
nobis, Dei virtus est”[5]. “La parola della
croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che
si salvano, per noi, è potenza di Dio”. Quella pietra, così generosamente posta all’attenzione del
lettore, altro non è che la pietra grezza o materia prima che il
nostro vasaio manipola e trasforma nel silenzio della sua bottega. Di
quest’ultimo, il Piccolpassi ne dà una semplice raffigurazione (fig. 2). Si vede
un vecchio uomo al lavoro con il proprio tornio[6],
sotto un lume che ne illumina la figura e mette in risalto il suo enigmatico
sorriso. Il movimento del tornio ci riporta a quello slancio rotatorio che
genera il fuoco di ruota, di cui il Filalete, associandolo allo zolfo
filosofale, dice: “E’ evidente, quindi, che questo zolfo spirituale metallico è realmente il primo agente che dirige la ruota, e fa, in cerchio, girare l’asse”[7]
Figura 2 . Maestro Vasaio all'opera. Cosicché, acquistano un senso nuovo, più filosofico,
le parole usate dal Piccolpassi per ritrarre la sua amata, la Dama dei suoi
pensieri, l’emblema della materia prima: “Questo, dico,
è intervenuto a me, perché quanto più ho cercato levarmi dai pensieri amorosi,
con accordare un piombo e uno stagno, nell’animo bene e spesso le membra
proporzionate della mia bella amata andava accordando, né colore sapeva io
trovare per lustro, per fiammeggiante ch’egli si sia, che alle sue belle chiome
di oro assomigliare si possa, né vi è negro che alle belle ciglia di lei non
resti inferiore. Gli occhi suoi divini con quel di allegro e di grato ch’entro
vi si vede mescolato con una certa venerabile maestà non ha di mestier
somigliarsi ad altro che agli scintillanti raggi del sole. Quando io veniva allo
accordo del Duca di Ferrara che somiglia l’argento, appresso alle morbide
braccia e alla delicata mano di lei, parevami questo negro ruvido e rozzo, io
non so trovar insomma arte né di diligente orefice, né di perito zoellieri, che
giunta al sommo di ogni eccellenza e di ogni pregio, nell’animo recarmi possa
quel contento che fa il suo dolcissimo e mansueto riso. Lascio stare il
santissimo pudore, la gravità dello andare”[8]. Al lettore curioso, indichiamo ancora la penultima figura, posta a chiusura e suggello della sua opera allegorica, la quale mostra un albero ricco di foglie e frutti che spunta da una roccia isolata e priva di terra (fig. 3). Sopra l’albero vi è un filatterio in cui è scritto: “Sic in
sterili” “Così nello sterile” Nell’iconografia alchemica la roccia che nutre e sostiene l’albero rigoglioso indica la materia della pietra filosofale - che è vegetativa - il soggetto minerale dei saggi così come si estrae dalla sua miniera. Dalla pietra arida spunta, per l’azione congiunta dell’artista e della natura, una forza vitale che ri-anima l’albero secco. Questa forza si ottiene se si lavora – ecco il messaggio del nostro autore – la terra di Durante, la nostra materia: “Io vi ho posto, qui per scontro, nel fin di questa mia fatiga, la terra di Durante”
Figura 3 E’ tuttora ignota la reale identità del Piccolpassi. Certo
è che in quel periodo l’Italia fu teatro di una rinascita senza precedenti della
Scienza d’Ermete, per opera di diversi personaggi le cui vicende
s’intrecciarono, lasciando segni tangibili della loro presenza ed attività.
Termineremo questo breve commento ai Tre Libri del Piccolpassi
riportando, per chi ancora nutrisse dei dubbi, le parole che egli rivolse a chi
lo criticava: “A quegli che mi tengano presuntuoso il pubblicar questo secreto, a quegli rispondo che gli è meglio che molti sappiano il bene che pochi lo tengano ascosto. Non si accorgano costoro che, facendosi ciò, l’arte pervirà alle mani di tali che, là dove i poveri mastri calcinano il piombo et lo stagnio, avendo consideratione a quello che fanno questi metalli bassi e vili, si metteranno a calcinare l’oro e l’argento per farne esperienza; e là dove bene e spesso ella è stata tra le persone di poca consideratione, andarà per le corti tra spiriti elevati et animi spechulativi. A quei che mi tasseranno della lingua, risponderei che io ho parlato nella materna mia durantina, in quel muodo che ricerca la materia dell’arte”. Giulio Vada - Aprile MMII ______________________________ Note [1] “Che l’opera del Vasaio, composta di secco e umido, t’insegni" [2] In realtà anche il nome dell’autore è simbolico, Cipriano o Cyprian equivale a Cypris (Cipro) nient’altro che Venere moglie di Vulcano. “Piccolpassi” suggerisce argutamente il modo di procedere nell’Opera. [3] Nel suo significato originale si può tradurre con inaccessibile, impraticabile, ma vuol dire anche gravoso, il che rende perfettamente l’impegno necessario al lavoro al forno. [4] E. Canseliet, L’alchimia, vol. II, Edizioni Mediterranee, pag. 140. [5] San Paolo, Prima Lettera ai Corinzi, cap. 1,18. [6] Osserviamo che tornio in francese è Tour, che significa anche Torre, geroglifico del Mercurio dei Filosofi, materia ed artigiano dell’Opera. [7] Cireneo Filalete, Introitus Apertus ad Occlusum Regis Palatium, Cap. X,IV [8] Cavalier Cipriano Piccolpassi, Li tre libri dell’arte del vasaio
Libro primo
LI TRE LIBRI DELL'ARTE DEL VASAIO
NEI QUAI SI TRATTA NON SOLO LA PRATICA
MA BREVEMENTE
TUTTI GLI SECRETI DI ESSA
COSA CHE PERSINO AL DI' D'OGGI
È STATA SEMPRE TENUTA ASCOSTA
DEL CAVALIER CIPRIANO PICCOLPASSI DURANTINO
PROLAGO
AI LETTORI
PUOI che fedelmente mi son messo a manifestare tutti gli segreti de l'arte del vassaio; d'intorno ai quai non sarìa mancato chi con più bell’avvedimento, chi con più tersa lingua havesse fatto quello che al presente ho fatto io, se il mal animo di coloro a chui son stati in mano non havesse il dissegnio altrui impedito, cagione che il più delle volte sonno manchati della loro perfetione; puoi che ho fatto tutto questo senza molte belle parole, solo con l'entigrità del vero, non mi resta far altro che difendarmi dai continui morsi dei detrattori, i quai, prima diranno che quest'arte non si aspetta a me per non essare stato io l'inventore et anco per haverne poca pratica. Molti diranno che io dovrei attendare a cose più utili, altri mi tasseràno per presuntuoso con dire che gli è male publicar quello che già tant'anni è stato ascosto. Non mancherà chi mi biasmi della lingua, altri del scrivare et del dissegnio. Ai qual, se io fosse presente, cossì risponderei: a quegli che dicano ch'ella non è mia inventione, che dicano il vero, direi loro, imperò che’l primo inventore fu Chorebo Atheniese; poscia ne ha scritto alchune partichularità il signor Vannuccio Beringuccio, nobile sanese, nella sua Pirotechenia. Se costoro mi truovano autore che facci gli segreti di dett'arte, escetto certe recolette che tengano coloro che segretamente la manegiano, tra quai molti sonno che per fino a l'ultimo della lor vita li tengano celiati ai propri figliuoli, conoscendosi vicim al morire, tra le altre fachultà che lassano, chiamato a sé il maggiore e più aveduto figliuolo che habbiano, a quello publicano questo secreto. Se essi me la truovano detta d'altrui, io me gli rendo vinto. Da coloro che dicano ch'ella non si aspetta a me per non haver io lungamente praticato in essa, l'opera medesma mi deffenderà, perché, manchando im parte alchuna., mostrerà che questi tali dicano il vero; non mancando, gli farà cogniosciare biasmatori e maligni. A colloro che dicano che io dovrei attendere a cose più utili rispondo cossì: che non so trovare la maggior utilità in questo mondo che il far giovamento altrui. A quegli che mi tengano prosuntuoso im publicar questo secreto, a quegli rispondo che gli è meglio che molti sappiano il bene che pochi lo tengano ascosto. Non si accorgano costoro che, facendosi ciò, l'arte pervirà alle mani di tali che, là dove i poveri mastri calcinano il piombo et lo stagnio, riavendo consideratione a quello che fanno questi mettalli bassi e vili, si metterano a calcinare l'oro e l'argento per farne esperienza; e là dove bene e spesso ella è stata tra persone di poca consideratione, andarà per le corti tra spiriti elevati et animi spechulativi. A quei che mi tasseranno della lingua, risponderei che io ho parlato nella materna mia durantina, in quel muodo che ricerca la materia dell'arte. A quegli che mi tasseranno del scrivare e del dissegnio, dico che io ho fatto quel che io so e non son ubligato a far più. Conducan essi il dire, il scrivare et il dissegnio a più perfettione che io harò obligo loro. Allora intervirà a questa fatiga mia quello spero intervenga all'arte del vassaio che, vista da molti e da molti manegiata, condurassi alla sua perfettione. State sani. Servitore Cipriano Picciol Passo
TAVOLA DEL LIBRO PRIMO
Muodo di còr la
terra
9 Muodo di
conciarla
11 Muodo di
lavorarla
13 Ragionamento de' diversi
usi di
vasi
16 Muodo da far le
viti
17 Como si attacano le
maniche e i
becchi
19 Per far vasi senza
bocca
20 Muodo di far li
torni
23 Muodo delli mugiuoli e
suo'
incastri
25 Torno in
piedi
27 Ciò che mugiu[o]lo e ciò
ch'è
schudella
28 Lavori che si fano sul
mugiuolo e su la
schudella 29 Diverse
maniche
30 Schudella di cinque
pezzi
30 Misure de'
llavori
31 Muodo di lavorar con la
palla e con il
pallone
33 Stecche da lavorare e
sue
grandezze
34 Ferri da tornigiare et
uso
loro
35 Muodo da far le
case
36 Ciò che si sia piron,
taglio e
ponta
37 Steche da levar le case
del
torno
38 Muodo di lavorar al
torno
38 Muodo di lavorar di
formato
39 Muodo di
tornegiare
44
Tavola del Libro secondo
Como si colgon le feccie et il loro
uso
77 Muodo di fare il marzacotto
48 Muodo di fare il bianchetto
50 Muodo di fare il verde
50 Muodo di fare il zallo
51 Muodo di fare il zallulino
52 Como si fano gli fornelli di
riverbero
53 Accordo di stagnio al fornello
55 Muodo di calcinare il stagnio
55 Muodi di abrugiar il piombo
56 Collori urbinati e durantini
57 Collori di Marca
59 Collori castellani
61 Collori alla venetiana
62 Muodi di far le fornaci da vasi
63 Muodo d’infornar di crudo
66 Muodo di cociare di crudo
66 Ritratto della fornace e i suoi
instrumenti
67 Mulini che si usano per il Stato
d’Urbino
68 Mulin fuligniato da dua pile
71 Mulin
veneziano
72 Muodi di pestar gli
marzacotti
72 Compimento dé collori urbinati e
durantini
73 Coperta
cruda
74 Coperta
cotta
75 Compimento dei bianco ferarese
76 Compimento dei collori di Marca
78 Compimento de' collori
castellani
80 Collor
fuligniato
81 Bianco da
Ravenna
82 Bertini
diversi
83 Azurini
diversi
84 Negri
diversi
85
Sbianchegiato
85 Compimento de' collori
venetiani
86
Maiolica
87 Muodo d'infornar la
maiolica
88 Muodo da far la fornace della
maiolica
88 Muodo di cociare la
maiolica
91 Burnimento della
maiolica
93
TAVOLA DEL LIBRO TERZO
Muodo di macinare il bianchetto per
dipingiare 95 Ciò che si sia piletta e como si
macinano li collori
95 Muodo di macinar il
bianco
96 Muodo de
invetriare
97 Muodo di
dipingiare
100 Muodo di far
penelli
100 Muodo di far le
miste
102 Como si invetria il bianco
ferarese
104 Rimedii ai suoi
bugi
104 Muodo di far
pigniatti
106 Collor da
pigniatti
106 Muodo dì
copertare
107 Muodo d'infornare di
fenito
107 Muodo di cociare di
fenito
110 Muodo di far
troffei
112 Muodo di far
rabesche
112 Muodo di far
cerquate
114 Muodo di far
grotesche
114 Muodo di far
fogliami
115 Muodo di far
fiori
116 Muodo di far
frutti
116 Muodo di far
p[a]esi
117 Muodo di far
porcellana
119 Sopra bianchi e
quartiere
120
Groppi
121
SANO gli huomeni de l'arte de' vasi, nella città di Urbino, la terra che si coglie per il letto del Metauro, e quella colgano più ne l'ìstate che per altri tempi. E tensi tal muodo nel coglierla. Quando cascano le piogge ne l'Apenino, alla radice del quale nascie detto fiume, ingrossano le sue aque e si fano torbide; e cossì torbide, cambiando per i suoi letti, lassano quelle parti più sutili di tereno che, nel venire allo in giù, rubbano a questa et a quella sponda. Ingrossano, queste parti, su per le arene di detto fiume un piede o doi. Queste colgonsi et se ne fanno montoni per il detto letto. Molti sono che le lassano secare al sole e dicano che si regano meglio nel lavorarle, altri dicano che si purgano, perché, poste, cossì secche nei terai, o voglian dir conserve, dove si tengano, convien di nuovo molarle, cossì, rimolandosi si fanno più pure. L'una e l'altra sorte ho veduto adoperare io senza cogniosciarvi molta diferenza. Perche lo avertimento è di cogliarle nette dalle radighe delle herbe e dalle foglie degli alberi, e da certe giarine, avertendo, che, nel venir che fanno le aque alla china con impeto, fan precotare i sassi l'uno con l'altro tra' quai ve ne è di una sorte che tengano di calcina. Questi, mescolati con detta terra, fanno grandissimo danno. Il medesmo muodo si tiene nella Terra di Durante, patria mia, la qual da tre lati bagnia il detto Metauro, come si dirà nel suo ritratto. Questo medesmo si fa per la Romagnia, come a dir Faenza, che tiene il primo luogo per conto de' vasi, Furlì, Ravenna, Rimim, et il medesmo a' mie' dì si è fatto in Bolognia, e credo in Modena, in Ferara, et altri luoghi per la Lombardia. Vinegia lavora la terra di Ravenna et di Rimini e di Pesaro per la migliore. Vero è che, spesse volte, operano di una sorte che si cava alla Bataglia, luogo poco lontan da Padova, ma la miglior, per quanto intendo, è quella che vi va da Pesaro, quando ella è còlta netta. Hanno lavorato in Corfù un Giovanni, Tiseo et Lutio, frategli e figliuoli di un Alessandro Gatti della Terra di Durante. E, per quanto mi han detto, coglievano la terra sopra una montagnia non molto lontan dalla città, la qual montagnia dicano esar nuda e sterile senza alchuna sorte di erba o arbori. E quella coglievano al tempo delle piogge come usam noi pei letti dei fiumi. Per la Marca di Ancona, in molti luoghi, si lavora terra di cava et, in molti, di fiumana. A Genova intendo che si lavora quella di cava, in Leone quella del Rodano, in Fiandra quella di cava, dico in Anversa, là dove già vi portò l'arte un Guido di Savino di questo luogo, et ancor oggi ve la mantengano gli figliuoli. Gli è adunque da sapere che là dove sono i teren bianchi, o vero che tenghino di genga, in tutti quei luoghi, dico, ve si corrà terra da far vasi. In Spelle, lontan da Fuligni circa quatro miglia, ne l'Umbria, ho veduto còrre io la terra in questa guisa: hano fatto, dico, cavar nel tereno fosse di cinqui piedi per ogni verso, alte tre piedi, lontan una da l'altra circa un piede; et in quel piede di teren sodo, che rimaneva tra l’una e l'altra, fatto un canale, acciò l'aqua potesse descendare per le dette fosse e cossì, piovendo e rasciugandosi spesso, si è cavato più di dua some di terra per fossa. E questa, per tutta Ittalia e fuori, intendo che si chiama terra creta. Ne trovo che Dioscoride ne facci altramente mentione, né che'lla nomi particularmente. E solo dice che gli testi delle fornaci, lungamente abrusciati, causano l'eschara nell'ulcere che, forsi, credo io, intese questa. Ma gli è gran diferenza, in Italia, tra la terra da testi e quella da vasi, imperò che l’una è bianca e legiera, e l'altra è rossa e pesa. Né trovo ch'egli ragioni d'altra che dell'Eretria, della Samia, della Chia, della Omelia, della Pnigite e della terra delle fornaci, non spacificando altrimente la terra da far vasi. Basta che, dove sarà teren liscio e bianco, e che tenghi di genga, se bene non vi sarano fiumane, facendo le sopradette fosse, o vero cavando sotto, si corà o troverassi terra da vasi, che cossì affermano gli antichi professori di questa nobilissima arte.
MUODO DI COR LA T[E]RRA OVE NON SON FIUM[A]NE
DI BATERLA, SCIEGLIERLA E DI COLARLA CHE SI USA GENERALMENTE
OGLIANO molti, per fare il bianco allatato, convertire la terra quasi in aqua, e quella colare per certi panni grossi e radi; altri per certi crivelli tondi di cuoro forati; altri per staccio largo. E quella colatura servano in certi vasi cotti una volta e, cossì asciutta alla bastanza, la lavorano. La terra per far vasi comuni si concia in altra guisa, imperò che la se distende sopra una tavola grossa mezzo piede. Distesa, la si batte con un ferro largo quatro dita, longo quatto palmi in circa, di peso d'un dodici libre. Poscia, batuta cossì bene tre o quatro volte, tutta diligentemente con mano si rimeni a guisa che soglion far le nostre donne la pasta per il pane, nettandola da ogni brotura. Et allora ch'ella si sente ben liscia tra le mani, allora, dico, se ne formano palle o se ne fa una massa come meglio richiede l'arte. E quella, puoi, sopra il torno lavorasi, o nelle forme di gesso si distende, come si ragionerà. Circa al modo di coglierla, senza replicare altrimente con parole, nel disegno si è mostro quel che già si è detto per avanti. Cavasi quatro piedi nel tereno, le fosse da còr terra a fila a fila, sì che la torbida aqua scendar possi agevolmente pei canali suoi. Gli è bene d'avertire che il luogo dove elle si fano habbia alquanto del chino. Lasansi puoi cossì mentre elle fiano asciutte; poscia cavasi e reportasi; e questa battasi o ver colasi come più piace a chi la deve operare. Batuta che si harà la terra, s'ella morbida fia più che'l dover, la getta sul muro o sul teren sciutto e ben netto. Sogliano i nostri lavoranti, quando hano batuta la terra, s'ella gli par troppo morbida, stenderla sui muri delle nostre case et, asodata alquanto, conciarla. Per asodarla, quando la si cola, mette in certi vasi come già si è detto. Apendasi al solaio un cribro o un staccio, su quel si getti poi la terra molle, sì ch'eschi fuor la parte più sutile, della qual s'empion certi vasi rotti. Ivi lassi puoi asodar tanto che l'artefice possi farne i vasi. Questo è quanto a me pare che si possi dire d'intorno alla terra, racordando solo che quella di cava, per far lavori a l’urbinata, il color suo deve essare bianco, imperò che s'egli fosse celestrino, sarìa troppo gentile e non pigliarìa il bianco di stagnio. Gli è ben vero ch'ella sarìa bona per chi volesse lavorare alla castellana con terra da Vicenza, imperò che se gli da la terra detta, da crudo. Vedete quanta diferenza è da questa e quella di fiume. Quella di f[i]ume, allora ch'ella è bene azurra, è bona e viene più ligiera, più densa, e senza alchuna ruidezza. MUODO DI LAVORA[R]E AL TORNO
ASSI un torno, nel muodo che vederete qui di sotto ritratto, sopra il quale si fano tutte le sorti di lavori: dagli aborchiati, smartelati, ovati, scuadrati et intagliati im puoi, imperò che tutti gli lavori che vi si fanno su bisogna che habino il giro perfetto. Quivi non vi si può formar triangolo, ne longo né bislongo piatto, perché tutto quello che manca di circulare perfetione, nel torno non può farsi. Gli lavori che vi si fano su sono questi: Schudelle con orlo e senza Schudelini Boccali con bocca e senza fogliette Baccile cavati da l'argento Bronzo Tazzoni o vogliam confetiere. Ongaresche dette, in Vinegia, piadene. Piatti strati o vogliam piani. Piatti con fondo piede e senza. Tondi con il fondo e senza. Saliere a fongho. Tazine o vogliam ciotolette. Fiale da tener olio, acceto et aqua. Fiaschi da vino, acceto et aqua. Albarelli da spetiarie et da confetioni, lettovari et unguenti. Diversi vasi cavati dall'antico. Vasi a pera et a palla. Vasi da dua corpi. Vasi a torre. Tutto ciò che si fa con il giro perfetto si può far nel torno, altrimente gli è vano ogni disegnio. Ma perche il parlar mio sia inteso, ne porò qui di 3 o ver 4 ragioni, brevemente tratando come intieri e come scavezi si fano.
Il presente, che qui si vede, alchuni lo chiamano vaso a pera, e questo molti sono che lo fanno tutto di un pezzo, molti di dua, altri di tre. Io non ragiono delle maniche, né del coperchio, porcile queste vanno da per sé. Di qui aviene che alchuni lo chiamano vaso da dua maniche, altri vaso dorico. Il farlo di un pezzo, levatogli le maniche et il coperchio, tutto il resto si tira puoi di una palla di terra. E quando egli fia, puoi, asciutto alla bastanza, sì tornegiasi come si dirà degli altri lavori. Il di dua pezzi è quando egli si è tirato di altezza per insino a l'A. Ivi lassasi, et il rimanente da quello in su, si fa d'un altro pezzo. Il farlo di 3 pezzi si forma tutto il tondo B da gli doi A primi a gli doi A ultimi. Et il piede si fa da per sé, come il collo, avertendo che, tornigiandosi gli detti pezzi, nel corpo B vi si lassano le sue prese, o vogliamo cavi, per ragiungiarli insiemi. E questo sono molti, mentre il vaso è verde, dico, che lo incofano, tornigiato ch'egli si è, con la barbatina o vogliam dire luto, del quale si ragionerà più oltre. Altri lo cuocano cossì im pezzi e, poscia cotto una volta nel detto muodo, con la coperta lo ragiungano a l'ultima cocitura. Ma quegli che vano di 3 pezzi, a questi non vi si gli appiccano maniche perché non ve se gli atteriano in muodo alchuno. Parimente quest'altra sorte, che quivi vedesi, è da molti detto bronzo antico, altri lo chiamano boccale antico dalla bocca a lepore. In questo sono due cose non di poca maraviglia: l’una è vedere un vaso di giro perfetto che tondegia di tutta perfetione; l'altra la sua boccha, pendente in fuori, storta, molto lontana dal primo ordine. Quivi è d'avertire, perché la bocca va formata tonda. Puoi, diligentemente, se ne taglia una parte per lato con un fil di rame, e l'altra, piegandola cossì con mano, si fa trasportare in fuori. E per questo, a detta boca, manca la sua perfetione. Di questi, parimente molti sono che gli fano e di dua e di tre pezzi, ma il bel fargli è di un pezzo solo, escetuando la manica la quale se gli attaca puoi ch'egli è tornigiato, come si è detto a l'altro. Intendendo che, tutte le maniche che si vedrano mai al mondo a vasi di terra, possi dir liberamente e sostenere ch'elle gli fuorono attacate da crudo, imperò che l'arte non comporta che si attachi cosa da fenito, con la coperta o con altro colore minerale, che non habbia sostentamento o che non recaschi attorno, su l'altra sua parte, con il suo sostentamento. Imperò che, in aria, non riman cosa, al fuoco incolata, con colore che habbia del fusibile. Resterà bene la incolatura de la barbatina ma altro non già. Il luoco che viene tagliato è quella mezza luna là dove trapassa la linia A. Questa si fa da tutt'a dua le bande, aiutando il pendare della bocca, là dove si versa l'aqua con la mano. Non negerò già che gli vasi non si possine fare di più pezzi, e quelli incolarsi a l'ultimo fuoco. Tutto che gli pezzi venghino sopra posti, altamente gli è imposibile e, per ancora, questo secreto non è ne l'arte. Il presente, che quivi di soto vedesi, si chiamano fioloni da sciroppi. Questi si fano im più muodi perché, in questa guisa, sono le fiole da tener olio che usan noi per servitio delle case. Vero è che non se gli fa coperchio. Altri si fano con la bocca larg[a], ma io metto sempre gli più eccelenti. Altri con la bocca a vite ad uso delle
fiasche di argento. Questo secreto non voglio io passare cossì de legieri perché gli è cosa troppo bella e troppo ingegniosa e molto dificile. Gli è adunque da sapere che gli vasi a' quai vanno le vite si fano senza collo, come sarebbe a dire il presente fosse tagliato nella cornige della linea A. Vo' dire ch'egli fosse fatto dal rimanente in giù. E chi volesse pure farlo intiero, possi, per menarlo più giusto; e questo lodo. Puoi, fatto, tagliasi da quello in su, con il filo. Riformesi poi di nuovo sul torno un'altra bocca, grossa un buon dito attorno atorno, forando detta terra fino al fondo. Puoi habiasi la sua steca con tre o vero quatro denti e sia di legniame ben duro e pulito. E questa, posta dentro la terra, volgendo i denti della steca ver se, pian piano, per insin che quei denti si imprimano ivi daendo sempre al torno ligiermente. Ma mi pare di ragionare in aria se io non vi faccio vedere la steca, perché, senza, gli è gran cosa intendarmi. Ecovela! E fatto tutto questo tagliasi quella terra, cossì incavata su del torno, tagliasi e quella fendasi per mezzo un de' lati come qui vedrassi.
Feso che gli è, facciasi callare il lato B o ver A, qual vien più comodo a colui che lavora. E calli tanto, che il primo giro dello rilievo che ha fatto la stecca si giunghi con il secondo, il secondo con il terzo, et il terzo con il quarto, acciò che il quarto habbia prencipio da sé e cossì il primo. Alora vedrassi che là, dove erano prima quatro giri perfetti riuniti, cossì, con questo callamento, si vedrà un sol cordone caminare per dentro a quel concavo et havere prencipio e fine. E perché quella parte che calla viene avanzare per dissotto alquanto, e quella che resta riman per di sopra di avanzo, come
quivi vedrassi, tagliasi adunque quello avanzo della parte B e ingiungasi alla parte B di sopra, e cossì tornerà il tondo perfetto. Questo attacasi con la barbatina sul suo vaso e lassasi cossì per un giorno fermare. E allora ch'egli fia sodo talmente che vi si possi imprimare il suo maschio di terra molle, di quella se ne facci una lastrina grossa mezzo dito di largezza, si ch'ella riempa quel cavo. Là dentro, diligentemente si calchi, di maniera che vi resti il canale di quel cordone che è dentro al collo del vaso. Puoi string[a]si quel avanzo che di sopra rimane, tutto in una massa, slargandolo un poco acciò se ne cavi poi, con il ferro, un naso come meglio parà a colui che lavora, che viene a essare quello che solen vedere nei serratoi delle fiasche di argento. Poscia lassasi cossì fin tanto che, secandosi, le terre si slarghino in muodo che, avolgendo per il suo verso, il maschio eschi senza guastarsi. Molti sono che, prima che ve lo stampino, untano la femina con oglio. Questo è muodo più sicuro. Cossì si fanno le vite in questo esercitio, delle quai non intendo ragionare altrimente.
Resta a sapere che, quel becco ch'è trasportato in fuori, va fatto da per sé sul torno. Doppuoi si attaca sul vaso come si fano le maniche. Che alchun non credesse ch'egli si tirasse del vaso proprio, perché questa sarìa troppo gran sciochezza, chè dove va il giro non po' nasciare, se non di giro, il tarportamento. Et acciò che il mio parlare sia inteso, poniamo che con gli sesti si formi un circhulo; volendo cavare ima linia dritta, girando i sesti, a me pare imposibile. Si potrà ben formare un magiore o vogliamo un minor circhulo, ma che di esso se ne cavi linia di trasporto in fuori, dritta, o senza tutta la perfetion del giro, si va pensando in vano, come per esempio:
Ora chi vorà essare colui che di una perfetion di giro mi cavi una linia perfetta, o ver pendente, con il med[e]smo instrumento? Tanto sarebbe credare colui che dicesse di far gli vasi con le maniche e con il becco tutto a un tempo, quanto credare a colui che dicesse, voltando gli sesti attorno, voler formare una linia dritta.
È adunque da sapere che, fatto il vaso che vien col giro, se gli attacca puoi le sue maniche como stano le due linie A, con il suo becco che viene a essare il pendente B, come qui si vede. Questo basta per sempre quando si ragionerà delle maniche o vero de gli trasportati fuori di perfetione. Io potrei ragionare di molte altre sorti di vasi ma, prosuponendo essare inteso in questa sorte più dificile, non cercherò alungharmi altrimente con il dire, perché se io cominciasi a stendarmi ne gli vasi senza bocca, alle tazze da inganno, che sono cose che non han regula, mi alungarei troppo. Ve ne porò solo di un'altra sorte, e puoi farem fine in quanto ai vasi alti.
Questo non trovo io che tra gli mastri italiani habbia altro nome che albarello, né altrimente si chiama nelle spetiare. Questo, regularmente, si fa tutto di un pezzo et ha le sue grandezze diverse, come si dirà al suo luogo. Mi è venuto in animo mostrarvi come si fano gli vasi senza bocca, i quali si empano per il piede. Si formerà sul torno un vaso di questa sorte senza piedi:
Poscia se gli fa il suo piedi da per sé, con un cartoccio che arivi per insino alla cornige della linia A, avertendo però ch'egli non tocchi da verun de' lati, ma staghi da per sé per dritto filo, anzi egli viene a cssare sostegnio de detto vaso. E sia il detto cartoccio, o vogliam dire rimesso, cavo, sì che gli trapassi come qui vedrassi. E, quello che resta fuori, si dilati in muodo che formi il suo piede lassandovi le sue prese a tutti dua gli giongimenti, le quali sarano alla linia A nel cartoccio et alla linia B nel vaso. Questo va cavo, come già vi ho detto, per il mezzo, là dove vedesi scendare la linia B. Il suo ragiungimento va fatto come qui vedrassi. Ragiunto che si è, con la barbatina atacavesi il suo becco in quel forato de la linia C, per mezzo il quale attacasi la sua manica. Questo vaso va chiuso; non ha esito di sopra. Però per impirllo si attuffa ne l'aqua con il piede. Ma, per mostrare più chiaramente l'arte di questo, ve se ne mostrerà un qui, finto di crestallo, acciò la densità della terra no impedischi gli segreti del concavo di detto vaso, acciò l'ochio entri senza impedimento per tutto. Ora credo che mi habiate inteso, sì per il dire come per il dissegnio. Adunque intorno a questo non si ragionerà più, chè ben si vedano tutti gli secreti suoi apparte apparte. MUODO DI FARE GLI TORNI UTTI gli tomi, per tutti gli luochi che ho veduto io, sonno di una maniera; et il simile intendo da coloro che hanno veduto più di me. Tutti, dico, sono di legnio, a bene, che molti si faccino con la gamba di ferro, niente di meno tutto il resto va di legnio. Et anco intendo che, la gamba, è megio di legnio ch'ella non è di ferro, la quale si fa grossa quatro dita per ogni faccia. Molti la fan tonda; questo, in quanto a me, non ha regula e non importa. La rota, puoi, va della medesma grossezza e, dove non si trovano le asse tanto alte, si fa di asse più sutili, sopraponendole una per il contrario de l'altra, in quel muodo che si soprapongano le rotelle o vogliam le taraghe. E tutto questo si fa affine che la rota pesi più, perché, nel lavorare, va con più prestezza. Ma, per essare meglio inteso, ricorerò al dissegnio. Eccovi ambedua le rote sopraposte, l'una per il contrario de l'altra. Queste se incatelfano come i fondi delle botte, puoi si soprapongano et inchiuodonsi, avertendo ch'elle spianino bene insiemi, cioè che la parte A si accosti bene alla parte B. Vero è che quelle di tutta grossezza sono meglio e dano miglior lavorare. Non sono ancor sciguro che mi haviate inteso. Dico che si fano duo rote congiungendosi ogniuna da per sé, puoi spianesi l'una con l'altra afrontando il giro par pari. Questa cossì si cavigli, e voi essare da un de' lati, per sin
a l'altro, di longezza di piedi quatro
in circa, conio a dir dal lato C al lato D, che, partita, questa longezza sarà
doi piedi. Con questa si giri puoi formando la sua pertetione, e cossì si fano
le ruote, in mezzo delle quali vien posta la sua gamba, lasandoli sotto quel
avanzo che rima[ne] (a tenere la rota lontan dal tereno) un peduccio o vogliam
dire casteletto. Molti sono che lo lassano del legnio medesmo de la gamba, altri lo inchiuodano sul torno; e questo si fa acciò che la ruota non balli ivi, come qui vedrasse.
Il casteletto, del quale habiam parlato, è quello dove giunge la linia A. Quel puntello che si vede dì sotto va di aciaio ben duro e questo si ferma sopra una pietra focaia. Molti ho veduto io che vi han sotto una lastra di acc[i]aio, medesmamente temperata, durissima, con un piccolo accenamento, in mezzo di un foro, là dove si deve fermare il puntello. Questa si fa larga quatro dita et è detta, ne l'arte, la ravola. Sul pian de casteletto, adunque, si spiani la ruota in tal guisa ch'ella non pendi più da un lato che da l'altro. Fatto questo, fermasi e cavigliasi, se gli è possibile, sol suo peduccio, overo si zeppi talmente che un piede non si muovi o scuassi in muodo alchuno. E questo basti in quanto al torno, dico alla ruota di sotto. Mi resta mostrarvi il mugiu[o]lo che è una rota di largezza di un piede, grossa quatro dita. E questa è forata da un de' lati per insino al mezzo, et il suo foro è quadro quanto è quel ferro che si vede alla somità della gamba del torno. Altri fanno il ferro in croce, altri a serpa, altri in torma di dua lune come qui nel dissegnio vedrassi.
Et il medesimi incavo si fa nel mugiuolo dalla banda di sotto. E va tanto incavato che tutto il quadro, o vogliam tutta la croce, entri nel mugiuolo. E puoi che io vi ho ragionato della sua grandezza, gli è conveniente che io ve lo mostri che, cossì vedendolo, pigliarete forsi meglio il mio dire. Ecovi, adunque, di tutt'a quatro gli muodi che già vi ho ragionato, questi vengano a mostrare il pian di sotto, e dentro a' cavi vi vano i suo' ferri; come al mugiuo' A v'àvi il suo ferro A, e cossì seguita. Usam noi, affinché il ferro ben si fermi nel suo concavo, d'intorno a quello avolgiare alchune puoche di pezze di lino bagniate in acceto con un poco di sale attorno, acciò che il ferro si rugini et venghi a star più saldo, come qui si vede. Ora mi riman mostrarvi il torno con il
suo mugiuolo sopra giunto al suo asse ove egli si attiene; e cossì se intenderà
ciò che è torno e ciò che è mugiuolo quando si parlerà di esso al far de' vasi.
Io vi ho posto questo primo mugiuolo alla riversa per mostrarvi l'incastro del
ferro. In quest'altro vi mostro come egli va sulla rota attacato al suo asse con il terrò che lo abraccia. Gli è anco da sapere che, d'intorno al ferro del mugiuolo, si avolge un pezzo di chuoro onto, o vogliamo una cotica, acciò che, cogliendo detta tra quel ferro che gira e quel che tiene, il torno vadi più dolcemente. Fatto questo, giungavisi gli altri suoi fenimenti come il banco da sedere, l'asse dinanze, la steccha dalle mani e la stanga dal piede, che sono tutte cose che non si può far senza. Puoi ragionaremo del muodo di fare i vasi, e ciò che è scudella, e ciò che è mugiu[o]lo, imperò che ve ne è di un'altra sorte che viene attacato sopra a questo come si vedrà più oltre. Eco che vi ho posto il torno: il banco
da sedere che è quello ove termina la linia H, l'asse dinanzi e quello dove è
posto la E, la stecca dalle mani è quella dove termina la linia G, la stanga
dove si tiene il piede è quella dove termina la linia H. Ora io vo prosuponendo
oramai che intendiate come si fanno i torni. Mi resta mostrarvi la schudella e l'altro mugiuolo prima che si ragioni del lavorare. La schudella non è molto differente dal mugiuolo, tutta di una grandezza, attale che, più tosto schudella che mugiuola chiamarei, perché gli è quasi di un par rilievo. Ma perché la chiamano cossì coloro che l'operano, per me non voglio che se gli corompi il nome. E per farvi veder che gli è come dico io, intendo mostrarvele nel dissegnio.
Vedete quanta diferentia fan o certi che a quella che voi vedete segniata A la chiamano schudella, et a quella segniata B chiamano mugiuolo. Queste si fanno fare da gli tornai, alquanto incavate dalla banda di sotto, come si vede a quella là ove termina la linia C. Ora questa è la differenza che è tra la schudella e il mugiuolo. Evi puoi il mugiuolo piano, che è quello del qual si è ragionato che va nel ferro; questo non si cava mai. Ora diremo de gli lavori che si fanno su
la schudella, quegli che si fano sul mugiuolo e sul mugiuol piano. Tazzoni o
vogliam dir confetiere Coppette Ongaresche o
vogliam piadene Piatti
strati, con il tondo e senza Tondi Schudelle sutili Schudelini Schudelle
da l'impagliata Tazze Tazzine o
vogliam ciotolette Tutti questi lavori si fano su la scudella con la palla, della quale si ragionerà più oltre. Ma prima intendo dire de tutti gli altri lavori, asegniando le sue misure, come si vedrà. Tra questi ve ne è di dua sorte che si fanno di dua pezzi: come le chudelle da l'impagliata, alle quai va il suo coperchio e, parimente, alle tazine che vi va la manica. Molti sonno che ve ne fano dua, ma a me non piace.
Ora io vi ho posto qui quatro sorti di
maniche che si usano alle tazze. Io non ragionerò de gli coperchi da
schudelle, perché questi vano tutti a un mu[o]do, escetto quelle di 5 pezzi,
delle quai, prima che io vadi più oltre, intendo ragionare. È dunque da sapere che gli cinqui pezzi de che si compone la schudella da donna di parto, tutt'e 5 dico, fanno le sue operationi e, poste tutt'a 5 insiemi, formano un vaso. Ma per essare inteso meglio veremo al dissegnio.
Questi sono tutt'a 5 gli pezzi della schudella. L'ordine di farne tutto un vaso è questo: il taglieri si riversa su la schudella, cioè quel piano dov'è il numero 2 va volto sopra al concavo della schudella al n. 1, il concavo de l'ongaresca va volto sul piedi del taglieri, la saliera va posta cossì im piedi nel pie' de l'ongaresca, sopra la quale va il suo coperchio come qui si vederà. Ecovi che tutte fano un sol vaso come il
presente, cosa no di poco ingegnio. Altri sono che le fanno di 9 pezzi, tenendo
sempre il med[e]smo ordine, e queste si chiamano schudelle de 5 pezzi o vero di
9. Queste sono le misure de gli lavori che vi ho ragionato inanzi; a' quale, per più chiara inteligentia, si è fatto la mirà del giro, avertendo che spesso, sopra una misura, si fano di 3 e 4 sorte di lavori, come si vede separato con le sue lime:
Ecovi gli lavori che si fano sopra la schudella con la palla: Vasi a pera Vasi da un
corpo e mezzo Bronzi
antichi Albarelli Boccali Foglietto Fiole Fiaschi
Queste sono le sue misure, cioè de
l'altezza e del corpo, avertendo però che, se bene non sono di tanto circhulo,
si è posto questo per esempio; gli avanzi del circholo e del dritto filo si è
lassato per la bocca. Io non ragiono del piedi perché egli si accena col dito
nel farsi e non si lassa molto in fuori, secondo che richiedano i lavori. Questi si fano tutti sul mugiuolo e le
loro grandeze sono poste su le misure de gli lavori sutili, come si vedrà da
l'A per insino al D. A Piatei
tornigiati grandi B Piatelli
tornigiatelli A Piatelli
duzinali grandi B.C.
Piatelli duzinali piccoli A.D.
Capelotti Ancora mi resta mostrarvi quelle dua
sorte de lavori che si cavano di massa, che sono questi: Schudelle
alla foggia Schudelini Le schudelle tonde alla duzinale si fano
con la palla sopra la schudella. Ora mi resta porvi le case, le quai vano
tutte un dito maggi[o]r de gli lavori da' quai che pigliano nome. E queste tutte
si fano sul mugiuol piano. Ora eccovele: Case da tazzoni Case da
copette Case da
piatti Case da schudelle. Case da bronzi. Case da schudelini. Case da baccili. Case da saliere, da tazzine e schudelle alla venetiana. Tutte queste si fanno di tarcholi come
si dirà. Gli è adunque da sapere che sopra il mugiuolo piano si fanno tutti gli lavori chupi, come già si è detto, e tutti gli lavori sutili si fano su la schudella. Tutti, dico, si fano di palla: da le schudelle alla foggia e gli schudelini impuoi. Le quai dua sorte si fanno di massa in questa guisa: fassi una gran massa di terra, come a dire un 30 o 40 libre, come più piace a colui che lavora, e questa ponsi sul mugiuolo piano come qui vedrassi; poi se ne cava gli sopra detti lavori. Vero è che se ne potria cavare di più sorti, ma non si usa. Ora eccovi la massa sopra al mugiuolo e la palla su la schudella. Forsi alchuno, vedendo queste palle qui, si penserà che siano d'arteglieria; ma
per cavargli di questo dubbio se gli fa sapere ch'elle sono di terra fatte al
proposito nostro. Imperò che, colui che vole lavorare, subbito ch'egli ha concio
la terra, fatto di essa un pastel longo, ne taglia pezzi di grandezza di un buon
pan buffetto. Il che fatto, piglia ad una ad una gli detti pezzi e quegli
tagliando con la palma della mano, come tagliano il pane i nostri biffolci, più
volte sbattendo, la rimette insiemi nettandola se bruttura vi trova. Il che
fatto cossì con tutte, le reca là dove egli voi lavorare. Gli è anco da sapere che non si lavora senza stecha, e questa fassi di legnio ben duro e liscio, grossa com'un pettine da la testa. Di queste se ne fano di quatro sorte, l’una de' quai si adopera per fare schudelle da l'impagliata, baccili a barbieri e piatei duzinali. Questa si vederà qui sotto segniata con la lucra A. L altra si adopera per lar tazze da l'impagliata, patti da carne grandi e saliere a fongho, e questa sarà segniata B. L'altra si adopera per tutti gli lavori sutili, e questa vederassi segniata C. Con l'altra si fanno tutti gli lavori chupi, e questa vederassi segniata D.
Gli è da sapere che là, dove si veganno
quei fori, vi si mette il deto di mezzo, come si vede nella mezza steccha alle
misure qua dietro, quando si lavora come si dirà. Ora che habiam detto delle steche, ci
conviene anco dire de gli ferri e parimente mostrargli et insegniare come si
adoperino, quai lavori si tornegino. Gli è adunque da sapere che 8 sono le sorte
de gli lavori che non si tornegiano, come a dire: Piatei
duzinali Schudelle
alla foggia Schudelini Schudelle
tonde Boccali Fogliette Fiole Fiaschi Tutto il resto d'i lavori che si fano sul torno vano tornigiati. Ora eccovi gli ferri.
Ora che io vi ho mostro di 5 sorte di
ferri, vi voglio anco dire a che lavori si adoperino, perché, se io vi lassasi
cossì in aria, voi malamente ve ne potreste servire. Ma perché in
questa opera mia non resti cosa indarno, gli è da sapere che il primo
ferro signiato A, con quello si fano le cornigie che si vogano sul
roverscio dei baccili da lavar le mani et anco a fare certe cornigie ai piedi
dei bronzi; con il secondo B si refeniscano; con il terzo C tutti gli lavori si
sgrossano; con il quarto D si fano gli piedi alle confetiere, o vogliam dir
tazzoni; con il quinto E si refeniscano le cose più gentili. Eccovi a che
si adoperano gli ferri da tomigiare. Ora mi resta ragionare alquanto d'intorno al far delle case là dove se infornano gli lavori, de gli tagli, delle ponte o vogliam smareile, de gli pironi. Questo farò con più brevità che sia possibile. È da sapere che le case vano fatte di dua sorte di terra: dico di terra da pigniatti e terra da far vasi. Alchuno forsi non m'intenderà. Gli [è] differentia grande tra queste dua terre, perché l'una è rossa e l'altra è bianca; l'una tien di miniera e l'altra no. Nella rossa, della quale se ne fano gli pigniatti, vi si vegano dentro certe scaglie come di oro, e l'altra tiene di genga, e quanto ella ha più de l'azzurro è migliore. Si piglia adunque di ammedua tanto, e mistasi bene insiemi, poscia se ne fano torcoli a questa guisa.
Questi si slargano puoi sul mugiuolo, poscia alzonsi alla bastanza et se ne fano le case come di qua vedrassi. Queste si fano grande e piccole secondo che richiede gli lavori. E sapiasi che tutti gli lavori suttili se infornano nelle cas[e] escetto il duzinale.
Gli è da sapere che tutte le case vano forate di sotto, escetto quelle da gli bianchi che vanno sane, perché gli lavori se infornano im piedi. E perche io sia meglio inteso ve ne ho volto una alla roverscia, acciò vediate come elle vano forate, et hòvene fatto di dua sorte, o vogliam dire di tre, perché in queste non si ta altra diferenza che nel farle grandi e piccole, alte e basse. Ecovi il taglio, che è questo signiato A, la ponta signiata B, il pirone signiato C. Mi riman mostrarvi le stecche con che si levano le case su del torno: eccovele. Queste anco si potriano far piane, ma io mi son prosuposto di mostrarvi in tutto l'arte più eccelente. Et è da sapere che tutte le case si fano sul mugiuolo piano e, fatte, su di quello si tagliano con il fil di rame; puoi si alzano da un de' lati et vi si mette sotto una delle dette steche e di puoi l'altra nel medesmo muodo. Fatto questo, si fa intrare questi dua avanzi di legnio sotto le braccia alla congentura della mano, fermando il dito grosso sopra la steccha, e gli altri vadino dalla banda di sotto e, cossì alzandosi par pari ambedua, si levi la casa su del torno. Queste non si adoparano ad altro et è gran differenza tra queste e quelle che io vi ho mostro prima, perché con quelle di prima si fano tutti gli lavori. Né si fa lavor di nisciuna sorte sul torno che non ve se gli adoperi la steca. Et ora che io sono a questo ragionamento, mi giova di dire come et da che mano elle si adoperimi. Gli è adunque da sapere che per far tutte le sorte di lavori sutili la steccha si opera con la man manca, cogliendo in mezzo alla man ritta e alla stecha il lavoro, cioè l'orlo del lavor di terra, e cossì tengasi sempre par pari. Il medesimo mu[o]do si deve tenere nel far il lavor chupo, ma allora la steccha si operi con la man ritta, tenendo dentro al vaso la man manca, affrontando il dito sempre con la steccha. E menesi più pulito che sia possibile, che questo è il bel lavorare.
Di fuor sì come dentro facci uguale il suo lavor il mastro
diligente, spianando bene i mucchi della terra che soglian còrsi ne l'alzar del
vaso. Ora gli è d'avertire che quello instrumento detto il torno spengasi con un piede; e cossì si fa girare vellocemente. Girando il torno gira altresì la terra che è posta sopra il mugiuolo, o vogliali dir schudella; la qual, stretta con tutt'a dua le mani, di essa si fa ogni sorte de lavori.
Da puoi che si è ragionato fin qui del
lavorare al torno, mi sono risoluto di ragionare alquanto di fare le forme di
gesso e come si forma con la terra in quest'arte. Quivi è da sapere che il gesso
vole essar frescho e non troppo cotto, ben pesto e ben stacciato. Doppoi in aqua
tepida si distemperi, con mano diligentemente rimenato e rotto da quel primo
sodo ch'egli pigliò ne l'andar ne l'aqua. Poscia, cossì soluto, gettasi sopra
qual si vogli rilievo o cavo, tutto che, là dove egli si getta, sia di terra
fresca. Doppoi che il gesso harà fatta la presa, cavasi la terra diligentemente
e troverassi la forma netta e pulita, nella quale si potrà formare come si
ragionerà. lo non mi stenderò molto in questo,
perché nella Pirotechenia del signor Vannuccio Beringuccio, nobile sanese, a
l'VIII libro, dove tratta del formar diversi rilievi, si vede tutto quello che
si può dire d'intorno al fare delle forme. Però, chi appieno voi saperne,
racorra a gli studi di questo signore, che harà quanto dessidera. Egli ha anco
trattato un non so che de l'arte figulina che in vero a me non spiace, ma dico
bene che negli accordi de gli colori sua signoria è stata gabata; nel resto egli
ha detto sì diligente che la pratica sua dorebbe essare studiata da tutti gli
huomcni de l'arte. Per tanto, passerò brevemente il far delle forme, puoi che un
signor tale mi ha tolto questa fatica, ne l'opera del quale si vede, e con gesso
e senza, e parimente ciò che si deve operare là dove non si trova gesso,
come si formino i rilievi e come i concavi, come si fanno le forme di pezzi, et
insoma tutto ciò che si può dire. Ora a me basta di mostrarvi il muodo di formar
di terra. Io molto mi alungarei se di tutti gli lavori che vanno formati vi volessi ragionare; ma per abreviare il dire ve ne porò una particella, come de gli abborchiati, delle canestrelle, e dei bronzi. Fatto adunque le forme di ciaschuni di questi, formarassi la terra in questa guisa. Pigliasi un pal[l]on di terra ben concia e ben netta, di quella grandezza che richiede il vaso che si deve formare. Sia la terra morbida come si usa per lavorare al torno, e questa, amassata bene insiemi, si fermi sopra una tavola ben piana. Di puoi habbiasi doi righe grosse ugualmente, di questa grossezza come nella faccia di la presente segniata A [cm. 0,5], e large alla segniata B [cm. 3].
Queste fermonsi, per piano, sopra la
detta tavola allato al pallon di terra, cioè una per banda. Puoi habiasi un
filo di recalco o vogliam dir di rame, e sia tanto longo che avanzi quatro dita
da ciaschun de' lati del pallone. Perciò, preso quello avanzo in ambedua le
mani, e posto il dito grosso sul filo, calcando su le righe, si tiri cossì a ssé
che si taglierà per traverso il pallone; il qual, levato del suo luogo, rimarà
sopra la tavola una lastra di terra grossa quanto le righe. Quella si vadi
assettando nelle forme, o tutta intiera o fattone più pezzi, calcandola ben con
mano acciò che, se nella forma fosse maschera o altro di rilievo, pigli bene
l'impronta. Puoi rigiungasi le forme insiemi, tagliatogli prima la terra che
avanza attorno con l'archetto, ponendo sempre, sopra il taglio che si deve
ragiungiare con l'altro taglio, della barbatina. Ragiunte, se non vi si può
mettare la mano, puliscasi con il Iegnio. Ma per mostrarvi appienamente il
tutto, et acciò che la capiate meglio, vi porò qui di sotto ogni cosa. Ecovi il pallori che già vi ho detto, in mezzo alle sue righe, con il suo fil dietro; il quale, tirato in qua tutto in un tempo, fermando il dito grosso come già vi ho detto, verebbe a tagliarsi una lastra di terra in quel muodo che vedete nella tavola al B, che questo sarebbe appunto quel taglio che si vede nel pallon sotto la litera A.
Questo basti quanto al tagliar la terra
per formare. Mi resta mostrarvi le forme, il baston da pulire gli concavi
e l'archetto. Ecovi prima la forma de le canestrelle, che è la A, con la forma del suo piede, che è la B; di puoi, lì di sotto, vi si è posto la forma del bronzo, cioè tutt'a dua le parti, le quai, lutate con la barbatina sul taglio che si fa con l'archetto, levandone quello che avanza di ffor della forma, affrontonsi. Et è da saper che tutte le forme vano di concavo, dalla canestrella im puoi, che si forma sul maschio, come qui si vede. Ma puoi si volta dentro un cattin di legnio de la par grandezza, ivi se ne taglian tutti quei quadri bianchi segniati C, il simile fassi al suo piede, puoi si mette insiemi. Molti sonno che gli attacano il piedi da crudo con la barbatina e molti da fenito con il suo bianco, o vero con la coperta, la quale, chi non gli la voi dar schietta, l'atacchi col bianco e con la coperta amisto al paro, che è benissimo. Affrontate che si sonno le due parti della forma del bronzo, si pulischi per dentro via. Ma, perché la sua boccha non è sì larga che vi possi intrare la mano, però gli è de necesità di fare un bastone di questa
sorte, e con quella palla ch'è là, dal lato storto, andar pulindo per i concavi ascosti. Eccovi il bastone che è quello ove termina la linia A. Con questo si puliscie per tutto dove non si può giungiate con la mano. Quello che è ligato seco è l'archetto, il qual si adopera per tagliare la terra che avanza di ffori dalle forme. Ora mi resta mostrarvi gli aborchiati, e questo faremo sotto brevità, imperò che vanno semplici come qui si vede.
Gli aborchiati adunque sonno questi: cioè quegli che hano certi rilievi in fuori come s'usa molto ne gli argenti oggi per le corti. Questa, dove termina la linia A, è una saliera, la forma della quale va di dua pezzi, che vien fesa appunto là dove termina la linia B. Posta adunque la terra nella sua forma, ragiungasi, come si è detto del bronzo antico, levandone le parti che avanzono con l'archetto. Pulita per drento, con il bastone, poscia lassasi cossì per sin tanto che si vede, là dove è apperta la forma, ch'ella si cominci a spicciare. Allora, diligentemente, se ne levi una parte e dipuoi l'altra. E così vi rimarà la saliera in mano; la qual puliscasi puoi nelle sue congionture e rassettasi dove fia di bisognio. In questa guisa si formino tutti gli altri lavori, d'intorno a gli quai si terà il medesm'ordine. Mi sono anco risoluto mostrarvi gli smartelati, acciò non passi cosa della quale io [non] vi habbia ragionato, et affine che l'arte sia compita. Questa, adunque, intendo io dirsi smartelato. Di queste, dico, ne ho vedute molte, a' dì miei, di oro e molte di argento. A tutte queste, et a tutte le confetiere aborchiate, vi si attaca il piede da fenito. E questi sono gli lavori che non si possano fare sul torno perché gli suo' rilievi nol comportano. Questo è quanto io intendo ragionare d'intorno alle forme di gesso. Il gesso è parimente cosa notissima per tutta Ittali[a]. Di questo ne ha scritto Dioscoride al V libro, cossì dicendo: il gesso ha virtù di costringere e ristagniare il sudore. Né trovo, però, che lo chiami altamente che gesso. Di questo se ne fa in grandissima copia per lo Stato dello illustrissimo et eccellentissimo Guidubaldo II duca di Urbino, mio padrone. Ora qui tacerò le cose del formare e parimente del gesso. NCORA che di questo si sia ragionato nel disegnio dei ferri, mi è parso toccarne alquanto, in questo luogo, acciò che appartatamente si sappia quai fiano gli lavori che vanno tornigiati. Tutti gli lavori suttili si tornegiano. E per tornegiarli si fa un tornegiatoio di terra alquanto minore de gli lavori. Questo va fatto sul mugiuol piano sopra al quale si pongano alchuni pezzi di carta. Puoi vi si drizzano gli lavori im bocca, o vogliam dire in giù, drizandogli. Poscia, dritti, con il ferro se ne leva una gran parte per sin tanto che le coste di fuori, o vogliam dir il rimesso, si confronti con il rilievo di dentro e restino grossi alla bastanza, come sa il valente artefice. Puoi vi si attacano le sue maniche, o vogliam piedi, secondo che ricerca il lavoro. E questo attaconsi con la barbatina, la quale si fa cossì: pigliasi della terra ben secca, o vero di quella ben morbida che avanza quando si lavora al torno, su la steca G, la quale pare unguento; con questa si amista cimatura di panni, poscia rimenasi benissimo et operasi cossì morbida che attacha gagliardamente. Tutto che i duo lavori che vano attachati insiemi siano parimente sechi o parimente verdi, altrimente si farebbe nulla. Ora eccovi il tonigiatoio con il quale intendo far fine a questo mio primo libro.
Puoi che, pure con lo aiuto dello Altissimo, son giunto al fine del primo libro de l'arte del vassaio, sotto quella brevità che è stato possibile di farsi, non mi resterò per fin tanto che il secondo, et il terzo et ultimo, allato a questo non lochi. Però, chi leggerà questo primo mio, non si amiri né habbia per scherzo queste partichulari narrationi fatte d'intorno alle cose della terra, perché prosupongo ch'egli habbia non sempre a stare alle mani de gli mastri periti, anzi, ch'egli habbia, dico, ad andar fuori; fuori non pur dell'arte, ma d'Ittalia. Là dove facendosi cogniosciare a coloro che di lui vorano fare esperienza, mostrerassi forsi non men bello, non di manco pregio, se chura vi porano e diligenzia, ch'egli si facci nei paesi nostri. Poscia, rinoverà nella memoria altrui, il felicissimo Stato dello illustrissimo e eccellentissimo Guidubaldo II duca di Urbino. Felicissimo, dico, sopra ogni stato, per il governo de sì ottimo prencipe. Non dirò come, né quante sante, siano le mirabili constitutioni e le divine leggi di questo duca, perché, per sé stesse, sono sì chiare che più tosto io le ombrarei che mostrarne il puro, il luccido della sua chiarezza con il mio basso dire. Non si sa egli che lo Stato di questo prencipe è lo appoggio, il rifugio di ogni virtuoso? A questo si cognioscie ch'egli legitimamente possiede la sua monarchia. Quai populi, oggi in Ittalia, vivano più quieti? Quai, dico, sono quegli a chui le guerre odierne non gravino? Chi non teme altri? Chi quegli di costui, i quai, fatti sceguri sotto l'ombra di sì aveduto padrone, dormano le notti contenti nei lor letti et il giorno affatigano per gli lor bissogni? O veramente prencipe giusto e santo! O somma prudenzia! O inaudita bontà! La quale, per dare esempio di sé medesma, più dona che non toglie, più perdona che non castiga, più chiama che non scaccia. Vengano, insiemi insiemi meco, tutti gli populi suoi, anzi tutta la crestiana comunanza a pregare a l'Altissimo che nello conservi lungamente.
Libro secondo
DA sapere che, a nnoi,
le fecce dei vini si colgano più nel mese di novembre e di dicembre che per
altri tempi, imperò che allora si tramutano i vini. Il tartaro, o vogliam dir
taso, si può cogliare a tutti i tempi purché le botte siano ben rasciutte;
quelle, dico io, che vi sono stati gli vini lungamente dentro. Queste, rase
dentro con un ferro, caverassene una crosta grossa doi o tre dita; e questo è il
tartaro. L'operano colloro che fano gli vasi alla castellana, in cambi[o] di
feccia, metendone però manco, ne l'accordo, che non fano della feccia, perché
gli è assai più gagliardo. Le feccie si colgano quando si tramuta, como già si è
detto; imperò che, levato il vino della botte, quella madre, che molti la
chiamano cossì, mettesi in certi capélli fatti di tela grossa e rada, i quai,
pieni che sonno, si metfano a scholare per córre quel vino che ne escie, il
quale si fa, in bre[ve] tempo, perfetissimo acceto. Cossì scolate, le feccie si
gettano su per i solai, o vogliam dir pianciti, che siano ben netti; quivi si
lassino asodar tanto che, con mano, se ne facci pani. Fatto questo si lassi
asciugar benissimo e, quando sarano bene asciutte, portensi fuori de la terra a
brusciare, come sar[e]bbe lonfano un miglio, imperò che fanno un cativo puzzo,
il qual, molti dicano che gli è atto a far spregniare le donne gravide. Posto
adunque in un'aia, o vogliam dir luoguo spazzato, 600 o 1000 libre di questi
pani ben sechi, vi si facci attorno un murello di pietre cogliendo in mezzo le
dette feccie. Poscia, da dua o tre lati, vi si accenda il fuoco con legnie
seche, levandone però tanti pani, che il fuoco affondi, che im poco tempo si
vedrà ardare tutto il montone. Questo usam noi fare sul partir del giorno imperò che, accesovi il fuoco, toniamo alle nostre case. Tornando la matina, ne levam tutta quella parte che troviam brusciata. La brusciata se intende tutta quella bianca; la nera racoziam noi insiemi accendendola di nuovo. Questa salvarne puoi in quei vasi di legnio ove venir sogliano i salami come tunina, sardelle e simili. Molti la servano in certi vasi grandi detti vittine: questo non importa, pur ch'ella staghi ben stretta. Avertiscasi, quando la si mette in queste conserve, se gli deve spruzar sopra alquanto di aqua, perché cossì ella si assoda tutta in massa e fassi migliore. Questo è quanto a me pare che si possi dire d'intorno alla feccia e quanto mostrarsi.
Molti forsi mi biasmarano con dire
che prima dovea ragionar della fornace e del muodo di cociare di bestugio e
puoi venire allo accordo de gli colori. Ai quai rispondo cossì e dico che mi
conviene anco fare il marzacotto, il bianchetto, il zallo, il zalulino, il
verde accordato e mil’altre facende per non rimanere (poscia che cotto che
si harà di bestugio) con le mani a cintola. Acontentansi adunque che in
questo mio secondo libro io insegni altrui tutti gli coloretti, il muodo di
far le fornaci, le calcination dei stagni, diversi edifitii di mulini; che
nel terzo puoi, con lo aiuto di Iddio, si mostrerà tutto il compimento de
l'arte. Ma puoi che habiam detto come si abrugia la feccia, mi par anco di dire come si abrugia il tartaro, de' quai a ragionato Dioscoride nel V libro. Et àcci insegniato il vero muodo di cogniosciare la feccia brusciata dicendo lo esperimento di cogniosciare quando l'è perfettamente abrusciata. È allora ch'ella si vede tutta bianca o vero di colore simile a l'aria, e che, toccandola con la lingua, par che abrusci. Questa a molte virtù. Il tartaro, o vogliam dir grepola, dice egli, ha in sé virtù solutiva, non ragionando altrimente del muodo di abrusciarlo. Usasi da molti cossì crudo, ben pesto, mangiarsi nelle menestre in cambio di agrume. Questo si abrugia in certi piatti grandi cotti una volta, possto alle bocchette sopra la volta della fornace, e allora è cotto quando ci è fatto tutto bianco. Questo operano le donne per farne gli lisci. Con questo si mandano via le machie de l’oglio dei panni. Ora, puoi, ch'habiam ragionato di ambedua la bastanza, per venire al marzacotto ci conviene ragionare della rena, la qual puoi accordaremo con detta feccia. La rena, la migliore che si trovi per tutta Italia, è quella di San Giovanni, luogo di Toscana. Non so s'egli è quello detto da frate Alberto, nella sua Italia, il monastero di Valle Ombrosa. Bene intendo, da coloro che vi vano per la rena, ch'egli è di qua da l'Arno vicino alla Terina. Basta che questa rena si ha per la migliore imperò che l'è bianca, luccida come argento, pesante e chiara e netta. Questa si cava al pie' d'un monticello et è detta iena da San Giovanni. Evene di un'altra sorte che viene dal lago di Peroscia, ma non è cossì bianca né cossì lustra; però non mena gli colori così bianchi come l'altra. In molti luoghi non si adopera né l'una né l'altra. Vinegia ne ha, alle volte, ma per il più operano di una sorte che vi va da Udene, la quale è di color rosso. Il simile fanno in Padova. In Verona usano certe pietre tonde, bianche, che rotte, parano dentro di argento e dicano che sono di marmo; e questo me si fa verisimile perché vi si vede sentilar dentro un certo luccido appunto come fa nel marmo. E da molti ho inteso io che il marmo serve in cambio di rena in quest'arte. In Corfù, per quanto mi dicano coloro che vi hano lavorato, operavano certe pietre rosse, luccide, pessante, e queste cavavano a' pie' di una montagnia viccino alla marina. Questo basta. Veniamo allo accordo per fare il marzacotto. Ma prima che io faccia questo, vi voglio avertire che di tutti gli colori ve ne poro dua insiemi, e talora tre, secondo gli ussi. E perché m'intendiate per sempre, eccovi lo esempio: intendasi sempre la feccia brusciata. Faremo cossì e diremo: per il marzacotto pigliasi lìvare 30 di rena e lìvare 12 di feccia. Molti sonno che fano altramente, cioè lìvare 30 di rena e lìvare 10 di feccia. Adunque, tutte le volte che si troverano doi numeri o ver tre, l'un dietro l'altro, intendasi, di quel che vien prima nominato per l'instessa riga, accompagniarsi col suo numero dissotto, di là dalla linia che calla per traverso. Et acciò che m'intendiate meglia, il primo accordo sarà la littera A, il secondo sarà la B, et il terzo, esendoci, sarà la C, come qui:
Eccovi adunque il mu[o]do et l'ordine che teremo nel parlar dei colori, brevemente racordandosi che, per la linia della rena, il variar del peso è quel numero a Ilei de rimpetto et il simile alla feccia; e questo si può acresciare secondo la quantità che l'huomo ne voi fare, como a dire: se 30 voi 12, '60 voi 24, cossì per gli altri. Fatto questo peso, mistasi bene insiemi sopra un solaio ben netto e, se vi fosse alchuna massa di feccia assodata, amacasi con una pietra. Poscia, fatone diligente amistione, metasi de[n]tro ai bocali, o vogliam mezzi, cotti o crudi che non importa, e questo si cuocia come si ragionerà.
MUODO DI FARE IL BIANCHETTO Pigliasi quella quantità di stagnio che huom vole, e questo voi essare per il migliore stagnio fIandrese, e fondasi in una cazza di ferro. Molti lo fondano in una pigniatta e dicano che vien più puro. E, cossì fuso, si versi in un cattino di legnio et habbiasi un pestel, pur di legnio, con il qual si rimeni presto presto prima ch'egli si assodi, et il stagnio si convertirà in cénare. Altri sogliano fare questo con una [pezza] di lino e fanno cossì: pigliano una pezza di lino nova, grossa, ben soda, che sia larga più di un buon palmo per ogni verso; di quella, preso tutt'a quatro i capi in mano, fanovi versar dentro il stagnio fuso. Poscia, ristretta la pezza a guisa di volerne trar sugo, con l'altra mano disotto la fregano, o vero, fermatala sopra una banca, la rimenano benissimo che fa il medesmo effetto e meglio. Pigliasi puoi un piatel bestugio, sopra il quale stendasi un foglio di carta, e sopra vi si versi dette cénare andandole slargando cossì con mano, per il piatello dove è la carta, imperò che, quanto più elle fìano strate, verà più bello il bianchetto coprendolo con un altro piatto che sia rotto in dua o tre luoghi acciò il fuoco vi g[i]ochi cocendosi come si dirà.
MUODO DI FARE IL VERDE Pigliasi pezzi di rame vechio e questo meTasi in un mezzo, o altro vaso, e si cuocia come si dirà, che nel vaso troverassi il rame brusciato. Il miglior rame abrusciato, recita Dioscoride, è quello che è rosso e che, tritandolo, si rasemba al cinapro. Imperò che il nero è più abrusciato di quello che se gli bisognia. E vole che, per abrusciarlo, si tacci strato sopra strato, con solfo et sale; in un vaso ben turato mettasi in la fornace. Questo è un uso che molti lo servano et è perfetto. Questo, cossì abrusciato, macinasi e dipingasi, che verà verde. Chiamasi, ne l'arte, ramina, altri rame adusto. Di questo se ne fa il verde accordato, come a dire: pigliasi
Intendasi sempre, nello accordo di
tutti gli colori, che i menierali vanno pesti e ben misti insiemi, quegli
dico, da pestarsi, come verbigratia, in questo pestasi l'antimonia e la
ramina, perché il piombo va brusciato. Non si usa già brusciarlo como recita Dioscoride nel V [libro], imperò ch'egli vole che il piombo sia sutilmente laminato, poscia di quello ne sia fatto strato sopra strato con solfo, per fin che si empia il vaso; il qual mettasi al fuoco e, como il vaso è infocato, voi egli che si mescoli con una vergetta di ferro tanto che tutto si converta in cenere che non ne resti parte alchuno; cosa molto diferente da l'uso di quest'arte come si vederà al suo luogo. Egli, altr[ov]e, sì parla dell'antimonia dicendo: il stimmi, over stibio, è quello che è splendidissimo e lampegiante, e quello è del buono che non ha in sé né terra né sordidezza alchuna. E’ne, di questo, la mimera in quel di Siena et se ne trova in la Marema in quel di Massa, ma il migliore per quest'uso è quello che vien di Vinegia.
MUODO DI FARE IL ZALLO Togliasi teraccia o vogliam rugine di ferro, e la migliore è quella che si coglie d'intorno all'ancore delle navi; questa cuociasi in un vaso bestugio che sarà migliore. Molti sogliano infocarla e poscia spengiarla in urina, e cossì dicano ch'ella si purga. Molti sogliano fare, come si è detto del rame, con il solfino che vien bene
Molti vi sogliano menare un poco di
feccia, poi stratasi in un piattello sopra un foglio di carta, e cociasi
come si ragionerà. Io non mi credo che fia di bisognio andarvi replicando
quello che già vi ho detto una volta, sì delle dose come del preparargli e
del pestargli, con la diligenza e chura che se gli deve havere; per questo
andarò abreviando il dire.
MUODO DI FARE IL ZALULINO
Eccovi tutti gli colori composti che si fano in quest'arte: gli naturali che si adoperano, e la zaffara, da noi detto azurro, et il manganese. La zaffara vien di Vinegia e la bona è quella che ha del tannè violato. Questa si cocie cossì, simplicemente; et operasi, perciò, cruda e cotta. Il manganese se ne trova abondantemente per questo felicissimo Stato et in diversi luoghi per la Toscana. Questo è notissimo per tutto Italia, et operasi per tutto ove si lavora di vetro. Tutti gli colori sopra detti si devano guardar dalle polvare e dall'altre broture. Ora, per ragionare di diversi colori, convienmi formare un fornello di reverbaro. Fatto questo veremo puoi allo accordo del piombo e del stagnio. Puoi trataremo di diversi colori che si usano in diversi parti d'Italia, come a dire quegli di Vinegia e di Genova, che sono un accordo medesmo. Puoi tratarasi del bianco del duca illustrissimo di Ferara malamente detto bianco faentino. Trataremo dei colori della Marca, della Cità di Castello e della maiolica e sua fornace. Ora eccovi il muodo da fare il fornello. COME SI FA IL FORNELLO DI RIVERBERO Gli è da sapere che il fornello di reverbero si fa la sua pianta di madoni larga 3 piedi e lunga 5; e levasi dal teren, soda, di alteza di doi piedi. Poscia, quivi si comi[nci]a il vaso, là dove si tiene il fuoco, il quale si fa largo un piede. Puoi alzasi, da tre lati, un altro piede. Quando si è giunto a questa, allora si dia prencipio di formar il vaso dove si tiene il stagnio. Questo usam noi di fare di pietra la qual chiamasi tufo, che è una sorte di pietra che si taglia facilmente. Questa, dico, operano i fabri, pesta, per saldare i ferri. Di questa facciasi un concavo quadro che habbi fondo di quatro dita. Il concavo sia largo meglio di doi palmi, a ben che questo si rimette in colui che voi fare l'arte, perché, volendo far delle facende assai, facciasi il fornello magiore. Ma per non ragionare indarno vi ho voluto ponare qui il muodo della pietra, acciò capiate meglio il mio dire. Di qua vi porò l'altro vaso fatto di matoni come qui si vede. Mi riman di mostrarvi il fornello ellevato con il suo arco sopra, là dove gira la fiama del fu[o]co che, di riverbero, si trasporta là dove sta il stagnio; avertendo che la bocca del fornello, là onde si mette il fuoco, va alquanto più bassa di quella del stagnio, come qui si vede, che è quella nella quale termina la linia A; e la più alta dal stagnio vi termna la linia B. Gli è da sapere che questo fornello non
si mura con calcina, né con gesso, ma di una sorte di tereno al qual diciam noi
sciabione; questo si adopera per far le forme delle campane. Molti sonno che il
vaso dal stagnio murano co cénare, e molti con tanta cénare e tanta di detta
terra, e sogliano amistrarvi dentro sterco di asino e borra; tutto che si facci
doi o tre suoli di mattoni uno per il contrario de l'altro; e gli ultimi, dove
si deve fondare il stagnio, siano ben lissi nelle giunture e ben piani di sopra
via. Vi ho posto qui di nuovo la fornacetta, o vogliam dir fornello, a ffine che meglio con l'ochio si veda quello che non si può esprimare cossì con la penna.
Già si sa che la bocca più bassa è quella dove va il fuoco e quella più alta v'àvi il stagnio. Tra le quai non vi va muro più alto che si sia il parapetto o della pietra o de' matoni. Fatto tutto questo habiasi un ferro fatto in questa guisa: Questo chiamasi, ne l'arte, il trainello
da stagnio imperò che, con questo, si spinge inanzi il stagnio fiorito come si
dirà. Questo basti in quanto al fornello. Veniamo alle calcinationi. Accendasi
il fuoco di legnie seche et scaldisi talmente che, postovi dentro il stagno, si
fonda subbito. Fusso, lassisi cossì tanto che vi si vegghi far sopra una pelle e
quella, poscia, alquanto elevarsi e fiorire. E quando il stagnio fuso fia tutto
pien de quei fiori, allora allora, con quella pala churva di ferro, si spenghi
apresso il muro dalla banda di dietro. Ma prima che io vadi più oltre, vi voglio accordare il piombo e ‘l stagnio, perché il stagnio non va mai solo nel fornello. Facciasi adunque cossì: pigliasi
II primo accordo, che è uno e quatro,
questo si fa di piatti o voglia[m] fiasche vechie; e potrebesi fare 1 e 5 quando
i peltri fosserno buoni, dico che tenesamo di stagnio assai. Questo si
cognioscie al suon chiaro et al stridore nel piegarsi. Il secondo B è di
stagnio di massa che, s'egli fia del buono, si può accordare 1 e 7. Fatto un de
questi accompagniamenti, mettasi nel fornello tenendo il muodo che si è detto
per calcinarlo, mantenendogli sempre il fuoco uguale perche, se lo acresciesti,
tornaria tutto in fusione. Cossì se ne può calcinare quanto l'huom vole, acrescendo sempre i pesi, perché non se ne calcina mai 25 né 30 libre, ma 100 e 200; dicendo cossì: se 4 vol una, 20 vorà 5, e cossì se 6 vol una, 60 vorà 10, e cossì acrescasi. Io parlo per esempio imperciò che, tenendo questa strada, non si ererà. Lassasi tanto al fuoco questo mescolamento di piómbo e di stagnio che, fiorendo e spengendo col ferro sempre il fiorito sul muro, egli si converta tutto in cénare. Et allora che la cénera fìa bianca, overo alquanto zalletta, cavasi in un caldaio di rame ben netto et asciutto. Molti, per far fiorire più tosto il stagnio, sogliano gettare nel fornello alchuni pezzi di solfino, che non mi spiace. Questo ne l'arte chiamasi stagnio accordato, ancor ch'egli fìa più piombo che stagnio. Nel medesmo muodo si abrugia il piombo, né vi è altra diferenza che il piombo. Fuso ch'egli è, sempre si maneggia con il trainello, fin'a tanto che, rottogli la fusion cursiva, egli si converte tutto in cenere. Fatto cossì, e ch'el suo colore habbia del rossigiante, si cavi e questo adimandasi piombo abrugiato. Ora ragìonaremo di accordare il stagnio per il bianco alatato. Passi cossì:
Usasi il medesmo muodo in calcinar questo che si è detto di sopra, con il suo fuoco temperato, avertendo sempre havere i stagni et i piombi boni, perchè in questo importano assai che ne gli altri non fa cossì. Tenendosi tal strada harassi il stagnio delicato.
ER sino ad ora habiamo parlato de gli colori che si usano nella Terra di Durante, ora ragioneremo di quelli della città di Urbino, benché tra questi è poca diferenza, imperò che buona parte de gli mastri che lavorano in Urbino sono della Terra di Durante. Trataremo de quegli della Città di Castello, della Marca et di molti altri luoglii per non inanellare di quanto si è promesso. Io non ragionerò dello accordo al fornello perché gli è tutto uno, né meno vi starò a pporre molti accordi per non intrigare altrui il pensiero di quello che non bisognia. Chi vorà investigare intorno allo effetto degli mettalli, sciema o creschi nei pesi che vederà, se'l stagnio fa bianco, se'l piombo fa lustro, e ciò che fa l'antimonìa e la feraccia; che cossì già fece Alfonso illustrissimo di Ferara quando egli ritrovò il bianco allatato, malamente oggi detto bianco faentino. Questo basta.
[COLORI] A L'URBINATA
COLORI DELLA MARCA Questi variano assai dal nostro uso; imperò ci convien fare nuovo accordo al fornello:
COLORI CASTELLANI
COLORI ALLA VENETIANA
Ci conviene di nuovo accordare al
fornello: pigliarasse
Stagnio Ib.
30
Piombo Ib. 100 Molti mettano 33, altri 35. A questo non
vi si dà altra reghula che quella dell'esperienza, perché, come vi ho detto, sta
in colui che maneggia l'arte, e spesso la necisità sforza. Perché alle volte,
havendo un mastro messo nel fornello 100 libre di piombo, credendo haver stagnio
alla bastanza, pesato il stagnio, si trova solo 28 libre di stagnio, e per non
stare a cavare il piombo del fornello, accorda 28 e 100, e mancandogli 2 libre
in questo accordo, crescieranne dua onde al mulino, di stagnio, sul marzacotto;
come a dire: marzacotto lb. 12, stagnio lb. 10 e on. 2; ecovi le doi once che vi
si agiongano di più.
COLOR SENZA COPERTA Marzacotto
Feccia Ib. 20
Rena Ib.
40
Azurro
on. 8 Ramina on. 4 Gli è anco da sapere che in questa città
operano spesse volte la cénera di levante, la quale è perfetissima, anzi, dico,
troppo gagliarda, perché dove noi mettemo 30 di rena e 12 di feccia, essi
mettano 30 di rena e 9 e 8, e per infino a 7 di cénera. Cossì fanno anco agli
accordi dei coloretti, come a dire nel zalulino va 3 di feccia, e loro mettano
1, 1/2 e 1 di cenere. Molti usano, per fare il zalulino che sia in tutta
bellezza, metarvi alquanto di tutia allesandrina, che è molto ottima. Per la
Marca usano mettare nel zallo alquanto di bolo arminio, e fa assai bon
servitio. In quest'altra faccia si mostrerà la fornace ellevata fin alle volte, puoi il suo piancito con diversi usi. Eccovi adunque la pianta con le prese dei suoi archetti. Ecovi la fornace elevata persino a gli archi, là dove si fa il pianato per il quale si tiene diverse muodi.Molti gli mattoni, che vano da l'un arco e l'altro, cavano da tutt'e dua le bande, come il presente là dove passa la linia A: Quai ragiunti insiemi, lassano di aperto un foro perfetto, come qui, e questo si fa per gli saglimenti del fuoco. Altri sogliano far questi salimenti con lassare gli mattoni alquanto uno discosto da l'altro, e questo è più in usso, come in questa fornace qui pianata si può vedere: Ora mi resta mostrarvi la fornace intiera, poscia brevemente trattar dello infornare e de cuociare, e di compire gli coloretti. Ora eccovi la fornace intiera con le sue vedette, che sono quelle quatro fenestrine che si vegano sul muro a man destra andare in là, con i suoi scioratoi, che sono quelle 9 aperture che si vegano sopra la volta.
Qui non riman di fare altro che ragionare dello infornare. UOI che habiam fatta la fornace convi[e]nci ragionare del muodo dell'infornare, e questo passaremo brevemente. Farassi adunque, apresso il muro di dietro alla linia B, un filo o doi di mezzi crudi che siano ben sechi. Questo si alzi per infino alla posta della volta; più qua puoi, che sarà suopra l'arco, vi si facci un fil di case piene di lavori sutili, avertendo che, tra gli mezzi e le case, vi rimangano gli andamendi del fuoco; non si vadi tant'oltre con le case ch'ei si turino. Alzato il filo delle case, al pari de l'altro, Ieghesi con alchuni pezzi di coppi, o vogliam pianelle, pigliando la posta della volta da tutt'e dua i lati; i coppi o pianelle siano cotte. Fatto questo, tolgasi piatei duzinali grandi et acconciansi a quatro et a sei per volta, voltando i piedi a un de' lati della fornace e, cossì per ritto, se gliene ag[i]unghi tanto che si riempi per insino a l'altro lato. Più qua puoi, sopra le case, vi si può mettare un altro fil di case da saliere, o vogliam tazzine. Gli vachui che rimangano se riempano con schudelle et altri lavori. In questo l'arte a di bisognio dello ingegni e del giuditio. Tenendosi questo muodo empasi tutta la fornace. Gli è anco da sapere che li coloretti, ben pesti et asset[t]i come già si è detto, si mettano dentro alla fornace nei suoi piatti, su, viccino alla volta, per il primo tratto. Fatto questo, chiudasi l'uscio o vogliam dire bocca della fornace con pezzi di mattoni, lassando una bochetta un palmo lontan da la volta. Puoi habbiasi sciabione ben mollo e ben rimenato. Poscia, con mano, cuoprasi tutta la bocca murata, chiudendo tutti gli apperti, lassando solo quella bochetta che vi ho detto. Parimente chiudonsi le quatto vedette che son sul muro a man destra, delle quale si ragionerà al cuociar di fenito. Queste, dico, rachiudonsi con mattoni dandogli sopra detta malta, sì che non spirino. Cuoprasi puoi gli 9 scioratoi che si veggano su la volta; questo fassi con piatelli o vero pezzi di coppi, a ffine che il fuoco habbia alquanto di esito. Or non ci riman solo mettare sotto il marzacotto. Piglionsi quei vasi che si empierno di rena et di feccia, come in questo nel suo ragionamento. Questi, dico, si mettano sotto la fornace, appogiati al muro di dietro, e acconciansi un sopra l'altro. Fatto tutto questo, con il nome di Iddio, pigliasi un pugnio di paglia, con il segnio della croce accendasi il fuoco, il qual con legnie ben seche vengasi inalzando pian piano per insino alle 4 ore, e dipuoi creschasi; però con avertimento, perché, se bene non vi sono lavori ferriti, cresciendo troppo il fuoco, gli lavori si piegano e vengan frogni, e cossì non pigliano puoi il bianco. E tengasi il fuoco cossì che la fornace si vegga bianca, cioè tutta infocata; e quando ella harà hauto viccino a dodici ore di fuoco dorebbe, secondo la ragione, essar cotta. Gli è anco da sapere che, là viccino
alle sei ore, le bragie di tutte le legnie che vi si sonno arse si troveranno su
la bocca della fornace. Allora togliasi quel instrumento detto il cacciabragia, che è un asse largo un palmo e longo dui, forato in mezzo, posto in cima di una pertica. Con questo, dico, imbratato con malta, spengosi ananzi le bragie fin sul muro di dietro, slargandole bene per tutti i lati. Fatto cossì ragiungasi le legnie al fuoco, alzandolo como prima. Non si facci, perciò, sì gran cattassa di legnie che si turi tutta la bocca della fornace, ma tengasi quest'uso, che sempre rimangili un palmo di bocca vota. Cotta ch'ella sarà, tolgasegli il fuoco e, di là a un'ora, s'ella ti pare fredda assai, cavagli tutte le bragie di sotto; e questo fassi con un trainello di ferro della grandezza del cacciabragie, con il suo manico, o vogliam dir chiola, di ferro, lunga un braccio, cavigliato al sommo di una pertica, la quale se imbratti con malta per conservarla dal fuoco. Cavatone le bragie, quelle ramortonsi butandovi sopra un pochetto di aqua a guisa di coloro che adaquano gli orti; puoi manegionsi con una pala di ferro, acciò quel umido penetri per tutto. Questa chiamasi carbonella, la quale si adopera l'inverno accendendovi il fuoco; si tiene sotto il banchetto da dipingiare. Alchuno non mi imputi se io non ho fatta la coperta, perché si può operare della cruda per questa volta. Or ecovi di qua la vedetta, il cacciabragie, la furcina e il trainello.
La fornace di qua vi porò con il fuoco, con la sua murata dinanzi, acciò più facilmente se intenda il mio parlare. Fatto questo vi pianterò di più sorti mulini, accordaremo alla pila, ragionarasssi de pistar il marzacotto, feniremo gli colore e diremo brevemente alchune cose della maiolica di oro, del muodo del cogliare li colori macinati, alchuni remedii alli bianchi che si riscaldano.
Ora che vi ho mostro la fornace et il dar fuoco, mi resta ragionare de gli mulini, e prima dirò quello che si usa nel Stato dello ill.mo et Ecc.mo di Urbino, mio padrone, puoi ragionerassi del muodo di molte città. Gli è adunque da sapere che li mulini da li colori, dico per questo Stato, si fanno tutti a un muodo e quasi tutti di una pettina; vero è che la migliore di quante se ne possi operare è la focaia, e la corgniola, che qui non si ha, la più dura. Questa racogliesi per certe fiumane; poscia, di più pezzi, se ne forma un tondo in muodo ch'egli sia piano dalla parte di sopra e facciasi confrontar bene nelle comisure; il ch'è fatto con calcina, rena e gesso mescholato insiemi; fatta una fossa sotto terra un doi piedi, nella se incastri una tinella di legnio, o voglia[m] mezza botte, di quel giro che si vorà fare il molino; poi vi si murino le pietre con il detto calcistruzzo. Quel giro magiore è il letto del mulino, vo' dir le pietre comesse che cossì devesi murare nella tinella. Questo piccholo è il suo macinello; per il che, s'egli fosse di pezzi, circondasi di un cerchio di ferro come qui si vede: Poscia, allato alla tinella, mettasi doi legni squadrati, un rempetto a l’altro, tutti dua di una misura; e questi caccionsi un 4 piedi sotto il tereno, e siano di legniame duro, che non si fracidi; puoi, tra l’un legnio e l’altro, incastrasi un asse che pigli l’orlo della botte in nuodo ch’ei si possi levare e porre. Parimente, alla somità dè detti legni, che sarano un 2 piedi più alti della botte, fermavisi un altro asse incastrato come il primo, et siano forati nel mezo di rimpetto, come qui si vede: Nei quai fori mettasi un pal di ferro grosso quant'un'asta di picca, piegato a questa, guisa: Quel dritto del pal signiato A, vadi ne l'asse di sopra al suo A; l'altro dritto, corispondente a quello sigillato B, entri ne l'asse di sotto al suo segnio; l'altro dritto che avanza di sotto, signiato C, entri tre dita nel macinello, il qual sia forato ma non che passi, et il suo foro sia in muodo che il palo vi entri latin latino, come di qua si vede. Ora eccovi tutto il mulino con gli suoi instrumenti: Come si harà ragionato di alchune sorte di mulini, veremo al compimento de li colori. Gli è da sapere che molti di questi si fanno dove è comodità di aque corive; molti, dico, se ne fanno che si avolgano con un cavallo o somaio, altri si fanno che il macinante sta im piedi, come si vederà. Gli è anco d'avertire che quella tinella non sta cossì scoperta quando vi son dentro i colori, ma chiudesi con alchuni pezzi di asse, acciò le polvare non vi caschino dentro. Di questa sorte da l'asino, non è gran tempo che ne era uno in la patria mia, il quale si è puoi abandonato per la morte del padrone. Molti dicano ch'egli era un util mu[o]do e che li colori si macinavano ottimamente, che non è di poca importanza ne l'arte. Ecovi il mulin da l'aqua. Questo è molto
mirabile in questo esercitio, perche egli stilla i colori e, quanto sonno meglio
macinati, tanto son di più utile, di più sparagnio e vengano di più perfetione
al fuoco. Un quasi di questo andare ho veduto io in Fuligni, città di Roma, ma di più bello ingegnio, cosa degnia di consideratione, imperò che un solo rocchetto macina doi mulini che, chi la va ben considerando, il medesmo faria di 3 e di 4. E tutto questo fa quel asse di sopra, dove entra il pal del rochetto B e gli pali de gli mulini C e D; imperò che voltando, il rochetto tira l'asse a sé con quel torto che è nella sua gamba. Tirando, tira ambedua i pali e, rispengendosi puoi, fa dar la volta al macinello di tutt'a dua li mulini, come qui si vede:
Ora mi resta mostrarvi l'uso de gli mulini di Vinegia, che non è molto diferente dal nostro. Egli vi hano di più una rota di asse grave, fitta nel palo del macinello, e il macinante sta im piedi; altro non vi è. Questo anco intendo farvi vedere: Nisciuno non mi biasmi se io ho messo al mulino un huom vestito di una veste con maniche a comie, perché gli è da sapere che, sì come questa città è libera signiora e regina di se medesma, parimente liberi di ogni sorte di vestire possano andare tutti coloro che vi stano; per il che si agrandiscie la magnificenza della città e per ciò è lecito andar vestito con manice a comie, a bergamaschi, a sensali, a fachini et ad ogni sorte di generatione; e che questo sia vero si vede in fatti, ch'è magiore, per quanto mi è stato detto da un messer Francesco Bondumieri, il numero de gli forestieri che vano vestiti cossì che non è de li gentil huomeni citadini et artigiani di Vinegia; ma questo a noi non importa. Veniamo, puoi che habbiam ragionato de'
mulini, allo accordo de' colori. Cavasi il marzacotto di sotto alla fornace, che
si troverà nei suoi vasi fatto duro come una pietra; levasegli gli vasi di
attorno con una martella di ferro, netandolo ben dai cocci. Fatto questo, pestasi dentro la zocca, o vogliam mortaio grande di pietra, che sia cavato più di un palmo e mezzo, con un palo di ferro, o vogia[m] dir mazzo ferato, come qui si può vedere:
Pesto, cavasi della zocca o vogliam mortaio, con una schudella e mettasi nel crivello e stacciasi, rimetendo nel mortaio quelle parti più grosse, che avanzano nel crivello, a ripestare. Cossì si facci di tutti gli marzacotti. Questo sia il suo ordine per sempre. Ora, pesto e stacciato, se ne pesi 30 libre, puoi si metta in una mastella e con acqua si lavi e lassasi cossì alquanto riposare. Poscia gettasi quel aqua e metavesegli 12 (libre] di stagnio comune del primo accordo A, e cossì insiemi si mettano al mulino a macinare. Qui si trattarà di tutti gli bianchi accompagniandoli con le sue coperte. BIANCO COMUNE
Questa cuociasi come si dirà puoi et pestasi e macinasi come si è detto del bianco. BIANCO URBINATO
Questa si macina cossì.
BIANCO DALLE SCHUDELLE
Questo è un colore che si da a quelle schudelle da contadini, le quai non si dipingano né si copertano.
BIANCO DENTRO Marzacotto
Ib. 15 Stagnio
Ib. 4 Piombo
Ib. 2 Questo si da dentro a gli boccali, a
gli albarelli, et a tutto il lavor chupo. Io credo havervi condotto
tant'oltre ne l'arte, che tutte le volte che si ragionerà di marzacotto voi
intenderete ciò che è marzacotto: che è quello accordo fatto con la rena e
con la feccia. Et anco quando si dirà del stagnio, intendasi stagnio
accordato con piombo al fornello. Ora mi bisogna trattare di un'altra
pratica e convienni compire il bianco del duca di Ferara, dipuoi si
ragionerà di tutti gli altri colori. È da sapere che, per fare il detto
bianco, la rena da San Giovanni è la migliore, come si è detto al suo
ragionamento60 e quando non si può haver di quella, togliasi quella del lago
di Peroscia, lavandola bene. Marzacotto ferarese
A B C Stagnio
Ib. 6
1 7 Rena
Ib. 5
5 5 Sale
Ib. 3
9 9 Feccia Ib. 5 4 6 Fatta questa dosa, si mescholi bene
insiemi; dipuoi habbiasi gli vasi da mettarlo, ma habiano hauto prima la
terra bianca dentro, come si fa quando se invetriano, acciò ch'egli spiccia
dal bestugio. Puoi mettasi a cuociare come si fa l'altro marzacotto. Cotto
che gli è, conciasi dal bestugio et pestasi. Pesto, pesasi et ragiongasegli
tanto stagnio del suo accordo e tanta rena, como sarebbe a dire: il
marzacotto pesto pesa Ib. 24, agiognie Ib. 24 di stagnio e Ib. 24 di rena,
e per ogni 10 libre di questa quantità, giognie una di sale, che tutto
questo pesso sarà 72, che vole Ib. 7 di sale. Questo rimista insiemi e
recoce di nuovo e, volendolo macinar cossì senza ricuociarlo, levagli il
sale. Questo bianco si fa im più muodi, come qui vederassi:
Marzacotto ferarese.
Rena Ib. 20 Stagnio
Ib. 10 Sale
Ib. 6 Al mulino. Marzacotto
Ib. 10 Stagnio
Ib. 16 Rena
Ib. 10 Questo a me piacerIa solitamente
ricotto, come si è detto de l'atro, ragiungendovi alquanto di sale. Eccovene
di un'altra sorte: Accordo al fornello. S[t]agnio
lb. 30 Piombo
lb. 100 Marzacotto. Stagnio
lb. 10 Rena
lb. 12 Sale
lb. 6 Al mulino. Marzacotto
lb. 2,1/2 Stagnio
lb. 2,1/2 Rena
lb. 2,1/2 Interviene a questo bianco come a gli altri colori, perché chi giognie e chi sciema; cossì questa varietà fa tutto di che l'arte si reca a magior perfetione. Ma bene e spesso il farlo venir bianco nascie dal buon governo de chi l'à alle mani, e sopra tutto io lodo il cociare doi volte il suo accordo.
COLORI DELLA MARCA [Marzacotto]. Rena
lb. 4 12 Feccia
lb. 1 10 Sale
lb. 0 3 Al mulino. Marzacotto
lb. 2 10 Stagnio
lb. 1 10 Rena
lb. 0 12 Intendasi che prima si cuoca il
marzacotto, come si è fatto de gli altri. Io parlo cossì con pensiero che mi
debbiate intendare tutti gli marzacotti. Come si dice marzacotto al mulino,
se intende cotto, pessto, crivellato e lavato. Questo basti per sempre. La sua coperta. Rena
lb. 12 12 Agetta
lb. 10 7 Feccia
lb. 3 5 Sale
lb. 2 3 Altramente cruda. Marzacotto
Ib. 12 Agetta
Ib. 10 Il suo zallo. Piombo
on. 6 7 Antimonia
on. 4,1/2 5 Ferraccia
on. 3 3 Questo coci doi o tre volte, puoi
agiogni un'oncia di piombo e mezza di antimonia. Pesta ogni cosa insiemi e
recoci un'altra volta o doi. Il suo zalulino. Piombo
Ib. 4 1,1/2 Antimonia
Ib. 2 1 Feccia
Ib. 1/2 1/1 Bertino. Bianco al mulino Ib. 24
Zaffara Ib. 0
on. 3 II bianco al mulino se intende il
stagnio et il marzacotto acordato. Azurino senza stagnio. Feccia
Ib. 5 Rena
Ib. 5 Piombo
Ib. 2 Zaffara
Ib. 0 on. 1 Sale
lb. 0 on. 1 Di tutto se ne faccia marzacotto e cuociasi, puoi si pesti e macinasi, perche qui non va giunta di stagnio. Puoi che io vi ho datto gli colori
della Marca, intendo darvi quelli della Città di Castello, avertendovi che
in questi, sì come negli altri, la esperienza et il longo uso ve insegnierà
a ridurli a perfetion maggiore. Basta che questi son tutti sciguri e buoni;
chi voi di meglio vadi filosofando nel cresciare e nel sciemar dei pesi, che
mi dò a credare che Chorebo Atheniese, che ne fo inventore, facesse il
medesmo; avertendovi che, quasi di tutti gli colori che io v'insegnio, vi fo
di dua e di tre dose, come si vede nella sua divisione fatta per la linia
che discende tra l'uno e l'altro pesso. Non vi amirate se ad alchuni va la
rena, ad alenimi il sale, che, per dirla, son usi diversi, tutti nati dagli
pensamenti de gli huomeni; simil voglie nascierano a coloro che manegiarano
l'arte. COLORI CASTELLANI
Marzacotto
Ib. 9 Piombo
Ib. 3 La sua coperta. Marzacotto
Ib. 8 8 Piombo
Ib. 4 5,1/2 Questa è un'altra pratica, imperò
che a questo non vi si adopera stagnio, et è di bisognio, per far questi
colori, havere una sorte di terra che vien da Vicenza; né gli so trovar
altro nome che terra bianca o ver terra visentina. Questa si macina come si
fa il bianco. Macinata, s'invetriano gli lavori da crudo, puoi si cuocano
una volta, ma che non siano troppo cotti; habbino più tosto un poco del
crudo; puoi se invetriano con il detto bianco, ma diasi suttile. Il suo azurino. Bianco
Ib. 6 Zafferà
Ib. 1 La sua coperta. Piombo
Ib. 2 Rena
lb. 1
COLOR FULIGNATO Marzacotto. Rena
lb. 50 Feccia lb. 15 Al mulino. Marzacotto
Ib. 12 Piombo
Ib. 5 La sua coperta. Marzacotto
Ib. 12 Piombo
Ib. 7 Questo si da su la terra bianca come
il castellano.
BIANCO DA RAVENNA Rena
Ib. 10 Feccia
Ib. 10 Sale
Ib. 2 Al mulino. Marzacotto
Ib. 10 Stagnio
Ib. 10 Rena
Ib. 20 La sua coperta. Feccia
Ib. 10 Piombo
Ib. 10 Rena
Ib. 20
BIANCO DA SCHUDELLE TONDE Marzacotto
Ib. 13 Stagnio
lb. 15 Rena
lb. 17
BIANCO DENTRO Stagnio
lb. 12 Marzacotto
lb. 12 Rena
lb. 16
BIANCO DA PIATELLI Marzacotto
lb. 15 Stagnio
lb. 10 Rena
lb. 15 Piombo
lb. 5 Gli è da sapere como molti colori si machiano, come verbigratia il bianco comune. Molti sonno che sopra 10 libre di bianco, accordato al mulino, mettano mezza oncia di zaffara. Ve ne porò qui più ordini brevemente.
BIANCO TENTO Bianco
Ib. 10 20
Zaffara Ib. 0
on.1/2 on. 3 II medesmo. Bianco
Ib. 15
15 Zaffara
on. 3
5 Più chiaro. Bianco
Ib. 25
50 Zaffara
on. 2 2 Questo basta in quanto ai colori
tenti, avertendo che sopra questo si dipinge e copertasi come l'altro
bianco. Di qua vi poro diversi azurini. AZURRINO
Bianco
Ib. 15 15
20 Zaffara
Ib. 2,1/2
2 3 Azurrino senza stagnio.
Feccia
Ib.
5
4
Rena
Ib.
5
5
Piombo
Ib.
2
3
Zaffara
Ib.
1
1
Sale
Ib.
1
1 Azurrino con stagnio. Stagnio
Ib. 12 Marzacotto
Ib. 10 Rena
Ib. 8 Azurro
lb. 3 Avertiscasi che dapertutto, ove va
la feccia, i colori van cotti. Ora io intendo darvi alchuni neri, e dapuoi
gli sbianchegiati che si usano per la Lombardia.
NERO
Rame arso
1
0
Manganese
1
1 1, on.
3
Rena
6 12 12
Piombo
10 12
14
Zaffara nera
0
1 2,1/2 Molti gli cuocano, cosa che molto mi
piace. Ora, volendogli machiare, levasegli il rame, può' machionsi versandogli
sopra del bianco ferarese amisto con un poco di coperta, che verà ondegiante e
bello. Eccovi gli sbianchegiati; avertendo che si adopera la terra da Vicenza,
como si è detto dei colori castellani.
SBIANCHEGIATO
Rena
Ib. 5 Piombo
Ib. 10 Dipingasi su la terra bianca, cioè quando haranno hauto la terra da Vicenza, vo' dire con un stil di ferro di questa sorte: e questa pittura chiamasi sgraffio. COLORI DI VINEGIA Fanosi in Vinegia quelle diferenze che
si sogliano fare nei nostri paesi. Vero è che loro machiano gli cholori, e noi
gli lassamo cossì bianchi; solemo machiarli ancora noi, ma non tutti, et usamgli
senza coperta. Gli loro coloretti, com'a dire il zallo et il zalulino, tutti
sono quasi d'una sorte. Vero è che, in cambio di feccia, operano la cenere di
Levante. Ora eccovi lo accordo al fornello. Al fornello. Stagnio
Ib. 35 Piombo
Ib. 100 Marzacotto. Rena
Ib. 12 Feccia
Ib. 20 Sale
lb. 3 Al mulino. Rena
lb. 12 Marzacotto
lb. 10 Stagnio lb. 10 La sua coperta. Rena
Ib. 12 Piombo
Ib. 8 Feccia, o vói cenere
Ib. 7 Sale
Ib. 3 Bertino. Marzacotto lb. 25 Stagnio lb. 5 Zaffara on. 1,12 Color senza coperta. Marzacotto
lb. 30 Stagnio
lb. 25 Ecco che io vi ho posto di tutte le
sorti di colori che mi sonno pervenuti alle mani. o vogliam dir grotesca, che a buona ragione quelle foglie andariano di verde, lassansi bianche. Tironsi solamente gli contorni e cociansi di fenito como gli altri vasi, poscia, cotti, riempasi quei bianchi di maiolica la quale si fa cossì: Rosso da maiolica
A B Terra rossa
on. 3 6 Bolo armimo
on. 1 0 Perette di Spagnia
on. 2 3 Cinabrio on. 0 3 Con l'ultimo accordo B si mesti un carlino di argento calcinato. Macinansi tutte le cose insiemi, puoi mettasi in una pigniatta da un quatrino et empasi piena di acceto vermiglio, e facciasi per fin tanto che lo acceto si consumi; puoi di nuovo rimacinasi con acceto et dipingasi. Dipinta, infornasi. E questo è molto diverso da gli altri usi, imperò che tai lavori se infornano in bocca, vòlto l'un su l'altro, come qui si vede:
senza operarvi altamente case; con
questo, che sempre il primo si appoggi sopra una schudella bestugia, acciò il
fuoco habbia gli suoi andamenti. E cossì, l'un sopra l'altro, si venghi empendo
tuatta la fornace; la quale è tanto diversa dall'altre quanto è il muodo dello
infornare e del dipingiare. Questa ha solo doi archi ove le altre ne hano 4 e 5
e 6. Gli suoi archetti son posti in croce, cioè uno traversa dai lati, e l'altro
si diporta alle dua facci: alla prima et a l'ultima. Ella ha solo quatro
saglimenti da fuoco, un per cantone. Sopra gli suoi archi si forma, a guisa di
un anfiteatro, un vaso di tutto giro; e questo fassi di sciabione, e sia di tal
grandezza che il suo corpo tocchi, anzi si appoggi, a tutt'a quatro le faccie
della fornace, lassando le saglite del fuoco libere senza impedimento alchuno.
Sia dapertutto forato il vaso, sì che passi da l’una banda a l'altra, acciò il
fuoco che si va dilatando per lo attorno del vaso, entri tutto quel calor più
sutile lambicandosi per detti bugi. Questa ha solo una boccha, e per questa si
da 'l fuoco. Ella se inforna di sopra como si fanno gli matoni. Il dar del fuoco
e vario da l'altro muodo, sì come ella è varia in tutte le sue parti da l'uso de
far vasi. Ma, prima che io raggioni di questo, intendo mostrarvi la sua fornace. Eccovi la pianta.
Molti sono che le fanno senza fondamenti; anzi, dico, le soglian fare nei palchi delle case, serate sotto bona custode, perché hano, per secreto importante, il muodo di fare la fornace; e dicano che tutta quest'arte consiste in questo, e io, per bene e merito di coloro che mi han dato questo secreto, vo' cercare, meglio che saprò, mostrarvi tutto quello che io ne sento senza adullarvi.
Ecco che vi ho posto la fornace ellevata per insino a gli archi. Mi resta mostracela con il suo vaso, il quale è questo che quivi si vede:
D'intorno al quale si deve considerare che, nei quatro capi de l'angulo, formandovi il giro perfetto, vi rimangano quatro t[r]ianguli, li quai vano apperti: e questi sonno gli salimenti del fuoco. Ma perché m'intendiate bene, io vi porò in dissegnio il mio ragionamento.Vedete adunque il presente quadro, che è
appunto il quadro della fornace; vedetevi i' giro perfetto del vaso che vi va
dentro: ecco che, in fra il muro et il tondo, vi rimangano quatro triangoli che
vengano a essare i quatro salimenti del fuoco del quale vi ho di già ragionato.
Io prosupongo oramai essare inteso. Né perciò mi voglio restare che io non
vi mostri, in disegnio, il muodo dello infornare e la fornace con il fuoco. Puoi
trattaremo del suo cuociare, de' mu[o]do del cogniosciare i lavori cotti, et il
suo burnimento. So che vi de' racordare che già vi ho detto che se infornano, gli lavori di maiolica, su le schudelle tonde bestugie. Et ora, qui, mi è parso formarvi la mettà del vaso con un giro di schudelle in fondo, acciò meglio, con l'ochio, si capischi il mio parlare.
Questo è il muodo che si deve tenere
nello infornare, senpre voltando gli lavori un sopra l'altro. Gli è da sapere
che queste [fornaci] si fanno piccole, como sarebbe a dire 3 piedi per ogni
verso o ver 4; e questo aviene perche gli è arte fallace che, spesse volte, di
100 pezzi di lavori, a ffatiga ve ne sono 6 buoni. Vero è che l'arte in sé è
bella et ingegniosa, e quando gli lavori son buoni paiano di oro. Solo di 3 sorte colori si fanno in
questa, cioè: oro, argento e rosso. Chi vi vole altro colore pongavegli prima,
alla seconda cocitura, lassando sempre i campi per la maiolica. Puoi che vi ho condotto sin qui, gli è da sapere che, infornato che si è, con il nome sempre di Iddio benedetto, se gli accende il fuoco, e questo acresciesi a poco a poco como si fa a gli altri vasi.
Le sue legnie siano palli, o vogliam
rame di salci, ben seche e sciutte. Con queste si facci 3 ore di fuoco; il che
fatto, che già la fornace comincierà a mostrare un non so che del chiaro, allora
habbiansi ginestre o vogliam spartio, como reccita Dioscoride, ben seche e
stagionate, e, lassato le salice, facciasegli un'ora di fuoco di queste. Fatto ciò, con un paio di moglietti, levesi un saggio di sopra via. Altri sogliano lassare una vedetta da un de' lati, e per quella cavano un saggio, o vogliam dire un pezzo di vaso, et s'ella gli pare cotta a bastanza, alentano il fuoco, quando che no atendano col fuoco per fino al suo compimento. Fatto questo, lassasi fredare subbito. Fredda, cavonsi gli lavori e mettonsi a mollo in una mastella di rano di bucata o vogliam dir lessia. Puoi, con una pezza, di lana, sfregonsi a un per uno. Fatto questo, con un'altra pezza asciutta e con cenere se gli daghi un'altra sfregata, che cossì vi scuopriranno tutta la loro bellezza. Questo è quanto a me pare che si possi dire d'intorno alla maiolica e, parimente, a gli altri colori et accordi che si ricercano. D'intorno a quest'arte, per tanto, intendo far fine a questo mio secondo libro. Nel terzo et ultimo, sotto quanta brevità sarà possibile, si trattarà tutto il rimanente de l'arte. Io cerco, pure in questo estremo della mia gioventù, liberarmi dai lacci d'amore, e faccio como fa l'uccello che ha dato dei piedi nelle panie, il qual credendo liberarsi, ve si avolge con l'ale e con le piume. Ecco che per fugir l'otio, padre di amore, ho già messo insiemi i dua primi libri de l'arte del vasaio. Accostandomi alquanto alla solitudine, et èmi intervenuto quello che intervien bene e spesso a coloro che son feriti, imperò che, esendo stati molti mesi alle mani del valente cerusico, parendogli esar liberi, lo licentiano e, risanata la piaga, senza fenir di churarsi, im poco tempo si fa magiore. Questo, dico, è intervenuto a me, perché, quanto più ho cercato levarmi da gli pensieri amorosi con accordare un piombo et un stagnio, ne l'animo bene e spesso le membra proportionate della mia bella amata andava accordando; né collore sapeva io trovare, per lustro, per fiamegiante ch'egli si sia, che alle sue belle chiome di oro asomigliare si possi; né vi è negro che alle belle ciglia di lei non resti inferiore. Gli occhi suoi, divini, con quel di allegro e di grato ch'entro vi si vede, mescholato con una certa venerabile maestà, non ha di mestier somigliarsi ad altro che ai sentilati raggi del sole. Quando io venia allo accordo del duca di Ferara, che somiglia l'argento, appresso alle morbide braccia et alla delicata mano di lei, parevami questo, negro, ruvido e rozzo. Io non so trovare, insoma, arte, ne di diligente orefice, né di perito zoelieri che, gionta al somo di ogni eccelenza et di ogni pregio, ne l'animo recar mi possi quel contento che fa il suo dolcissimo e mansueto riso; lasso stare il santissimo pudore, la gravità dello andare. Quivi ciaschun potrà vedere che in van Plinio, con la oppenion dei magi, scrive la lucerta morta ne l'urina humana restringiare amore, e simile effetto fare il sterco delle columbe con oleo beuto. Se io tutto il fonte di cupidine bevessi, il qual fa, secondo scrive Mitiano, deponar amore, per riscontro surbendo un sorso di luce stilante da gli occhi della mia bella donna per la strada del core, più di potere harìa in me questo poco che quel molto. Or vedete ove mi va la mente e quant'ella sia fatta lontana dal primo intento! Guai a colui che in gentil donna sa cogniosciare non pure tutte quelle parti che io vi ho detto, ma solo una certa humanità, vera calamità de' virtuosi. Rimovasi in questo il neffando rimedio della bella Faustina, rimovasi le potion' d'Avicenna per ristringiare il sangue corotto, sprezonsi le incantationi di Alfesibeo et di Didone, perche, in vero, ogni cosa è nulla. Amore fa che l'huom non ubediscie a chi prudentemente il consiglia: egli ti nutriscie sempre in speranze et im piacer' dispiacevoli, et datti il van dissiderio per guida e per duce. E tra tutto questo io non so cogniosciare il più bel stato di quel d'amore. Cossì, Dio mi presti gratia che, vòlto l'amor mio ver' la sua bontà, possi haver tanto di tempo in questa vita che io conoschi me medesmo; perché allora, conosciendo gli vitii miei, riconoscierò l'unigenito suo figliuolo per mio Redentore; al qual sia gloria ne' seculi de' seculi.
Libro terzo
RA
tutte le cose che si ricercano in quest'arte, il tenere i colori netti et havere
buon ochio al fuoco mi pare che sia di gran consideratione. In questo nostro
terzo et ultimo libro, adunque, tratteremo l'ordine che si deve tenere in
cociare e macinare tutti li colori. Gli è da sapere che il bianchetto va
cotto una sol volta; e quello ch'egli non viene al primo fuoco, malamente viene
al secondo né al terzo. Questo molti lo lavano in questa guisa: subbito che
hanno cavato il bianchetto della fornace lo votano in un cattin di legnio, che
si tiene apposta, ben netto e pulito; fatto questo si amezza di aqua. Habbiasi
puoi un pestel di legnio, o vogliam una pietra tonda che sia ben dura. Lavato
ben prima il detto bianchetto con l'aqua, poscia lassatolo riposare, gettasi via
que[l]l'aqua. Puoi con la pietra, o vogliam pestello, fregasi bene per quel
cattino; il che fatto diligentemente, ragiungavesegli de l'aqua; poscia si coli
per il suo staccio, perché a tutti gli coloretti si tiene un stacciuolo da per
sé per non machiare l'un con l'altro. Molti sono che lo macinano sui porfidi de
gli pittori a muro, che vien meglio assai et è di più sparagnio. Molti lo
macinano nella piletta, la quale vol essare di pietra ben dura, di grandezza di
un crivello, et habbia più di quatro dita di concavo. Qui dentro si macinano tutti li coloretti, e questo si fa con un'altra pietra della par durezza, larga un palmo, grossa più di quatro dita, come si vede qui in mezzo a questo mio dissegnio:
Qui dentro, adunque, si mettano gli colori, ai quai, fermato il macinello sopra, avolgasi attorno con ambedua le mani, calcando, e facciasi cossì tanto che 'l collore venghi morbido a guisa di unguento. Poscia vi si versi sopra un boccale di aqua chiara, dapuoi, con una schudella invetriata, colgasi quelle parti più sutili che fan torbida l'aqua. Questo farassi cavandone que[l]l'aqua che vi si mese chiara, salvandola nel suo boccale, sopra il quale sia il suo staccio. E quello che non si può far con la schudella facciasi con una spongia, rimacinando sempre quelle parti che rimarano dentro alla piletta.
Puoi di nuovo colgasi fin tanto che si feniscie di macinare tutto. Quest'ordine si serva per tutti li coloretti. Ora io vi dirò delle loro cociture. Il
verde accor[d]ato si cuoce doi o tre volte; il zallo, cotto che si è una volta o
doi nel piatello, cavasi e mettasi in un mezzo, e quello si cuopra con terra.
Doppuo' se gli facci un foro per mezzo la bocca in detta terra e mettasi a
recuociare di nuovo in luoco ch'egli habbia del fuoco la sua bastanza, imperò
che, quanto più fuoco ha, tanto è meglio. Il simile facciasi del zallulino; ma
se per caso havenisse che alla prima cocitura alchuno di detti colori colasse,
che spesse volte il fano, e cossì non sariano buoni, pistasi tutto il color
colato e pesasi, poi ragiungasi seco altratanto del suo accordo e mettasi a
ricuociare como prima, tenendo sempre un ordine per regula ferma. E cossì vi
averà a bbene di tutti li collori.
DEL BIANCO
Dipuoi, con una schudella grande di
Iegnio, larga un palmo, cavasi que[l]I'aqua del mulino cossì torbida versandola
nella staccia sopra la mastella, lassandone tanto nel mulino che basti per
macinare; e cossì si facci del rimanente. E quando ti para che il detto colore
sia macinato tutto, versa il mastel con tutto quel che già colasti, nel mulini.
Quivi da' duo volte, puoi lo cava tutto e, quel che non si può fare con la
scudella, facciasi con la spongia, qual si deve tenere per questo uso. Questo
muodo di macinare devesi tenere per tutti gli colori che vanno al mulino: tanto
la coperta commo gli altri.
MUODO DA INVETRIARE Poscia pigliasi un schudelino bestugiuo, spazzato, et affondasi nel detto bianco, cavandolo subbito. Puoi con un ferro si scuopra fin sul bestugio e, se il bianco vi par grosso quanto il taglio de un de quei cuori da far guanti, allora egli starà bene; esendo più grosso, mettavesi de l'aqua e, s'egli fia più chiaro, lassasi possare e puoi cavasi de l'aqua; o vero se invetria alchuni lavori da duzena di poco prezzo, fin tanto che, facendo il. saggio con il ferro, como già si è detto, si vegghi che il bianco sia grosso il suo dovere. Allora piglionsi lavor' sutili, tenendo sempre manegiato il colore con mano, et si attuffano ivi. Gli è anco d'avertire che ci sonno di molti lavori che, per essar posti ne l'infornar viccino alle bocchette per dove saglie il fuoco, son frogni. Questi non se invetriano, perché da quella banda non pigliariano il colore. Gli è anco da sapere che molti lavori si attuffano nel collore e molti si invetriano con la schudella. Tutti gli lavori suttili si affondano nel bianco, e parte di duzinali, como a dire tazze, schudelle alla foggia e scudelini. Tutti gli altri puoi se invetriano con la schudella, avertendo che quegli che si bagniano nel collore si cavan subbito; poscia stratonsi su per una tavola come meglio piacerà a colui che gli piglia. Qui è da sapere che tutti gli lavori sutili s'invetriano con tutt'a dua le mani; non che si pigliano con tutta la mano, ma con le somità de l'indice e del medio, ponendo l'una man de rimpetto e l'altra, como qui si vede:Puoi, dal lato A, si attuffano e dal
lato B si cavano, tenendogli vólti per ritto acciò si scholino. Poscia, con la man ritta nella quale habbiasi la schudella, vi si versi sopra il colore, tenendo senpre la man del boccale svolta ver sé. Puoi, nel versarvi sopra il bianco, si volghi dua volte attorno, che cossì se invetriarà da per tutto. Gii bronzi antichi, e certi albarelli
sutili, si affondano nel bianco facendogli pigliare il color dentro e di fuori.
Tutte le sorti de gli piatellami s'invetriano con la schudella, tetendo un poco
alquanto a la man china da un de' lati del piatello e svolta ver’ sé, et,
versandovi sopra il collore, si svolghi per il contrario di quel ch'ella si
tenea; il che fatto, fermasi la schudella nel mastello, e con l'indice, fregasi
per attorno l'orlo levandone il collore, perché, lassandovello, si attacarebbe
nello infornare. Ora mi riman dirvi como se invetriano
gli lavori chupi dentro. E da sapere che il collore che si da dentro al lavor
chupo, como a dir boccali e mezzi, si tiene in un bigoncio; del qual sciemato
l'aqua alla bastanza, habbiasi un mezzo longo, tondo da bocca, e questo,
attufandolo nel collore, empasi per sino al mezo. Gli è d'avertire che, in invetriandosi, sempre il collore se ingrossa; perché essendo egli più grave de l'aqua, l'aqua viene a essare surbita più del bianco. Vengasi, de in mano in mano, facendone il saggio con un stil di ferro, como già si è detto; e che il collor se ingrossi, mettavesi alquanto di aqua, tenendo sempre questo ordine. MUODO DI DIPINGIARE
MUODO DI FAR PENELLI È da sapere che gli penelli si fanno di dua sorte di pelo: cioè di pelo di capra e pel di asino. De l'asino si toglie il pel dei crini e non di altrove; della capra si toglie di quello che ha per il collo et in certi luoghi, per le coste e per gli fianchi, tutto ch'egli sia lustro, dritto e morbido e che non habbia del fievole. Questo cogniosciesi quando, bagniate ne l'aqua e poscia piegato cossì con un dito, s'egli riman piegato ei non è buono, ma s'egli torna dritto nel suo stato, questo è del buono. Molti sonno che per fare gli penelli sutili, da dipingiare gli istoriati, sogliano mescholarvi alchuni peli o vogliam dir mostachi di sorci, cioè quegli che se gli trovano d'intorno al muso. Fatto questo legonsi sopra un'asta di legnio, o vogliam dire scuota di penello, con un filo di acce incerato; e facciasi sì che la ligatura venghi colta nello avolgimento delle accie. Molti sono che cuoprano questa ligatura con cera perché la diflende da l'aqua. Tagliasi puoi nella somità, lassandoli grossi e sutili come pare a chi gli deve operare. Ora questo è quanto a me pare che si possa dire de gli penelli.
MUODO DI DIPINGIARE II dipingiare de' vasi è
differente dal dipingiare a muro, perché gli dipintori a muro, la magior parte,
stano im piedi, e questi, tutti stanno a sedere. Né altamente si potria
dipingiare, come si vedrà nel suo dissegnio, et il lavor che si dipinge si tien
su gli ginochi con un[a] man sotto. Intendo del lavor piano, perché il lavor
chupo vi si tiene la man dentro, dico la man manca. Il lavor sutile si tiene in
certe cattini di legnio, un dito maggiori de gli piatti. De gli lavori chupi si
tengano con il piede sul ginochio manco. Sotto a gli lavori suttili, cioè tra il
cattino et il lavoro, vi si metta della stoppa affineche, volgendolo per
dipingiare, il lavor non vi balli dentro, et non si sgratti, imperò che il
bianco è tenaro. Si deve anco avertire che nel mettare gli penelli di una schudella in l'altra, molti sono che non lo comportano, como a dire il bianchetto, nel quale non si metta alchun penello; solo quegli che vi si sono statuiti da prima, e volendovene pur mettare alchuno, lavinsi benissimo, perché altramente il collore si machiarebbe. Il simile facciasi de gli altri; escetto il verde, nel qual si può mettare il penello dal zalulino, ma non già il penel dal verde nel zalulino, perché ci si farebbe tutto verde; ma il zalulino, melandolo nel verde, gli fa tanto servitio che, s'egli è di mala natura, rimedia alla sua malignità. Gli aviene anco che molti verdi menano il collore troppo denso; accascando questo, mettavesegli alquanto di bianco comune, intendasi nella ramina, non nel verde accordato, che questo non ha bisognio di aiuto. Un altro a veramente mi sovien dirvi; il quale è questo che, spesse volte, dipingendo,
[Sotto la finestra di destra
sono leggibili i versi:]
Tu, gra[n] leone, il chui
vallor si estende / sì dove nascie e dove more il giorno; / tu, in chui dico, la
pace oggi dipende, / ras[s]erena, che puoi, la notte e ‘l giorno. / Tu, con la
santa man, guarda e diffende / l’afflita Italia d’ogni danno e scorno. / E non
patir che l’empio, brutto mostro, / daneggi lei et il paese nostro. ne gli lavori si scuoprano certi
calcinegli i quali, si si lassas[s]arno cossì, guastarebono gli piatti perché il
bianco in quel luogo non vi si attiene. Questi levonsi con la punta di un
cortello daendovi sopra de' bianco medesmo. E se per sorte, nel cavarlo,
il lavor si passase dall'altra banda, e fosse lavoro d'importanza, facciavisi un
tassello di un pezzo di piatto bestugio, che sia grosso al par di quello, e
mettavesegli sì che non caschi dalla banda di sotto; puoi si ricuopra con il suo
bianco da tutt'a dua i lati et dipingasi, che non si cognioscierà. Questo è
quanto si può dire d'intorno al dipingiare. Mi resta mostrarvi le miste, con le
quai si fanno gli istoriati, e come le si pongano ai suoi luochi, acciò l'arte
non manchi di perfetione. Pensò, costui, dico per tirare le figure
e schizare le istorie nei vasi e per far tutto ciò che si fa di chiaro e schuro,
accompagniare il zallo con alquanto di zaffara nera, como a dire:
A B Zallo
on. 2
2 Zaffara
on. 1/2
1 ,1/2 Questo primo accordo si chiama mista
chiara, che è lo accordo A. Il secondo, di llà dalla linia, per lo
acrescimento della zaffara, chiamasi mista schura. Con la prima si abbozza et
ombra, con la seconda si ricaccia e refeniscie. E non havendo zaffara nera,
tolgasi tanto della bona e tanto manganese, che farà il medesmo, inastando con
il zallo. Per figiar un albore, le carni morte, gli sassi e certe strade
alluminate facciasi questa: Zallulino
on. 2
2 Bianchetto
on. 4 3 Per fìngiate gli legniami e certe strade
rossigiante e campire i sassi facciasi questa: ZalIo
on. 1 2 Bianchetto
on. 2
3 Per figiare il ciclo, il mare, gli ferri
et altre cose facciasi cossì: Zaffara
on. 1
1 Bianchetto
on. 3 2 Per fingiare gli tereni arati, le vie, le anticaglie e le pietre faciasi cossì: Mista chiara on. 1 Bianchetto
on. 2 Per fare i pradi verdegianti, certi
albarini precossi dal sole: Zallulino
on. 1 Ramina
on. 2 Per fìngiare gli capegli faciasi: Zallulino
on. 2 Zallo
on. 1 Ecovi tutte le miste che si fanno in
quest'arte; io ve ne ho fatto di tutte le dose: quello che non si usa, perché
gli dipintori variano secondo il bisognio, e imperciò si fanno a caso. A me è
parso darvene una regula ferma; facciansi chiare e schure come più piace al
dipintore. Quest'arte non ha, per ancora, collore che venghi rosso, et io
ardisco a dire di riaverlo veduto in la bottiga di Vergiliotto in Faenza, bello
quanto un cinabro; ma gli è fallace, e questo si fa cossì: macinasi il bolo
arminio con acceto vermiglio e puoi dipingasi sopra il zallulino che, se egli si
abbatte a venire che'l fuoco non lo consumi, vederete un rosso in tutta
perfetione, e lodarci che per questo si facesarno le case intiere. Questo basti
in quanto al dipingiare; mi convien dirvi come se invetria il bianco ferarese.
COME SI INVETRIA IL BIANCO FERARESE
MUODO DI FARE GLI PIGNIATTI Collor da pigniatti.
Piombo Ib.
3 21
20
Rena
Ib. 2
7
8
Ferraccia
on. 1/2 Ib.
1 1 Questo macinasi al mulino, cossì crudo,
e puoi se invetria et infornasi. Di questo ve ne ho posto tre accordi; pigliate
qual volete, che tutti son buoni.
Qui avertiscasi che, alle volte, sonno
certi bianchi che si stacano dal bestugio nel copertarli. Quando questo
intervenga non si mollano nel mastello, ma habbiasi una de quelle schopette da
panni, e questa bagniasi nella coperta; puoi si spruzzi su gli lavori como fanno
colloro che cimano gli panni, e facciasi tanto cossì che gli lavori dapertutto
si cuoprano. Altro rimedio per ancora non so che si sia trovato. Fatto questo,
se ne facci le bracciate, a cinque a cinque, e fermonsi su per le sue tavole,
avertendovi che, se bene io ho ragionato del mu[o]do del dare il bianco dentro
ai lavori chupi, intendasi che prima siano copertati e puoi datogli il bianco
dentro. Veniamo al mu[o]do dello infornare.
MUODO DE INFORNARE Prima spazasi benissimo la fornace,
cavando disotto le cénare che vi restorno alla prima cotta, nettandola da cocci
et altre broture; dopuoi habbiasi luto fatto di questa sorte. Pigliasi sciabione
e questo si molli benissimo, puoi vi si metta dentro alquanto di cenere, sterco
di asino, scaglia di ferro o vogliam dire di quella polvere che sta su per i
ceppi delle anchugine; queste, mistate bene insiemi, mettasi in una bassola o
vogliam dir conca; dipuoi portasi sotto la fornace, e con mano, cossì
grossamente, si stenda su per gli archetti, in muodo ch'ella vi resta alta un
dito; puoi escasi dissotto e, col nome di Cristo Jesù, si cominci a infornare.
Et facciasi il primo filo, come già si è detto, di lavor crudo e puoi, apresso,
quello che sarà de rimpetto alla vedetta, prima al venire in qua, un filo di
mezzi feniti, avertendo voltare le mezze in muodo che si possi vedetare. Fatto
questo, cominciasi a mettare le case da gli lavori sutili, avertendo sempre di
spianarle bene e menare il fil ritto in muodo che non s'impedischi le saglite
del fuoco e che gli vasi feniti non si tocchino l'un l'altro, perché verebono
attachati. Sapiasi che tutti gli lavori chupi si
sgrattino da boccha perché vanno infornati l'un sopra l'altro, e cossì si
venghi infornando come nel cociare di crudo, accomodando sempre alle bocchette
lavor fenito, da potere vedetare. E sapiasi che ogni piatto voi la sua casa,
escetto le ciotolette e le schudelle alla venetiana, che ne va 3 e 4 per casa;
avertendo che tutti gli lavori se infornano im boccha, eccetto il bianco
ferarese, che se inforna im piedi. A Vinegia, e quasi per tutta la Lombardia,
infornano im piedi, ma a Castello e per la Marca di Anchona, im boccha, sui
pironi. So che vi de' racordar che vi ho detto che gli lavori non vogliano
toccare in luogo alchuno; or mi tereste per sciocho se non vi mostrassi che non
se inforna però in aria. e accomodansi puoi nella fornace l’una sopra l'altra, lutto che il bestugio non tocchi il fenito. Questo è l'ordine di tutti gli lavori strali. Le confetiere, coppelle, tazzine e schudelle alla venetiana se infornano su gli tagli, perché hano l'orlo curvo, et imperò la sumità de l'orlo si viene a fermar sul taglio e non fa appiciatura, come qui vedrassi:
Le tazzine, come vi ho detto, ne vanno 3 e 4 per casa, imperò che Ile case dove si mettano, lo comportano, per essare alte como la presente che qui si vede. E queste servano per infornare li bronzi antichi.
Infornando le tazzine o vogliam schudelle, in queste metonvisi li suo' tagli per quei bugi che vi si vegano, facendo sempre uscir le maniche per quella fessura, acconciandole talmente che non tocchino da verun de' lati. Accomodansi, ne l'infornare una sopra l'altra, che venghi alto il loro sopraponimento fino alla posta della volta, ten[en]do sempre il fil ritto como qui:
Questo è il mu[o]do dello infornare che si tiene dapertutto; la differenza è dello infornare im boccha e im piedi. Ora non mi rimali far altro che
racodarvi lo infornare im muodo che il fuoco habbia comodità de intrare per
tutto; non accostando tanto i fili l'un su l'altro che il fuoco non vi giochi,
perché ove verebbe cotta, ove no; e siavi a mente le vedette lassarle im muodo
che l'ochio possi capire da un lato a l'altro della fornace, che questo è il
bello infornare. Sopra le schiace si mettano i piatellami, sotto ai quai vanno
le schudelle da mezzo orello, e sotto alle schudelle vano gli schudelini, pure
che non si toccano nel concavo, perché l'orlo non importa che va sgratato,
rempendo i vóti, di mano in mano, di lavor crudo. E qua, più che al mezzo della fornace, facciasi un arco di schudelle tonde e tazze duzinalì, chi le ha, venendo alzando l'arco como qui si vede: Fatto questo et impita la forna[c]e per
fin su la bocca, habbiasi, all'ordine, la coperta messa nei boccali; di questa
se ne facci doi fili su l'archetto della bocca, dinanzi alla murata, e
rimetavesegli li coloretti, e sempre sul piancito, sul muro, alli cantoni, si
accomodi il lavor crudo, e cossì nei vóti, che si harà sempre il bestugio per
l'altra cotta. Poscia chiudasi e si daghi la malta alla murata, cuopronsi le
bocchette di sopra coi piatelli, raseronsi le vedette, e spazzasi da bocca
ligiermente. MUODO DI COCIARE DI FENITO Fatto tutto questo, porgonsi preghi a
Dio con tutto il core, ringratiandolo sempre di tutto ciò ch'egli ci dà.
Pigliasi del fuoco, havertendo però al far della luna, perché questo è di
grandissima importanza, et ho inteso da quegli che son vechi ne l'arte e di
qualche esperienza che, cogliendosi havere il fuoco sul combusto della luna,
manca la chiareza del fuoco in quel modo che manca il splendore a essa. Nel fare imperò habiasegli avertenza,
massime facendo ne' segni aquatici, che sarebbe molto periculoso: il che lassasi
passare, racordandosi far sempre tutte le cose col nome di Jesù Cristo. Acceso
il fuoco, hoperando sopra tutto le Iegnie seche e di legniamo dolce, acciò non
menino le fiame aspere, e questo si vadi cresciendo appoco appoco como si fece
all’a[l]tra cotta; avertendo di non lassare andare le legnie dentro alla
fornace, perché il fumo facilmente vi potria far dano. Puoi cacciasi la bragia a li suoi tempi, stendenla como si è ragionato, e quando gii harete dato viccino a 11 ore di fuoco, aprasi una delle vedette e guardasi como ella è chiara; e s'ella vi par chiara, smaltate tutte le vedette e guardate ch'elle siano di par chiarezza, e se l'ultima, allo andare in là, non vi paresse chiara como le altre, abassasi il fuoco dinanzi e facciasi che le fiame entrino bene, sì ch'elle arivino alla parte men chiara; e s'elle non vi si ponno far andar cossì, aprasegli tutt'a tre le bochette della volta di sopra, che vedrete che il fuoco, sentendo l'esito, se ne andarà a quella volta. Fatto cossì, come ella vi para ugualmente chiara, lassate dar giù il fuoco; poscia adunatevi e guardate sotto la fornace se quella malta che già desti su gli archetti è colata. Vo' dire ch'ella habbia fatto certe colature longhe come dita, pendenti a guisa delle aque giacciate che vediamo il verno pendar da' tetti; e che la murata dinanzi si sia spicciata a ttorno a torno, e le bocchette di sopra siano fiorite di una certa cenere bianca. Questi sonno gli segni che la fornace è cotta, ma non ve ne state però a questo. Lassate dar giù alquanto il fuoco, puoi pigliate la vedetta, che è uno instrumento di ferro grosso quanto il dito aurichulare, lungo duo pas[s]i, in cima del quale vi è uria chiola alquanto magior del ferro, entro la quale vi si mettano certi pezzi di legni di salce ben secchi, fatti apposta, detti gli stechi, o vero altro legniame dolce. Et apperte le vedette, cacciavisi dentro questo ferro con il legnio nella somità, nel quale subbito si accenderà il fuoco, e cossì potrete vedere gli vostri lavori come se gli havesti in mano. Cossì farete a tutt'a quatro le vedette e, se vi paresse che di dietro la non fosse ben chiara come ne gli altri luoghi, pigliate un fastel di pali o vero altro Iegniame dolce che sia ben secho, e facetene pezzetti longhi doi palmi e larghi doi dita et andate gettandoli a quella banda della fornace per di sotto via, dove la non vi par chiara, fin a tanto ch'ella si rischiari. Qui voglio darvi un altro avertimento, che mai non si facci tanto gran fuoco che non resti un palmo di boccha apperta; e quando la vi parà ben chiara e lustrante, alentasi il fuoco et aramortonsi le bragie ai suo' tempi, como già si è detto, racordandovi che sempre si cuoce del marzacotto et altri collori per poter lavorar per l'altra cotta. Qui non mi resta di far altro che mostrarvi diverse pitture che si fano nei vassi in diversi luoghi, e questo cercherò fare con ogni brevità. Ora eccovi, in questa prima faccia, di dua sorte pitture: cioè troffei e rabesche; nel lato medesmo, di dietro, un troffeo in altra guisa; per il suo scontro, nella faccia 67, una cerquata et una grotescha; al lato medesmo, dua sorte di fogliami; per scontro, alla faccia 68, frutti e fiori; a l'altro lato, foglia duzinale; alla faccia 69, a paesi; al lato medesmo, porcellane tirate; per scontro, alla faccia 70, soprabianchi e quartiere; al suo lato, groppi di dua ragioni; per scontro, alla faccia 71, a candelieri.
IL FINE
Appendice prima TROFEI RABESCHE
Queste sono in uso dapertutto; vero è che gli trofei si fanno più per il Stato di Urbino che in altro luogo, e pagonsi di fattura ai pittore un scudo il cento. Le rabesche più si usano a Vinegia et a Genova che in altro luogo e pagonsi di fattura al pittore un fiorino il cento; a Vinegia quatro lire, che batte di prezzo. TROFFEI
Il medesmo. [Nell’album musicale si
legge una strofa d’amore:] Armati cor
mio, / armati cor mio, / farai la piaga mia [E sul cartiglio i versi:]
Venite, o voi, che di ettà colmi e d’anni / prendete ormai viaggio a l’altra
vita, / se discaciar bramati oltraggi e danni, / empiendo il cor di gioia alta e
infinita, / ritagliendo il passato et in poch’anni / tornar ne l’età vostra più
fiorita, / venite a visitar meco il Turnone, / di Dio diletto amico e di
ragione.
CERQUATE GROTESCHE
Queste sono molto in
uso a noi per la veneratione et obligo che tenemo alla rovere, all'ombra della
quale vivremo lietamente; a tal che si può dir che gli è pittura a l'urbinata.
Queste si pagano X. carlini il cento senza fondo et un scudo con il fondo. Le grotesche si son quasi dismesse, e non so perchè; gli è una delicata pittura, l'uso della quale io non so di dove si dirivi. Queste pagonsi doi fiorini, per il Stato, il cento; et a Vinegia 8 lire. FOGLIE
Queste si fanno a
Vinegia et a Genova, più che in tutti i luoghi, e pagonsi il cento 3 lire.
FIORI FRUTTI
Veramente queste sonno pitture venetiane, cose molto vaghe, e si pagano 5 lire il cento.
FOGLIE DA DUZENA
Questa è pittura chumuna, e pagasi mezzo fiorino il cento, in Vinegia 2 lire.
PAESI
Questi a Vinegia et a Gienova, e al presente a noi, e pagonsi 6 lire il cento.
PORCELANA TIRATA
Questa è pittura
generale, e pagasi 2 lire il cento e anco 20 bolognini.
SOPRABIANCHI QUARTIERE
Questo è uso urbinato.
Gli soprabianchi si pagano mezzo scudo il cento e le quartiere 20 bolognini, o
voglia[m] dir l’un 3 lire e l'altro 2.
Appendice seconda
GROPPI CON FONDI E SENZA
Questo è uso comune, e pagonsi l'un
mezzo scucio e l'a[l]tro doi giulii il cento.
CANDELIERI
Pittura urbinata,
e pagasi doi fiorin il cento o vogliam dir 8 lire di Vinegia.
Io vi ho posto, qui per scontro, nel fin
di questa mia fatiga, la Terra di Durante, patria mia, la qual fo già edificata
da Guglielmo Durante decano di Chieretere. Questa è bagniata da tre lati dal
fiume Metauro. Di qui, non lontan un miglio, vedesi il Barco, circondato di mura
attorno attorno, pieno di diversi animali. Quivi fanno delicati vini, saporiti
frutti; l'aria è assai temperata. Quivi, da dua bande, si estende un’amena
pianura che da l’una ariva alla radice dell'Apenino et da l'altra si bagnia nel
mare Adriatico.
Da: http://www.farneti.it/LinkPiccolpasso.asp
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