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Introduzione ai Secreti
di Isabella Cortese (Massimo Marra)
a cura
di Massimo Marra
Una vasta e dimenticata
produzione, quella alchimistica italiana che, tra il XVI ed il XVII sec.
rinveniamo in una serie di opere a stampa, spesso neanche repertoriate nelle
bibliografie internazionali.
Il libro della Cortese, per la molteplicità di edizioni note, è ben conosciuto,
eppure relegato nel limbo di una produzione considerata minore, del cui
valore sarebbe forse il caso di operare una rivalutazione.
Tra le poche donne alchimiste di cui sono note opere a stampa, in Italia, il
caso di Isabella Cortese è emblematico. I suoi Secreti ebbero diverse
ristampe, e conobbero diffusione indubbiamente maggiore, ad esempio, di quelli
di un’altra alchimista italiana coeva, Floriana Canale (autrice, tra l’altro,
anche di un raro trattato sugli esorcismi e gli scongiuri) o della traduzione
del libro di Marie Meurdrac (La Chimica caritatevole e facile in favor delle
Dame… Venetia 1682).
Già dal titolo, al contrario del libro della Meurdrac, il testo della Cortese
non presenta una alchimia "…facile in favor delle dame" , ma si presenta
tout-court come raccolta di Secreti, mutuando toni e tematiche dalla più
criptica tradizione alchemica.
Nel recensire l’opera di cui ci occupiamo, John Ferguson annotava nella sua
Bibliotheca Chemica ( 1906) " The authoress is called Cortesa, Cortese, Cortesi,
but I have not met with any account of here". A distanza di oltre 90 anni non
possiamo aggiungere nulla in merito a quanto annotato da Ferguson, poiché, a
tutt’oggi, non abbiamo notizie di sorta di Isabella Cortese. Sappiamo che i
Secreti , unica opera nota dell’autrice, conobbero ampia e duratura
diffusione , dal momento che ci sono note dodici edizioni veneziane, stampate
tra il 1561 ed il 1677, di cui solo cinque citate da Ferguson. Quest’ultimo
annota anche l’esistenza di una traduzione tedesca (Verborgene heimliche
Kunste und Wunderwerke in der Alchymie, Medicin und Chyrurgia Hamburg 1592,
1596 e Frankfurt 1596).
Ma la diffusione dei Secreti dovette essere capillare al di là delle
eventuali traduzioni, poiché troviamo una lusinghiera citazione del libro
nell’introduzione alle Douze Clefs de Philosophie de frere Basile Valentin…,
l’edizione francese delle Dodici chiavi, edita nel 1660 da da Pierre Moet, e
basata, come nota Eugene Canseliet nell’introduzione alla sua traduzione delle
Dodici Chiavi, su di una precedente edizione del 1624, che il Moet riproduce
integralmente semplicemente sostituendo la propria insegna a quella del
precedente editore. Proprio nella prefazione aggiunta dall’editore Pierre Moet,
e dedicata a quel famoso Digby (1603-1665) che fu alchimista, filosofo,
viaggiatore, cancelliere alla corte inglese, corsaro e, probabilmente, spia,
troviamo citato il testo della Cortese. Leggiamo infatti nell’introduzione del
Moet " ….ay veu un livre Italien d’une Damoiselle qui s’appelle Dona Isabella
Cortesi, qui a fait des vers in sa langue si bien faits, que je ne le puis
oublier à vous les reciter en ce lieu……". Il Moet riporta i due sonetti tratti
dall’opera della Cortese con notevoli errori di trascrizione, ma mostra comunque
di apprezzare e conoscere l’opera.
Come molte opere pubblicate in Italia tra la seconda metà del ‘500 e tutto il
XVII secolo, il libro, e per lo più occupato da una collezione di ricette e di
rimedi per una immensa varietà di impieghi terapeutici e cosmetici, mescolati a
ricette di alchimia minerale e metallica. Senza soluzione di continuità,
troveremo nell’opera un continuo saltellare tra una ricetta per fabbricare
l’oro, una per far drizzare il membro maschile ed una per rendere la
pelle femminile bianca e vellutata. Analoga impostazione, del resto, troviamo in
molti libri alchemici del periodo (basti pensare, un titolo fra tutti, ai
Secreti di Don Alessio Piemontese, al secolo l’erudito e letterato Girolamo
Ruscelli, con oltre una dozzina di edizioni in italiano e quasi una cinquantina
di edizioni in latino, tedesco, francese ed inglese, oppure alle opere di
Domenico Auda). Una tale forma non deve però portarci a considerare con
sufficienza il contenuto ermetico e simbolico delle opere, che spesso, confuse
tra parti di contenuto metallurgico, cosmetico e farmaceutico, contengono
esposizioni ermetiche e simboliche di originale fattura o direttamente mutuate
ed adattate da testi classici di taglio filosofico ed ermetico. Sono proprio
queste parti che, talvolta poste in apertura dell’opera, testimoniano, da parte
degli autori, una precisa consapevolezza degli aspetti iniziatici della scienza
di cui essi trattano. D’altronde è fuor di dubbio che è proprio il carattere di
ricettari, di raccolta di secreti , a costituire il nocciolo del successo
di tali libri, che stimolano il mercato sempre fiorente di speziali, medici,
"soffiatori" e curiosi. Basta viceversa dare una rapida occhiata ai dati di
pubblicazione delle opere in volgare (create quindi per un pubblico più vasto e
non necessariamente di cultura accademica) per rendersi conto di come opere di
taglio più scopertamente e dichiaratamente ermetico e simbolico, abbiano avuto
ristampe ed impressioni assai meno frequenti.
D’altro canto, se il carattere di ricettari determinò in buona parte il successo
presso i contemporanei, nel contempo determinò il pressoché totale stato di
oblio presso i posteri. Questi, relegarono frettolosamente opere di taglio
simile nel regno dell’infanzia della scienza, consegnandole ad un non meritato
oblio.
Anche gli studi moderni sono, in merito al recupero di questo patrimonio
testuale e storico, abbastanza avari.
In particolare, non siamo a conoscenza di alcuna riedizione moderna, né di
alcuna citazione significativa del testo di Isabella Cortese, né tantomeno di
alcun approfondimento critico od indagine storica in merito a questa alchimista.
Nel testo di Isabella Cortese troviamo una serie di topoi cari alla
letteratura ermetico-alchemica, ed un esempio tipico può essere, tra gli
estratti che presentiamo in questa sede, l’apertura del secondo capitolo, in cui
l’autrice proclama l’amara delusione maturata in trent’anni di fallimenti, e la
propria avversione per le trappole dell’oscuro linguaggio alchemico (che
tuttavia adopererà con dovizia crittografica e mano esperta). Secondo questo
topos sono proprio le drammatiche esperienze di fallimento e le avversità
subite a spingere l’autrice alla piana (si fa per dire) e caritatevole
esposizione che sta per prendere avvio. Analoghe considerazioni e dichiarazioni
le troviamo in Flamel, nell’anonimo estensore della Lettera attribuita al
Pontano, nel Sendivogio, in Bernardo Trevisano, e, secoli dopo, in apertura
dell’Hermes Devoilé di Cyliani. L’alchimista che presenta il suo carico
personale di peripezie e traversie, unitamente alla riprovazione per i sofismi e
l’oscurità dei testi dei filosofi ed alchimisti precedenti ed accreditati,
costituiscono una formula fissa che e tradizionale con cui gli alchimisti
legittimano spesso la propria esposizione dottrinaria.
Altra formula fissa è quella dei consigli, autorevoli proprio in virtù delle
peripezie attraversate, qui presentati nell’altrettanto tradizionale forma di
decalogo.
Altro topos assai riconoscibile è poi quello del viandante (morto o
comunque scomparso nel nulla) che lascia libri, lettere o carte illuminanti
dietro di sé. Incontriamo questa topica in apertura del passo della Cortese
sulla Pratica di Prete Benedetto da Vienna, che risulta indirizzata ad
uno Stanislao di Cracovia.
I brani che presentiamo in
questa sede sono scelti tra quelli che più esulano dall’impostazione del nudo e
semplice ricettario, presentando, anche nella composizione di una semplice
ricetta, precipitati simbolici e filosofici che rivelano la sicura
consapevolezza del contenuto tradizionale della scienza alchemica.
Si è scelto di evitare il rimaneggiamento in linguaggio moderno del testo,
alleggerendo unicamente la punteggiatura, riportando all’uso moderno
l’accentazione ed operando pochi altri rimaneggiamenti su alcune forme lessicali
arcaiche. Ciò al fine di alleggerire l’approccio al testo per il lettore
moderno.
Sono state lasciate intatte le abbreviazioni alchimistiche di consueto utilizzo,
altre su cui l’interpretazione è incerta sono state riprodotte in una forma il
più possibile vicina all’originale. In particolare ricordiamo che il segno è il
segno dell’oncia, se seguito da una s. (s.) significa semioncia (la metà
dell’oncia). L’abbreviazione lib. sta invece per libbra . Con
iij. è stata invece resa una abbreviazione (di peso) di incerta
interpretazione assai usata dalla Cortese.
Intatto è stato anche lasciato l’utilizzo del simbolismo alchemico planetario,
che talvolta compare nel testo
Se qualcuno tra i lettori avesse notizie ulteriori inerenti il testo o
l’autrice, è pregato di contattare l’Alchemy Web Site.
Massimo Marra
DE GLI SECRETI
DELLA SIGNORA ISABELLA CORTESE
Opere di Canfora
estratto dal
Libro secondo
Particolare di Chirico abbate
di Colonia.
Capitolo 1
Dico a te Fratel carissimo,
che se vuoi seguir l’arte dell’Alchimia et in quella operare, non bisogna che
più segui le opere di Geber, né di Raimondo, né di Arnaldo o dì altri Filosofi,
perché non hanno detta verità alcuna ne i libri loro, se non con figure et
enigmati, con sincopi. Dice Geber Recipe lapidem in capillis notum. Io
l’ho letto e riletto, e non trovo se non favole, e ciance ; e Raimondo dice
nella sua epistola accuratoria : Recipe Nigrum nigro nigrius e
quell’altro dice Ascende in monte altiorem huius mundi et ibi inveniens
lapidem absconsium. Un altro dice Plumbum Nigrum aes nostrum, magnesia
nostra e molte altre pazzie, che sarebbe lungo a narrarle, le quali
fanno perdere il tempo e li denari. Et ho studiato in tali libri più di
trenta anni, e mai non ho trovato cosa alcuna buona, et ho consumato il tempo e
persa quasi la vita mia e li denari. Ma per la misericordia di Dio ho ritrovato
un particolare buono e vero, e certo fatto per me, qual m’ha ristaurato non
solamente nella robba, ma nell’honore e nella vita. E perché, chiarissimo
fratello, so che hai perso molto tempo e consumato la robba, ho avuto
compassione di te, e però ti priego non perdere più il tempo attorno di questi
libri de’ Filosofi, ma segui quel che ti scrivo ; e non levare né scemare cosa
alcuna, ma farai quel che ti dico e scrivo, e segui gli infrascritti
commandamenti miei, e Dio ti darà la sua gratia. Il primo precetto si è che non
lavori mai con alcun Gran Maestro, acciò, facendo l’opra buona, non habbi mal
fine la vita tua.
Il secondo che tu facci fare quei vasi di terra e di vetro che ti scrivo, che
siano forti e ben fatti, acciò non si perda la medicina per diffetto delli vasi
debili.
Il terzo ch’ impari a conoscere tutti i materiali e metalli, perché se ne fanno
di sofistici, e non vagliono nulla.
Il quarto ch’avvertischi bene non dare troppo fuoco, né manco del dovere, ma
proprio come ti scrivo, acciò non falli.
Il quinto, ch’abbi un paio de mantici a tua posta, et altre cose necessarie,
acciò non vada per le mani del volgo.
Il sesto che se alcun ti domanda di alcuna cosa di quest’arte, fingi di non
intendere, e mai non lassar entrar alcun dove lavori.
Il settimo che ben impari a conoscere i metalli, massimamente oro e argento, e
non gli mettere in opera mai se prima non sono ben depurati, per tua mano, di
copella e di cemento.
L’ottavo, che non insegni questa arte ad alcuno, perché il revelar de secreti fa
perdere l’efficacia.
Il nono, ch’abbi un servitore fedele, e secreto, e buono d’anima, che stia
innanzi alla tua persona, e mai non lo lassar solo.
Il decimo et ultimo commandamento è che quando haverai compiuta l’opera tua,
habbi ad amare Dio glorioso, e che facci delle elemosine, e facci bene alli
poveri, e pregoti che osservi bene questi dieci commandamenti, acciò possi
pervenire a buon fine della tua fatica.
Fratel carissimo, tre cose scrivo che sono principij delle cose naturali secondo
il filosofo, cioè materia, forma e privatione. E per tanto noi faremo questa
nostra medicina di tre cose naturali, cioè materia, forma e privatione, che sono
corpo, anima e spirito. Per materia, s’intende il corpo, per la forma s’intende
l’anima, per la privatione s’intende lo spirito. Perché, secondo che per la
privatione si fa ogni generatione e corrutione, così mediante lo spirito si fa
l’unione, e si compone del corpo e dell’anima, e questo vediamo nell’huomo.
Adunque, come haverete questi tre principi naturali, haverete la discussione del
particolare, tal che non potrete fallire, e questa è la vera via naturale e
buona. Adunque nel nome di Dio glorioso cominceremo a far il corpo, sì come fece
Dio eterno, che fece il primo huomo Adam, e prima fé il corpo de limo terre,
dapoi l’organizzò de spirito animale et sensibile, dapoi gli infuse l’anima
rationale, la quale è il compimento del tutto ; così faremo noi questo nostro
particolare.
Primo per far il corpo, faremo una terra spirituale, laquale col nostro
magistero faremo fissa, e questo è necessario, perché come la terra mediante il
moto del cielo produce tutti i frutti, così la terra nostra mediante lo spirito
e l’anima haverà a fruttificare, e pertanto ben dice Hermes: la terra è nutrice
et è humida, e sappi che i Philosophi non hanno voluto rivelare questa tal terra
qual essa si sia , se non con parole oscure, et è terra nostra pura, senza
tenebrosità. E però bisogna che questa terra sia senza alcuna superfluità, però
è trasparente, e purissima, altrimenti non potria ricevere lo spirito e manco
l’anima, e non bisogna che la terra di che si fa il corpo sia di natura d’anima,
né di spirito, perché non sarebbero tre cose distinte, delle quali poi si fa una
cosa, come vediamo nell’huomo, che’l corpo è d’una sostanza della quale non è
l’anima né lo spirito. Nondimeno per l’union loro si fa una cosa.
Hora ti voglio nominare per nome questa santa terra, laquale nessun Filosofo ha
voluto rivelare, anzi più presto l’hanno cancellata dalli lor libri, e sappi che
questa terra si domanda Canfora, che è quella che si vende vuolgarmente.
E sappi che in quella ci sono gran secreti, che per sua freddezza è attissima a
congelare in sé lo spirito e l’anima, perché la congelatione procede dal freddo,
e la solutione procede dal caldo. E perché la Canfora è spirituale e brugia come
fa il zolfo, però la chiamano zolfo de Filosofi e non volgare. Et è dibisogno
che per artificio si faccia fissa in questo modo. Fissare Canfora:
Habbi buona acqua de vita senza flemma, e per ogni libra metti oncie iij.
di canfora della più trasparente e buona che si truovi, laquale pesterai, e
quando la vorruai pestare, pesta alquante mandole dolce prima nel mortaio, e poi
pesta la canfora, laquale metterai nella detta acqua di vita in un orinale, e
distillerai per cenere l’acqua, et un’altra fiata ritornerai la detta acqua
sopra la detta Canfora per sette volte, e sarà fissa.
Perché gli spiriti dell’acqua vita entrano per tutto e fissano la Canfora, che
più non bruciarà né sollimerà, né esalarà e così haverai il corpo ben preparato.
Servalo a parte benissimo, e perché l’anima da sé non opera senza il corpo, ha
bisogno di un corpo. E come l’anima dell’huomo non è quella che opera manco il
corpo, ma il composito mediante lo spirito, così questo nostro spirito non ha
frutto senza l’anima, e l’anima senza il corpo, però mediante lo spirito qual’ è
sostanza mezana, argento vivo, senza cosa strania, cioè:
Piglia libbre iij. d’argento vivo minerale, che non sia né di piombo né
di stagno, e farai fare un vaso di terra ben cotto, cioè due volte, e quando
serà cotto la prima volta fallo invitriare tutto eccetto il fondo, quale ungerai
con il grasso di porco, e non si invitriarà, e ciò farrai acciò la parte
terrestre dell’argento vivo s’attachi nel fondo del vaso, che se fosse
invitriato non s’attaccherebbe, e non preterire questo, e farai fare questo vaso
longo un buon piede a modo di un orinale, ch’abbia un pippio nella sommità,
com’è disegnato in fine di questo trattato, et habbi un forno fatto a posta. Che
questo vaso vada murato dentro, nel fornello, e metti su il vaso col buon
capello grande col suo recipiente, senza lutare, e dagli fuoco de carboni, tanto
che l’vaso sia tutto infuocato e ben rosso.
Allhora cava fuori il fuoco, e presto metti su il mercurio per quel pippio e
serra ben il pippio con luto et allhora l’argento vivo per la fortezza del caldo
che truova così repentino si corromperà e dileguarà, e parte verrà in acqua,
cioè alquante gocciole, e parte se n’attaccherà al fondo del vaso in terra nera,
e lasserai raffreddare il vaso, e poi aprilo, e troverai l’argento vivo tutto
nero, quale cava fuori e ben lavalo. E così lava il vaso e nettalo molto bene, e
l’acqua distillata metti da banda o buttala via, che non val niente, che è tutta
flemma, et un'altra volta metterai il vaso nel fornello, e infuocalo come prima.
Poi butta su l’argento vivo e serra ben il pippio, e fa come la prima volta, e
ciò farai tante volte che più non diventi nero, e ciò farai in dieci o undici
volte, allhora cavalo fuori e troverai il tuo argento vivo senza flemma e senza
terra perché ha queste due qualità grosse et infime, però è necessario separarle
come i nemici della natura, e restora l’argento vivo puro in colore celestino in
modo d’azzurro, il quale sarà questo segno.
Prendi un ferro et infuocalo, poi estinguilo in questo argento vivo, e diverrà
bianco e dolce come argento fino, allhora mettilo in una ritorta di vetro fra
capelli, che non tocchi il fondo né la sponda delli capelli, e li darai buon
fuoco, di sotto, e con cenere calda di sopra il capello, accioché tenga meglio
il fuoco, et in quaranta hore si distillarà l’argento vivo in forma d’acqua
viscosa che non bagna la mano né cosa alcuna se non il metallo. E questa è
l’acqua vita de Filosofi vera, spirito desiderato da tutti i Filosofi e dicesi
sostanza mezzana dell' argento vivo, e molti altri nomi, senza cosa estranea e
senza corrosivi.
Serba quest’acqua preziosa occulta da tutti i Filosofi senza laquale non si può
fare nessuna buona opera, e lassa andare tutte le altre cose, e tieni questa, e
ciascuno che vedrà quest’acqua, s’haverà qualche pratica si tenerà a questa,
perché è pretiosa e vale un thesoro, si che lauda Dio in tal thesoro donato, il
qual sia donato da tutto il mondo sempre mai.
Resta hora a fare l’anima, laqual è perfettione di tutto, senza laquale non si
può far né vero oro né argento. Certo è che con il spirito si può fare cosa
apparente e bella, ma non vera né perfetta, et dicono i Filosofi che l’anima è
la sostanza che sostiene e conserva i corpi e fagli perfetti mentre che v’è
dentro, adunque è necessario al nostro corpo una anima; perché altramente il
corpo non si muoverebbe né operarebbe. E però sappi che tutti i metalli sono
composti di mercurio e zolfo, cioè di materia e forma. Il mercurio è la materia
et il zolfo è la forma, secondo la purità et l’impurità del mercurio e dello
zolfo, mediante l’influenza che pigliano. E per questo l’oro è generato di
argento purissimo e zolfo rosso è puro mediante il Sole, e però è il più
perfetto metallo di tutti e l’argento è fatto di e di zolfo bianco, mediante
l’influenza della Luna, e però è più perfetta degli altri cinque, e non habbiam
bisogno se non di zolfo con l’influenza del Sole, overo della Luna. Il qual
zolfo è forma et anima dei metalli, et il resto è materia grossa dell’argento
vivo.
I contadini sanno più di noi, tal hora, perché quando cogliono il formento nato
nella terra, lo raccoglieno colla sua paglia e spiche; la paglia e le spiche
sono la materia, et il grano si è la forma e l’anima, e quando vogliono seminare
il grano non seminano la materia, cioè la paglia, ma il grano, che è la forma,
onde bisogna che ancora noi volendo seminare oro o argento bisogna seminare la
sua semenza e forma, e non la sua materia, e però bisogna fare la sua forma et
anima in questo modo con l’aiuto di Dio, cioè: farai un sollimato buono e
trasparente, cioè sette volte sollimato, e l’ultima volta il sollimarai con
cinaprio e senza vitriolo, e piglierai una certa quinta essenza del zolfo che è
nel cinaprio, poi piglia i. d’argento finissimo coppellato e limalo
sottilmente. Poi piglia iij. del detto sollimato e mettilo a sollimare
con la detta limatura in una boccia per sedici hore, e lassa raffreddare, e
trita ogni cosa insieme, e un’altra volta sollima. Così farai quattro volte, e
nella quarta si farà una certa rotella al modo d’ una materia di ragia bianca
trasparente com’una perla orientale, la quale peserà circa dramme s. et il
sollimato starà attaccato alle sponde del vaso, et in fondo sarà a modo d’una
caligine laquale è la corrutione dell’argento.
Prendi questa rotella e dissolvila in aceto fortissimo distillato, perché si
dissolverà in due o tre volte, mettendo in un orinale in bagno per tre dì, e
così metti da canto, e di nuovo rimetti dell’altro aceto distillato, fin che
tutta sia dissoluta, poi distilla per feltro, e quel che rimane nel vaso serva,
perché è buono per imbianchir il rame finissimo. E quello che è passato per
feltro con l’aceto metti alle ceneri, cava l’humidità a fuoco lento e levarai
l’aceto, poi metti al sole e diventarà bianchissimo, com’una farina d’amito, e
questo sarà la forma dell’argento, overo zolfo, il quale peserà quasi un quarto
d’oncia, più tosto più che meno, e questa passerai per lambicco, con acqua vita,
ma non bisogna perché questa materia è opera spirituale.
Serbala adunque benissimo, della quale si potriano dir cose grandi, e
speculative, ma ciò lassarò al tuo ingegno.
Piglia co’l nome di Dio un orinale alto mezzo piede , e togli del corpo fisso
s. et un quarto d’anima d’argento, overo d’oro, secondo il tuo volere e
dello spirito, iij. mettendo ogni cosa nell’orinale come t’ho detto, e
metti su il suo lambicco con il suo recipiente ben serrati, e li distillerai
l’acqua da dosso, con lentissimo fuoco, e si distillerà la prima volta quasi
iij., rimetti un’altra volta l’acqua senza muover l’orinale, et un’altra
volta distilla finché più non distillerà; e ciò serà fatto alle sei, overo alle
sette volte, et ogni cosa serà fissa, poi metterai il detto orinale nel letame
cavallino per sette dì e tutto diventerà acqua, per virtù della sua sottilità,
laquale distillerai per feltro con lingua di panno finissimo e sottile, e parte
del corpo resterà nel fondo per la sua grossezza che non val niente. E tutto
quel che serà passato per feltro, congela, che sarà circa iij.s. e così
solvi e congela tre volte poi fondi x. d’argento fino coppellato, e
quando sarà fuso metti su, i di questa medicina, e diventerà tutta
medicina.
Similmente fondi borace, cera, e della detta medicina ana, i. e metti
tutto questo sopra libbre iij. d’argento vivo o sopra che corpo tu
vorrai, e sarà argento vivissimo, ad ogni giudicio, e così si farà dell’oro.
E così è finito questo particolare, il quale si può fare in quaranta giorni a
chi ha buona pratica, e sa ben sollecitare l’opera, ringraziato sia Iddio.
Pratica di Prete Benedetto da
Vienna
In Olmuz, un viandante
m’alloggiò in casa, e per sua mala ventura infermò, e non poté pervenire a
Cracovia, dove era mandato, che di quella infermità si morì in casa mia, e
lasciò le littere che portava, lequali io aprì, et eran così scritte.
"Al discreto et erudito huomo
Stanislao, moderatore del collegio de scolari. In Cracovia amico carissimo.
Sempre dopo che mi partì da voi ho avuto nell’animo la dolce et amorevole vasta
conversazione, e mettendomi a lavorare, come è piaciuto a chi può far ogni cosa,
io son pervenuto alla cognizione della verità dell’arte nostra, e per l’amore
che vi porto ho voluto per il presente messo mandato a posta, significarvi et
avisarvi della allegrezza mia, facendovi partecipe di quella, che tutto l’ordine
et il progresso haverete nelle presenti mie lettere.
Tanto vi prego che saviamente vogliate operare a non manifestare questo divino
secreto a qualche pazzo che usar lo possa in mala parte, e voi riconoscerete
questo dono da Dio, e non da me, e fate che vi siano raccomandati i poveri, e
state sano.
Vostro quanto fratello
Benedetto
La compositione si fa di tre cose, cioè corpo, spirito et anima, io bene mi
ricordo amico carissimo, che i due avete ben conosciuto, ma il terzo totalmente
v’era incognito, cioè l’anima.
Adunque fratello et amico carissimo, vi rivelo hora il secreto de tutti i
Filosofi almizadir, zolfo de Filosofi, argento vivo, acqua dolce onde è
il verso:
Salza il fetor ingrato, e fa
ogni membro albato
Risolve e ben licora, purga ogni cosa ancora,
E vieta il fuoco retto, fuggitivi tien stretto
E nulla senza sale, pratica nostra vale
Ancora altri versi
L’arte sta in acqua pura, et
altro non far cura
Genera la tentura, cosa c’al fuoco dura,
Mercurio strugger suole, ogni fogliato Sole,
Lo dissolve e fa’l molle, l’alma del corpo il tolle,
E dopo lo congela, a chi Dio lo rivela.
Il modo di cavar l’anima di
Saturno è questo. Piglia libbre i. del detto pianeto nuovo e calcinato
molto bene e sottilmente, poi si triti sottilissimamente, e la polvere si ponga
in un orinale di vetro. Poi habbisi dell’aceto fatto di un bianco puro, e
distilli per il lambicco due o tre volte, e della detta distillatione si metta
nel detto orinale, sopra, il saturno calcinato, che di tre dita gli stia di
sopra, poi pongasi il detto vetro nel bagno di Maria e sia ben coperto, e
tengasi ivi a putrefare per cinque giorni, ogni dì più fiate, con un bastoncello
mescolando la detta materia per la gravezza sua. Il sesto giorno cavisi il vetro
con la materia fuori dal bagno, e pongasi sopra uno scanno, mettendogli di sotto
qualche cosa molle, e lascisi riposare, che la materia della polvere venga a far
la residenza.
Allhora sopra pongaglisi il ricettacolo con l’acqua pura distillata sopra le
ceneri calde, acciocché l’humidità dell’aceto venga ad evaporarsi, et evaporata
l’humidità sopra’l fuoco lento, ne troverete l’anima d’esso pianeto così
cacciata bianca, dolcissima e ponderosa, e così perfettamente preparata, e
questo è quello che hanno nascosto i Filosofi con tanti diversi nomi nell’opere
loro di questa arte benedetta.
Ma notate che vi bisogna havere una bona quantità d’aceto distillato sopra libra
una del pianeto, e cacciare come si disse.
Ancora vi bisogna havere una buona quantità dell’anima, overo del mercurio de
Filosofi, a far l’opera, acciò nel mettere e nel augumentare la tentura siate
ben provvisto. Dunque disponetevi tre o quattro libre di calcinato, ma sempremai
si ponga libra una solo in un vetro, et un’altra libra in un altro vetro, e così
si vada operando, per il gran peso di che si mette.
Nota, quando la materia verrà all’albedine, se vi volete fermare in via
particolare, allhora, senza giongervi mercurio, accresci il fuoco fin che la
materia si vedrà essere fissa. E se pur volete augumentare, allhora dividete la
materia per diversi vetri, et aggiongetegli più della materia volatile, o se
vorrete augumentare , vediate quando la materia è mezzo fissa, così è meglio.
Tintura e sbiancheggiamento
cap. I
Piglia una libbra
d’inchiostro romano, pestalo grossamente , lo metterai a distillare in un vaso
di vetro con lento fuoco et caverai l’humidità et quella come cosa inutile,
getterai et pesterai le feccie che rimarranno sul fondo, et le ridurrai in
sottilissima polvere. Dapoi piglierai acqua ardente senza flemma et in un
ampolla di vetro la infonderai sopra il detto inchiostro, et farai che quella
gli nuoti sopra la misura di due dita, et mescolerai bene insieme tutte le cose,
et le lascerai fino a che la detta acqua si colori, et essendo colorata, la
caverai et in vetro la riponerai, et ben coperta la conserverai. Dapoi ne
infonderai dell’altra, et essendo colorata la debbi cavare, et così tante volte
farai finché tu vedi che l’acqua esca chiara dalle feccie. Allhora cavarai le
ditte feccie bianche dall’inchiostro, et le conserverai per sbiancheggiare il
metallo. Finalmente pigliarai sole et luna di peso uguale et le farai liquefare
insieme nel fuoco, et le ridurrai in sottilissime lastre, et quelle, infuocate,
estinguerai nella sopradetta colorata acqua, et questo trenta o quaranta volte
tu farai, dapoi lascerai in acqua forte, accioché si dissolvano, et lasciarai,
et si calcinano, dapoi cavarai l’acqua per lo lambicco, et nel fondo haverai la
calcina, che vi resta sopra, la quale spargerai quella colorata acqua, et
distillerai lo lambicco, et rimarrà lo spirito dell’inchiostro nella calce et
sarà colorata, la quale piglierai così colorata et la metterai in un vaso di
terra bene impegolato, et per lo spatio di hore dodici lascerai stare al fuoco
de carboni, et fuoco tanto modesto usarai che non sia consumato, finalmente la
gittarai in verga et haverai oro de ventisei caratti.
A fare che tutte le cose
sofistiche dure siano molli cap. V
Infondi in oleo comune dieci
volte volte in piombo liquefatto, et estingui nel detto oleo dieci volte le
lastre infuocate del sofistico.
Oro potabile cap. XVIII
Piglia libre X de
ottimo vino, e distillalo per lambicco, e cavane solamente una libra, dapoi lava
il lambicco e rimettici nuovo vino, pur libre X., sopra ilquale
rimetterai quella libra d’acqua, e ristillala ricavandone una libra sola, e così
farai la terza volta con nuovo vino, e ne ricavarai una libra solamente.
Poi togli una boccia co’l collo lungo assai, e mettivi quella libra d’acqua, e
li porrai un’altra boccia di sopradetta mezzo mondo, e mettila nel letame per
quattro dì. Poi piglia della detta acqua, i. di zuccaro candido, e sarà
buona, dapoi metti a lambicco la detta acqua e dentro gli metti x. pesi
d’oro in foglia, e lassalo stare per quattro hore, poi distilla per bagno Maria,
e, di fatto, non asciugare le feci, e così serva da parte in doi vasi.
A cavare il mercurio
dell’antimonio cap. XXIII
Soblima il regolo
dell’antimonio con altrettanto sale armoniaco, pestati et incorporati, e
soblimagli; pesta poi il soblimato sopra il marmo con oleo di tartaro, et tu
vedrai a separarsi esso mercurio, dal sale e dall’olio. Se lo vorrai augumentare,
pesta il regolo ben trito con esso mercurio, et olio di tartaro, et così tu
vederai esso in infinito riducersi nel suo mercurio, imperoché tutto quello che
aggiongerai prenderà il corpo .
Tintura 22 K. capXXX
Piglia Sole et Luna di ugual
peso, e altretanto di ferreto Spagnuolo, et incorpora aggiongendo al peso di
tutte queste cose sale armoniaco, et il tutto soblima con lento fuoco per lo
spatio di un giorno, e così tre volte tu debbi fare: dapoi piglia la materia che
è nel fondo del vaso, et con cera rossa riducila in pillole, et in corpo, et 22
K. haverai.
Da:
http://www.levity.com/alchemy/isabella.html
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