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Giuseppe Francesco Borri,
tra fornelli e Salamandre (Massimo Marra)
"Non si è mai dato corpo che non sia materiale, e se i
chimici avessero trovato il segreto di trarre ed estrarre tutta la materia dal
corpo, ne sarebbero più pregiati che d’ogni altro segreto"
G. F. Borri
Controversa figura di
alchimista e profeta messianico, nasce a Milano nel 1630, figlio di una Savinia
Morosini che muore di parto dandolo alla luce, e di Branda Borri, noto e valente
medico milanese.
Il suo casato, stando anche a quanto afferma lui stesso, discendeva da Afronio
Burro, prefetto del pretorio sotto Claudio, morto avvelenato da Nerone, ed il
cognome burrus deriva da urus, che in latino volgare è il bue
selvatico, ossia l’animale rappresentato nello stemma di famiglia.
Nel 1644, insieme al fratello minore, entra nel Seminario Romano, retto dai
gesuiti, distinguendosi subito per prontezza d’ingegno, vastità di interessi
culturali e spirito di indipendenza.
E’ in seminario, probabilmente, che il giovane Borri entra in contatto con
quelle dottrine alchemiche e cabalistiche che ben diffuse dovettero essere anche
in ambienti ecclesiastici, nella Roma del tempo . Nel seminario, tra gli altri,
aveva insegnato Athanasius Kircher, il grande cabalista gesuita autore dell’Oedipus
Aegyptiacus e del Mundus Subterraneus. Come già per i Domenicani e
per i Francescani alchimisti del medioevo, anche tra i gesuiti del XVII sec.
erano dunque assai diffuse le arti ermetiche e cabalistiche.
Il forte spirito di indipendenza e l’insofferenza verso l’autorità clericale
deteriorano rapidamente i rapporti con i suoi insegnanti ( al culmine di questo
deterioramento il Borri capeggia addirittura una ribellione collettiva dei
seminaristi, che porterà alla sostituzione del rettore), e nel 1650 il Borri
viene espulso dal seminario, cominciando tra i numerosissimi pellegrini
dell’Anno Santo, la propria attività di medico e di alchimista. In questo
periodo cominciano i primi contatti col marchese Massimiliano Palombara,
alchimista egli stesso, e , nel 1653, entra al servizio in qualità di medico e
alchimista presso il conte Federico Miroli. In quegli anni comincia anche la sua
opera di propaganda, per metà messianica e per metà politica, volta ad un
recupero della purezza evangelica della religione, che, nella visione di Borri,
è la base stessa di ogni scienza ed investigazione.
Il fervore religioso e messianico, permeato di spiritualità quietista, richiama
intorno a lui i primi seguaci, e lo rende anche protagonista di tafferugli con
le guardie pontificie.
Nelle visioni di Borri, condite di estasi visionarie ed eventi miracolosi,
l’intero mondo (cristiano e non) avrebbe dovuto essere conquistato e retto da
una teocrazia papale che avrebbe dovuto mediare l’avvento di un nuovo regno
edenico terrestre, una nuova età dell’oro, di trionfo dei valori di un
cristianesimo rinnovato e universale.
A capo di tale teocrazia il Borri vedeva il Sommo Pontefice, e lui stesso si
considerava (almeno stando alla documentazione inquisitoria successiva )
Prochristus , profeta e condottiero di un tale avvento.
E’ questo il periodo in cui si inizia a formare la sua leggenda personale di
alchimista dalle misteriose conoscenze e di visionario dall’oscura potenza. E’
proprio a questo periodo che si ascrive abitualmente la leggenda che vede come
protagonisti il Marchese Palombara ed un misterioso Pellegrino.
Una mattina del 1656, la tradizione vuole che nel giardino del nobile Palombara
penetri uno sconosciuto intento a raccogliere erbe, il quale, condotto innanzi
al marchese dalla servitù, dichiara d’essere alchimista, di essere a conoscenza
delle ricerche alchemiche del Marchese e di essere in grado di mostrargli la
effettiva realizzabilità dell’opera trasmutatoria senza alcuna richiesta o
contropartita, ed inoltre di essere anche a sua volta interessato a conoscere
quali fossero i metodi e le ricerche del Palombara.
A quest’ultimo, fervente ed appassionato alchimista, secondo la nostra storia
non dovette parer vero di introdurre la misteriosa figura nel suo laboratorio
alchemico.
Il misterioso pellegrino, dopo aver armeggiato sotto gli occhi attoniti del
Palombara, domanda a quest’ultimo ospitalità per la notte in una camera nei
pressi del laboratorio per poter sorvegliare l’opera, e si fa lasciare le chiavi
del laboratorio promettendo che, ad opera ultimata non avrebbe fatto mistero
alcuno alle domande del Marchese, che per il momento però avrebbe dovuto
garantirgli solitudine e quiete.
E’ sicuramente un Palombara impaziente e trepidante quello che la leggenda vuol
dipingerci bussare di buon ora, al mattino seguente, alle porte chiuse del
laboratorio così come a quelle della stanza del pellegrino. Quest’ultimo era
sgattaiolato via da una finestra nottetempo, lasciando solo, nel laboratorio
attiguo, un crogiolo rovesciato con in terra una striscia d’oro puro, ed un
fascicolo di carte con appunti e simboli ermetici sulla grande opera. Sono
proprio questi, i simboli che il Palombara fece scolpire in alcuni punti della
sua villa, e, soprattutto, sulla famosissima porta ermetica, unica sopravvissuta
dei fasti architettonici di villa Palombara, famoso e discusso monumento
ermetico italiano.
Per la tradizione, naturalmente, il misterioso alchimista era il Borri, ed alle
sue carte sono dunque ispirate le complesse simbologie della porta ermetica.
In realtà, nella Roma dedita a studi ermetici, leggende a parte, è impensabile
che i due personaggi, ormai entrambi di una certa notorietà, non intessessero
rapporti sulla base dei comuni interessi ermetici, rapporti che, nelle alterne
vicende del Borri, continueranno nei decenni a venire.
Nel 1655 il Borri conosce e , probabilmente frequenta, la regina Cristina di
Svezia ed il suo entourage. La neoconversa regina cattolica, aveva abdicato al
suo regno e veniva a stabilirsi a Roma con il suo seguito. Qui, in un gabinetto
attrezzato a laboratorio, la coltissima Cristina, appassionata cultrice di
alchimia, dava ospitalità ad alchimisti e cabalisti di vario valore e
provenienza.
Proprio in quell’anno , nel frattempo, muore il papa Innocenzo X, e, contro
tutte le speranze del nostro alchimista visionario, gli succede un personaggio
assai vicino alla controriforma, tutt’altro che incline a cambiamenti ed a
messianici rinnovamenti, il cardinale Fabio Chigi, senese, che assume il nome di
Alessandro VII.
Nel 1656 a Roma scoppia la peste (che si diffonde rapidamente in tutta l’Italia
centromeridionale ed a Genova). Cristina abbandona precipitosamente la città, ed
il Borri segue rapidamente il suo esempio, ritornando nella natia Milano, dove
Branda Borri era pronto ad accoglierlo. Qui, tutt’altro che domo, egli stringe
prontamente contatti con l’ambiente quietista ben diffuso e radicato in tutta la
Lombardia, che si raccoglie intorno alla chiesa di S. Pelagio intorno al carisma
profetico di Giacomo Filippo Casola, un popolano laico ben presto accusato
dall’inquisizione di eresia, che poco dopo muore in carcere. Il Borri ben presto
diviene figura centrale del movimento milanese (come già lo era diventato in
quello romano) ed il fervore della predicazione culmina con una pubblica
manifestazione sul sagrato del Duomo di Milano nel 1658.
Le conseguenze della notorietà non tardano ad arrivare, ed il Borri viene
prontamente incriminato per eresia e veneficio (quest’ultima accusa in
riferimento alle sue pubbliche e propagandate conoscenze alchemiche). Nel
contempo finiscono nelle mani dell’inquisizione i suoi seguaci più accesi, per
lo più reclutati nel basso clero, e molti di essi giovani e ferventi quanto lui.
Inizia qui un periodo di grandi amarezze per il Borri, ma inizia anche una
peregrinazione nell’Europa seicentesca che lo porterà a fama ed onori di rara
portata, nonché ad una triste conclusione della sua avventurosa esistenza.
Nel 1659 egli viene chiamato a presentarsi davanti all’Inquisizione romana,
mentre quella milanese è ancora occupata a processare i suoi seguaci. Datosi
prontamente alla fuga in Svizzera, nel 1660 egli viene raggiunto dalla notizia
della morte del padre, e, nel 1661, da quella della condanna in contumacia
dell’Inquisizione romana e dall’esecuzione della pubblica abiura dei suoi
seguaci milanesi.
Dopo un primo momento in cui risiede in Engandina, egli si trasferisce ad
Innsbruck, dove riprende con buon successo la sua attività di medico.
Nel frattempo, nel Gennaio 1661, l’effigie del Borri, dopo la pubblica lettura
della sentenza, viene portata in pubblica processione in Campo de’ Fiori, nello
stesso luogo ove 60 anni prima era stato giustiziato Giordano Bruno, e qui viene
appiccata alla forche ed indi bruciata insieme agli scritti dell’esule
fuggitivo.
Questi, nel frattempo si era trasferito a Strasburgo, dove l’ambiente
protestante lo accoglie immediatamente in maniera entusiasta. Intorno al Borri ,
si crea una schiera di entusiastici ammiratori, che ne magnifica le doti di
medico e iatrochimico, egli diviene così medico noto e ricercato nell’ambiente
nobiliare locale, mentre la sua fama comincia a crescere con estrema rapidità.
Si trasferisce successivamente in Olanda, ad Amsterdam, dove inizia il suo
periodo aureo ed in cui la sua fama di terapeuta ed alchimista consolida la sua
dimensione europea, e riconoscimenti regali ed ufficiali ne consacrano
l’universale notorietà.
Da ogni parte d’Europa principi e mercanti accorrono a consultare il prodigioso
medico alchimista, il quale, secondo la tradizione, si mostrava nel contempo
prodigo di cure per poveri e sofferenti, menando contemporaneamente vita
pubblica splendida e fastosa. Egli estende i suoi interessi e la sua fama, oltre
che alla medicina ed all’alchimia, a svariati campi dello scibile : magia,
cosmesi, ingegneria. A questo periodo, si fa risalire l’incontro col celebre
scienziato ed alchimista danese Olaus Borrichius, ad Amsterdam per i suoi studi,
che diviene ammiratore entusiasta del Borri e della sua scienza. Al Borrichius,
Borri dedicherà anche un libro (Chymiae Hippocraticae Specimina Quinque ,
Colonia 1664), ed è forse proprio al Borrichius che si ispira il personaggio del
sapiente cabalista (il Gran Danese) che ritroviamo ne La chiave del
Gabinetto (Ginevra 1681). In questi anni, il Senato di Amsterdam gli dona la
cittadinanza onoraria, scritti elogiativi delle sue miracolose guarigioni
circolano per l’Europa, ma , proprio all’apice del suo successo, sommerso da i
debiti di una vita fastosa e la probabili manovre di una classe medica invidiosa
e subdola, è costretto ad una rapida fuga, per sfuggire alla presa delle
autorità.
Il Borri ripara a Copenaghen, come alchimista alla corte di Federico III, che lo
sovvenziona largamente. In Danimarca, patria del Borrichius, coperture ed
amicizie non possono mancargli. Egli, inoltre, è ormai preceduto da una solida
reputazione di scienziato. Nel frattempo, altre sovvenzioni arrivano dall’ex
regina Cristina, in quegli anni ad Amburgo, sempre più interessata ai misteri
della Pietra Filosofale. Alla corte di Federico III il Borri recupera ed
accresce nuovamente fama ed onori, divenendo uno dei più fidati consiglieri del
re.
Alla morte di Federico, nel 1670 però, con l’ascesa al trono del figlio
Cristiano V, la sua fortuna a corte comincia a declinare, ed il Borri decide di
abbandonare la Danimarca e di dirigersi in Turchia, ma durante il viaggio, in
Moravia, viene arrestato, e, dietro pressione pontificia, consegnato dall’allora
imperatore d’Austria Leopoldo I , nelle mani del Vaticano, sul cui seggio
pontificio sedeva allora Clemente X.
Dapprima in odore di condanna a morte, e successivamente condannato ad una più
mite pena di carcere a vita, al Borri non viene risparmiata la pena già
comminata ai suoi seguaci, con pubblica abiura ed atto di penitenza. Rimasto in
carcere fino al 1678, il Borri, grazie alle pressioni delle sue nobili amicizie
(in particolare grazie all’ambasciatore francese duca D’Estrées, guarito dal
Borri con una speciale dispensa del pontefice, che gli aveva concesso di
visitare il malato), riesce ad ottenere una sorta di regime di semilibertà,
sistemato in una struttura a Castel S. Angelo, in cui gli è perfino permesso di
attrezzare un laboratorio e continuare i suoi studi, di uscire per frequentare
case patrizie e per esercitare la sua professione.
In questo periodo egli riprende la frequentazione dei suoi antichi amici, il
Palombara e la regina Cristina, e la sua stella sembra riprendere, a dispetto
della vergogna della condizione di condannato, l’antico splendore nei salotti
della corte romana, dove la sua fama di guaritore e taumaturgo misterioso
circola liberamente.
Nel 1670 Cristina di Svezia muore, ed al soglio pontificio viene elevato
Innocenzo XII, il quale elimina subito ogni privilegio al condannato, il quale
viene segregato a Castel S. Angelo nel 1691, e dove la malattia lo spegnerà nel
1695. Affetto da febbri, il grande medico aveva prescritto a sé stesso corteccia
di china, la cura più avanzata e centrata disponibile al tempo. Ma la corteccia
arrivò troppo tardi, ed il 16 di Agosto le febbri sconfiggeranno la fibra
dell’ormai sessantottenne Borri.
L’avventuriero, il profeta, l’alchimista, sono stati definiti, per complessità e
vicissitudini , precursori della figura misteriosa di quel Cagliostro che, pochi
decenni dopo, attraverserà con ancora più fulgida ed universale notorietà
l’Europa.
La Gabala e l’Alchimia
Le due lettere che
presentiamo, sul commercio cabalistico col mondo Elementare , per il loro
carattere di narrazione fantastica e magica, abbisognano di qualche parola di
commento.
La Chiave del Gabinetto, da cui stralciamo le lettere che presentiamo in
questa sede, è quasi totalmente un plagio, se si eccettuano, probabilmente, le
lettere a contenuto più propriamente alchemico che Borri non avrebbe avuto
alcuno scopo di plagiare.
Come la voce curata da S. Rotta del Dizionario Biografico degli Italiani non
manca di sottolineare, le prime due lettere della Chiave sono una versione
pressoché letterale del Conte di Gabalì, mentre l’ultima è "...una traduzione
fedele di De l’â me des Betes di A. Dilly, uscita a Lione nel 1676" (Dizionario
Biografico degli Italiani cit., ed. Treccani).
Sia il Conte che La Chiave, sono dunque pervasi dallo stesso stile
umoristico e sornione, stile che, se non fatichiamo ad attribuire al Montfaucon
De Villars (figura di avventuriero, anch’egli pervaso in gioventù da ansie
messianiche e riformatrici, invischiato in poco edificanti delitti familiari ed
in poco chiare faccende di eredità, che gli valsero una condanna a morte
dall’autorità civile, sentenza mai eseguita poiché il Montfaucon morirà
assassinato in strada in circostanze misteriose) non ci pare nemmeno estranea ad
un Borri che, con la sua figura straordinariamente complessa ed indecifrabile
continua a distanza di secoli a far parlare di sé.
Il pretesto per l’esposizione delle dottrine magiche ed alchemiche, nelle due
epistole sugli elementari che presentiamo in questa sede, sono i colloqui tra il
protagonista (l’autore, equilibrato e fedele sostenitore delle dottrine di Santa
Madre Chiesa) ed un personaggio misterioso, gran cabalista, Danese nella
Chiave, Tedesco nel Conte. Naturalmente, il buon protagonista tenta
di convincere l’ineffabile gabalista ad abbandonare le sue assurde teorie
e le sue diaboliche pratiche, ma il cabalista, dal canto suo sciorina
all’interlocutore le più incredibili rivelazioni sulle entità elementari e sulle
relazioni che i cabalisti hanno con esse, ed i più audaci concetti magici e
cabalistici.
In realtà, per Montfaucon come per Borri, i rispettivi tedesco e danese sono
degli alter ego, che, liberi dalle pastoie del controllo inquisitoriale, possono
liberamente esporre dottrine e principi che in altra forma, con assunzione
diretta di responsabilità dell’autore, potrebbero essere foriere di grossi guai.
Le lettere ed il loro contenuto dialogico, sono dunque un pretesto per esporre
dati tradizionali di una visione magica della realtà che, vogliamo sottolineare
in queste note, era non priva di relazioni con parte dell’alchimia professata
tra XV e XVII sec.
Concentriamoci dunque sulla Chiave e sul Borri.
L’alchimia del Borri è inquadrata in una concezione magico-cabalistica della
realtà, popolata di entità ultramondane ed immateriali, di Ondine, Salamandre e
Gnomi, la cui amistà è parte del lavoro del filosofo naturale, il quale proprio
dall’obbedienza di queste entità può ricavare conoscenza e potere. Senza tener
conto della profondissima commistione di magia ed alchimia che anima le pagine
del Borri (ma di tutta una tradizione di alchimisti) non si può correttamente
interpretare l’universo e la cosmologia alchemica proposta. L’azione sulla
materia, lo sguardo stesso dell’investigazione alchemica, risentono fortemente
di tali caratteri.
Non si commetta l’errore di considerare che tale retaggio magico-cabalistico si
sia esaurito proprio nei suoi residuali esponenti seicenteschi. Nel Settecento,
il De Sangro, con interesse certamente non letterario, fu editore di una
versione italiana del Conte di Gabalì, ed ancora nel ‘900 molte organizzazioni
iniziatiche di stampo ermetico raccolgono la tradizione espressa nelle opere del
grande Alchimista Milanese.
In realtà la Cabala del Borri è cosa ben distante dalla originaria tradizione
ebraica da cui mutua il nome, ed è forse molto più vicina a sopravvivenze pagane
di culti che nel XVII secolo dovevano forse essere ancora ben vivi nelle
tradizioni folkoriche e della religiosità popolare di gran parte d’Europa.
Gershom Scholem, in un saggio dedicato ai rapporti tra alchimia e Kabbalah (Alchimia
e Kabbalah, trad. di Marina Sartorio 1995, Einaudi) ben descrive il
carattere della presunta cabala che emergeva dal complesso panorama degli
scritti ermetici tra XVI e XVII secolo :
"Il nome della misteriosa disciplina [ ... ] divenne parola d’ordine di tutti i
circoli interessati alla teosofia e all’occultismo nell’epoca del Rinascimento
ed in quella successiva del Barocco. Divenne una specie di bandiera, dietro la
quale - poiché non v’era da temere alcun controllo da parte dei pochi veri
cultori della kabbalah - praticamente tutto poteva offrirsi al pubblico : da
contenuti autenticamente ebraici a meditazioni solo vagamente ebraizzanti di
profondi mistici cristiani fino agli ultimi prodotti da fiera della geomanzia e
della cartomanzia. Il nome Kabbalah, con il brivido reverenziale che incuteva,
comprendeva tutto. Anche i più estranei elementi di folklore occidentale, anche
le scienze del tempo in qualche modo orientate verso l’occultismo, come
l’astrologia, l’alchimia, la magia naturale, diventavano kabbalah.....".
Tale considerazione è vera ancor oggi, se pensiamo al nome di cabala fonetica
con cui alcuni alchimisti moderni (Fulcanelli ed allievi) designano il
bellissimo gioco simbolico di etimi assonanti che utilizzano con tanta
frequenza.
In effetti, la gabala di Borri ha poco o niente a che fare con la
kabbalah ebraica. Non che questa fosse del tutto ignota e priva di esponenti
italici, così come non ignota doveva essere l’alchimia nei circoli ebraici e
cabalistici (un secolo prima, proprio la Milano di Borri aveva visto il fiorire
di Mordecai De Nello, un famoso alchimista ebreo che viaggiò per mezza Europa).
Se si eccettua la credenza di fondo nella possibilità di accoppiarsi e procreare
con entità incorporee (si pensi, nella tradizione ebraica, ai Lillim, i
figli demoni che Lilith partorisce rubando il seme disperso dell’uomo) del resto
comune a diverse tradizioni, il fondo che si scorge tra gli elementari di Borri
è invece eminentemente magico.
L’universo di Borri è popolato di spiriti elementali che animano il fuoco, la
terra, l’acqua e l’aria. Poco più di un secolo prima, il De occulta
Philosophia di Cornelio Agrippa (testo di cui è possibile ritrovare più di
una eco nella Chiave del Borri) dopo aver elencato oltre una trentina di
diverse specie di demoni mondani ed elementari, si perita di affermare che "I
platonici opinano esservi tante legioni di demoni di questo terzo genere per
quante stelle esistano in cielo...." (La Filosofia occulta o la Magia,
trad. di A. Fidi, ed. Mediterranee).
D’altro canto, di questa gabala magica, che caratterizza opere come Il
conte di Gabalì o La Chiave del Gabinetto, troviamo eco puntuale
anche in scritti attribuiti a Paracelso, a tutti gli effetti considerato il
padre dell’Alchimia rinascimentale. In effetti, Borri cita dichiaratamente
Paracelso, e lo utilizza a piene mani. Allo scopo di identificare l’antecedente
culturale più significativo dell’opera del Borri, ci soffermeremo brevemente
sulle concezioni paracelsiane, citando testualmente uno scritto tratto dagli
Scritti Alchemici e magici ( 1991 ed.Phoenix).
"Mi propongo d’intrattenervi sulle quattro specie d’esseri di natura spirituale,
cioè le Ninfe, i Pigmei, i Silfi e le Salamandre ; a queste quattro specie, per
la verità, bisognerebbe aggiungere i Giganti e parecchie altre. Questi esseri,
benché abbiano apparenza umana, non discendono affatto d’Adamo........Si
accoppiano tuttavia all’uomo, e da questa unione nascono individui di razza
umana" . Nella visione paracelsiana vi sono due nature : una è quella umana,
spessa, palpabile e sensibile, mortale, l’altra quella spirituale,
impercettibile, eterna. Tra queste due vi è la natura intermedia, partecipe
delle altre due, cui "...appartengono gli esseri che sono leggeri come gli
spiriti e che generano come l’uomo...volano come gli spiriti.....evacuano,
bevono, hanno carne e ossa alla maniera degli uomini. L’uomo ha un’ anima, lo
spirito non ne ha bisogno ; le creature in questione non hanno affatto un’anima
e tuttavia non sono simili agli spiriti : questi non muoiono, quelli
muoiono....Sono l’immagine grossolana dell’uomo come l’uomo è l’immagine
grossolana di Dio"
Per il Grande Teofrasto "...ogni creatura è appropriata all’elemento nel quale è
immersa ; gli Ondini, concepiti per vivere nell’acqua, si stupiscono di vederci
vivere nell’aria....Nello stesso modo gli Gnomi traversano senza alcuna
difficoltà le rocce più dense, come noi traversiamo l’aria, perché la terra è il
loro caos..." Poiché più sottili di noi, Ondine, Silfi e Salamandre
possono tollerare il nostro ambiente, mentre noi moriamo nel loro. D’altro
canto, niente impedisce agli Gnomi di passeggiare per i nostri boschi, mentre
noi moriremmo soffocati dalle spesse rocce che costituiscono il loro ambiente
naturale. Paracelso continua dicendo che " ...questi esseri potrebbero avere
rapporti carnali con gli uomini e averne figli. Questi bambini sono di razza
umana perché il padre, essendo uomo e discendendo d’Adamo, gli dona un’anima che
li rende simili a lui ed eterni. E credo che la femmina che riceve quest’anima
con il seme è come la donna, riscattata dal Cristo. Noi non giungiamo al regno
divino se non in quanto comunichiamo con Dio. Lo stesso, questa femmina non
acquisisce un anima fintanto che non conosce un uomo [ ... ] ecco dunque ancora
una ragione dell’apparizione di questi esseri : cercano il nostro amore per
elevarsi, come i pagani ricercano il battesimo per acquisire un’anima e
rinascere con il Cristo" Dopo averci comunicato che gli gnomi, tra le altre
cose, hanno a disposizione molto denaro, disponendo dell’oro sotterraneo,
Paracelso ritorna sui rapporti tra elementari e uomini, e ci dice che se un uomo
tradisce una Ninfa senza il suo permesso, questa riappare e lo uccide.
Tali elementari, nell’economia della creazione, hanno un ruolo preciso : "...Dio
ha fatto questi esseri per dare delle guardie alle sue creazioni. E’ così che
gli Gnomi sorvegliano i tesori della terra, metalli e altri ; gl’impediscono di
vedere la luce prima del tempo fissato......Le Salamandre sorvegliano i tesori
delle regioni ignee, i Silfi i tesori che portano i venti, gli ondini quelli che
si trovano nell’acqua. E’ nella regione ignea che sono fabbricati, a cura delle
Salamandre, tutti i tesori, per essere in seguito sparsi e mantenuti in altri
luoghi."
Con ciò, abbiamo rintracciato a pieno diritto il riferimento dei dati
tradizionali utlizzati da Borri e del Montfaucon de Villars. Ci rimane da
inquadrare il modo in cui tali dati si fondevano con l’universo mitico e la
ricerca interiore dell’alchimia, il rapporto complesso che lega l’apparenza
superstiziosa della gabala di Borri al cammino eroico di rigenerazione
che deve compiere l’alchimista. In poche righe, a questo proposito, un altro
grande alchimista ed ermetista italiano, Cesare Della Riviera, ci offre una
interessante chiave di lettura. Nel Mondo Magico de gli Heroi (1605), che
citiamo nella versione curata da Evola., nell’ambito della realizzazione magico-
alchemica compiuta dall’heroe il Della Riviera accenna alla percezione
spirituale degli aspetti occulti della natura. Il corsivo è nostro :
"Parimenti rossa è la Terra magica, e rosso ne è altresì il sangue, come si
disse altrove. Questo sangue è la pinguedine, cioè il limo terreo di cui Iddio,
nostro primo padre ci compose, e del quale consta il nostro piccolo Mondo.
Quanto poi alle varie forme che si celano in questo, esse sono la tanto ammirata
invisibilità dei maghi. Nondimeno è verissimo che la vera e santa Magia
sarebbe in parte inferiore a quella falsa e diabolica, se essa non giungesse a
rendere visibili le suddette forme [ ... ] Ma poiché ogni dono che venga
dall’alto dal Padre dei Lumi è - come attesta il glorioso Giacomo - perfetto [
... ] come tale esso potrà rivelare perfettamente le varie forme contenute
che si mostrano non come prestigiose e apparenti, ma come reali, consistenti e
palpabili...."
Per ottenere ciò, l’eroe
dovrà faticare assai più che non utilizzando la magia diabolica e falsa, che si
serve però di demoni fraudolenti.
Dopo aver descritto le metamorfosi magiche che la materia subisce sotto gli
occhi dell’eroe ermetico, Della Riviera continua :
"Finalmente nel nostro Mondo magico non solo si manifestano le specie corporee,
ma si rendono visibili anche quelle incorporee. Il detto mondo viene
formato dall’eroe secondo l’ordine che segue.
Dalla materia prima, vale a dire dalla prima terra magica, egli trae con
mirabile artificio spagirico e con sottile arte pironomica tutte le specie
elementali e corruttibili : il Mondo elementare. Da questo vengon poi tratte
con esattissima diligenza le specie celesti e incorruttibili [ ... ] formate
tutte le specie elementari e celesti si viene per ultimo alla formazione delle
altre, interamente perfette, che, [ ... ] posson dirsi specie intellettuali e
menti magiche disciolte.".
Il contatto palpabile con le specie elementari è dunque parte del
procedimento alchemico, frutto di un "mirabile artificio spagirico" e "sottile
arte pironomica", percezione spirituale interna all’itinerario individuale di
quella separazione dei misti che è alla base della grande opera.
Silfi, gnomi, ondine e salamandre sono dunque precipitati simbolici, ipostasi
individuate dell’essenza degli elementi che l’alchimista- mago purifica,
prodotti reali dell’opera ermetica, del contatto dell’artefice con la
materia prima. Essi sono palpabili come palpabile è il mercurio
fissato dall’azione ignea dello zolfo alchemico, come palpabile è lo splendore
invisibile che guida l’artista verso la pietra, come palpabile effettivamente è,
per l’alchimista, la fitta rete di correlazioni ed analogie che unisce il
visibile all’invisibile, il solido all’etereo.
In chiusura di questa breve parentesi dedicata a scoprire il ruolo delle
bellissime Ondine tra le storte e gli alambicchi del controverso alchimista
milanese, vogliamo chiudere con parole tratte da un articolo datato 1957 (ora
disponibile in versione italiana sul sito ZENIT), firmato da un moderno
alchimista, Eugene Canseliet, ed uscito nel n° 11\12 de La Tour Saint Jaques
:
"...Più precisamente la Magia e l’Alchimia formano con l’Astrologia i tre rami
nati dal tronco centrale, ossia dalla scienza Universale, emanazione reale
dell’indivisibile Verità. Se le immaginiamo disposte a tridente, la magia
corrisponde all’asta mediana [ ... ] La Magia, dobbiamo insistere, è all’origine
dell’alchimia e dell’astrologia e presiede obbligatoriamente a tutte le loro
operazioni, poiché essa ne costituisce il motore essenziale ed
imponderabile...".
E di recente, ancora, per coloro che dovessero pensare che le Ninfe e le
Salamandre siano reperti di ermetisti di un tempo lontano, una Ninfa guidava con
dolcezza i lavori di Cyliani nell’ Hermes Devoilé. Di questa Ninfa
alchemica, nella traduzione di Stefano Andreani (apparsa in appendice a
Alchimia : appunti per una semiologia del sacro-1976 ERI) riportiamo infine
il saluto con cui si diparte dall’affranto Cyliani :
".......Mi gettai ai suoi piedi per ringraziarla di un simile beneficio ed
umilmente ringraziai anche l’Eterno di avermi fatto superare tanti pericoli.
Poi ella mi disse addio, aggiungendo : Non mi dimenticare !
Disparve, e la sua fuga mi fece provare una pena talmente grande che mi
svegliai......"
Al di là di queste forte connotazione magico-cabalistica, l’alchimia vera e
propria desumibile dalle opere del Borri non presenta particolarità specifiche,
riportando fedelmente il precipitato di ideologie e tradizioni tipico
dell’alchimia seicentesca.
Le opere conosciute attribuite al Borri, tra quelle certe, incerte e quelle
apocrife sono :
Lettere di F. B. ad un suo
amico circa l’attione intitolata : La Virtù coronata.
Roma 1643
Gentis Burrhorum notitia. Argentorati 1660
Iudicium....de lapide in stomacho cervi reperto. Hanoviae 1662
Epistolae duae, 1 De cerebri ortu & usu medico. 2 De artificio oculorum
Epistolae duae Ad Th. Bartholinum. Hafniae 1669
La chiave del Gabinetto del Cavagliere G. F. Borri. Colonia (Ginevra)
1681
Istruzioni politiche date al re di Danimarca. Colonia (Ginevra) 1681
Hyppocrates Chymicus seu Chyniae Hyppocraticae Spcimina quinque a F. I. B.
recognita et Olao Borrichio dedicata. Acc. Brevis Quaestio de circulatione
sanguinis. Coloniae 1690
De virtutibus Balsami Catholici secundum artem chymicam a propriis manibus F.
I. B. elaborati. Romae 1694
De vini degeneratione in acetum et an sit calidum vel frigidum decisio
experimentalis. in Galleria di Minerva, II. Venezia 1697
Riferimenti bio-bibliografici sono reperibili in :
Bornia - La porta magica di
Roma - studio storico 1983 Genova L. Pirrotta - La porta ermetica, un tesoro
dimenticato Roma 1979 G. Cosmacini - Il medico ciarlatano Bari 1998
Le lettere sono presentate nella versione conforme a quella pubblicata tra il
1910 ed il 1911
sulla rivista Commentarium per le accademie ermetiche (S.P.H.C.I.)
diretta dall’ermetista napoletano contemporaneo G. Kremmerz. Rispetto a tale
versione è stata alleggerita la sola punteggiatura, per favorire una più agevole
fruizione al lettore moderno.
Da:
http://www.levity.com/alchemy/borri.html
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